Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33804 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 33804 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: TRICOMI IRENE
Data pubblicazione: 21/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31274/2020 R.G. proposto da :
DEL VECCHIO NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO NOME COGNOME INDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO PRESSO LO STUDIO dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE COGNOME, in persona del Direttore legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, COGNOME INDIRIZZO, presso LA SEDE LEGALE DELL’AZIENDA, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 929/2020 depositata il 05/06/2020, RG n. 2503 del 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 929/2020 ha accolto l’appello proposto dall’Azienda Ospedaliera S an INDIRIZZO, e ha rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME.
Il Tribunale, in parziale accoglimento della domanda proposta dal lavoratore , aveva condannato l’Azienda al pagamento della somma di euro 22.500,00 a titolo di compenso aggiuntivo per l’attività di gestione della Elisuperficie della medesima Azienda, maturato nel periodo dall’aprile 2013 al pensionamento.
Il compenso in questione veniva attribuito all’appellato con note unilaterali del Direttore generale, e con successivi provvedimenti sempre unilaterali.
Il giudice di appello ha affermato che il lavoratore pubblico non può avere un compenso superiore o inferiore rispetto a quello previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva. Pertanto, gli atti con cui unilateralmente l’Azienda aveva riconosciuto un compenso aggiuntivo al lavoratore erano nulli in quanto viziati da difetto assoluto di attribuzione.
Di talché il giudicato sul decreto ingiuntivo n. 5174/2013, avente ad oggetto il compenso maturato dal febbraio 2012 all’aprile 2013, trattandosi di compenso percepito in violazione di legge, non poteva spiegare effetto per l’attività svolta successivamente alla data della pronuncia.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore prospettando sei motivi di impugnazione.
Resiste l’Azienda con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ponendo in evidenza che con sentenza n. 2259/2021 la Corte d’Appello di Roma ha rigettato il ricorso proposto dal ricorrente per la revocazione ordinaria avverso la sentenza oggetto del presente ricorso per cassazione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 360, n.4, cod. proc. civ., in relazione alla violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ex art. 112 cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello commesso un errore di valutazione delle affermazioni dell’appellato , contenute nella memoria di costituzione in appello sulla natura dell’incarico di gestore dell a Elisuperficie.
Il lavoratore aveva domandato il compenso per un incarico di carattere dirigenziale il quale aveva i requisiti propri dell’incarico extra istituzione ai sensi e per gli effetti dell’art. 53 d.lgs. 165/2001 -avendo il ricorrente affermato a pag. 9 della memoria di costituzione in appello che: ‘l’elenco delle mansioni di categoria D (concretamente svolte) e il ben diverso incarico di Gestore dell’Elisuperficie non hanno nulla in comune, considerato il diverso e maggior grado di autonomia, responsabilità ed i compiti (di natura dirigenziale) propri dell’incarico affidato’.
Nella sentenza si leggeva, invece, che il ricorrente avrebbe reclamato un ‘compenso aggiuntivo per un incarico di carattere non dirigenziale’: la Corte avrebbe quindi violato la regula juris , e precisamente il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, sindacabile ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., per la violazione dell’art. 112 c.p.c., ritenendo di doversi pronunciare sulla domanda (mai) formulata in relazione a mansioni di natura non
dirigenziale anziché alla diversa richiesta (oggetto di domanda) relativa a compiti di natura dirigenziale.
Con il secondo motivo di ricorso sono stati denunciati vizi inerenti all’interpretazione del contenuto della domanda (anch’essi denunciabili in cassazione) per l’errore che attiene alla ‘qualificazione giuridica dei fatti allegati’ che ha precluso la valutazione della fattispecie in termini di incarico extra officio ai sensi dell’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001.
L’aver ritenuto che il ricorrente avesse affermato di non aver svolto mansioni superiori, bensì un incarico aggiuntivo che non aveva natura dirigenziale, mentre lo stesso aveva dichiarato che i compiti avevano natura dirigenziale, avrebbe dato luogo alla violazione non tanto dell’art. 52 del d.lgs. 165/2001, ma dell’art. 53 del d.lgs. 165/2001, che disciplina le ipotesi degli incarichi extra officio, anche se conferiti dall’ Amministrazione di appartenenza.
Nella sentenza impugnata vi era un errore di giudizio consistente nell’aver attribuito alle affermazioni contenute nella memoria in appello una portata diversa dalle espressioni invero utilizzate (‘natura dirigenziale’), ciò che ha portato alla erronea esclusione di entrambe le fattispecie previste dalla legislazione vigente (art. 52 e per quanto qui di interesse art. 53 d.lgs. 165/2001) per remunerare le funzioni dirigenziali pacificamente svolte dal ricorrente come g estore dell’Elisuperficie , quale ‘consulenza non sanitaria da privati’. 2.1. I primi due motivi di ricorso sono inammissibili.
La Corte d’Appello ha chiaramente riportato nella sentenza che il ricorrente indicava l’attività svolta come incarico aggiuntivo ( pag. 2 della sentenza: ‘Lo stesso appellato ha affermato nella memoria difensiva di costituzione che l’incarico in questione non costituisce espletamento di mansioni superiori, bensì è aggiuntivo rispetto a quello normalmente svolto.’).
Quindi nel decidere la controversia ha escluso le mansioni superiori, ha escluso che l’incarico avesse fondamento contrattuale collettivo, ha affermato che il conferimento dello stesso e del compenso con le note unilaterali era nullo per difetto assoluto di attribuzione.
L’indicazione , meramente narrativa riportata, peraltro tra parentesi, nella memoria di costituzione in appello della natura dirigenziale dei compiti, di cui il ricorrente assume una erronea valutazione, è del tutto generica e non consente di apprezzare l’effettiva rilevanza della censura.
Ciò, anche considerando che il ricorrente richiama l’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, che regola ‘ Incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi ‘ , che al comma 2, a cui il lavoratore fa espresso riferimento, prevede: ‘ Le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati ‘, e prescinde dal l’essere gli stessi di natura dirigenziale o meno.
La decisione della Corte d’Appello che ha accertato la mancanza di fondamento contrattuale collettivo e l’assenza di attribuzione ai fini del conferimento dell’incarico e del relativo compenso, supera la questione del rilievo della prospettata natura dirigenziale, di cui non emerge la rilevanza, e in ragione della disciplina richiamata la decisività.
Con il terzo motivo di ricorso è denunciato l’omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio, per non essersi la Corte d’Appello
pronunciata sull’estraneità dei compiti dell’incarico di gestore dell’Elisuperficie rispetto alle mansioni proprie del profilo di collaboratore tecnico e della categoria D di inquadramento di cui al C.C.N.L. del personale di Comparto della Sanità Pubblica.
Il fatto era decisivo ed era anche stato oggetto di discussione tra le parti.
La sentenza aveva omesso di esaminare il fatto storico, che era decisivo, perché l’accertamento della estraneità dei compiti di g estore dell’Elisuperficie rispetto alle mansioni di inquadramento (e quindi ai doveri istituzionali) comportava il riconoscimento del compenso previsto per l’incarico ai sensi dell’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 , ed era stato contestato dall’Azienda .
3.1. Il motivo è inammissibile. È da rilevare che con l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, il vizio di motivazione attiene ad un vizio specifico, denunciabile per cassazione solo ove relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, e quindi ad una precisa circostanza da intendersi in senso storico naturalistico, ad un dato materiale la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), da denunciare nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., a cui non si sottrae neppure la previsione di cui all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate, come nella specie, ove gli indicati parametri non risultano rispettati, laddove nella sostanza si impugna il ragionamento decisorio della Corte d’Appello e la valutazione delle risultanze di causa, di talché difettano i presupposti
di ammissibilità della censura proposta ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.
4. Con il quarto motivo di ricorso è stato denunciato vizio della sentenza laddove, nell’affermare che il ricorrente avrebbe reclamato ‘un compenso aggiuntivo per lo svolgimento di un incarico di carattere non dirigenziale’, ha fatto scaturire la nullità d ei trattamenti economici non previsti dal C.C.N.L., ledendo in tal modo la disposizione dell’art. 53 d.lgs. 165/2001 che consente, invece, la remunerazione degli incarichi conferiti dalla medesima amministrazione purché estranei ai compiti e doveri d’uffic io e disciplinati da apposita fonte normativa.
Si ribadisce la violazione di tale disposizione di cui sussistono tutti i presupposti in quanto, da un lato, i compiti di gestore dell’Elisuperficie non costituiscono mansioni comprese nei compiti (e doveri di ufficio) di inquadramento, potendo formare oggetto di un incarico aggiuntivo extra officio con un compenso aggiuntivo, come espressamente disposto dall’art. 53 d.lgs. 165/2001; dall’altro, l’incarico di g estore dell’Elisuperficie era ‘previsto e disciplinato da legge o altra fonte normativa’ , come ric hiesto dall’art. 53 cit., e precisamente dal Decreto Ministero Infrastrutture e Trasporti del 1° febbraio 2006, che individua le attribuzioni proprie del gestore dell’Elisuperficie, disciplinandone anche le responsabilità , che non rientrano tra le mansioni proprie del profilo e della categoria di appartenenza.
Viene pertanto censurata anche la violazione del suddetto Decreto Ministeriale il quale regolava le attività, le prescrizioni cui attenersi e le relative responsabilità del gestore dell’Elisuperficie.
È censurata anche la falsa applicazione, da parte del giudice di secondo grado, dell’art. 21 -septies della legge n. 241 del 1990, non potendosi ravvisare alcun difetto di potere della P.A. nell’attribuire un compenso a fronte di un incarico aggiuntivo estraneo ai compiti
e doveri di ufficio, previsto e disciplinato espressamente da altra fonte normativa, non essendosi l’Azienda sostituita né al legislatore né alla contrattazione collettiva, avendo invece realizzato una finalità pubblica utilizzando un altro strumento normativamente previsto e perfettamente legittimo.
4.1. Il motivo è inammissibile.
Secondo costante orientamento di questa Corte, infatti, nel pubblico impiego privatizzato -nel quale il rapporto di lavoro è disciplinato esclusivamente dalla legge e dalla contrattazione collettiva – non possono essere attribuiti trattamenti economici non previsti dalle suddette fonti, nemmeno se di miglior favore (Cass. n. 31387 del 2019, n. 16150 del 2024). Da ciò deriva che, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, ai sensi dell’art. 2, comma 3, d. lgs. n. 165 del 2001, l’attribuzione dei trattamenti economici è riservata alla contrattazione collettiva, sicché non è sufficiente a tale scopo un atto deliberativo della P.A., ma occorre, a pena di nullità, la conformità di tale atto alla contrattazione collettiva (Cass., n. 17226 del 2020). Tale conformità, tuttavia, deve essere valutata in relazione al contratto collettivo di comparto correttamente applicabile, avendo questa Corte chiarito che nel pubblico impiego contrattualizzato, il parametro per verificare l’attuazione del principio della parità di trattamento economico di cui all’art. 45 del d.lgs. n. 165/2001, è costituito dall’applicazione del contratto collettivo del comparto di appartenenza, rispetto al quale l’amministrazione datrice di lavoro non ha alcun potere di disposizione, mentre non assume rilevanza l’applicazione di fatto di un contratto collettivo diverso ad altri dipendenti di ruolo, neanche quando ciò sia avvenuto in forza di una sentenza passata in giudicato (Cass., n. 6090 del 2021).
A fronte della statuizione della Corte d’Appello , conforme a tali principi, la doglianza introduce una tematica, quella degli incarichi extraistituzionali ex art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 (‘
, che oltre a risultare nuova rispetto al thema decidendum esaminato dalla Corte territoriale, è priva di decisività, in quanto non censura adeguatamente la affermazione della Corte d’Appello che l’attribuzione di compensi da parte dell’Amministrazione ad un proprio dipendente come nella specie in cui l’ attività è stata svolta presso l’Amministrazione di appartenenza -deve trovare fondamento nella contrattazione collettiva, atteso che la Corte d’Appello non ha posto in discussione la estraneità dei compiti aggiuntivi rispetto a quelli ordinari, e il DPCM 1° febbraio 2006, artt. 3 e 4, sancisce genericamente che l’aviosuperficie è gestita da persone fisiche o giuridiche, senza alcun riferimento alla necessità dell’attribuzione dell’incarico a dipendente pubblico con qualifica, mansioni o competenze tecniche riferibili a quelle rivestite dal ricorrente, in aggiunta ai compiti di ufficio.
Con il quinto motivo di ricorso sono stati denunciati vizi della sentenza nella parte in cui ha escluso l’efficacia di giudicato costituito dal decreto ingiuntivo, in relazione ai principi applicabili al rapporto di durata connotato da obbligazioni periodiche di pagamento.
Espone il ricorrente che era pacifico che non vi fosse stato alcun fatto nuovo che avesse modificato il contenuto materiale del rapporto, né vi era stata modificazione nella normativa di riferimento, vieppiù che il ricorrente aveva continuato a svolgere i compiti di Gestore dell’E lisuperficie fino al pensionamento.
Da ll’accertamento e d a ll’autorità , nonché intangibilità del giudicato formatosi sulla spettanza del compenso per l’incarico di Gestore dell’Elisuperficie, in mancanza di modifiche in fatto o nella normativa, sarebbe derivato anche il giudicato sulle obbligazioni datoriali
successive al segmento per il quale è intervenuta la pronuncia giudiziale.
5.1. Il motivo è inammissibile, in quanto non considera la complessiva ratio decidendi della Corte d’Appello.
L’efficacia del giudicato nei giudizi sui rapporti di durata presuppone che ne sia offerta una interpretazione, inoltre, devono rimanere immutati gli elementi di fatto e di diritto preesistenti.
Nella specie tale interpretazione ha portato Corte d’Appello a considerare il giudicato relativo al decreto ingiuntivo n. 5174 del 2013, emesso in contrasto con norme imperative, venendo in rilievo un compenso percepito senza essere previsto dalla contrattazione collettiva, in contrasto con il d.lgs. n. 165 del 2001, e che non può pertanto spiegare effetto per l’attività svolta per il periodo successivo a quello coperto dal giudicato.
Con il sesto motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 360, n.3, cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione delle norme di cui all’art. 21 -septies , in combinato con l’art. 21 -nonies , nonché dell’ art. 1 della legge n. 241 del 1990, in relazione alla nullità degli atti datoriali con cui è stato esercitato il potere pubblicistico dell’annullamento in autotutela su atti paritetico -negoziali di conferimento dell’incarico di gestore dell’elisuperficie.
Assume il ricorrente che la Corte d’Appell o non poteva ‘superare’ le eccezioni di nullità perché:
l’art. 1 comma 1 -bis della legge n. 241 del 19 90 dispone che ‘La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato’ e, per quanto riguarda il pubblico impiego cd. privatizzato, il datore di lavoro deve agire in ottemperanza alle norme del Codice civile ed alle leggi sul lavoro privato, salvo l’imperatività delle norme del d.lgs. n.165 del 2001 e del d.lgs. 502 del 1992 per il personale del S.S.N.;
gli atti di conferimento di un incarico – in quanto atti di gestione del rapporto di lavoro pubblico privatizzato – sono atti di natura negoziale e non sono assimilabili ai c.d. provvedimenti amministrativi sui quali soltanto è consentito il potere pubblico dell’autotutela, come previsto dall’art. 21 -novies della legge 241/1990.
6.1. Il motivo è inammissibile, in quanto non censura adeguatamente la ratio decidendi della sentenza di appello, incentrata sulla nullità derivata dal mancato rispetto di norme imperative, cui segue il recupero delle somme indebitamente versate.
Nell ‘ impiego pubblico contrattualizzato (cfr., Cass., n. 28966 del 2023), ove difettino specifiche disposizioni derogatorie della regola generale, deve essere escluso in radice il potere unilaterale del datore di lavoro di discostarsi, nella disciplina del singolo rapporto di impiego, dall’assetto definito in sede di contrattazione collettiva, perché il superamento dello statuto pubblicistico è stato realizzato dal legislatore ordinario attraverso un «equilibrato dosaggio di fonti regolatrici» (Corte Cost. n. 309/1997) che si incentra sul ruolo centrale della contrattazione collettiva, a sua volta oggetto di una specifica disciplina finalizzata a garantire l’attuazione dei principi costituzionali di cui all’art. 97, Cost., di modo che «l’osservanza, da parte delle amministrazioni, degli obblighi assunti con i contratti collettivi rappresenta il conseguente e non irragionevole esito dell’intera procedura di contrattazione, la quale prende le mosse dalla determinazione dei comparti e si conclude con l’autorizzazione governativa alla sottoscrizione delle ipotesi di accordo, che interessa a sua volta molteplici profili, non solo di controllo ma anche di verifica della compatibilità finanziaria» (Corte Cost., n. 309 del 1997).
Si è quindi consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’orientamento secondo cui l ‘ adozione da parte della P.A. di un atto
negoziale di diritto privato di gestione del rapporto, con il quale venga attribuito al lavoratore un determinato trattamento economico, non è sufficiente, di per sé, a costituire una posizione giuridica soggettiva in capo al lavoratore medesimo, giacché la misura economica deve trovare necessario fondamento nella contrattazione collettiva, con la conseguenza che il diritto si stabilizza in capo al dipendente solo qualora l’atto sia conforme alla volontà delle parti collettive.
Il ricorso è inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 3.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo un ificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro