Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22447 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 22447 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13452/2020 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso da se stesso e dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio digitale presso l’indirizzo pec dei difensori;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende giusta procura in atti;
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso l’ordinanza della TRIBUNALE di MILANO (RG 47832/2018), depositata il 26/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
L’avvocato COGNOME NOME adì il Tribunale di Milano domandando di ingiungere alla Banca di Credito Cooperativo di Milano soc. coop. il pagamento del compenso professionale per le attività giudiziali e stragiudiziali prestate, ammontante a € 36.681,15, oltre agli interessi moratori di cui al D.M. 238/92 e spese di lite.
1.1. Il Tribunale adito, applicato il rito di cui all’art. 14, d. lgs. n. 150/2011, ingiunto il pagamento con il decreto n. 17775/2018, successivamente accolta l’opposizione della Banca, revocò il decreto, condannando questa al pagamento della minor somma di € 4.600,00, oltre agli accessori.
1.2. Questi, in sintesi, gli argomenti salienti dell’ordinanza, per qual che qui possa rilevare.
1.2.1. L’opposto aveva eccepit o l’effetto preclusivo di giudicato derivante dal decreto ingiuntivo n. 1395/2018, divenuto definitivo.
L’ordinanza disattende l’asserto, poiché <>.
1.2.2. Disattende, per contro, l’eccezione d’illegittimo frazionamento del credito proposta dalla Banca, affermando che
trattavasi di azioni giudiziarie afferenti a una pluralità di rapporti tra le medesime parti.
1.2.3. In data 11/4/2015 le parti avevano stipulato un accordo tariffario che regolava tutti gli incarichi assegnati al professionista ancora in corso di svolgimento; accordo che aveva sostituito ogni precedente convenzione e, in particolare, quella del 16/12/1996. Con la successiva scrittura del 29/4/2015 era stato regolato il pagamento omnicomprensivo del residuo dei compensi fino al 30/6/2014 con la riduzione del 25% (versamento effettivamente effettuato). Mentre per l’attività svolta successivamente al 30.6.2014 l’avvocato si era impegnato ad applicare le tariffe stabilite nella convenzione dell’11/4/2013; convenzione che, pur non assurta a contratto (per mancanza di accettazione da parte della Banca della controproposta dell’avvocato COGNOME), era stata espressamente richiamata dal negozio del 2015.
1.2.4. L’accordo del 29.4.2015 non era diretto, al contrario di quanto sostenuto dal professionista, a regolare soltanto le pratiche di cui all’elenco allegato alla convenzione. La tesi disattesa contrastava con il principio di buona fede e andava esclusa <>.
1.2.5. Sotto altro profilo, andava rigettata la subordinata domanda del COGNOME, <>, nel rispetto del principio d’irretroattività della legge sancito dall’art. 11 delle preleggi. <>.
L ‘avv ocato NOME COGNOME propone ricorso straordinario ex art. 111, co.7, Cost., fondato su nove motivi. Banca di Credito Cooperativo di Milano soc. coop. resiste con controricorso, proponendo, a sua volta ricorso incidentale, con quattro motivi, contrastato da avverso controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., anche in relazione agli artt. 132 cod. proc. civ., 118 disp. attuaz. cod. proc. civ. e 111 Cost.
Il ricorrente sostiene che attraverso motivazione irriducibilmente contraddittoria il Tribunale aveva stravolto la portata della decisione di legittimità n. 19113/2018, la quale aveva affermato l’esistenza del giudicato sostanziale promanante dal decreto ingiuntivo non opposto, tale da coprire l’esistenza del
titolo, del rapporto e l’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi.
Dal decreto divenuto irrevocabile discendeva l’accertamento definitivo della circostanza che i rapporti tra le parti erano regolati esclusivamente dalla convenzione fra le stesse stipulata nei primi anni Novanta del secolo scorso.
4.1. Il motivo è infondato.
Va richiamata la condivisa motivazione con la quale questa Corte con la sentenza n. 12905 del 14/5/2025 ha disatteso analoga doglianza mossa a riguardo della medesima vicenda.
<>.
5. Con il secondo motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. cod. civ., 132 cod. proc. civ, 118 disp. att. cod. proc. civ. e 111 Cost., assumendosi che il Tribunale aveva erroneamente esteso la disciplina delle 96 pratiche allegate all’accordo del 2015 a tutte le altre 291.
Il ricorrente assume che il Tribunale abbia violato le norme sull’ermeneutica negoziale, assegnando alle parole una valenza contraria al loro chiaro significato letterale, privilegiando un’interpretazione contrastante con criterio di buona fede e col significato complessivo dell’accordo del 2015, il cui contenuto era stato esteso alle pratiche non incluse nell’elenco allegato al negozio, che costituivano la più gran parte, nel mentre l’accordo doveva intendersi limitato solo alle pratiche indicate nell’elenco. Né
il Giudice aveva tenuto conto del disposto dell’art. 1370 cod. civ., che opta per l’interpretazione favorevole alla parte più debole, da individuarsi nel professionista che aveva contratto con un’impresa ‘forte’, quale doveva reputarsi l’opponente.
Per giungere all’avversata conclusione, prosegue il COGNOME, la decisione aveva ignorato i documenti prodotti dall’opposto e le stesse dichiarazioni confessorie provenienti dalla controparte.
Inoltre, la decisione era sostenuta da un costrutto motivazionale apparente, non esplicitante le ragioni del decidere e basato su argomenti logicamente contraddittori tra loro.
Con il terzo motivo viene denunciata nullità del provvedimento per violazione e falsa applicazione degli artt. 132 cod. proc. civ., 118 disp. attuaz. cod. proc. civ. e 111 Cost., assumendosi che la decisione aveva reso motivazione illogica e contraddittoria, in quanto, dopo avere affermato che non fosse stato raggiunto fra le parti accordo nel 2013, <>.
Con il quarto motivo si censura la decisione per violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. cod. civ., 112 e 115 cod. proc. civ.
A ulteriore sviluppo e completamento dei precedenti due ultimi motivi il ricorrente lamenta, oltre alla violazione delle regole interpretative, l’errato apprezzamento delle prove, addebita alla decisione di avere ignorato la portata probatoria delle e-mail inviate dalla controparte in data 13 e 18 giugno 2013, le quali ribadivano l’esclusione dall’accordo del 2015 <>.
Con il quinto motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. cod. cv., 112 e 115 cod. proc. civ., anche sotto il profilo dell’omessa e/o insufficiente motivazione.
Il ricorrente censura la decisione impugnata per avere reputato <>. In particolare, il Giudice aveva, violando le norme evocate, reputato <>.
Attraverso una tale <>, il giudice di merito aveva negato la deroga al punto 5.2. della lettera del 12/6/2013, la quale, invece, escludeva dall’accordo le pratiche conferite prima della stipulazione del contratto. Tutto ciò, prosegue il ricorrente, a dispetto della stessa documentazione di controparte.
Con il sesto motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2233 e 2234 cod. civ., 112 e 115 cod. proc. civ., nonché 132 cod. proc. civ., 118 disp. attuaz. cod. proc. civ. e 111 Cost.
Si assume l’erroneità della decisione per avere affermato che dalla circostanza che le fatture emesse dall’opposto non recavano la dicitura ‘acconto’ doveva trarsi il convincimento che l’importo indicato dovesse reputarsi integralmente soddisfattivo del compenso per l’attività prestata.
Una tale conclusione, sostiene il ricorrente, oltre a violare l’art. 2234 cod. civ., si poneva in contrasto con la documentazione prodotta.
Infine, si osserva che il rinvio mero effettuato dal Tribunale ad altra decisione dello stesso Giudice, poiché non rendeva possibile il controllo motivazionale, era fonte di nullità della statuizione impugnata.
I motivi dal secondo al sesto, tra loro osmotici, sono infondati.
10.1. Come noto la giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232/2016; Cass. n. 6758/2022 e, da ultimo, S.U. n. 2767/2023, in motivazione).
A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto.
Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7
agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).
Qui non ricorre alcuna delle ipotesi sopra richiamate, avendo il Tribunale reso motivazione ben comprensibile, articolata e puntuale.
10.2. La denuncia di violazione di legge sostanziale non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (ex multis, S.U. n. 25573, 12/11/2020). E ancora, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge
e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, n. 3340, 05/02/2019).
10.3. Costituisce principio consolidato l’affermazione secondo la quale per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Rv. n. 659037 -01). Ipotesi, questa, che qui non ricorre affatto.
10.4. La vicenda resta confinata negli apprezzamenti di merito, non bastando, come più volte chiarito in questa sede, la enunciazione della pretesa violazione di legge in relazione al risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito, occorrendo individuare, con puntualità, il canone ermeneutico violato correlato al materiale probatorio acquisito; in quanto, <> (ex pluribus, Cass. nn. 15381/2004, 13839/2004, 13579/2004, 5359/2004, 753/2004, 18587/2012; si veda inoltre, per la ricchezza di richiami, Cass. n. 2988/2013; da ultimo, Cass. n. 2050/2024).
Nonostante gli sforzi profusi dal ricorrente, il richiamo alle norme regolanti l’interpretazione del negozio risulta privo di specifica critica della decisione nel senso sopra enunciato. Manca, in definitiva, un’apprezzabile, in quanto puntuale e specificamente connessa alla norma asseritamente disattesa, critica del ragionamento del Tribunale, atta a chiarire quale sia il parametro ermeneutico violato e per quale ragione giuridica.
10.5. Nel dettaglio, le conclusioni cui giunge l’ordinanza, frutto di plausibile e ragionevole ricostruzione del fatto, risultano, quindi vanamente avversati.
Le fatture vennero emesse non a titolo di acconto e sul punto la spiegazione del ricorrente – il quale crede di trarre dal contenuto dell’art. 2234 cod. civ. argomento per affermare che trattavasi di acconti non assume valenza tale da meritare d’imporsi sulla motivazione del Tribunale, la quale non è in questa sede censurabile.
Significativamente la decisione impugnata evidenzia la piena consapevolezza dello stipulante odierno ricorrente, dotato di competenze specifiche in quanto avvocato, emblematico uso della carta intestata dello studio del COGNOME per redigere il contratto. In ordine all’accordo tariffario osserva che <>.
Quelle che vengono indicate come affermazioni confessorie potrebbero, al più, costituire indizi d’ammission e, privi di rilievo decisivo.
La fattura commerciale, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale ed alla funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all’esecuzione di un contratto, si inquadra fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione, indirizzata all’altra parte, di fatti concernenti un rapporto già costituito, sicché, quando tale rapporto sia contestato, non può costituire valido elemento di prova delle prestazioni eseguite ma, al più, un mero indizio (sez. 2, n. 299, 12/01/2016,
Rv. 638451 -01; conf. Cass. n. 34831/2024) e la circostanza che il ricorrente trae quale opposta conclusione sulla base dei documenti richiamati, dai quali sarebbe dato ricavare la volontà di considerare i pagamenti come meri acconti, costituisce valutazione contrapposta che non incide sul complessivo vaglio di merito.
10.6. In conclusione, il complesso censorio risulta diretto a un complessivo e improprio riesame di una pluralità di apprezzamenti di merito.
In assenza di elementi probatori, aventi valenza decisiva, pretermessi o, al contrario, reputati sussistenti a dispetto del vero, la pretesa del ricorrente, il quale perora un’alternativa ricostruzione, è inammissibile. Per vero, il giudice è libero di valorizzare un apporto probatorio piuttosto che un altro, purché renda motivazione.
Sul punto questa Corte ha condivisamente affermato che, in tema di scrutinio di legittimità del ragionamento sulle prove adottato del giudice di merito, la valutazione del materiale probatorio – in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante -costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della S.C. (con la conseguenza che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non è denunciabile col ricorso per cassazione come vizio della decisione di merito), restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le predette valutazioni discrezionali (Sez. 3, n. 37382, 21/12/2022, Rv. 666679 -05).
11. Con il settimo motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2233 cod. civ., 24, 35 e 36 Cost., 13 bis legge professionale forense vigente, regolante il cd. ‘equo compenso’, del d.m. n. 55/2014, infine dell’art. 112 cod. proc. civ.
Inoltre, si sostiene che i compensi relativi alle partite in contestazione violavano l’art.2233 cod. civ. per la loro irrisorietà, lesiva del decoro professionale
11.1. Il motivo è infondato.
Anche in questo caso conviene richiamare, in quanto condivisa, la sentenza di questa Corte n. 12905/2025.
<>.
Va, inoltre, soggiunto che la denuncia di violazione del decoro professionale è inammissibile per difetto di specificità, sotto il profilo dell’autosufficienza, poiché ignoti gli elementi concreti sulla base dei quali, se del caso, misurare la dedotta violazione.
12. Con l’ottavo motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2233, 2234 e 1372 cod. civ., 112 e 115 cod. proc. civ. nonché degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., assumendosi che il Tribunale, a tutto in tesi concedere, aveva violato la pattuizione del 2015 nel determinare i compensi spettanti al professionista in relazione alle pratiche indicate.
12.1. Il motivo è inammissibile.
Vengono evocati violazioni dell’accordo negoziale in questa sede non verificabili, non conoscendo il Giudice di legittimità l’effettiva portata degli incombenti professionali svolti, il valore delle cause trattate, l’eventuale liquidazione giudiziaria. Nel resto trattasi di discordanze che non colgono la ‘ratio decidendi’, in quanto afferenti a quanto ricevuto rispetto a quanto asserito come preteso.
13. Con il nono motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2233, 2234, 1364, 1372 e 1374 cod. civ., 24, 35 e 36 Cost., 2697 cod. civ., 112 e 115 cod. proc. civ., nonché omessa e/o insufficiente motivazione, per non avere il Giudice liquidato alcun compenso a riguardo della pratica RAGIONE_SOCIALEBuzzanga, nonostante fosse stato chiarito dall’esponente che essa era stata affidata nel 2011 e rientrasse nell’elenco di cui all’accordo del 29/4/2015 e, a dispetto di quanto affermato da controparte, non era stato affatto versato l’importo di € 2.283,67.
Ingiustamente era stato ritenuto provato il versamento della somma di € 599.828,22, costituente il complessivo corrispettivo pattuito con l’accordo del 2015, nonostante che una tale prova la debitrice non avesse fornito.
Inoltre, poiché la Banca aveva recuperato il credito cedendolo ad Antares, a norma del contratto, siccome integrato dalla convenzione del 2013, il ricorrente avrebbe avuto diritto al compenso per intero, senza la decurtazione del 25%.
Ed ancora, poiché tutte le prestazioni, siccome affermato dal Tribunale, risalivano al 2011, avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 2233 cod. civ., per come modificato dal d.l. n. 1/2012, in applicazione dell’inderogabilità dei minimi tariffari (art. 24 l. n. 794/1942).
Era stato, poi, ingiustamente negato compenso per le pratiche di cui al punto 6 del ricorso per ingiunzione (compenso per correzione errore materiale e per le domande di annotazione), nonché per le pratiche di cui ai punti 2 e 3 del ricorso anzidetto (B.C.C./RAGIONE_SOCIALE –COGNOME -Robbiano), riguardanti procedimento di mediazione.
Il Tribunale aveva negato i compensi per le pratiche richiamate sul presupposto erroneo che il compenso non spettasse, non solo ove ciò fosse stato espressamente escluso dall’accordo, ma anche solo in mancanza di previsione specifica.
Da quanto esposto era derivata anche la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
13.1. Il motivo è inammissibile e in parte infondato.
Sgombrato il campo, sin d’ora, dall’asserita omessa pronuncia, stante che il Tribunale si è pronunciato, sia pure sconfessando i desiderata del ricorrente odierno, risulta evidente l’impropria pretesa di riesame di merito, a fronte di specifica
motivazione del Tribunale, il quale, in forza dell’accordo del 2015, negato diritto a compenso per l’attività professionale anteriore al 30/6/2014, per le successive, dettagliatamente prese in rassegna, liquida i compensi (pagg. 12 e segg.).
La doglianza è inammissibile anche nella parte in cui afferma che il compenso onnicomprensivo di 599.828,22 euro sarebbe stato ingiustamente ritenuto come pagato dalla Banca: la questione è del tutto estranea alla vertenza, giacché con l’accordo l’ammontare dei compensi di € 836.833,32 era stato convenzionalmente ridotto a € 599.828,22 e il pagamento dilazionato in tre anni. La questione controversa non atteneva a ciò, bensì alla pretesa del ricorrente di reputare non incluse nell’anzidetto compenso complessivo, le pratiche non specificamente incluse nell’elenco allegato al contratto.
La pretesa applicazione dell’art. 13 bis della L.P.F. merita rigetto sulla base di quanto richiamato al § 11.1.
Infine, ancora una volta, la denuncia di violazione del decoro professionale è inammissibile per difetto di specificità sotto il profilo dell’autosufficienza.
14. Con il primo motivo del ricorso incidentale viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 1175 e 1375 cod. civ., per avere la decisione rigettato l’eccezione <>.
14.1. Il motivo è infondato.
Sul punto, ancora una volta, vanno richiamati gli argomenti di cui alla sentenza n. 12905/2025, pienamente condivisi da questo Collegio.
<>.
Il Tribunale, come anticipato, ha accertato l’esistenza di distinti incarichi professionali che si sono susseguiti nel tempo e, pertanto, <> .
15. Con il secondo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 134 cod. proc. civ. e all’art. 111 Cost.
La ricorrente incidentale sostiene che la convenzione del 2013 abbia acquisito valenza di contratto fra le parti e, quindi, autonoma forza di autoregolamentazione a prescindere dall’essere stata richiamata dal contratto del 2015. Ricava un tale convincimento dal fatto che le parti anche in epoca anteriore al 29/4/2015 si fossero assoggettate alle statuizioni di un tale accordo.
Reputa, infine, che una tale interpretazione trovi conforto nella giurisprudenza di legittimità, stante che il contratto avrebbe dovuto considerarsi definitivamente formato, restando ininfluenti i punti da definire.
15.1. Il motivo è inammissibile.
La decisione impugnata ha puntualmente spiegato le ragioni per le quali sulla convenzione del 2013 non si era formato il vincolo contrattuale (pagg. 5 e 6) -alla proposta della Banca era seguita una controproposta dell’avvocato COGNOME non accettata dalla proponente -.
Non si riscontra affatto, pertanto, il difetto assoluto di motivazione denunziato e la censura, all’evidenza, sollecita un nuovo improprio riesame di merito.
Con il terzo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 e segg. cod. civ., per avere il Tribunale riconosciuto al professionista il compenso di € 1.300,00, oltre accessori, per prestazione professionale successiva al 30/6/2014, in deroga alle tariffe di cui alla convenzione del 2013, siccome richiamata dall’accordo del 2015, non essendo stato accertato che la Banca avesse previamente recuperato dalla parte soccombente le spese legali liquidate dal giudice.
Con il quarto viene denunciata nullità della pronuncia per violazione dell’art. 134 cod. proc. civ. sempre in relazione alla vicenda di cui al motivo precedente.
La critica censoria portata dai due correlati motivi è fondata.
In ragione della incontroversa disposizione negoziale avrebbe dovuto essere previamente accertato l’effettivo recupero delle spese da parte della Banca. Non constando ciò risulta violato il criterio ermeneutico cardine che impone di ricercare la comune intenzione delle parti (art. 1362 cod. civ.) -in senso conforme la più volte citata sentenza n. 12905/2025 -.
In conclusione, rigettato, nel suo complesso il ricorso principale, accolti il terzo e il quarto motivo del ricorso incidentale e rigettato il primo motivo e dichiarato inammissibile il secondo di
quest’ultimo ricorso, l’ordinanza impugnata deve essere cassata con rinvio in relazione ai due motivi del ricorso incidentale accolti.
Il Giudice del rinvio statuirà anche sul capo delle spese del giudizio di legittimità.
20. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale, accoglie il terzo e il quarto motivo del ricorso incidentale, del quale rigetta il primo motivo e dichiara inammissibile il secondo; cassa l’ordinanza impugnata in relazione ai motivi del ricorso incidentale accolti e rinvia al Tribunale di Milano, in altra composizione, anche per la statuizione sul capo delle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 29 maggio