Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10679 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10679 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
Oggetto: Compensi difensore di ufficio
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10116/2021 R.G. proposto da
COGNOME avv. NOMECOGNOME difesa in proprio e domiciliata in Padova, INDIRIZZO
-ricorrente – contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA.
-intimato – avverso il provvedimento di rigetto pronunciato il 30/9/2020 dal Tribunale di Padova-Sezione penale nel procedimento n. 2575/2020 e depositato il 30/9/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2 aprile 2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
L’avvocato NOME COGNOME nominata difensore d’ufficio nell’interesse di un imputato straniero , nell’ambito del procedimento penale incardinato contro il predetto per il reato di
cui all’art. 337 cod. pen. e concluso con la sentenza del 20/2/2020, propose opposizione avverso il provvedimento del Tribunale monocratico di Padova del 6/3/2020 che aveva rigettato la sua richiesta di liquidazione per l’attività difensiva svolta.
Il Tribunale di Padova-Sezione Penale, con provvedimento del 30/9/2020, rigettò l’opposizione, osservando che, per ammissione dello stesso difensore, non risultava eseguita alcuna ricerca dell’imputato in quanto troppo dispendiosa e che la normativa imponeva, invece, l’onere di dare contezza al giudice di avere espletato diligentemente ogni ricerca per dare prova dello stato di irreperibilità di fatto del proprio assistito, sicché l’esito negativo di tale accertamento era addebitabile a un impulso poco diligente da parte della ricorrente, alla quale, dunque, doveva essere addebitato.
Contro il predetto provvedimento l’avvocato COGNOME propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. Il Ministero della Giustizia è rimasto intimato.
Considerato che :
Con il primo motivo, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 420 -bis cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere il Tribunale di Padova-Sezione penale condiviso le osservazioni compiute dal giudice monocratico nell’impugnato provvedimento, senza considerare che il predetto aveva ritenuto che non fosse stata dimostrata l’irreperibilità di fatto dell’imputato, date le ricerche non esperite dal difensore presso il Consolato del paese di origine, ossia la Tunisia.
A tal proposito, la ricorrente ha obiettato che il proprio assistito era senza fissa dimora, non era mai stato titolare di permesso di soggiorno e risultava avere otto alias con dati anagrafici
completamente diversi, come emerso dal procedimento penale, e che non era possibile risalire a lui in assenza di dati precisi neppure presso il Consolato della Tunisia, dati che il precedente difensore di fiducia, che aveva rinunciato al mandato e contestualmente rifiutato l’elezione di domicilio presso di lui, non aveva saputo fornire.
Inoltre, alla luce della sentenza n. 23948/2020 delle Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione, non esisteva una presunzione di conoscenza della pendenza del procedimento penale, sicché era onere del giudice, anche al fine di accertare la sussistenza dei presupposti dell’assenza volontaria dell’imputato, valutare in concreto se questi ne fosse venuto a conoscenza, restando poi in sua facoltà non parteciparvi, atteso che non potevano considerarsi indici in tal senso la dichiarazione o l’elezione di domicilio, l’applicazione di misure cautelari o la nomina di un difensore di fiducia, non potendosi da ciò presumere detta conoscenza ed essendo il giudice tenuto, in caso di incertezza sul punto, a disporre la notifica personalmente ad opera della polizia giudiziaria.
2. Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 111 Cost. e 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere il Tribunale di Padova-Sezione penale motivato soltanto apparentemente il provvedimento di rigetto, senza esplicitare il ragionamento logico-giuridico e senza sussunzione alcuna della fattispecie in concreto. Il giudice non aveva, infatti, considerato che la ricorrente aveva allegato la documentazione relativa alle ricerche svolte, date dalle comunicazioni con il precedente difensore di fiducia e dall’impossibilità di continuarle in ragione dell’incertezza dei dati anagrafici dell’imputato, né aveva esplicitato quali altre ricerche il difensore avrebbe dovuto fare.
Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 117 e 82 d.P.R. n. 115 del 2002, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere il giudice di merito rigettato l’opposizione dell’istanza di liquidazione in ragione delle omesse ricerche, ritenendo che le spese del difensore d’ufficio non potessero essere liquidate in assenza della prova di aver agito infruttuosamente per il recupero del credito professionale. Il giudice di merito, ad avviso della ricorrente, non aveva considerato che l’onorario e le spese del difensore d’ufficio del condannato irreperibile dovevano essere liquidate dal giudice senza necessità di fornire siffatta dimostrazione, atteso che la mancata certezza dei dati anagrafici, come nella specie, rendeva impossibile la ricerca del proprio assistito, anche in relazione alla propria solvibilità.
I tre motivi, da trattare congiuntamente in quanto afferenti al medesimo thema decidendum della liquidazione dei compensi al difensore di ufficio di imputato irreperibile, sono fondati.
Infatti, il principio secondo cui il difensore d’ufficio che abbia inutilmente esperito la procedura esecutiva volta alla riscossione dell’onorario, ha diritto al rimborso dei compensi da parte dell’erario, con relativa liquidazione da parte del giudice ai sensi del combinato disposto degli artt. 82 e 116 del d.P.R. n. 115 del 2002 (Cass. n. 24104/2011; Cass. n. 30484/2017; Cass. n. 11720/2019; Cass. n. 22579/2019; Cass. n. 5609/2019), riguarda il solo caso in cui l’assistito sia reperibile, atteso che solo in queste ipotesi le iniziative di recupero possono essere concretamente e proficuamente avviate e coltivate.
Diversamente, tanto nel caso in cui l’autorità giudiziaria abbia formalmente dichiarato l’irreperibilità dell’indagato, dell’imputato o del condannato, quanto in quello in cui siffatta dichiarazione formale sia mancata, ma l’assistito non sia “di fatto” reperibile,
essendo ogni ulteriore attività vanificata a monte dall’impossibilità di rintracciare l’interessato, il difensore d’ufficio, che intenda richiedere la liquidazione dei compensi per l’attività professionale svolta, ex art. 117 del d.P.R. n. 115 del 2002, non ha l’onere di provare la persistenza della condizione di irreperibilità, né di essersi attivato in via giudiziale per ottenere il pagamento delle spettanze (Cass., Sez. 2, 8/9/2017, n. 20967), restando in entrambi i casi le spese a carico dell’Erario, che ha comunque facoltà, ove possibile, di ripetere le somme anticipate da chi si è reso successivamente reperibile (Cass., Sez. 6-2, 17/11/2021, n. 34888).
Infatti, la condizione di irreperibilità del patrocinato, alla quale l’art. 117 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, subordina la liquidazione degli onorari e delle spese di difesa a carico dell’Erario, afferisce ad una situazione sostanziale e di fatto (indipendente dalla pronuncia processuale di irreperibilità emessa ai sensi degli artt. 159 e 160 cod. proc. pen., sicome), che, rendendo il debitore non rintracciabile al momento in cui la pretesa creditoria diventa azionabile, impedisce di effettuare qualunque procedura per il recupero del credito professionale (Cass., Sez. 2, 20/7/2010, n. 17021).
Ha dunque errato il giudice di merito nel respingere la domanda sul presupposto che la ricorrente non avesse dimostrato di avere compiuto ricerche per reperire l’imputato, senza invece considerare le deduzioni della stessa in ordine alla sua irreperibilità di fatto.
5. In conclusione, dichiarata la fondatezza dei tre motivi, il ricorso deve essere accolto e il provvedimento cassato, con rinvio al Tribunale di Padova, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Padova anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 2 aprile 2025.