Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14146 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 14146 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 27/05/2025
SENTENZA
sul ricorso 31429 -2018 proposto da:
avv. NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso il suo studio, rappresentato e difeso da sé stesso ex art. 86 cod. proc. civ., con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
ROMA CAPITALE, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso gli Uffici dell’Avvocatura capitolina , rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– controricorrente –
e contro
AGENZIA DELLE ENTRATE -RISCOSSIONE
– intimata – avverso la sentenza n. 18445/2018 del TRIBUNALE DI ROMA, pubblicata il 27/9/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del l’11 /6/2024 dal consigliere NOME COGNOME
sentito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
sentito lo stesso avvocato NOME COGNOME la memoria del ricorrente.
FATTI DI CAUSA
L’avv. NOME COGNOME propose opposizione, in proprio, dinnanzi al Giudice di Pace di Roma, con ricorso depositato il 17/9/2015, per l’annullamento della cartella esattoriale n. NUMERO_CARTA notificatagli da Equitalia Sud s.p.a., oggi Agenzia delle Entrate Riscossione, con cui gli era stato intimato il pagamento di Euro 2.708,34 per sanzioni applicate per violazioni del codice della strada.
Il Giudice di Pace, con sentenza n. 5483/2016, accolse l’opposizione e liquidò in favore dell’odierno ricorrente spese e compensi di lite per Euro 150,00 di cui 50,00 per spese oltre accessori di legge.
Con sentenza n. 18445 del 27/9/2018, il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, accolse l’appello proposto dall’avv. COGNOME soltanto avverso la statuizione di liquidazione delle spese e determinò in complessivi Euro 250,00 i compensi del giudizio di primo grado e in complessivi euro 350,00 quelli del giudizio di appello.
Per quel che qui ancora rileva, il Giudice sostenne che i valori medi risultanti dall’applicazione del d.m. n. 55/2014 potessero essere
«abbattuti» in considerazione « dell’estrema modestia di questa controversia, del tutto routinaria, azionata mediante standard ripetitivi e priva di alcuna problematica in fatto e diritto».
Avverso questa sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui ha resistito Roma Capitale con controricorso. L’Agenzia delle Entrate riscossione non ha svolto difese.
Il ricorso, stilata dal nominato consigliere delegato la relativa proposta, è stato inizialmente avviato per la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380-bis cod. pro. civ., dinnanzi alla Sesta sezione civile; il Collegio all’udienza camerale del 04.03.2020, con ordinanza interlocutoria n. 19818/2020, ha rimesso la causa alla pubblica udienza odierna per mancanza di evidenza decisoria.
In prossimità della pubblica udienza parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., l’avv. NOME COGNOME ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell’ art. 4 del d.m. 55/2014, come modificato dal d.m. n. 37/2018, per avere il Tribunale di Roma operato una riduzione superiore al 50% e, per la fase istruttoria, al 70% consentita, così violando i parametri minimi da ritenersi, invece, inderogabili.
Con la sentenza impugnata sono stati infatti liquidati per il primo grado Euro 250,00 per il primo grado, invece dei 535,50 spettanti (di cui Euro 112,50 per la fase di studio, Euro 120,00 per la fase introduttiva, Euro 100,50 per la fase istruttoria e di trattazione, Euro 205,50 per la fase decisionale); per il secondo grado, Euro 350,00
invece degli Euro 1053,50 (di cui Euro 243,00 per la fase di studio, Euro 205,50 per la fase introduttiva, Euro 405,00 per la fase istruttoria e di trattazione, Euro 205,50 per la fase decisionale), oltre accessori.
1.1. Il primo motivo è fondato.
Occorre premettere che la circostanza che l’avvocato si sia avvalso della facoltà di difesa personale prevista dall’art. 86 cod. proc. civ. non incide sulla natura professionale dell’attività svolta e, pertanto, non esclude che il giudice debba liquidare in suo favore, secondo le regole della soccombenza e in base alle tariffe professionali, i compensi stabiliti dalla normativa per la prestazione resa.
Nella specie, dunque, con l’appello , l’avv. COGNOME aveva impugnato unicamente la statuizione sulle spese resa dal Giudice di pace per violazione dei minimi consentiti in assenza assoluta di motivazione.
Il Tribunale ha ritenuto fondato il motivo perché ha riscontrato la deroga dei minimi in difetto di motivazione; ha, quindi, determinato le spese in Euro 250,00, con ciò reiterando, seppure con una motivazione sul punto, una liquidazione oltre il limite della riduzione del 50% dei parametri medi indicato dall’art. 4 comma 1 : in relazione al valore della causa di Euro 2.708,34 (cioè l’ammontare della somma ingiunta con la cartella opposta), infatti, in applicazione dei parametri minimi previsti per lo scaglione compreso tra Euro 1.100,01 e 5.200, avrebbe dovuto invece liquidare Euro 535,50.
1.2. Il Tribunale ha operato la nuova liquidazione con una pronuncia resa il 27/9/2018 e, cioè, nel vigore del nuovo testo dell’art. 4 del d.m. n. 55/2014, come novellato dal d.m. n. 37/2018.
Ciò precisato, deve allora considerarsi che la derogabilità dei parametri minimi fissati dall’art. 4 del d.m. n. 55 del 2014 è stata diversamente disciplinata dalle regole di applicazione delle tabelle succedutesi nel tempo.
In particolare, l’art. 4 del d.m. n. 55/2014, nella sua originaria formulazione, pur avendo lasciato immutato il criterio di liquidazione, per le distinte quattro fasi processuali, già individuate dal precedente d.m. n. 142 del 2012, aveva nella sostanza confermato la possibilità di deroga ai valori minimi e massimi, quali scaturenti dalle percentuali di aumento e diminuzione massimi che il giudice può apportare ai valori medi, perché l’inciso «di regola» era stato affiancato all’indicazione dell’ entità dell’aumento o della diminuzione: le indicazioni, in conseguenza, erano state interpretate come non vincolanti per il giudice che poteva, quindi, anche discostarsene nella misura che ritenesse adeguata al caso specifico, purché ne desse conto in motivazione.
Il d.m. n. 37/2018, entrato in vigore il 27 aprile 2018, tuttavia, integrando i parametri per la determinazione dei compensi, sia per l’attività giudiziale che per quella stragiudiziale (rispettivamente con gli artt. 4 e 19), ha precisato che la riduzione, rispetto al valore medio di liquidazione, non può essere superiore alla misura del 50% (e per la sola fase istruttoria fino al 70%), mentre l’aumento può essere anche superiore alla percentuale fissata di regola nell’80%, ma ha esplicitamente soppresso il suddetto inciso «di regola».
La modifica testuale è stata in conseguenza interpretata da questa Corte quale eliminazione del potere del Giudice di ridurre la liquidazione, sia pure motivando, anche al di sotto dei minimi tariffari.
È stato, invero, rimarcato sul punto che, di là dell’indicazione interpretativa necessitata dal criterio letterale, l’interpretazione del divieto di liquidazione oltre i limiti si imponeva per la necessità di tutelare non soltanto le esigenze del professionista difensore, ma anche, di riflesso, le esigenze dell’utente delle prestazioni stesse e, soprattutto, del suo diritto di difesa: in rilievo, infatti, è non soltanto
l’interesse (privato) del professionista a percepire un compenso equo, ma anche un interesse generale (pubblico) di tutela della sua indipendenza e autonomia, per garantire la qualità e il livello della prestazione offerta, il pieno esplicarsi del diritto di difesa, tanto più meritevole di tutela in quanto sancito a livello costituzionale (art. 24 Cost.) e, allo stesso tempo, la buona e corretta amministrazione della giustizia.
Così ricostruita nelle sue ragioni giustificatrici, l’ inderogabilità risulta coerente anche con la normativa comunitaria, non ponendosi in contrasto con la disciplina euro-unitaria in tema di tutela della concorrenza, accesso al mercato, restrizioni alla libera prestazione dei servizi (articolo 101, paragrafo 1, TFUE): l’ammissibilità della previsione di tariffe professionali inderogabili era stata già affermata dalla Corte di Giustizia (sentenza 19.2.2000, causa C-35/1999) ed è stata ripetutamente confermata anche per altri settori, sempre che le tariffe siano fissate da un organismo pubblico nel rispetto dei criteri di interesse pubblico definiti dalla legge (Corte di giustizia 427/2017; Corte di Giustizia UE 5.12.2006 C- 94/2004 e C- 202/2004; in tema di tariffe in settore dei trasporti: Corte di giustizia 9.9.2004 C-184/02 e C223/2002); le restrizioni della concorrenza sono, infatti, conformi se circoscritte a quanto necessario al conseguimento di obiettivi legittimi (Corte di giustizia 427/2017).
In particolare, sul punto la Corte di Giustizia (cfr. sentenza 427/2017 cit.) ha precisato che «l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, dev’essere interpretato nel senso che una normativa nazionale che, da un lato, non consenta all’avvocato e al proprio cliente di pattuire un onorario d’importo inferiore al minimo stabilito da un regolamento adottato da un’organizzazione di categoria dell’ordine forense, a pena di
procedimento disciplinare a carico dell’avvocato medesimo, e, dall’altro, non autorizzi il giudice a disporre la rifusione degli onorari d’importo inferiore a quello minimo, è idonea a restringere il gioco della concorrenza nel mercato interno ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, ma che spetta comunque al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità applicative, risponda effettivamente a obiettivi legittimi e se le restrizioni così stabilite siano limitate a quanto necessario per garantire l’attuazione di tali legittimi obiettivi».
I «legittimi obiettivi» sono proprio quelli suindicati dell’attuazione indiretta, attraverso la trasparenza e l’efficienza del sistema, dello stesso diritto di difesa costituzionalmente garantito.
Al riguardo, infatti, è stato sottolineato da questa Corte che i nuovi parametri risultano predisposti dal CNF ma adottati dal Ministero della giustizia, previo parere del Consiglio di Stato e pertanto da un organo statale per scopi di interesse generale correlati all’esigenza da un canto di garantire la trasparenza e l’unitarietà nella determinazione dei compensi professionali e, d’altro canto, di assicurare la piena realizzazione del diritto di difesa (Cass. Sez. 2, n. 11102 del 2024; Sez. 2, n. 24993 del 22/08/2023; Sez. 2, n. 10438 del 19/04/2023, con indicazione di numerosi precedenti).
1.3. Quello di cui specificamente si controverte, allora, nella fattispecie, è se la regola dell’inderogabilità dei minimi come esplicitamente sancita dalla modifica all’art. 4 operata dal d.m. n. 37/2018 sia da applicarsi retroattivamente per tutte le liquidazioni ancora sub iudice alla data della sua entrata in vigore.
Nella specie, infatti, accogliendo il motivo sulla deroga dei minimi in assenza di motivazione, il Tribunale ha dovuto provvedere, quale
giudice di appello, a una nuova liquidazione, nel vigore della nuova regola di inderogabilità come stabilita dal d.m. 37/2018.
Occorre, innanzitutto, osservare che le tabelle professionali non costituiscono una norma processuale, assoggettata al principio dell’art. 5 cod. proc. civ. del tempus regit actum , ma una norma sostanziale (cfr., tra le tante, Cass. Sez. 6 – 2, n. 5991 del 2020; Sez. 3, n. 5065 del 03/03/2009) ; secondo l’art. 6 del d.m. n. 37/2018, la disciplina sopravvenuta si applica alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore.
Ciò posto, come chiarito nei precedenti indicati (cfr., in particolare, Cass. n. 11102/2024) l’inderogabilità dei parametri risulta conforme al diritto comunitario e necessaria proprio per la particolare pregnanza delle ragioni suesposte al punto 1.2.: in conseguenza, secondo questo Collegio, si deve ritenere operi retroattivamente per tutte le liquidazioni non ancora definite perché ancora sottoposte alla cognizione del giudice, seppure regolate, al tempo della statuizione impugnata, dall’art. 4 nella sua originaria formulazione ante d.m. n. 37/2018.
In tal senso, non rileva che impugnato sia stato anche il merito della causa (Cass. Sez. 3, n. 19989 del 13/07/2021; Sez. 6 – L, n. 31884 del 10/12/2018) o soltanto la statuizione sulle spese, perché unico limite alla retroattività del principio di inderogabilità dei minimi è la definitività della statuizione sulle spese: in altri termini, accogliendo l’impugnazione anche soltanto sul capo delle spese, il Giudice deve necessariamente provvedere a una nuova liquidazione in riferimento alla tabella vigente alla data in cui si pronuncia, quando a tale data la prestazione professionale non sia stata ancora completata, per la necessità di un corrispettivo unitario per l’opera prestata nella sua interezza.
1.4. Per queste considerazioni, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio al Tribunale di Roma, in persona di diverso