Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4395 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 4395 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/02/2025
SENTENZA
sul ricorso n. 12107/2020 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME e domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione;
-ricorrente –
contro
Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso cui è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Trieste n. 78/2019 pubblicata il 25 febbraio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udite le conclusioni del P.M. in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avv. NOME COGNOME per sé stesso , che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, e l’Avv. NOME COGNOME per la P.A. controricorrente, che ne ha domandato il rigetto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME precisato di svolgere l’attività di avvocato alle dipendenze della Regione Friuli-Venezia Giulia, ha chiesto, con ricorso per decreto ingiuntivo, la condanna della P.A. a pagare la somma di € 54.920,00 a titolo di arretrati per compensi professionali (annualità 2015-2016), allegando le relative parcelle professionali vistate dal datore di lavoro.
In seguito a opposizione, il Tribunale di Trieste, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 178/2018, ha ridotto la somma dovuta a NOME COGNOME
Il principale punto oggetto del contendere ha riguardato l’individuazione del momento a partire dal quale il credito poteva essere fatto valere dal professionista, indicato in quello del passaggio in giudicato della sentenza favorevole alla P.A., con la conseguenza che, avendo il ricorrente raggiunto nelle annualità in questione il limite massimo liquidabile, l’impo rto a lui spettante non poteva superare € 1.147,38.
Ad avviso del ricorrente, a rilevare sarebbe stato l’anno di competenza della spesa e, quindi, quello di maturazione del diritto al compenso, avvenuto con il deposito della sentenza.
Diversamente, la P.A. ha sostenuto che il credito sarebbe sorto con il passaggio in giudicato della decisione.
NOME COGNOME ha proposto appello che la Corte d’appello di Trieste, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 78/2019, ha rigettato, assieme a quello incidentale della P.A., concernente la giurisdizione.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
La Regione Friuli-Venezia Giulia si è difesa con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo il ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione degli artt. 156, 164, 415, 645 e 647 c.p.c. e del principio di ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost. in quanto il ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo sarebbe stato notificato senza il correlato decreto di fissazione dell’udienza .
La censura è inammissibile, atteso che la corte territoriale ha accertato, con giudizio di fatto qui non adeguatamente contestato, che la relata di notifica in esame era completa e comprensiva anche del decreto de quo .
Peraltro, la più recente giurisprudenza (Cass., Sez. 3, n. 20601 del 17 luglio 2023) ha precisato che, nel rito del lavoro, qualora l’appellante notifichi il ricorso privo del decreto di fissazione dell’udienza di discussione, il vizio, che attiene alla vocatio in ius , è sanato dalla costituzione dell’appellato, che ha diritto alla rimessione in termini per la proposizione dell’appello incidentale dalla quale sia eventualmente decaduto in conseguenza del suddetto vizio.
Si tratta di un principio che si ritiene possa essere esteso, stante la similitudine, anche alla diversa ipotesi della notifica dell’opposizione a decreto ingiuntivo.
La citata giurisprudenza ha chiarito, infatti, che, nel rito del lavoro, l ‘ appello, pur tempestivamente proposto nel termine previsto dalla legge, è improcedibile ove la notificazione del ricorso depositato e del decreto di fissazione dell ‘ udienza non sia avvenuta (Cass., SU, n. 20604 del 2008, e successive conformi, fra le quali Cass. n. 27079 del 2020, n. 453 del 2020, n. 6159 del 2018).
Nel caso di specie, è avvenuta la notificazione del solo ricorso depositato e non anche del decreto presidenziale. Da tale fattispecie processuale non consegue l’improcedibilità perché la vocatio in ius , con la notifica del ricorso, vi è stata. Trattasi, tuttavia, di vocatio in ius viziata (non inesistente, come nel l’ipotesi della mancata notifica di ricorso e decreto) per la mancanza dell’indicazione della data dell’udienza di comparizione.
La parte opposta appellata si è costituita in giudizio, sanando il vizio e consentendo la salvezza dell’effetto processuale dell’ opposizione, stante l’applicazione dei principi di cui a ll’art. 164 c.p.c.
D’altronde, per effetto della disciplina dell’ art. 164, comma 2, c.p.c., i vizi relativi alla vocatio in ius sono sanati con effetto ex tunc e quelli relativi alla editio actionis con effetto ex nunc , pertanto, nel rito del lavoro, l ‘ assegnazione del termine per la rinnovazione della notifica dell ‘ appello comporta una sanatoria con effetti che retroagiscono alla data del deposito del ricorso che, se avvenuto entro il termine per l’opposizione , non potrà essere dichiarato tardivo (Cass. 23667 del 2018, in tema di appello).
Privo di pregio è il riferimento del ricorrente all’ordinanza di questa Sezione n. 27471 del 23 ottobre 2024 che, invero, conferma l’operatività del meccanismo di sanatoria nell’ipotesi in cui la parte appellata, nonostante l’omessa notifica del decreto di fissazione udienza, si costituisca, venga comunque a costituirsi, richiamando proprio il precedente rappresentato da Cass., Sez. 3, n. 20601 del 17 luglio 2023.
2) Con il secondo motivo il ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del d.l. n. 90 del 2014, coordinato con la legge di conversione n. 114 del 2014, e dell’art. 12, commi 10 e 11 della legge Regione Friuli -Venezia Giulia n. 20 del 2015 nonché l’errata in dividuazione del tetto massimo annuale per la liquidazione dei compensi professionali richiesti.
Egli espone che l’art. 9, comma 7, della legge statale n. 114 del 2014 avrebbe previsto l’obbligo di corrispondere i compensi professionali a tutti gli avvocati dipendenti pubblici nel limite annuale del 100% del trattamento economico complessivo individuale.
L’art. 9 del d.l. n. 90 del 2014, coordinato con la legge appena menzionata, avrebbe stabilito che detti compensi fossero corrisposti dalle amministrazioni pubbliche ‘nelle ipotesi di sentenza favorevole’.
L’art. 12 della legge Regione Friuli -Venezia Giulia n. 20 del 2015 avrebbe dato attuazione all’art. 9 della legge statale n. 114 del 2014.
Il conseguente d.P.G.R. n. 138 del 2016 avrebbe prescritto che il compenso professionale fosse pagato per le liti definite in senso favorevole per effetto di sentenza passata in giudicato.
Ad avviso del ricorrente, l’espressione ‘nelle ipotesi di sentenza favorevole’ , di cui all’art. 9 del d.l. n. 90 del 2014 , non avrebbe avuto lo stesso significato di quella ‘sentenza passata in giudicato’ , utilizzata dal regolamento n. 138 del 2016.
Infatti, la giurisprudenza di legittimità avrebbe affermato che il diritto al compenso professionale maturava con il deposito della sentenza.
Il passaggio in giudicato della sentenza, quindi, sarebbe stato solo condizione di esigibilità del credito e non già elemento costitutivo dello stesso.
La censura è infondata.
Preliminarmente, si osserva che, nella specie, non è in contestazione l’affermazione, contenuta nella sentenza di appello, che la controversia , concernente l’attribuzione di un bonus economico agli avvocati dell’avvocatura interna della Regione Friuli-Venezia Giulia, sia regolata dall’art. 2 del ‘Regolamento concernente l’attribuzione del compenso professionale di cui all’articolo 20 della legge regionale 22 agosto 1968, n. 30’, in base al quale, come emerge dalla medesima sentenza, il compenso di cui all’art. 1 è dovuto per le liti definite in senso favorevole per effetto di sentenza passata in giudicato.
Deve, quindi, essere individuata l ‘ulteriore normativa rilevante.
L’art. 20 della legge Regione Friuli -Venezia Giulia n. 30 del 1968 prevedeva, nel suo testo originale, al comma 2, che l’avvocato della Regione avesse diritto, per le prestazioni di assistenza, rappresentanza e difesa, a uno speciale compenso nei soli casi in cui la lite fosse stata definita in senso favorevole per la Regione o per l’Ente patrocinato. Il compenso era determinato in base alle tariffe forensi.
Tale disposizione è stata modificata dall’art. 12, comma 10, della legge Regione Friuli-Venezia Giulia n. 20 del 2015, nel testo del quale il ricorrente chiede l’applicazione, nel senso che ‘Per le prestazioni di assistenza, rappresentanza e difesa della Regione e degli enti patrocinati è corrisposto all’Avvocato della Regione e agli avvocati della struttura direzionale di cui all’articolo 18, un compenso professionale nei soli casi in cui la lite sia stata definita in senso favorevole per la Regione o per l’ente patrocinato. I criteri e le
modalità di corresponsione del compenso sono definiti con regolamento sulla base della disciplina di cui all’articolo 9 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, dalla legge 114/2014; in ogni caso il compenso, da corrispondersi annualmente, non può essere liquidato, ai sensi dell’articolo 9, comma 7, del medesimo decreto legge, in misura superiore al trattamento economico complessivo annuo di ciascun avvocato, al netto delle ritenute fiscali e previdenziali. Il regolamento medesimo definisce, altresì, sulla base di quanto previsto dall’articolo 9, comma 5, del decreto legge 90/2014, i criteri di assegnazione degli affari consultivi e contenziosi’.
Il lavoratore, per l’esattezza, chiede l’applicazione della menzionata normativa ai sensi dell’art. 12, comma 11, della legge Regione Friuli -Venezia Giulia n. 20 del 2015, in base al quale ‘La disciplina di riforma dei compensi professionali di cui all’art icolo 9 del decreto legge 90/2014 si applica ai compensi erogati dopo l’entrata in vigore della legge 114/2014; detti compensi sono erogati secondo i criteri e le modalità stabiliti dal regolamento di cui all’articolo 20, comma 2, della legge regionale 30/1968, come sostituito dalla lettera c) del comma 10, da adottarsi entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge’.
Ciò premesso, si evidenzia che il ricorrente contesta la decisione di appello in quanto avrebbe stabilito che il momento rilevante per stabilire la debenza del particolare compenso aggiuntivo spettante all’avvocato interno della Regione in questione coincideva con il passaggio in giudicato della sentenza favorevole all’Ente e non, come previsto, in generale, per i compensi dei difensori, con il deposito della medesima sentenza.
In pratica, sostiene che l’art. 2 del ‘Regolamento concernente l’attribuzione del compenso professionale di cui all’articolo 20 della legge regionale 22 agosto 1968, n. 30’, in base al quale il compenso di cui all’art. 1 è dovuto per le liti definite in senso favorevole per effetto di sentenza passata in giudicato avrebbe dovuto essere interpretato in senso conforme al disposto dell’art. 9 del d.l. n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 114 del 2014, che stabilisce, come, invero, afferma il ricorrente, che i compensi professionali sono corrisposti dalle
amministrazioni pubbliche ai loro avvocati nelle ipotesi di sentenza favorevole e non possono superare il trattamento economico complessivo del difensore.
Ai fini della decisione, occorre considerare, in primo luogo, la chiara dizione letterale del Regolamento menzionato, che si caratterizza per la sua chiarezza, nel senso di dare rilievo, in maniera inequivocabile, al momento del passaggio in giudicato delle decisioni.
Inoltre, assume rilievo, per una valutazione di carattere sistematico, concernendo pur sempre le Avvocature regionali, l ‘art. 27 del CCNL del Comparto delle Regioni e delle autonomie locali del 14.9.2000 (‘successivo a quello dell’1.4.1999’) , il quale dispone che ‘Gli enti provvisti di Avvocatura costituita secondo i rispettivi ordinamenti disciplinano la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all’ente, secondo i principi di cui al regio decreto legge 27.11.1933 n. 1578 e disciplinano, altresì, in sede di contrattazione decentrata integrativa la correlazione tra tali compensi professionali e la retribuzione di risultato di cui all ‘ art. 10 del CCNL del 31.3.1999. Sono fatti salvi gli effetti degli atti con i quali gli stessi enti abbiano applicato la disciplina vigente per l’Avvocatura dello Stato anche prima della stipulazione del presente CCNL’.
Il chiaro ed univoco tenore letterale attesta che la clausola collettiva lascia ampio spazio al potere degli Enti, provvisti di Avvocatura, di disciplinare la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all’Ente, ferm o il rispetto dei principi contenuti nel R.D.L. n. 1578 del 1933, e, al contempo, affida alla contrattazione collettiva decentrata la sola materia del coordinamento tra le due voci retributive accessorie (i compensi professionali e la retribuzione di risultato).
Sul punto, va menzionata l’ordinanza di questa Sezione n. 27316 del 7 ottobre 2021, che ha enunciato il principio secondo il quale, in tema di compensi da liquidare agli avvocati interni agli enti locali, l’art. 27 del CCNL Comparto delle Regioni e delle autonomie locali del 14 settembre 2000 si interpreta in base al tenore letterale della clausola collettiva, nel senso che è lasciato ampio spazio al potere degli enti, provvisti di avvocatura, di disciplinare la corresponsione dei compensi professionali dov uti a seguito di sentenza favorevole all’ente, fermo il
rispetto dei principi (e non già della puntuale disciplina) del R.d.l. n. 1578 del 1933, rimanendo affidata alla contrattazione collettiva decentrata la sola materia del coordinamento tra le due voci retributive accessorie (i compensi professionali e la retribuzione di risultato).
Pertanto, pur tenendo conto della diversità delle fattispecie (la citata ordinanza riguarda la Provincia di Mantova e non una Regione a Statuto speciale), si deve ritenere del tutto legittimo il riferimento, contenuto nell’art. 2 del ‘Regolamento concernente l’attribuzione del compenso professionale di cui all’articolo 20 della legge regionale 22 agosto 1968, n. 30’, al passaggio in giudicato della sentenza quale momento di maturazione del compenso speciale previsto dalle disposizioni ricordate e, di conseguenza, del tetto annuale da rispettare.
D’altronde, anche considerazioni di carattere logico conducono in questa direzione, atteso che solo con il passaggio in giudicato la P.A. può avere la certezza del fatto che la sentenza per la quale dovrebbe pagare il ‘bonus’ è realmente favorevole.
Tale ‘bonus’, peraltro, è pensato proprio per incentivare il raggiungimento di un particolare obiettivo di risultato, il quale non può essere eventualmente raggiunto se non alla fine dei procedimenti giudiziari introdotti.
In questo si nota una fondamentale differenza, per quel che concerne gli avvocati degli enti pubblici, i quali sono pubblici impiegati, rispetto ai compensi spettanti agli avvocati del libero foro, atteso che questi ultimi sono pagati per l’attività svolta, a prescindere dall’esito delle cause, venendo in esame , tendenzialmente, un’obbligazione di mezzi e non di risultat o (Cass., Sez. 3, n. 10289 del 20 maggio 2015).
La corresponsione di somme in relazione all’emissione di sentenza non definitiva (favorevole), a titolo di anticipo, avrebbe dovuto essere oggetto, allora, se del caso, di una specifica e differente regolamentazione, in effetti successivamente intervenuta a livello regionale (con l’art. 4, comma 1, d.P.G.R. n. 151 del 2020), ma qui ratione temporis non rilevante, alla luce del contenuto dell’originario ricorso del lavoratore .
Privo di pregio è il richiamo del ricorrente alla sentenza della Cassazione, SU, n. 17406 del 12 ottobre 2012, la quale non si occupa del compenso di un avvocato dipendente di ente pubblico.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 9 del d.l. n. 90 del 2014, coordinato con la legge di conversione n. 114 del 2014, e dell’art. 12, commi 10 e 11 della legge Regione Friuli -Venezia Giulia n. 20 del 2015 perché la corte territoriale non avrebbe verificato, con riguardo alle annualità 2008, 2011, 2012 e 2013, il raggiungimento del tesso massimo consentito applicando il criterio per il quale avrebbero dovuto essere considerati gli importi correlati a sentenze passate in giudicato in dette annualità.
Egli ritiene che il datore di lavoro non avrebbe dimostrato, come sarebbe stato suo onere, che il limite massimo erogabile sarebbe stato già raggiunto e che vi sarebbe stata una contestazione delle affermazioni della P.A. sul punto.
La censura è fondata.
In effetti, come si evince dal contenuto del ricorso che, a sua volta, riporta quello dei precedenti atti di causa, il ricorrente aveva criticato le affermazioni di controparte inerenti all’avvenuto raggiungimento dei tetti massimi del compenso nelle annualità oggetto del contendere.
In particolare, aveva osservato come fosse necessario, qualora fosse stata condivisa la posizione della Regione Friuli-Venezia Giulia in ordine all’individuazione del momento di maturazione del suo credito (ossia la data del passaggio in giudicato delle sentenze favorevoli), applicare il criterio così determinato alle ulteriori somme di denaro a lui comunque corrisposte nei periodi contestati che, a suo avviso, riguardavano pronunce divenute definitive in anni precedenti.
Sul punto, però, la corte territoriale si è limitata a fare riferimento al principio di non contestazione, omettendo di compiere, invece, i doverosi accertamenti, che avrebbero dovuto essere svolti rispettando, con riguardo alle somme comunque percepite dal ricorrente come compenso aggiuntivo per l’esito positivo della cause patrocinate per la Regione Friuli-Venezia Giulia nei periodi oggetto di lite, il criterio per il quale tali somme assumevano rilevanza, ai fini
dell’individuazione del tetto massimo per la liquidazione dei compensi professionali richiesti, solo negli anni in cui le relative pronunce favorevoli erano passate in giudicato.
4) Il ricorso è accolto quanto al terzo motivo, inammissibile il primo e infondato il secondo.
La sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Trieste, in diversa composizione, la quale deciderà, la causa nel merito, anche in ordine alle spese di legittimità, applicando i seguenti principi di diritto:
«In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, ove trovi applicazione il rito del lavoro e l’opponente notifichi il ricorso privo del decreto di fissazione dell’udienza di discussione, il vizio, che attiene alla vocatio in ius , è sanato dalla costituzione dell’opposto, che ha diritto, eventualmente, alla rimessione in termini per il compimento delle attività processuali dalle quali sia decaduto in conseguenza del detto vizio»;
«Le somme dovute dalla Regione Friuli-Venezia Giulia agli avvocati suoi dipendenti ai sensi dell’art. 9 del d.l. n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 114 del 2014, per il periodo anteriore all ‘entrata in vigore dell’art. 4, comma 1, d.P.G.R. Friuli-Venezia Giulia n. 151 del 2020, vanno corrisposte tenendo conto che il limite del trattamento economico del difensore, stabilito dal comma 7 del citato art. 9, deve essere calcolato facendo riferimento al momento del passaggio in giudicato delle sentenze favorevoli, come previsto da ll’art. 2 del ‘Regolamento concernente l’attribuzione del compenso professionale di cui all’articolo 20 della legge regionale 22 agosto 1968, n. 30’ , emanato con Decreto del Presidente della Regione n. 138 del 2016»;
«Il limite del trattamento economico del difensore stabilito dall’art. 9, comma 7, del d.l. n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 114 del 2014 deve essere calcolato, per il periodo di vigenza del Decreto del Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia n. 138 del 2016 e prima dell ‘entrata in vigore delle modifiche introdotte con l’art. 4, comma 1, d.P.G.R. Friuli-Venezia Giulia n. 151 del 2020, senza tenere conto delle somme percepite, nel corso dell’anno rilevante, dal medesimo avvocato a titolo di compenso aggiuntivo per l’esito
positivo di cause patrocinate che siano state definite con pronunce favorevoli passate in giudicato in annualità precedenti».
P.Q.M.
La Corte,
accoglie il terzo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione, inammissibile il primo e infondato il secondo;
-cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Trieste, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito, anche in ordine alle spese di lite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 21