Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20436 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 20436 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 4205-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 185/2023 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/01/2023 R.G.N. 344/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/04/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
Oggetto
Previdenza altro
R.NUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 24/04/2024
CC
La Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 185/2023, in parziale riforma della pronuncia emessa dal Tribunale della stessa sede, che aveva solo in parte accolto la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, poi RAGIONE_SOCIALE, (dichiarando la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti solo dal 5.11.2013, la nullità del contratto di apprendistato in ragione della mancanza di adeguata attività formativa, l’osservanza, per il periodo preteso, di un orario di quaranta ore settimanali e la sussistenza delle relative differenze retributive da corrispondere; la carenza di giustificazione della espulsione con applicazione della tutela obbligatoria), ha respinto la richiesta diretta ad impu gnare l’espulsione dalla società RAGIONE_SOCIALE, confermando le altre statuizioni e compensando tra le parti il 50% delle spese del doppio grado con condanna della società a rimborsare alla controparte la restante metà.
I giudici di seconde cure hanno rilevato che a) correttamente il Tribunale, vertendosi in una ipotesi di cd. tutela obbligatoria, avendo la società in servizio meno di quindici dipendenti, aveva adottato la formula alternativa diretta a riassumere la lavoratrice ovvero a risarcirle il danno commisurato in quattro retribuzioni; b) in considerazione della domanda di nullità del contratto di apprendistato e della sua cesura, qualificata dalla lavoratrice come licenziamento, la fattispecie rientrava tra le ipo tesi disciplinate dall’art. 32 co. 3 lett. a) della legge n. 183/2010 e la COGNOME era decaduta dalla possibilità di impugnare il recesso del rapporto avvenuto in data 31.10.2016; c) la quietanza al saldo sottoscritta dalla lavoratrice in data 16.1.2017, in epoca anteriore alla introduzione dell’originario ricorso introduttivo, non rivestiva i caratteri di una transazione; d) dalle prove raccolte era risultato che la lavoratrice aveva diritto al pagamento delle vantate differenze retributive.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la società affidato a due motivi cui ha resistito con controricorso NOME COGNOME.
La ricorrente ha depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 n. 3 cpc, con riguardo all’art. 102 cpc nonché l’omessa valutazione di una circostanza determinante ex art. 360 co. 1 n. 5 pc. La società deduce che la lavoratrice aveva chiesto, in primo grado, anche la regolarizzazione della posizione contributiva presso l’RAGIONE_SOCIALE ma la Corte distrettuale, così come il Tribunale, avevano omesso di rilevare la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dell’Istituto.
Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 co. 1 n. 3 cpc, con riguardo agli artt. 91 e 92 cpc, 115 e 116 cpc nonché l’omessa valutazione di una circostanza determinante ex art. 360 co. 1 n. 5 cp c, per avere la Corte territoriale errato nell’avere posto il 50% delle spese a carico di essa società nonostante delle domande proposte nonostante delle domande presentate fosse stata accolta solo quella gradata di accertamento di un rapporto di lavoro di natura subordinata, nel minore periodo dal 2013 al 2015, con riduzione del quantum rivendicato anche per il rigetto della domanda sul TFR.
Il primo motivo è infondato.
Effettivamente, con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado, è stata avanzata anche una generica richiesta di regolarizzazione contributiva (non seguita da un coinvolgimento in giudizio dell’RAGIONE_SOCIALE), ma la stessa non è stata oggetto di decisione da parte del Tribunale, tanto è che non vi è stata condanna del datore di lavoro su tale istanza, né questa è stata reiterata in secondo grado, dovendosi, pertanto, ritenere definitivo un abbandono della stessa.
Non vi è stata, quindi, alcuna statuizione contenente un obbligo di facere del datore di lavoro nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE al quale è, pertanto, inopponibile la gravata pronuncia.
In attuazione del criterio di dare preminenza al principio di effettività nella valutazione dell’esercizio e della lesione del diritto di difesa (al cui preventivo vaglio non si sottrae l’astratta violazione del principio dell’integrità del contraddittori o – cfr. in motivazione Cass. Sez. Un. n. 9006/2021), non è ravvisabile alcuna violazione dell’art. 102 cpc, come dedotta, non essendovi alcuna necessità, allo stato, stante il decisum dei giudici di merito, di estendere il contraddittorio nei confronti de ll’RAGIONE_SOCIALE.
Anche il secondo motivo è infondato.
La Corte distrettuale ha proceduto ad una nuova determinazione delle spese del doppio grado, avendo riformato in parte la pronuncia di primo grado e, poi, ha ritenuto che vi fossero i presupposti per una compensazione parziale (nella misura di un mezzo), con riguardo al criterio della soccombenza globale in quanto la lavoratrice comunque era risultata vittoriosa rispetto alle domande di declaratoria della nullità del contratto di apprendistato, all’accertamento che ella aveva sempre lavorato a tempo pieno e alla condanna di euro 9.463,78 oltre accessori.
La decisione è conforme ai principi di questa Corte.
In primo luogo, infatti, va osservato che, in tema di impugnazioni, il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite, laddove, in caso di conferma della decisione impugnata la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (Cass. n. 27606/2019; Cass. n. 58/2004).
In secondo luogo, deve rilevarsi che la valutazione dell’opportunità della compensazione, totale o parziale, delle spese processuali, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca sia in quella della ricorrenza di giusti motivi, rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito e non richiede specifica
motivazione, restando perciò incensurabile in sede di legittimità, salvo che risulti violato il principio secondo cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa ovvero che, a fondamento della decisione del giudice di merito di compensare le spese, siano addotte ragioni palesemente illogiche e tali da inficiare, per la loro inconsistenza o evidente erroneità, lo stesso processo formativo della volontà decisionale (Cass. n. 264/2006): ipotesi, queste ultime, non ravvisabili nella fattispecie.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo, con distrazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore del Difensore della controricorrente. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 aprile 2024