Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13836 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13836 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 7879-2022 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 27/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/03/2022 R.G.N. 1804/2018;
Oggetto
R.G.N.7879/2022
COGNOME
Rep.
Ud.25/03/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME impugna la sentenza n. 27/2022 della Corte d’appello di Roma che, riformando la pronuncia del Tribunale della medesima sede che aveva respinto il ricorso, ha accolto la domanda di pensione anticipata di vecchiaia ex art. 1 del d.lgs. n. 503/1992 ma con una decorrenza diversa da quella richiesta (che era dal primo giorno del mese successivo alla domanda amministrativa del 7 giugno 2016), avendo il CTU del secondo grado fissato la decorrenza dell’invalidità all’80% dal luglio 2017, di tal chè, applicando la finestra mobile, il trattamento pensionistico è stato riconosciuto dall’agosto 2018.
La Corte ha compensato le spese del doppio grado di giudizio, stante ‘la decorrenza del diritto successiva alla proposizione dell’appello’.
NOME COGNOME propone un unico motivo di ricorso.
Resiste INPS con controricorso.
Chiamata la causa all’adunanza camerale del 25 marzo 2025, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, cod. proc. civ.).
CONSIDERATO CHE
La sentenza è censurata nella statuizione inerente alle spese, per un motivo così rubricato: ‘violazione e falsa applicazione di norme di diritto con specifico riferimento agli artt. 112, 91 e 92 cod. proc. civ., assenza di motivazione o motivazione apparente in violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. ed error in decidendo’. Il ricorrente si duole: che a suffragio della compensazione, il giudice del merito abbia erroneamente affermato che la decorrenza della pensione sarebbe successiva alla proposizione dell’appello, del 13 giugno 2018, laddove, invece, il requisito
sanitario era già sussistente al luglio 2017; che la Corte avrebbe deciso ultra petita , rispetto alle deduzioni dell’Inps, allorchè ha differito di un anno, rispetto all’insorgenza del diritto, la condanna al pagamento della pensione, visto che la controparte non aveva eccepito l’applicazione delle c .d. finestre mobili; che la compensazione è ingiusta rispetto alla posizione assunta dalle parti nei precedenti gradi, ove INPS aveva resistito per motivi infondati (lamentando la mancanza anche del requisito contributivo e non solo sanitario).
Il ricorso è da respingersi.
In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83/2012, conv., con modif., dalla l. n. 134/2012, non sono più ammissibili, nel ricorso per cassazione, le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. n. 7090/2022 ex multis ).
Nella specie, il vizio lamentato non sussiste poiché la motivazione è chiara, non è contraddittoria né apparente, avendo la Corte esplicitato in modo inequivocabile le ragioni della compensazione, ossia la decorrenza del diritto da epoca successiva all’appello.
Che il diritto alla prestazione -pensione di vecchiaia anticipata ex art. 1 del d.lgs. n. 503/1992 -decorra dall’agosto 2018 , a fronte di un appello proposto a giugno dello stesso anno, è conseguenza del fatto che, anche a tale tipologia di pensione, per giurisprudenza di legittimità uniforme, si applicano le c.d. finestre mobili, come da ultimo affermato da Cass. n. 24316/2024, ex multis : «il regime dei differimenti previsto dall’art. 12, d.l. n. 78/2010, cit., si applica anche agli invalidi in misura no n inferiore all’ottanta per cento, come si desume dal chiaro tenore testuale della norma, che individua in modo ampio l’ambito soggettivo di riferimento per lo slittamento di un anno dell’accesso alla pensione di vecchiaia, esteso per volontà del legislato re non solo ai soggetti che, a decorrere dall’anno 2011, maturano il diritto a sessantacinque anni per gli uomini e a sessanta anni per le donne, ma anche a tutti i soggetti che ‘negli altri casi’ maturano il diritto all’accesso al pensionamento di vecchia ia ‘alle età previste dagli specifici ordinamenti’ (così Cass. nn. 29191 del 2018, 2382 del 2020 e, più di recente, 30971 del 2022 e 5079 del 2023)».
Pertanto, ben ha fatto la Corte a differire di un anno, rispetto all’insorgenza dell’invalidità, la decorrenza della prestazione.
Tanto si osserva poiché, se dalla intestazione del motivo pare desumersi che l’art. 112 cod. proc. civ. sarebbe stato violato nella regolamentazione delle spese, in realtà, a pagina 23 del ricorso, si afferma che la Corte sarebbe andata ultra petita differendo, di un anno, la decorrenza della pensione, perché INPS non aveva eccepito l’applicabilità delle finestre.
Neppure vi è stata violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. Nel disporre la compensazione integrale delle spese relative ai gradi di merito, la Corte non ha violato il principio secondo cui nel regime normativo posteriore alle modifiche introdotte all’art.
91 cod. proc. civ. dalla legge n. 69/2009, in caso di accoglimento parziale della domanda il giudice può, ai sensi dell’art. 92 cod. proc. civ., compensare in tutto o in parte le spese sostenute dalla parte vittoriosa, ma questa non può essere condannata neppure parzialmente a rifondere le spese della controparte.
Nella fattispecie in esame, mentre il primo giudice aveva respinto la domanda, la Corte ha accolto, in parte, l’appello proposto dal ricorrente, riconoscendo sì la prestazione però con decorrenza da epoca successiva al gravame, di tal chè la compensazione integrale si giustifica.
Come da ultimo osservato da Cass. n.5422/2025, «questa Corte è chiamata a valutare se sia stato violato il principio, richiamato a sostegno del ricorso, che vieta di porre a carico della parte, pur solo parzialmente vittoriosa, il pagamento delle spese processuali (Cass., Sez.Un., 31 ottobre 2022, n. 32061): tale condanna è consentita dall’ordinamento solo per l’ipotesi eccezionale di accoglimento della domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa (Cass., sez. III, 15 maggio 2023, n. 13212). Occorre poi vagliare se siano illogiche o erronee le ragioni addotte a supporto della decisione di compensare le spese tra le parti. Il sindacato che il motivo di ricorso devolve a questa Corte s’inquadra nel contesto di una verifica ‘in negativo’ (Cass., sez. VI-III, 26 luglio 2021, n. 21400), coerente con l’elasticità costituzionalmente necessaria del potere giudiziale di compensazione (Corte costituzionale, sentenza n. 77 del 2018). Solo l’illogicità e l’erroneità delle ragioni esposte consentono di configurare quel vizio di violazione di legge, che può essere denunciato in sede di legittimità (Cass., sez. VI-L, 9 aprile 2019, n. 9977; nello stesso senso, Cass., sez. lav., 21 maggio 2024, n. 14036)».
Ed allora, la sentenza non incorre nelle violazioni censurate.
La Corte, anzitutto, non ha fatto gravare sulla parte vittoriosa l’onere delle spese e si è avvalsa del potere discrezionale di compensarle, sulla scorta di una motivazione che non si può reputare ‘extravagante’ e che non fa leva sulla nozione di ‘soccombenza reciproca’.
La decisione è sorretta da argomentazioni che non sono stereotipate ed apparenti e ottemperano all’obbligo di motivazione sancito dall’art. 111, sesto comma, Cost.
Le statuizioni impugnate, inoltre, si conformano all’insegnamento, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, «che conferisce un ruolo essenziale anche alla decorrenza del diritto, nella domanda di riconoscimento della prestazione previdenziale o assistenziale (Cass., sez. lav., 13 agosto 2014, n. 17938, e 10 agosto 2005, n. 16821; sulla medesima linea, Cass., sez. lav., 22 settembre 2021, n. 25729). Si è osservato, a tal proposito, che «il riconoscimento del diritto con una decorrenza posteriore a quella richiesta non è riconoscimento del diritto richiesto: non è accoglimento bensì reiezione della domanda iniziale. E pertanto la parte che, in applicazione dell’art. 149 disp. att. cod. proc. civ., ottenga il riconoscimento del diritto alla prestazione previdenziale (od assistenziale) con una decorrenza posteriore a quella richiesta con la domanda non è (integralmente) vittoriosa. Ed il fatto che l’ordinamento consenta alla parte (ed esiga dal giudice) la vantazione e l’eventuale riconoscimento d’un dir itto con decorrenza posteriore alla stessa domanda giudiziale, quale possibilità di estendere (anche attraverso nuova domanda) la materia del contendere, reca in sé (quale presupposto) la reiezione della domanda iniziale» (sentenza n. 16821 del 2005, cit., punto 3 dei Motivi della decisione). 5. -Nel definire un’istanza di
decisione di analogo tenore, questa Corte, proprio prendendo le mosse dalle enunciazioni della sentenza n. 32061 del 2022, ha ravvisato una soccombenza parziale sul piano temporale, idonea a sorreggere la scelta della compensazione in conformità al paradig ma normativo definito dall’art. 92 cod. proc. civ. e alle indicazioni del giudice delle leggi (sentenza n. 77 del 2018). A tali conclusioni la pronuncia ricordata è giunta non sulla base della nozione di soccombenza reciproca, ma alla luce del principio di causalità (in tal senso, già Cass., sez. VI-L, 17 luglio 2017, n. 17653), che presiede al riparto delle spese di lite e che la stessa memoria illustrativa del ricorrente considera cruciale nella disciplina dettata, a tale riguardo, dal codice di rito (pagina 3). Invero, «il rigetto in sede amministrativa della prestazione richiesta ha trovato conferma nell’accertamento, a seguito di consulenza tecnica, del requisito sanitario decorrente da epoca successiva alla domanda amministrativa» (Cass., sez. lav., 5 settembre 2024, n. 23845, in motivazione, punto 3 del Considerato). Tali considerazioni, che il ricorrente non ha confutato in modo persuasivo, si attagliano anche al caso di specie, in cui il requisito sanitario, richiesto per il riconoscimento della prestazione dedotta in giudizio, è stato accertato con decorrenza posteriore non solo alla domanda amministrativa, ma anche allo stesso deposito del ricorso introduttivo. Si deve ritenere, in definitiva, che le ragioni illustrate a sostegno della compensazione superino il vaglio di non implausibilità che compete a questa Corte (Cass., sez. lav., 23 agosto 2024, n. 23051)» (Cass. n. 5422/2025).
Il ricorso va, pertanto, respinto, con condanna al pagamento delle spese secondo soccombenza, come liquidate in dispositivo. In considerazione del rigetto del ricorso si dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115/2002 ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 1800,00 per compensi, € 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge. Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 25 marzo