Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 31861 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 31861 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n.4625/2023 R.G. proposto da COGNOME in proprio e quale erede di NOME COGNOME, rappresentato e difeso, con procura speciale in calce al ricorso, dall’avvocato NOME COGNOME del foro di Vibo Valentia e dall’avvocato NOME COGNOME del foro di Catanzaro ed elettivamente domiciliato all’indirizzo PEC dei difensori iscritto nel REGINDE;
-ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso gli Uffici della stessa Avvocatura;
-controricorrente – avverso l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 2461/2023, pubblicata il 26 gennaio 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 ottobre 2023 con riconvocazione del 6 giugno 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Nel procedimento definito con ordinanza della Sesta Sezione civile2, in data 26 gennaio 2023 n. 2461, questa Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto da NOME COGNOME avverso il decreto n. 27 del 2021, con cui la Corte di appello di Catanzaro, quale giudice del rinvio, aveva liquidato al ricorrente a titolo di equo indennizzo di cui alla legge n. 89/2001 la somma di euro 10.800,00, riconoscendo una durata irragionevole del giudizio civile presupposto di 18 anni, oltre accessori.
Questa Corte -per quanto qui di interesse – ha affermato la inammissibilità del ricorso in quanto con i quattro motivi ivi svolti la parte si limitava a contestare il quantum dell’indennizzo riconosciuto, sotto il duplice profilo della durata irragionevole del giudizio presupposto e dell’importo liquidato per ogni anno, senza tuttavia attingere in modo specifico l’individuazione degli intervalli temporali non indennizzabili e non riferibili alla condotta della Corte distrettuale; al pari del quantum per il quale il ricorrente chiedeva solo un maggior importo.
A vverso siffatta decisione COGNOME ha proposto, con ricorso notificato il 28 febbraio 2023, revocazione ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c., affidato ad un unico motivo, per essere la sentenza impugnata -a suo avviso -affetta da errore di fatto risultante dagli atti o dai documenti della causa per non avere considerato che il ricorso atteneva ad un unico motivo relativo alla compensazione delle spese di lite di tutte le fasi da parte del giudice del rinvio, cui ha resistito il Ministero della giustizia con controricorso.
Fissata adunanza camerale, in vista della quale parte ricorrente ha anche curato il deposito di memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c., la Corte, con ordinanza interlocutoria n. 7451 in data 20 marzo 2024, esclusa la ricorrenza di errore revocatorio, ha disposto il rinvio della causa a nuovo ruolo per essere «mancata una pronuncia che solo in minima parte è riferibile al ricorso da esaminare», per cui difettando il giudizio su di esso «il provvedimento emesso è giuridicamente inesistente (o radicalmente nullo), sicché l’incompiuto esercizio della giurisdizione comporta che il giudice, cui è apparentemente da attribuire la pronuncia inesistente, può procedere alla sua rinnovazione, emanando un nuovo atto conclusivo del giudizio, questa volta valido».
E’ stato quindi nuovamente fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c. sulla base della qualificazione della prospettazione del ricorso nel senso indicato dalla detta ordinanza e in prossimità anche della seconda adunanza camerale il ricorrente ha curato il deposito di ulteriore memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
In via preliminare il Collegio rileva che il disposto dell’ordinanza interlocutoria deve essere inteso nel senso che il giudizio introdotto ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c. non aveva effettiva natura di porre rimedio ad un errore revocatorio e tuttavia evidenziava oggettivamente che la Corte era incorsa in una situazione nella quale l’originario ricorso introdotto da COGNOME non era stato oggetto di trattazione in seno al giudizio di cassazione fissato e deciso con l’ordinanza n. 2461 del 2023.
È per tale ragione che si è proceduto alla fissazione dell’odierna trattazione, riguardo alla quale l’introduzione del ricorso deve essere intesa come oggettiva consapevolezza della Corte di una mancata fissazione della trattazione per l’incompiuto esercizio della giurisdizione che comporta per il giudice, cui è apparentemente da
attribuire la pronuncia inesistente, di procedere alla sua rinnovazione, emanando un nuovo atto conclusivo del giudizio, questa volta valido.
Tanto chiarito, con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 e n. 5 c.p.c., per avere disposto il giudice del rinvio la integrale compensazione delle spese del giudizio in palese errata e infondata giustificazione, sull’assunto che ‘sussistono le ragioni di legge, attesa la particolarità delle questioni trattate, che avevano necessitato di una pronuncia della Corte di cassazione che aveva dovuto affrontare complessi problemi giuridici anche di regime intertemporale delle disposizioni di legge’, con motivazione soltanto apparente, in palese violazione del canone del giusto processo e del diritto alla tutela giurisdizionale.
Ad avviso del ricorrente, diversamente da quanto ritenuto dal giudice del rinvio, il precedente giudizio di cassazione, definito con l’ordinanza n. 28504/2020, aveva affermato che la Corte di appello non aveva correttamente applicato la disciplina relativa all’estinzione del giudizio presupposto nella previsione antecedente alle modifiche introdotte dalla legge n. 208/2015, principi ed orientamenti giurisprudenziali preesistenti alla data del 03.12.2018 di deposito del ricorso per equa riparazione.
Il motivo è manifestamente fondato, non ricorrendo le condizioni giustificative per disporre legittimamente la compensazione delle spese del giudizio di riassunzione e di quello di cassazione in base al testo dell’art. 92, comma 2, c.p.c.
Infatti, il qui gravato decreto è in contrasto con il consolidato indirizzo di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, secondo cui la condanna alle spese non ha natura sanzionatoria, ma è una conseguenza legale ed obiettiva della soccombenza (tra moltissime: Cass. n. 4485 del 2001; Cass. n. 1439 del 2003). La
compensazione delle spese, a norma dell’art. 92, comma 2 c.p.c., può avvenire soltanto se vi è soccombenza reciproca, assoluta novità della questione, mutamento di giurisprudenza o, all’esito della sentenza Corte cost., n. 77 del 2018, in presenza di altre gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate nella motivazione (Cass. n. 9840 del 2010; Cass., Sez. Un. n. 2572 del 2012; Cass. n. 11217 del 2016; Cass. n. 2362 del 2021), non rilevando in alcun modo quale gravi ed eccezionali ragioni giustificative della compensazione delle spese, nel regime rigoroso di cui al testo introdotto dalla l. n. 69 del 2009, né la contumacia della controparte, né la sua assenza di opposizione, né la natura della causa genericamente indicata, né l’asserita semplicità o complessità dell’attività difensiva o delle questioni trattate, visto che per far valere il suo diritto la parte -poi risultata vittoriosa – ha comunque avuto la necessità di agire in giudizio, ragion per cui devono, pur ricorrendo tali situazioni, trovare pienamente applicazione i criteri ordinari della soccombenza e della causalità, a tutto concedere incidendo la semplicità e/o la complessità sull’entità della liquidazione, ma non anche fino al punto di azzerarla.
Discende da quanto esposto, previa declaratoria di inesistenza dell’ordinanza n. 2461 del 2023 – ravvisabile in quanto mancante “di quel minimo di elementi o di presupposti che sono necessari per produrre quell’effetto di certezza giuridica che è lo scopo del giudicato” e rilevabile anche d’ufficio, per quanto preliminarmente illustrato -l’accoglimento del ricorso e non essendo necessari altri accertamenti di fatto, l’impugnato decreto deve essere cassato quanto al capo relativo alla disposta compensazione delle spese e può provvedersi alla pronuncia nel merito, con condanna del soccombente Ministero al pagamento delle spese del giudizio di rinvio che si liquidano -in base alla tariffa temporalmente
applicabile e alle attività difensive espletate – nei termini di cui in dispositivo, al pari di quelle del primo giudizio di cassazione.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si quantificano anche esse nella misura riportata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, previa declaratoria di inesistenza dell’ordinanza n. 2461 del 2023, accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della giustizia al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese del giudizio di rinvio, che si liquidano in euro 2.050,00 per compensi, oltre al contributo forfettario, iva e c.p.a. nella misura e sulle voci come per legge, e quelle del primo giudizio di cassazione in euro 1.100,00, sempre oltre rimborso spese forfettarie e accessori di legge;
condanna, altresì, lo stesso Ministero della giustizia alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 700,00 per compensi e in euro 100,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e c.p.a. nella misura e sulle voci come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda