Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2753 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2753 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 19957/2021 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente tra loro, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso, i quali dichiarano di voler ricevere le comunicazioni e notifiche agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv . NOME COGNOME giusta procura speciale
rilasciata su foglio separato materialmente congiunto al controricorso, elettivamente domiciliata presso la sede legale di RAGIONE_SOCIALE, in Roma, in INDIRIZZO
– controricorrente-
avverso l’ordinanza della Corte di appello di Roma n. 504/2021, depositata in data 22/1/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/1/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Nel 1972 veniva avviata la costruzione della strada a scorrimento veloce tra la variante di Prossedi e la SS INDIRIZZO e, dopo la rescissione del contratto stipulato dall’Anas con altra impresa, i lavori venivano affidati alla RAGIONE_SOCIALE, con contratto del 1/7/1993. L’importo dei lavori era di lire 83.418.250.675, da realizzarsi in complessivi giorni 1080.
Durante l’esecuzione dell’opera i lavori venivano sospesi per la redazione della perizia di variante che prevedeva, tra l’altro, la sostituzione – in ragione delle pessime condizioni del terreno di appoggio tra le sezioni 12 e 32 – del rilevato nel progetto con un viadotto fondato su pali MULTITON.
Con atto di citazione del 4/12/2014 RAGIONE_SOCIALE citava la società in giudizio chiedendo «accertare e dichiarare la presenza di gravi difetti e della rovina del viadotto Giove Axur sito lungo la S.S. Abbazia di Fossanova tra le sezioni 12 e 32; per l’effetto, accertare e dichiarare la responsabilità ex art. 1699 c.c. della RAGIONE_SOCIALE nonché condannare il medesimo convenuto al risarcimento in favore degli odierni attori di tutti i danni subiti che si quantificano in euro 3.265.286,46 ossia nella spesa sostenuta e
ancora da sostenere per il ripristino del buono stato del viadotto, come da lavori già eseguiti e da perizia tecnica di parte allegata».
Il CTU nominato riteneva necessario compiere indagini geologiche per comprendere «le dinamiche sottese allo slittamento del viadotto Axur».
Il tribunale di Roma, con sentenza n. 14558 del 2018, rigettava le domande proposte dall’Anas, reputando che «lo slittamento del suddetto viadotto fosse ragionevolmente da ascrivere a fattore esogeno, ossia al sisma del 15/2/2012, in quanto le accelerazioni dovute all’evento sismico avrebbero generato un innalzamento delle pressioni istantanee della falda idrica, la cui presenza è stata riscontrata dal CTU proprio in corrispondenza dei pilastri interessati, con conseguente liquefazione, almeno parziale, del terreno, e conseguente cedimento dei pali sul proprio asse».
Il tribunale compensava le spese del giudizio, in quanto «nel caso in esame la oggettiva incertezza della interpretazione giurisprudenziale in ordine ai rapporti in esame appare integrare l’ipotesi presa in considerazione della Corte costituzionale».
Avverso tale sentenza presentava appello principale l’Anas. Con il primo motivo d’appello l’Anas denunciava la «contraddittorietà della sentenza del tribunale di Roma rispetto all’inquadramento giuridico assunto ai fini della decisione e l’errata applicazione ed interpretazione dell’art. 1669 c.c.».
L’appellante principale lamentava inoltre una errata applicazione dell’art. 1669 c.c. in materia di onere della prova, «avendo il giudice di prime cure malamente interpretato i principi espressi dalla cassazione in tema di rapporti tra le norme di cui agli articoli 1369 c.c. e 2043 c.c.».
Entrambe le doglianze, attinenti al primo motivo di appello principale, venivano ritenute inammissibili dalla Corte d’appello di
Roma, con la sentenza pubblicata il 21/1/2021, per «difetto di specificità, risultando la decisione del primo giudice fondata sul ritenuto accertamento, all’esito della disposta CTU, della ascrivibilità dello slittamento, secondo il criterio causale del più probabile che non, ad un fattore esogeno non prevedibile e comunque non imputabile all’impresa, ossia il sisma ed il conseguente impatto sul terreno su cui insistevano i pali di fondazione».
Con il secondo motivo di appello principale si denunciava «l’errata motivazione adottata da parte del tribunale civile di Roma sulla base esclusivamente dell’altrettanto erronea CTU».
Tale censura veniva rigettata dalla Corte d’appello di Roma, la quale evidenziava che «lo spostamento fu rilevato in occasione di una verifica dell’aprile 2012 e la sua entità fu stimata in circa 35 cm», sicché l’ipotesi «del primo giudice si fonda su dato certo, mentre quella di un avvio dello slittamento in epoca precedente al sisma è una mera illazione».
Aggiungeva la Corte territoriale che «in ordine alla mancata considerazione dei lavori di messa in sicurezza effettuati da Anas quale causa dell’assestamento definitivo, sicuramente essi hanno contribuito a consolidare l’opera evitando uno slittamento ulteriore rispetto a quello riscontrato pure dal CTU (spostamento rigido di una porzione del viadotto), ma neppure può escludersi che il venir meno della sollecitazione sismica sia alla base della raggiunta definitiva stabilità».
Il terremoto, del resto, si era verificato ad «appena 25 km, tra Frosinone e Latina».
Peraltro, la faglia «era nota anche ad Anas ed ai suoi tecnici progettisti».
Veniva però rigettato anche l’appello incidentale proposto dalla COGNOME RAGIONE_SOCIALE in ordine alla intervenuta compensazione delle
spese del giudizio di prime cure, pur se la Corte d’appello modificava la motivazione.
Per la Corte di merito, infatti, non sussisteva alcuna oggettiva incertezza in diritto della lite, ma «non v’è dubbio che la complessità delle indagini peritali dirette ad accertare la causa del dissesto del viadotto, pongono in evidenza una complessità in fatto della lite, che porta a ritenere sussistente l’incertezza integrante ipotesi riconducibile alle gravi ed eccezionali ragioni».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la società deduce la «nullità della sentenza (a norma dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.), in relazione all’art. 132, 2º comma, n. 4, c.p.c. e all’art. 118 disposizione di attuazione c.p.c. per assenza di motivazione».
Ad avviso della ricorrente, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 77 del 2018, pur estendendo le ipotesi di compensazione ivi previste ad altre gravi ed eccezionali ragioni, ha comunque ribadito l’obbligo di specifica motivazione.
Del resto, la Corte di cassazione ha ritenuto viziata la sentenza che abbia compensato le spese motivando mediante il rinvio alla «complessità delle questioni affrontate dal tribunale, tale da rendere imprevedibile ex ante quale potesse essere l’esito della causa» (si cita Cass. n. 22598 del 2018).
Allo stesso modo è stata reputata insussistente una ragione di compensazione per «la complessità e la pluralità delle questioni trattate; semmai di tali parametri si può tener conto, in senso diametralmente opposto, al momento della liquidazione delle spese a favore della parte vittoriosa».
È stata ritenuta non sufficiente la motivazione, in quanto generica, consistente nella indicazione della «natura della controversia e le alterne vicende dell’iter processuale» (si cita Cass. n. 10042 del 2018).
Vi è nullità della sentenza, quando la motivazione, benché graficamente esistente, non consenta di risalire al ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento in ordine alla deroga al principio cardine della soccombenza (si cita Cass., n. 14888 del 2017).
Sarebbe, dunque, inidonea la motivazione della Corte d’appello fondata sulle «indagini peritali e, conseguentemente, nei fatti di causa sottesi», che avrebbero determinato «quelle gravi ed eccezionali ragioni per procedere alla compensazione delle spese di lite in violazione del principio sancito dall’art. 91 c.p.c.».
Per tale ragione – a giudizio della ricorrente – «il laconico richiamo alla complessità istruttorie dei fatti di causa (non ravvisato dal primo giudice) costituisce motivazione apparente».
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «nullità della sentenza (a norma dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.) per violazione dell’art. 91 e 92 c.p.c. e 24 Costituzione».
La Corte costituzionale, pur non identificando un numero chiuso di fattispecie integranti le «gravi ed eccezionali ragioni» ha, comunque, indicato dei criteri per la loro individuazione, riconducibili a tale clausola generale, nel senso che «devono essere di pari, o maggiore, gravità ed eccezionalità».
Pertanto, il quesito di diritto a cui è necessario rispondere in questa sede «è se la complessità istruttoria e/o dei fatti di causa possa ricondursi, in via analogica, alle fattispecie di «assoluta novità della questione trattata» e «mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti», le quali, come richiede la Corte
costituzionale, «mantengono una funzione parametrica ed esplicativa della clausola generale».
Per la ricorrente, dunque, «la fase istruttoria e la sua eventuale complessità è assunta dal legislatore quale elemento per parametrate, in un range che va da un minimo ad un massimo, la liquidazione giudiziale delle spese di lite».
Ove si accogliesse la tesi della Corte territoriale il principio della soccombenza dovrebbe applicazione «solo in presenza di procedimenti la cui ragione, per l’una o l’altra delle parti in lite, sia evidente e non abbisogni di attività istruttorie».
Ove, invece, sia necessario disporre una CTU, la regola di cui all’art. 91 c.p.c. potrebbe trovare in tutto o in parte limitazione.
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della «nullità della sentenza (a norma dell’art. 360, primo comma, n. 3 e in subordine 4, c.p.c.) per violazione dell’art. 115 e 116 c.p.c.».
La decisione della Corte d’appello sarebbe erronea, in quanto adottata in violazione delle «risultanze istruttorie» e delle «emergenze documentali».
Dalla CTU è emerso che lo slittamento del viadotto è dipeso dall’evento sismico avvenuto nella zona del 2012, mentre la COGNOME RAGIONE_SOCIALE ha eseguito le opere correttamente a perfetta regola d’arte.
Del resto, ciò emergeva anche nel 2004 dal collaudo delle opere con esito pienamente positivo.
Pertanto, «il quadro dei fatti di causa era chiaro sin dall’avvio della causa (anzi, già prima) e della CTU disposta, sicuramente approfondita ed articolata, ha evidenziato solamente la correttezza delle difese della convenuta e la caparbietà e strumentalità dell’azione attorea».
Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «nullità della sentenza (a norma dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.) per violazione dell’art. 92, 2º comma, c.p.c.».
La Corte territoriale, non solo non ha ritenuto di riformare la statuizione del regime delle spese del primo giudice, ma, a sua volta, ha «compensato le spese di secondo grado, ritenendo che la reciproca soccombenza delle parti in appello giustificasse l’applicazione dell’art. 92 c.p.c.».
Le spese dell’appello, infatti, sono state compensate «per soccombenza reciproca».
Sarebbe evidente la violazione dell’art. 92 c.p.c., quanto alle spese del giudizio di secondo grado, anche qualora non fossero accolti i primi tre motivi di ricorso per cassazione.
Ad avviso della ricorrente, a fronte del rigetto dell’appello principale di RAGIONE_SOCIALE, che mirava a caducare l’integrale sentenza, «ha fatto da contraltare il rigetto dell’appello incidentale di COGNOME basato, unicamente, sulla contestazione del regime delle spese di lite applicato dal primo giudice».
Per la ricorrente, in casi come quello in esame l’applicazione della compensazione totale o parziale delle spese processuali deve essere graduata in ragione dell’individuazione della «parte che abbia dato causa in misura prevalente agli oneri processuali ed alla quale questi siano in maggior misura imputabili» (si cita Cass. n. 3438 del 2016).
E ciò «in disparte il fatto che l’appello incidentale di COGNOME (volto a contestare la pretesa complessità in diritto della vicenda, utilizzata dal primo giudice ai fini dell’art. 92, comma 2, c.p.c.) risulta essere stato comunque accolto», avendo la Corte territoriale corretto la motivazione del primo giudice.
I motivi primo, secondo e terzo, che vanno affrontati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati.
5.1. In primo luogo, si rileva che la motivazione della sentenza della Corte d’appello esiste, non solo graficamente, ma anche nella indicazione precisa delle ragioni logiche e giuridiche che hanno condotto il giudice di secondo grado ad adottare la decisione impugnata.
È necessario, poi, individuare il regime giuridico da applicare alla disciplina delle spese del giudizio.
Invero, la disciplina sulle spese è mutata nel corso degli anni. L’art. 92 c.p.c. inizialmente faceva riferimento ai ‘giusti motivi’ per la compensazione delle spese di lite. Con la legge 263/2005 si è stabilito che i giusti motivi fossero indicati nella motivazione.
La legge 69 del 2009, in vigore dal 4 luglio 2009, per le controversie iniziate, in primo grado, dopo tale data, ha previsto la compensazione, oltre che in caso di reciproca soccombenza, solo per «altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione».
Con il d.l. 132/2014, convertito in legge 162/2014 è scomparsa la clausola generale delle «gravi ed eccezionali ragioni» e si è ristretta la possibilità di compensazione solo in caso di «assoluta novità delle questioni trattate o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti».
La Corte costituzionale (Corte Cost., 19 aprile 2018, n. 77), poi, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 92 comma 2 c.p.c., nel testo modificato dall’art. 13, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, nella legge 162/2014, nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni (anche Cass., 18 febbraio 2019, n. 4696).
Nella specie, trova applicazione il disposto dell’art. 92 c.p.c., come modificato dal d.l. n. 132 del 2014, in quanto il giudizio di primo grado è iniziato il 4/12/2014, ed è quindi necessaria per procedere alla compensazione delle spese l’indicazione della «assoluta novità delle questioni trattate o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti», seppure con i chiarimenti apportati dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 17 del 2018.
Peraltro, per questa Corte le «gravi ed eccezionali ragioni», indicate esplicitamente nella motivazione per giustificare la compensazione totale o parziale, ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c., nella formulazione applicabile ” ratione temporis “, introdotta dalla l. n. 69 del 2009, non possono essere illogiche o erronee, altrimenti configurandosi il vizio di violazione di legge, denunciabile in sede di legittimità (Cass., sez. 6 -L, 9 aprile 2019, n. 9977).
Tale disposizione costituisce una norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico-sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili a priori, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche (Cass., 2883/2014).
Pertanto, nell’ipotesi in cui il giudice, come nella specie, abbia esplicitato in motivazione le ragioni della propria statuizione, è comunque necessario che non siano addotte ragioni illogiche o erronee, dovendosi ritenere altrimenti sussistente il vizio di violazione di legge (Cass., 12893/2011; Cass., 11222/2016).
Nei precedenti di questa Corte, con riferimento alle «gravi ed eccezionali ragioni», da indicarsi esplicitamente nella motivazione, in presenza delle quali, ai sensi dell’art. 92, secondo comma, cod. proc.
civ. (nel testo introdotto dall’art. 2 della legge 28 dicembre 2005, n. 263), si è ritenuto che il giudice non può compensare, in tutto o in parte, le spese del giudizio e non può trarre tali «ragioni» dalla struttura del tipo di procedimento contenzioso applicato né dalle particolari disposizioni processuali che lo regolano, ma devono trovare riferimento in specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa – in applicazione del principio, la SRAGIONE_SOCIALE ha cassato la sentenza impugnata che aveva dichiarato compensate le spese in un giudizio di opposizione avverso l’irrogazione di sanzione amministrativa, sul presupposto della limitata attività difensiva della parte, correlata alla natura della controversia – (Cass., 15 dicembre 2011, n. 26987).
8. Più recentemente, proprio in relazione alla nuova formulazione dell’art. 92 c.p.c., come modificato dal decreto-legge n. 132 del 2014, a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 77 del 2018, si è ritenuto che le gravi ed eccezionali ragioni sono correlate «alla condotta processuale complessivamente tenuta dalla parte soccombente nell’agire e resistere in giudizio, da valutare in relazione all’incidenza di fattori esterni e non controllabili che rendano contraria al principio di proporzionalità l’applicazione della regola della soccombenza sancita nell’art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992 nella liquidazione delle spese» (Cass., sez. 5, 3/9/2024, n. 23592, in materia tributaria, con riguardo alla disposizione speciale di cui all’art. 15, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992; Cass. sez. 6-5, 23/12/2021, n. 41360, ove il giudice di merito aveva motivato la compensazione esclusivamente e genericamente attraverso il richiamo al « revirement giurisprudenziale»; Cass., sez. 5, 8/5/2024, n. 12545, sempre nel processo tributario, reputandosi dovuta la compensazione di lite in presenza della sopravvenienza di una norma di interpretazione autentica relativa ad una questione
dirimente; Cass., sez. 5, 25/9/2017, n. 22310 che reputa generica la formula della compensazione incentrata sulla «natura della controversia e le alterne vicende dell’iter processuale»).
Si è inoltre ritenuto che le «gravi ed eccezionali ragioni» che – ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c. (nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal decreto-legge n. 132 del 2014 dalla sentenza della Corte costituzionale n. 77 del 2018), giustificano la compensazione delle spese di lite – non ricorrono per il solo fatto che la domanda sia stata rigettata per ragioni processuali, nella specie per la declaratoria di improcedibilità del gravame (Cass., sez. 3, 8/3/2024, n. 6424), e neppure per l’eccessiva prolissità della comparsa di costituzione risposta della parte vittoriosa (Cass., sez. 6-1, 14/10/2022, n. 30328).
È stata esclusa la sussistenza di un’ipotesi di compensazione anche ove il giudice di merito abbia riconosciuto in ragione della novità e complessità della materia trattata, senza in alcun modo motivare sull’asserito contrasto tra i diversi orientamenti giurisprudenziali in merito (Cass., sez. 5, 18/2/2020, n. 3977).
Si è anche chiarito che la compensazione delle spese può essere disposta (oltre che nel caso della soccombenza reciproca), «nelle ipotesi di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, nonché – per effetto della sentenza 7 marzo 2018 n. 77 della Corte costituzionale – nelle analoghe ipotesi di sopravvenienze relative a questioni dirimenti e in quelle di assoluta incertezza, che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle ipotesi tipiche espressamente previste dall’art. 92, comma 2, c.p.c.» (Cass., sez. 6-2, 18/2/2019, n. 4696).
Deve, però evidenziarsi che la Corte costituzionale con la sentenza n. 77 del 2018, con un’ampia panoramica, indica le
possibilità di estensione delle ipotesi della compensazione, e dunque della clausola generale delle «gravi ed eccezionali ragioni», facendo riferimento a «o più in generale uno ius superveniens , soprattutto se nella forma di norma con efficacia retroattiva; una pronuncia di questa Corte, in particolare se di illegittimità costituzionale; o una decisione di una Corte europea; o una nuova regolamentazione nel diritto dell’unione europea; o altre analoghe sopravvenienze. Le quali tutte, ove concernenti una questione dirimente al fine della decisione della controversia, sono connotate da pari «gravità» ed «eccezionalità», ma non sono iscrivibili in un «rigido catalogo di ipotesi nominate».
Subito dopo, però, la Corte costituzionale aggiunge che «in simmetria è possibile ipotizzare altre analoghe situazioni di assoluta incertezza, in diritto o in fatto, della lite, parimenti riconducibili a ‘gravi ed eccezionali ragioni’».
Sul punto, la Corte territoriale, con pieno giudizio di merito, ha ritenuto che i profili di fatto della controversia trattata erano di eccezionale difficoltà, proprio «in fatto», in ragione della CTU espletata e, soprattutto, come si desume dall’intera motivazione della decisione della Corte d’appello, per l’estrema complicazione nella individuazione della causa della liquefazione parziale del viadotto, cagionata dal sisma del 2012, che aveva comportato anche la modificazione di una falda acquifera, che aveva raggiunto i piloni del viadotto.
È vero che la Corte d’appello, nell’ultima parte della motivazione si limita ad affermare che «non v’è dubbio che la complessità delle indagini peritali dirette ad accertare la causa del dissesto del viadotto, pongono in evidenza una complessità in fatto della lite, che porta a ritenere sussistente l’incertezza integrante ipotesi riconducibili alle gravi ed eccezionali ragioni», ma, in precedenza, la
Corte territoriale ha applicato il criterio causale del «più probabile che non», individuando la ragione dello slittamento del viadotto in un «fattore esogeno non prevedibile e comunque non imputabile all’impresa, ossia il sisma ed il conseguente impatto sul terreno su cui insistevano i pali di fondazione».
Il giudizio di merito della Corte d’appello non è dunque censurabile in questa sede, in quanto poggia su stringenti elementi valutativi, nell’ambito di un giudizio probabilistico, che si snoda anche attraverso considerazioni che palesano profili di incertezza («ma neppure può escludersi che il venir meno della sollecitazione sismica sia alla base della raggiunta definitiva stabilità»).
Insomma, seguendo l’insegnamento della Corte costituzionale, la Corte d’appello ha reputato, con idoneo e congruo giudizio meritale, la sussistenza di «gravi ed eccezionali ragioni» per disporre la compensazione integrale delle spese di prime cure, facendo riferimento a situazioni di «assoluta incertezza», non in diritto, ma «in fatto», alla stregua del verificarsi di un evento sismico.
Deve essere respinto anche il quarto motivo.
Infatti, con riferimento alla richiesta della società di riforma della sentenza d’appello, in ordine alla compensazione anche delle spese del giudizio d’appello (per soccombenza reciproca), per questa Corte, la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c., rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass., sez. 2, 20/12/2017, n. 30592; Cass., sez. 2, 31/1/2014, n. 2149).
11. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 6.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15 %, oltre Iva e Cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30/1/2025