Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20858 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20858 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6126/2024 R.G. proposto da :
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende, domiciliata digitalmente come per legge
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante in carica, elettivamente domiciliata in ROMA alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende, domiciliata digitalmente come per legge
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE d’APPELLO di PERUGIA n. 521/2023 depositata il 25/07/2023.
Udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 15/05/2025, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME quale titolare di una ditta di lavori edili, subappaltatrice, era convenuta in giudizio dalla RAGIONE_SOCIALE la quale affermava di aver corrisposto alla prima tutto quanto dovutole in dipendenza di sei contratti di subappalto relativi all’esecuzione di lavorazioni -dalla prima eseguite -in varie località della Regione Sardegna.
L’azione della RAGIONE_SOCIALE, di accertamento negativo della debenza di ulteriori somme, traeva origine dalla richiesta della ricorrente che, a seguito di accesso agli atti presso la RAGIONE_SOCIALE, società di diritto pubblico committente dei lavori, si era avveduta che i prezzi pattuiti nei contratti, pur se corrisposti, non compensavano i lavori effettivamente eseguiti, poiché, applicando i prezzi di capitolato, nella misura normativamente prevista per le unità di misura realmente -da essa ricorrente -realizzate, era ancora creditrice della somma di € 636.794,92. La Dessì chiese in via riconvenzionale la condanna della IMET S.p.a. al pagamento della detta somma a titolo contrattuale e nei confronti della Infratel S.p.a. a titolo di risarcimento del danno, per essere stata indotta all’esecuzione dei lavori ritenendoli regolari, sotto il profilo autorizzativo e dello svolgimento.
Il Tribunale di Perugia rigettò le domande formulate dalla Dessì Questa propose impugnazione e la Corte d’appello di Perugia, con la sentenza n. 521 del 25/07/2023 in sostanziale adesione alla richiesta della Dessì, che aveva esercitato l’azione civile nel processo penale nei confronti della RAGIONE_SOCIALE S.p.aRAGIONE_SOCIALE e di alcuni suoi dipendenti, ha dichiarato l’estinzione del giudizio ai sensi dell’ art. 75, comma 1, c.p.p. non provvedendo alla liquidazione delle spese, rimettendola al giudice penale.
Avverso la sentenza della Corte territoriale propone ricorso per cassazione la Dessì, con un unico motivo, corredato da memoria.
RAGIONE_SOCIALE risponde con controricorso.
Il ricorso è stato chiamato all’adunanza camerale del 15/05/2025.
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Avverso la sentenza della Corte territoriale la Dessì propone ricorso per cassazione con un unico motivo sulle spese: per art. 360, primo comma nn. 3 e 4 c.p.c. per violazione o falsa applicazione di norme di diritto con riferimento agli artt. 91, 92 e 112, c.p.c. per non aver ‘ rilevato ‘ la domanda di compensazione delle spese del primo grado per i ‘giusti motivi’ esposti in narrativa dell’appello con riferimento alle domande ‘non gravate da impugnazione’ e ritenute ‘in giudicato’ ed aver omesso la relativa pronuncia, in particolare, secondo la ricorrente la sentenza gravata non affronta il profilo della soccombenza in ordine alle spese, di rilevante entità, con riferimento alle domande di natura contrattuale, rigettate in primo grado, ritenute non attinte d all’appello.
La Corte territoriale ha riformato la sentenza del Tribunale limitatamente al mancato rilievo del trasferimento del giudizio ex art. 75 c.p.p. con riferimento alla domanda risarcitoria contro RAGIONE_SOCIALE.p.A., ritenendo ‘in giudicato’, per mancata im pugnazione, il rigetto delle domande di condanna in virtù dei titoli contrattuali. Al rigetto di dette domande era conseguita la condanna alle spese. La Corte Territoriale non si è pronunciata sulla richiesta di riforma, in ogni caso, della sentenza del Tribunale, e quindi, anche di quella parte ritenuta in giudicato, con riferimento alle spese legali del primo grado ed ha rimesso al Tribunale penale di Cagliari la liquidazione.
1.1. Il ricorso, di non perspicua esposizione, lamenta la mancata pronuncia, nel senso peraltro, della compensazione (quale esito sperato) da parte della Corte d’appello di Perugia, nella sentenza
impugnata, sulle domande, rigettate, di natura contrattuale spiegate in primo grado dalla COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.a.
L’unico motivo proposto è inammissibile.
A prescindere dalla circostanza che si tratterebbe appunto di capi di sentenza passati in giudicato sui quali verosimilmente la Corte territoriale non poteva tornare, proprio perché non oggetto di impugnazione, deve ritenersi la censura inammissibile, poiché la Dessì era comunque soccombente rispetto alla difesa della RAGIONE_SOCIALE, sebbene la vicenda processuale del trasferimento dell’azione civile di danno nel processo penale, tuttavia, non è equiparabile a una rinuncia all’azione, ma alla litispendenza, co me da tempo affermato da questa Corte (Cass. n. 35951 del 22/11/2021 Rv. 662913 – 01).
La prospettazione di un errore di diritto da parte della Corte d’appello, peraltro per omessa pronuncia, è del tutto inammissibile anche sotto altro profilo, non essendo individuabile una idonea impugnazione della statuizione relativa alle spese di lite adottata dal Tribunale, poiché nel ricorso per cassazione non è riportato il passo dell’atto di appello , che peraltro avrebbe dovuto essere anch’esso dotato di adeguata specificità – segnatamente in relazione alle spese di primo grado inerenti alle domande di natura contrattuale – relativo alla proposizione della detta censura e la stessa, peraltro, si risolverebbe, a quanto è dato comprendere, alla scarna formulazione del ricorso per cassazione, nella mancata compensazione delle spese di lite.
Va in particolare rimarcato che la censura sarebbe, dunque, di per sé inammissibile, in quanto la compensazione delle spese di lite non costituisce un diritto per la parte e l’unico criterio che non deve essere violato nella decisione sulle spese di lite è quello del divieto di porle integralmente a carico della parte vittoriosa (Cass. n. 26912 del 26/11/2020 Rv. 659925 – 01) restando del tutto discrezionale e insindacabile – la valutazione di totale o parziale compensazione
per giusti motivi, la cui insussistenza il giudice del merito non è tenuto a motivare, circostanza , quella dell’essere la COGNOME parte interamente vittoriosa che, nella specie, non sarebbe in ogni caso dato di riscontrare, poiché la COGNOME era comunque soccombente rispetto alle domande di carattere contrattuale nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
Il ricorso è, pertanto, dichiarato inammissibile.
Le spese di lite seguono la soccombenza della ricorrente e, tenuto conto dell’attività processuale espletata , in relazione al valore della controversia, sono liquidate come da dispositivo.
La decisione di inammissibilità del ricorso comporta che deve attestarsi, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Corte di