Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6960 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6960 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30789/2019 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno indicato i seguenti indirizzi di posta elettronica certificata: e .it;
-ricorrente – contro
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE PALERMO, in persona del Direttore generale p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME che ha indicato il seguente indirizzo di posta elettronica certificata:
;
-controricorrente e ricorrente incidentale – avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Palermo n. 1108/19, depositata il 29 maggio 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio l’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo, per sentirla condannare al pagamento della somma di Euro 106.973,54, a titolo di corrispettivo delle prestazioni di cui alla lettera R del nomenclatore tariffario relativo al settore specialistico di biologia molecolare e genetica erogate nell’anno 2010.
A sostegno della domanda, l’attrice richiamò l’art. 14 del decreto assessoriale 7 novembre 2002, introdotto dall’art. 1 del decreto assessoriale del 29 luglio 2004, il quale prevedeva che il budget delle predette prestazioni sarebbe stato concordato in aggiunta a quello già assegnato per le altre prestazioni, sostenendo di aver ripetutamente richiesto all’Asp l’assegnazione del budget aggiuntivo, che non le era stato accordato, nonostante il possesso dei requisiti prescritti.
Si costituì l’Asp, e resistette alla domanda, sostenendo che la previsione dell’art. 14 cit., incidente sulle prestazioni rese dalle strutture accreditate o preaccreditate nel triennio 2005-2007, non era stata rinnovata per gli anni successivi, essendo stati introdotti meccanismi diversi per l’ampliamento dei budgets .
1.1. Con sentenza del 5 dicembre 2013, il Tribunale di Palermo rigettò la domanda.
L’impugnazione proposta dal Centro Clinico è stata rigettata dalla Corte d’appello di Palermo con sentenza del 29 maggio 2019.
Pur rilevando che la norma invocata non contemplava il limite temporale indicato dall’Asp, la Corte ha osservato che il contratto di negoziazione del budget per l’anno 2010, stipulato il 22 giugno 2010, non prevedeva alcuna somma aggiuntiva per le prestazioni di cui alla lettera R del nomenclatore; ha aggiunto che l’attrice non aveva prodotto alcun documento comprovante la stipulazione di un apposito accordo con l’Asp, affermando che con la sottoscrizione della convenzione l’attrice aveva prestato acquiescenza alle condi-
zioni in essa contenute, e ritenendo non pertinente il richiamo ai principi di affidamento e buona fede.
Avverso la predetta sentenza il Centro RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. L’Asp ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale condizionato, articolato in due motivi, uno dei quali condizionato, ed anch’esso illustrato con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso principale, la ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione dell’art. 14 del decreto assessoriale 7 novembre 2002, come integrato dall’art. 1 del decreto assessoriale 29 luglio 2004, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto che l’assegnazione del budget relativo alle prestazioni di cui alla lettera R del nomenclatore tariffario dovesse aver luogo in sede di negoziazione del budget relativo all’anno 2010, anziché con atto separato. Premesso che al momento della sottoscrizione del contratto di attribuzione del budget ordinario aveva inserito nell’atto una postilla con cui si riservava di chiedere l’assegnazione del budget aggiuntivo, sostiene che il Direttore generale dell’Asp le aveva fatto credere di poter erogare le prestazioni, senza poi adottare i provvedimenti necessari per il riconoscimento della remunerazione. Aggiunge che la ratio dell’art. 14 cit. non consisteva nell’ampliamento del budget della struttura, ma nella disciplina della remunerazione delle prestazioni di cui alla lettera R, nell’ambito di un budget aggiuntivo da concordare annualmente.
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., rilevando che la Corte territoriale ha omesso di pronunciare in ordine alla domanda di riconoscimento dell’indennizzo per ingiustificato arricchimento, avanzata in via subordinata da essa ricorrente in comparsa conclusionale.
Con il primo motivo del ricorso incidentale, la controricorrente lamenta, subordinatamente all’accoglimento del ricorso principale, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 14 del decreto assessoriale 7 novembre 2002, dell’art. 12 disp. prel. cod. civ. e dell’art. 49 della legge 23 dicembre 1978,
n. 833, censurando la sentenza impugnata per aver escluso che l’applicabilità dell’art. 14 cit. fosse limitata al triennio 2005-2007, senza considerare che la disposizione non era stata più rinnovata per gli anni successivi, relativamente ai quali i decreti assessoriali n. 779 del 15 marzo 2010 e n. 1191 del 4 maggio 2010, in base ai quali era stato stipulato il contratto con l’attrice, avevano previsto incentivi soltanto a favore delle strutture che si fossero aggregate ai sensi del decreto assessoriale n. 1933 del 16 settembre 2020.
Con il secondo motivo, la controricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 91, 92, 93, 112, 115, 116, 132, 156, secondo comma, 439 e 624 cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., dell’art. 2909 cod. civ., dell’art. 111 Cost., dell’art. 2 della legge 28 dicembre 2005, n. 263, della legge 2009, n. 69 e del d.m. 10 marzo 2014, n. 55, censurando la sentenza impugnata per aver disposto la compensazione delle spese processuali sulla base del generico riferimento a ragioni di equità, senza tenere conto dell’avvenuta conferma della decisione di primo grado e della durata del giudizio.
Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile, avendo ad oggetto l’interpretazione di una disposizione che, in quanto dettata da un decreto dell’Assessore alla sanità della Regione Siciliana volto a determinare il contenuto dei contratti stipulati dalle ausl con le strutture private accreditate, non ha valore di legge, ma natura di atto amministrativo non normativo (cfr. Tar Sicilia, Palermo, Sez. I, 9/10/2012, n. 1975; 19/10/2009, n. 1629), la cui violazione non è quindi deducibile come motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.
L’interpretazione degli atti amministrativi a contenuto non normativo, risolvendosi in un accertamento della volontà della Pubblica Amministrazione, soggiace infatti alle regole ermeneutiche dettate per i contratti, in quanto compatibili, e costituisce un’attività riservata al giudice di merito, il cui risultato è censurabile per violazione di legge soltanto in riferimento agli artt. 1362 e ss. cod. civ., subordinatamente all’indicazione del criterio ermeneutico specificamente violato e del modo e delle argomentazioni con cui la sentenza impugnata se ne è discostata, oppure per vizio di motivazione, nei limiti in cui lo stesso è ancora deducibile come motivo di ricorso per cassazione ai
sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., nel testo riformulato dall’art. 54, comma primo, lett. b) , del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. Un., 25/ 07/2019, n. 20181; Cass., Sez. I, 3/06/2024, n. 15367; Cass., Sez. lav., 15/ 12/2020, n. 283625).
E’ parimenti inammissibile il secondo motivo, riflettente l’omessa pronuncia in ordine alla domanda subordinata di riconoscimento dell’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento derivante dalle prestazioni rese dall’attrice.
La ricorrente riferisce infatti di aver proposto tale domanda «da ultimo in comparsa conclusionale del 14 dicembre 2018», ovverosia in quella depositata nel giudizio di appello, riportandone testualmente un passo, senza però chiarire se la domanda fosse stata già avanzata nel giudizio di primo grado ed in quale fase o atto ciò fosse accaduto: il motivo risulta pertanto privo di specificità, non essendo corredato di indicazioni idonee a consentire la verifica dell’avvenuta proposizione di una domanda autonomamente apprezzabile e della ritualità e della tempestività della stessa (cfr. Cass., Sez. VI, 4/03/2013, n. 5344; Cass., Sez. III, 17/01/2007, n. 978; Cass., Sez. V, 16/04/2003, n. 6055). Nessun rilievo può assumere, a tal fine, l’affermazione che la domanda è stata proposta in comparsa conclusionale, avendo la stessa soltanto la funzione di illustrare le domande e le eccezioni già ritualmente proposte, e non potendo pertanto (soprattutto se depositata, come nella specie, nel giudizio di appello) contenere domande nuove o sollevare questioni di diritto fondate su fatti diversi da quelli tempestivamente allegati, le quali, se prospettate, non fanno sorgere a carico del giudice il dovere di pronunciarsi al riguardo (cfr. Cass., Sez. I, 23/06/2022, n. 20232; Cass., Sez. III, 5/08/2005, n. 16582; 29/07/2002, n. 11175): in riferimento a tali domande o questioni, non è conseguentemente configurabile il vizio di cui all’art. 112 cod. proc. civ., il quale, risolvendosi nell’inadempimento da parte del giudice del dovere di pronunciarsi su tutta la domanda e non oltre i limiti della stessa, postula che le domande proposte dalle parti risultino ammissibili, in quanto tempestivamente e ritualmente avanzate (cfr. Cass., Sez. V, 16/07/2021, n. 20363; Cass., Sez. I, 25/09/2018, n. 22784; Cass., Sez. VI, 2/12/2010, n. 24410).
La dichiarazione d’inammissibilità delle censure formulate dalla ricor-
rente comporta l’assorbimento del primo motivo di ricorso incidentale, proposto condizionatamente all’accoglimento del ricorso principale, e riguardante l’applicabilità dell’art. 14 del decreto assessoriale 7 novembre 2002 agli anni successivi al triennio 2005-2007.
E’ invece fondato il secondo motivo, avente ad oggetto il regolamento delle spese del giudizio di appello.
In quanto introdotto con atto di citazione notificato il 21 maggio 2014, e quindi anteriormente all’entrata in vigore del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, il giudizio definito dalla sentenza impugnata era assoggettato alla disciplina dettata dall’art. 92 cod. proc. civ., nel testo modificato dall’art. 45, comma undicesimo, della legge 18 giugno 2009, n. 69, il quale consentiva al giudice di compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, oltre che in caso di soccombenza reciproca, nella specie non ricorrente, in presenza di «gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione»: tali ragioni, implicando il riferimento a specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa da indicarsi espressamente in motivazione, non potevano essere enunciate con formule generiche, come nella specie il richiamo a mere «ragioni di equità», la cui utilizzazione non consente il necessario controllo in ordine alla logicità ed alla ragionevolezza della scelta compiuta dal giudice attraverso la regolamentazione delle spese processuali sulla base di un criterio diverso da quello della soccombenza, previsto in via generale dall’art. 91 cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. VI, 25/09/2017, n. 22310; 14/07/2016, n. 14411; 31/05/ 2016, n. 21083).
Il ricorso principale va pertanto dichiarato inammissibile, con il conseguente assorbimento del primo motivo del ricorso incidentale, mentre va accolto il secondo motivo: la sentenza impugnata va quindi cassata, limitatamente alla pronuncia sulle spese processuali, con il rinvio della causa alla Corte d’appello di Palermo, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso principale ed assorbito il primo motivo del
ricorso incidentale, accoglie il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale dal comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 27/11/2024