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Compensazione spese: la Cassazione chiarisce i limiti

Un avvocato, pur avendo vinto una causa per il recupero dei suoi compensi, si vedeva compensare le spese legali a causa di espressioni offensive contenute nei suoi atti. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, stabilendo un principio fondamentale sulla compensazione spese: l’ordine del giudice di cancellare frasi sconvenienti non equivale a una soccombenza parziale. La soccombenza si valuta solo sull’esito delle domande principali e non su aspetti accessori della condotta processuale. Pertanto, la compensazione delle spese è stata ritenuta illegittima.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compensazione Spese Illegittima per Frasi Offensive: La Cassazione Fa Chiarezza

Vincere una causa non sempre significa ottenere il rimborso integrale delle spese legali. La compensazione spese è un istituto che consente al giudice di ripartire i costi del processo tra le parti. Tuttavia, i presupposti per la sua applicazione sono rigorosi. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è intervenuta per chiarire che l’aver utilizzato espressioni offensive nei propri scritti difensivi, pur essendo un comportamento sanzionabile, non giustifica di per sé la compensazione delle spese a danno della parte vittoriosa nel merito.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da una controversia tra un avvocato e il suo ex cliente. Il legale aveva ottenuto un decreto ingiuntivo per il pagamento di compensi professionali. Il cliente si era opposto, presentando a sua volta una domanda riconvenzionale per un controcredito derivante da presunte attività di supporto informatico.

Nei primi due gradi di giudizio, la domanda dell’avvocato veniva accolta, mentre quella del cliente respinta. Tuttavia, sia il Tribunale che la Corte d’Appello decidevano di compensare le spese di lite. La ragione? Le corti di merito avevano accolto la richiesta del cliente di ordinare la cancellazione di alcune frasi, ritenute offensive e non pertinenti, contenute negli atti difensivi del legale. Secondo i giudici, questo accoglimento parziale configurava una “soccombenza reciproca”, presupposto che legittima la compensazione delle spese.

La Corte d’Appello, inoltre, condannava l’avvocato a un risarcimento del danno per responsabilità processuale aggravata (ex art. 96 c.p.c.), per aver abusato degli strumenti di tutela negando l’evidente carattere ingiurioso delle frasi utilizzate.

La Questione sulla Compensazione Spese

L’avvocato, pur vittorioso sulla sua pretesa principale, ricorreva in Cassazione, lamentando proprio l’illegittima compensazione delle spese. La questione giuridica sottoposta alla Suprema Corte era netta: l’ordine di cancellare espressioni offensive, ai sensi dell’art. 89 c.p.c., può essere considerato una “domanda” il cui accoglimento determina una soccombenza parziale, giustificando così la compensazione spese?

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’avvocato, cassando la sentenza d’appello e offrendo un’importante lezione sulla distinzione tra l’esito del giudizio e la condotta processuale delle parti.

Il ragionamento della Corte si fonda su un punto cruciale: la richiesta di cancellazione di frasi offensive non è una vera e propria domanda giudiziale. Si tratta, piuttosto, di una “semplice sollecitazione all’esercizio di un potere officioso del giudice”. In altre parole, il giudice ha il potere-dovere di vigilare sulla correttezza e la lealtà del dibattito processuale e può ordinare la cancellazione di tali frasi anche senza una richiesta specifica di parte.

Di conseguenza, essere il destinatario di un simile ordine non significa “perdere” una parte della causa. La soccombenza, il criterio principe per la ripartizione delle spese, va misurata esclusivamente rispetto alle domande che riguardano il “bene della vita” conteso nel giudizio (in questo caso, il pagamento dei compensi e il controcredito). Non si può essere considerati soccombenti per questioni meramente accessorie e ordinatorie, legate alla condotta processuale.

La Corte ha specificato che una vera e propria domanda giudiziale, capace di incidere sulla soccombenza, è invece la richiesta di risarcimento del danno (anche non patrimoniale) per le espressioni offensive, come previsto dallo stesso art. 89 c.p.c. Tale domanda, però, non era stata formulata nel caso di specie.

Conclusioni

La decisione della Cassazione rafforza un principio di chiarezza nella gestione delle spese processuali. La vittoria nel merito deve essere piena e comportare, di regola, la condanna della parte soccombente al pagamento di tutte le spese. La sanzione per un comportamento processuale scorretto, come l’uso di un linguaggio inappropriato, deve trovare la sua strada in strumenti specifici (come l’ordine di cancellazione o il risarcimento del danno ex art. 89 e 96 c.p.c.), ma non può “inquinare” la valutazione sulla soccombenza relativa alle domande principali. In assenza di una soccombenza reciproca o parziale nel merito della causa, la compensazione spese è illegittima.

Ordinare la cancellazione di frasi offensive in un atto rende la parte parzialmente soccombente?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che tale ordine non costituisce soccombenza. La richiesta di cancellazione non è una vera e propria domanda giudiziale, ma una semplice sollecitazione al giudice per l’esercizio di un suo potere d’ufficio, strumentale al dovere di lealtà e probità processuale.

È possibile disporre la compensazione delle spese legali solo perché una parte ha usato un linguaggio inappropriato?
No. La compensazione delle spese si giustifica solo in caso di soccombenza reciproca o parziale sulle domande principali della causa. Secondo la Corte, l’uso di frasi offensive, pur essendo un comportamento sanzionabile, non incide sulla valutazione della soccombenza ai fini della ripartizione delle spese di lite.

Qual è la differenza tra la richiesta di cancellazione di frasi offensive e una domanda di risarcimento danni per le stesse frasi?
La richiesta di cancellazione è un’istanza accessoria che sollecita un potere ordinatorio del giudice e non costituisce una domanda giudiziale. Al contrario, la richiesta di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 89 c.p.c. è una vera e propria domanda giudiziale che, se accolta, incide sull’esito della lite e può determinare una soccombenza parziale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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