Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26045 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 26045 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/10/2024
Oggetto: Spese di lite
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27568/2019 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO.
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, INDIRIZZO.
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 512/2019 della Corte d’Appello di Bologna, pubblicata il 14/2/2019 e non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11 settembre 2024 dalla dott.AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO;
Fatti di causa
Con atto di citazione del 29/9/1990, NOME COGNOME, premesso che NOME COGNOME aveva edificato sul proprio fondo e
parallelamente al confine una trincea per insilato per la propria azienda, consistita nella realizzazione di un muro in calcestruzzo per un’altezza di mt. 2.30 e spessore di cm. 30 e relative paratie trasversali, per la quale aveva previamente ottenuto la concessione edilizia; che aveva indicato nel progetto falsamente come esistente in quel punto un muretto al confine in realtà edificato ex novo; che questo muro non costituiva una recinzione ma un elemento costitutivo della trincea sicché avrebbe dovuto essere posto a mt. 5.00 dal confine e che il deposito di insilato violava anche la distanza minima prevista dall’art. 890 cod. civ.; tutto ciò premesso, convenne in giudizio davanti al Tribunale di Padova NOME, onde ottenere la sua condanna all’abbattimento integrale del muro, l’ordine di eliminazione della trincea per insilato insistente al confine, la determinazione della distanza minima dal confine da rispettare nell’eventuale ricostruzione della trincea, l’ordine di cessazione dell’immissione di acque luride provenienti dalla stalla e dalla casa del convenuto e la condanna dello stesso al risarcimento dei danni per l’abusiva costruzione del muro e le altre irregolarità.
Costituitosi in giudizio, NOME COGNOME osservò che il muro costruito a confine era un muro di cinta, sottratto, in quanto tale, alle norme sulle distanze di cui all’art. 878 cod. civ., mentre la platea per il deposito dell’insilato non poteva ritenersi costruzione in quanto non emergeva sensibilmente dal suolo.
Il Tribunale di Padova rigettò le domande proposte da NOME COGNOME con sentenza n. 1002/96, che, impugnata dal medesimo, fu confermata dalla Corte d’Appello di Venezia con la sentenza n. 124/2001.
La Corte di Cassazione, adita dal soccombente NOME COGNOME, accolse con sentenza n. 12459/04 il secondo motivo di ricorso (col quale era stata denunciata la violazione degli artt. 878, 880 e 881 cod. civ., nonché degli artt. 15, 16, 17 e 18 delle norme di
attuazione del PRG), e rinviò il giudizio alla Corte d’Appello di Bologna al fine di attenersi ai principi enunciati in ordine alle caratteristiche proprie del muro di cinta e alla nozione di costruzione per la quale vi era obbligo di rispettare le distanze.
Rilevò questa Corte che non erano state sufficientemente valutate le caratteristiche proprie del muro di cinta sottratto alle distanze legali, che il muro di contenimento o di sostegno perdeva le caratteristiche di muro di cinta per acquistare quelle di vera e propria costruzione da realizzarsi nel rispetto delle distanze legali e che l’unione dei due muri per mezzo della platea di cemento rendeva i tre manufatti collegati tra loro: occorreva quindi verificare se, tenuto conto della funzione svolta nell’insieme dal manufatto, potesse in esso ravvisarsi una costruzione soggetta al rispetto delle distanze ex art. 873 cod. civ. e regolamenti integrativi.
Il giudizio di rinvio, instaurato da NOME COGNOME, si concluse con la sentenza n. 852/2012, con la quale la Corte d’Appello di Bologna condannò NOME ad eliminare il muro posto a confine e a posizionare la platea di cemento fino alla distanza di mt. 3.00 dal confine e a pagare a COGNOME NOME la somma di € 5.000,00 a titolo di risarcimento danni.
NOME COGNOME, risultato soccombente, avviò un nuovo giudizio di legittimità, lamentando l’erroneità della decisione nella parte in cui aveva sostenuto che la misura di mt. 3.00 indicata nell’art. 873 cod. civ. riguardasse la distanza tra una costruzione e il confine e non, invece, la distanza tra costruzioni e fondi finitimi.
Propose ricorso incidentale NOME COGNOME, denunziando a sua volta la violazione degli artt. 872 e 873 cod. civ., nonché dell’art. 15.4 delle NTA del PRG del Comune di Santa Cristina in Colle, in quanto la condanna aveva riguardato l’arretramento a mt. 3.00 dal confine, anziché a mt. 5.00.
Il secondo giudizio di legittimità si concluse con la sentenza n. 20529/2017, con la quale questa Corte rigettò il ricorso incidentale e accolse quello principale, rinviando ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna.
Il nuovo giudizio di rinvio fu instaurato da NOME COGNOME, che chiese il rigetto delle domande avverse e l’ordine di cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale.
Con la sentenza n. 512/2019, pubblicata il 14 febbraio 2019, la Corte d’Appello di Bologna, quale giudice di rinvio, rigettò le domande avanzate da NOME COGNOME, condannò NOME COGNOME a pagare a NOME COGNOME le somme ricevute in esecuzione delle condanne contenute nella sentenza n. 852/2012 emessa dalla Corte d’Appello di Bologna, ordinando la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale.
Infine, dichiarò integralmente compensate le spese di tutti i giudizi, sul rilievo che, per quanto qui interessa, la regola che aveva determinato l’esito del giudizio era entrata in vigore solo in corso di causa; osservò inoltre che l’oggettiva controvertibilità dell’interpretazione da dare al complesso delle nuove NTA costituiva un giusto motivo di compensazione.
Contro la predetta sentenza, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
NOME COGNOME resiste con controricorso, illustrato anche con memoria.
Ragioni della decisione.
Con il primo motivo, si lamenta il vizio di motivazione apparente con riferimento alla compensazione delle spese di lite e la conseguente nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ.: ad avviso del ricorrente, la Corte d’Appello di Bologna ha motivato la compensazione delle spese sull’erroneo presupposto che la regola sulla possibilità di edificare un’opera
lungo il confine del proprio fondo, purché priva di copertura, fosse sopravvenuta, mentre invece era in vigore fin da prima che NOME COGNOME realizzasse il manufatto, con conseguente apparenza ed erroneità della motivazione.
Con il secondo motivo, si lamenta la violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., vigenti ratione temporis , e del principio secondo cui le spese di lite possono essere compensate tra le parti solo in presenza di giusti motivi, i quali, se palesemente illogici, inconsistenti od erronei, viziano il relativo capo di sentenza, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. Il ricorrente ha evidenziato che non era mai stata messa in dubbio la portata precettiva delle NTA, ma solo la loro legittimità, e che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20529/2017, aveva con certezza evidenziato la portata derogatoria dell’art. 4.12, afferente alle costruzioni prive di copertura, rispetto alla disposizione di cui all’art. 15.4 (che impone la distanza di mt. 5 dal confine per le costruzioni).
I due motivi, da trattare congiuntamente in ragione della stretta connessione, sono infondati.
In merito al regime delle spese processuali, il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle stesse, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite, dovendo la soccombenza, ai fini della liquidazione delle spese, essere stabilita in base ad un criterio unitario e globale (Cass., Sez. 3, 11/6/2008, n. 15483), sicché egli, anche quando operi come giudice di rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, ben può attenersi al principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che
ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, così come può legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione -e, tuttavia, complessivamente soccombente – al rimborso delle stesse in favore della controparte (in tal senso, Cass., Sez. U, 8/11/2022, n. 32906; anche Cass., Sez. 1, 9/10/2015, n. 20289).
Ciò premesso, avendo la controversia in esame avuto inizio nel 1990, trova applicazione la versione dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. antecedente alla modifica intervenuta con l’art. 2, comma 1, lett. a), legge 28 dicembre 2005, n. 263, che ha introdotto l’obbligo del giudice di indicare i motivi della compensazione delle spese di lite, allorché era previsto che « se vi è soccombenza reciproca o concorrano altri giusti motivi, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti ».
In ordine all’interpretazione di questa norma, le Sezioni Unite con sentenza n. 20598 del 30/7/2008, hanno chiarito che nel regime anteriore a quello introdotto nel 2005, il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese “per giusti motivi” deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non è necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento, purché le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (o di rito), sicché l’obbligo del giudice è assolto anche quando le argomentazioni svolte per la statuizione di merito (o di rito) contengano in sé considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la regolazione delle spese adottata (in questi termini, anche Cass., Sez. L, 23/3/2009, n. 6970; Cass., Sez. L, 31/7/2009, n. 17868).
E’ stato, peraltro, anche chiarito che la valutazione operata dal giudice di merito può essere censurata in cassazione se le spese sono poste a carico della parte totalmente vittoriosa ovvero quando la motivazione sia illogica e contraddittoria e tale da inficiare, per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale (per tutte vedi Cass., Sez. 6-L, 2/2/2010, n. 245331, riferita a fattispecie regolata dal vecchio testo dell’art. 360 comma 1 n. 5 cpc ).
Tale principio deve perciò necessariamente coordinarsi con quello affermato da questa Corte in relazione alla riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, la quale deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (tra le varie, Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).
Scendendo più nel dettaglio sull’analisi del vizio di motivazione apparente, la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che il vizio ricorra quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far
conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante, Cass., Sez. U, 30/1/2023, n. 2767; Cass., Sez. U, 03/11/2016 n. 22232; Cass., Sez. U, del 2016, n. 16599; Cass., Sez. 6 – 1, 01/03/2022 n. 6758, Rv. 664061; Cass., Sez. 6-5, 23/05/2019, n. 13977, Rv. 654145).
Orbene, nel caso in esame, i giudici di merito hanno ampiamente argomentato sui motivi per i quali hanno ritenuto di compensare le spese di lite, evidenziando all’uopo diverse circostanze, ossia, per un verso, il mutamento dei termini giuridici della controversia per effetto della modifica subita dagli NTA del Comune di Santa Giustina del Colle, allegata da NOME COGNOME nel primo giudizio di rinvio davanti alla Corte d’Appello di Bologna, onde avvalorare un’interpretazione legittimante le costruzioni a distanza inferiore a cinque metri dal confine, purché scoperte, e soggetta a contrasto ermeneutico tra le parti; per altro verso, il giudicato formatosi in ordine all’inapplicabilità alla specie di una distanza minima della costruzione dal confine, non riscontrabile né nella disciplina regolamentare, né nel codice civile, e l’interpretazione delle citate norme regolamentari, stante la pronuncia espressa sul punto in sede di legittimità; per altro verso ancora, l’infondatezza della domanda proposta da NOME COGNOME per effetto della modifica delle NTA (nuovi artt. 4 e 15), come interpretate in sede di legittimità, essendo la stessa prima di esse, viceversa, fondata, e, per altro verso ancora, l’oggettiva controvertibilità, infine, dell’interpretazione da dare al complesso delle nuove NTA.
E’ allora evidente l’inconsistenza delle doglianze proposte, non soltanto perché la motivazione resa non può dirsi apparente, avendo i giudici dato ampiamente conto delle ragioni del proprio convincimento, ora richiamando l’interpretazione offerta sulle
nuove NTA anche da questa Corte, tale da determinare il rigetto della domanda, originariamente, invece, accoglibile e in effetti accolta nei precedenti gradi del giudizio, ora evidenziando l’oggettiva controvertibilità dell’esegesi delle predette disposizioni, peraltro oggetto di contrasto tra le parti, piuttosto che della loro applicabilità alla specie, ma anche perché, come risulta dalla stessa sentenza, fu proprio il ricorrente a eccepire il mutamento della normativa, prospettandolo in termini di ius superveniens onde avvalorare la correttezza del proprio operato, restando indifferente che la contestazione sulla relativa interpretazione fosse provenuta dallo stesso ricorrente o dalla sua controparte.
4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
Sussistono altresì i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 11/9/2024.
Il Presidente
NOME COGNOME