Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12460 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12460 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/05/2025
Oggetto:
RAGIONE_SOCIALE recesso liquidazione quota
AC – 23/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 00489/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dall ‘avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa da ll’ avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza del Tribunale di Firenze n. 973/2020, pubblicata il 23 aprile 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME, socio receduto dalla RAGIONE_SOCIALE all’esito della sua trasformazione nella RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, ha ottenuto in data 30 luglio 2015 dal Giudice di Pace di Firenze un decreto ingiuntivo per euro 1.303,47, oltre accessori, nei confronti dell’odierna controricorrente, a titolo di saldo della quota di liquidazione.
La società ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo, che il Giudice di Pace di Firenze ha accolto, revocando il decreto ingiuntivo e disponendo per le conseguenti restituzioni.
Il Tribunale di Firenze, adito in sede di appello, con la sentenza in questa sede impugnata ha respinto il gravame proposto dal COGNOME
Avverso la predetta sentenza, il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi, resistito dalla RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Il giudice di appello, per quanto in questa sede ancora rileva, ha osservato: a) che il credito vantato dalla società e oggetto di lite non poteva considerarsi prescritto, come invece eccepito dal COGNOME, siccome la società aveva esercitato il proprio credito allorquando nel 2009 lo aveva compensato con il credito del COGNOME derivante dalla
liquidazione della quota, sicché in quel momento non poteva dirsi in alcun modo decorso il termine quinquennale di prescrizione, nella specie applicabile per i rapporti societari; b) che il credito opposto in compensazione era liquido, siccome provato in atti da assegni e da ritenute di acconto; c) che del tutto generiche dovevano valutarsi le contestazioni mosse dal COGNOME, sia nel 2009 che nel 2015, in relazione alla perizia di valutazione del patrimonio sociale per determinare la quota di recesso, come pure in relazione alla mancata allegazione della ragione dell’emissione dei due assegni in suo favore sulla base dei quali la società fondava la propria pretesa restitutoria; d) che il COGNOME era subentrato nella compagine sociale quale erede di NOME COGNOME assieme agli altri soci indicati nel testamento olografo di quest’ultima, nella percentuale ivi incontestatamente indicata dalla de cuius .
3. Le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1. Il ricorso lamenta:
a) Primo motivo di ricorso «1. Violazione di legge ai sensi dell’ art. 360 n. 3 c.p.c. in riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c., 2949 c.c. e 1243 c.c., 2697 c.c. nella parte in cui ha respinto l’eccezione di prescrizione del credito portato in compensazione», deducendo che la sentenza impugnata sarebbe del tutto apodittica laddove ha collocato la nascita del credito della società nei suoi confronti negli anni 2007-2008 e contrasterebbe sul punto in modo insanabile con quanto prodotto dalla stessa società, che nel riassunto delle somme a proprio credito ha indicato un riferimento temporale dal 1998 al 2008, con conseguente prescrizione al 2009 di tutte le somme precedenti al giugno 2004.
r.g. n. 00489/2021 Cons. est. NOME COGNOME
Il motivo è infondato laddove lamenta la nullità della sentenza per asserita apoditticità della motivazione. Va premesso che la giurisprudenza di questa Corte, a far data da Cass. S.U. n. 22232 del 2016, si è attestata nell’affermare che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019; id. Sez. L, Ordinanza n. 3819 del 14/02/2020; id. Sez. 1, ordinanza n. 18793 del 02/07/2021; id. Sez. 5, sentenza n. 20140 del 15/07/2021). Tali condizioni non ricorrono nel caso di specie, ove il giudice di appello ha chiaramente mostrato di condividere la valutazione effettuata dal giudice di primo grado e inerente all’accertamento in fatto secondo cui il credito opposto in compensazione per cui è causa era stato esercitato dalla società nel 2009, allorquando era avvenuta la trasformazione della società di persone in società di capitali e, pertanto, si era proceduto alla valutazione del patrimonio esistente a tale data, anche in esito alla perizia di stima di cui all’art. 2473 cod. civ., in esito alla quale era risultato che, a fronte del credito del socio receduto, vi era un controcredito della società, derivante da esborsi patrimoniali contabilizzati effettuati sino a quale momento in favore del COGNOME e, prima di lui, della sua dante causa ex causa hereditatis NOME COGNOME
Una motivazione che, come si vede, è del tutto intelleggibile e ben al di sopra del minimo costituzionale.
Quanto alla pretesa falsa applicazione della disciplina della prescrizione, va rilevato che il motivo è inammissibile, sia perché è totalmente versato in fatto, pretendendo da questa Corte di sola legittimità un’ulteriore rivalutazione del materiale probatorio, sia perché finisce per non cogliere la ratio decidendi della sentenza impugnata che, come detto, si individua nella circostanza che la società controricorrente ha esercitato il suo diritto di escutere il proprio credito risultante dalle scritture contabili proprio nel 2009, allorquando è stato esercitato il diritto di recesso, sicché la data di origine dei singoli crediti contenuti nelle scritture contabili era, a tal fine, del tutto irrilevante.
b) Secondo motivo di ricorso «2. Omesso esame di un fatto storico rilevante ai fini della decisione ai sensi dell’a rt. 360 n. 5 c.p.c. nella parte in cui ha omesso di rilevare che le ritenute d’acconto considerate come parte del credito portato in compensazione nell’ottobre 2009 erano relative al periodo dal 1998 al 2004», deducendo che la sentenza impugnata avrebbe omesso di analizzare il contenuto del documento prodotto dalla stessa società dal quale si evinceva che alcune somme opposte in compensazione erano risalenti a prima del 2004 e, pertanto, dovevano considerarsi prescritte, come già rilevato con il primo motivo di ricorso.
Il motivo è infondato nella parte in cui lamenta l’omesso esame della documentazione versata in atti dalla società controricorrente atteso che -anche sulla base delle considerazioni svolte a commento del primo motivo di ricorso -le fonti probatorie, da cui il Tribunale ha dedotto la prova
del l’esistenza del credito della società, sono state puntualmente indicate e valutate; peraltro, la censura si mostra inammissibile, sia per la preclusione derivante dalla c.d. ‘doppia conforme’ di merito (art. 348ter cod. proc. civ.), sia laddove pretende un riesame del ragionamento valutativo delle prove medesime, per le stesse ragioni già indicate a commento del primo motivo di ricorso.
Terzo motivo di ricorso «3. Nullità della sentenza ex art. 360 n. 4 c.p.c. in riferimento alla violazione dell’art. 132 comma 4 c.p.c. per omessa e/o meramente apparente motivazione sull’esistenza sul preteso credito ex adverso opposto in compensazione», deducendo la natura meramente apparente della sentenza impugnata, laddove la stessa ha confermato la valutazione del giudice di primo grado inerente alla ritenuta sussistenza della natura liquida del credito opposto in compensazione.
Il motivo è infondato, atteso che -come già detto a commento del primo motivo di ricorso -la motivazione resa sul punto dell’ accertamento e delle caratteristiche del credito opposto in compensazione è perfettamente intelleggibile e ben al di sopra del minimo costituzionale, laddove per il resto – in assenza di contestazioni inerenti ai canoni di interpretazione critica del ragionamento valutativo delle prove – essa appartiene in via esclusiva alla fase di merito del processo.
Quarto motivo di ricorso «4. Violazione di legge ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. in riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c., 1243 c.c. e 2697 c.c. nella parte in cui ha ritenuto esistente e provato il preteso credito ex adverso opposto in compensazione», deducendo l’erroneità della sentenza
impugnata laddove ha omesso ogni valutazione critica del contenuto della produzioni documentali effettuate dalla società e qualificate, invece, come valida prova del credito opposto in compensazione, omettendo di considerare la specifica contestazione del loro valore probatorio effettuata con l’atto di appello, segnatamente in relazione alla operazione di stima del valore della quota di recesso.
Il motivo è infondato, atteso che la sentenza impugnata ha fornito una motivazione perfettamente riconoscibile in tema di rivalutazione conforme del già effettuato accertamento probatorio del primo grado di giudizio, citando le fonti di prova e deducendo dalle stesse la prova della liquidità e della conseguente compensabilità del controcredito sociale; per altro verso, la censura è inammissibile, laddove pretende da questa Corte una nuova e comunque diversa valutazione del materiale probatorio versato in atti ai fini della dimostrazione della esistenza e della liquidità del credito per cui è causa ed è pertanto totalmente versata in fatto.
Quinto motivo di ricorso «5. Violazione di legge ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. in riferimento agli artt. 2697 c.c. e 1813 c.c. nella parte in cui ha ritenuto esistente un obbligo restitutorio sulla base della deduzione della consegna di una somma di denaro», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove ha ritenuto provato il credito restitutorio vantato dalla società allorquando, anche ad ammettere che vi fosse un principio di prova della consegna al ricorrente di somme di denaro da parte della società, il giudice di appello avrebbe del tutto omesso di indicare il titolo della pretesa restitutoria.
Il motivo è infondato laddove lamenta la mancata qualificazione del credito per cui è causa, atteso che la sentenza impugnata qualifica espressamente la pretesa quale credito della società nei confronti del socio receduto, opponibile in sede di liquidazione del controcredito del socio stesso; per altro verso, la censura è inammissibile, laddove pretende da questa Corte una nuova e comunque diversa valutazione del materiale probatorio versato in atti ai fini della dimostrazione dell’inesistenza del credito per cui è causa.
f) Sesto motivo di ricorso «6. Violazione di legge ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. in riferimento agli artt. 752, 754 e 756 c.c. e 2290 c.c. nella parte in cui ha escluso la rilevanza di accertare la posizione di legatario o di erede del COGNOME e ritenuto che dei debiti inerenti la quota di partecipazione debbano comunque rispondere i successori subentrati nella titolarità della medesima quota», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove ha omesso di rilevare che il preteso debito della socia NOME COGNOME non aveva alcuna attinenza con la successione nei diritti delle quote sociali disposta per testamento e per avere apoditticamente affermato la successione del ricorrente nel capitale della società per effetto della morte del testatore.
Il motivo è inammissibile poiché non si confronta, ma anzi prescinde, dalla qualificazione fornita dai giudici del merito del credito per cui è causa come un controcredito societario derivante dalla contabilità sociale esistente al momento della liquidazione della quota del socio receduto, rispetto al quale la vicenda traslativa testamentaria è espressamente giudicata come irrilevante, atteso che essa ha determinato solamente
l’ammontar e della percentuale della quota sociale riconosciuta al COGNOME, rispetto alla quale del tutto irrilevante è la valutazione della tipologia della delazione. Affermazione alla quale la censura in esame non oppone alcuna valida contestazione, pretendendo il ricorrente di discutere in questa fase della propria natura di legatario piuttosto che di erede testamentario parziale della quota della de cuius , senza previamente allegare, ancor prima che dimostrare, la rilevanza di tali argomentazioni rispetto alla causa petendi del giudizio, che si basa su rapporti di puro diritto societario connessi alla liquidazione della quota di partecipazione del socio receduto, il cui ammontare percentuale e le cui modalità di formazione non appaiono in alcun modo essere oggetto di lite, né la censura indica come, dove e quando la relativa questione sia stata introdotta e coltivata nel corso del giudizio di merito.
Settimo motivo di ricorso «7. Nullità della sentenza ex art. 360 n. 4 c.p.c. in riferimento alla violazione dell’art. 132 comma 4 c.p.c. per omessa e/o meramente apparente motivazione nella parte in cui afferma che dei debiti inerenti alla quota di partecipazione societaria, debbano rispondere i successori subentrati nella titolarità della medesima quota in proporzione della percentuale di rispettiva spettanza.
Il motivo è infondato, atteso che la sentenza impugnata ha fornito una motivazione perfettamente riconoscibile in tema di qualificazione della causa petendi del giudizio che, come già detto, ha per oggetto la liquidazione della quota del socio receduto e non la legittimità della formazione della quota per effetto della delazione ereditaria.
La soccombenza regola le spese, liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna COGNOME Giovanni a rifondere alla RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE le spese della presente fase di legittimità, che liquida in complessivi euro 1.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 aprile 2025.