Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15725 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 15725 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24629-2020 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2207/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 27/01/2020 R.G.N. 86/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/03/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Lavoro privatoCompensazione impropria Ammissibilità
R.G.N. 24629/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 25/03/2025
CC
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Como di revoca del decreto ingiuntivo n. 233/2017 del medesimo Tribunale, che aveva ingiunto alla società RAGIONE_SOCIALE di pagare all’ex-dipendente NOME COGNOME COGNOME la somma di € 85.423,16, oltre accessori, a titolo di TFR;
i giudici di merito hanno accolto l’opposizione della società, osservando che il pluridecennale rapporto di lavoro con NOME COGNOME COGNOME, impiegato responsabile dell’ufficio contabilità dal 1983, si era interrotto il 21.5.2016, per avere quest’ultimo eseguito nel corso del 2015 malversazioni ai danni della società per complessivi € 300.000; in particolare, la prova del danno subìto dalla società in nesso di causa con la condotta del lavoratore è stata ricavata da d ichiarazione sottoscritta dal lavoratore stesso in sede disciplinare, di aver compiuto le malversazioni comunicategli dal collegio sindacale, e da testimonianza di componente del collegio sindacale della società, di riscontro nella documentazione bancaria della segnalazione che erano stati disposti boni fici dall’ex -dipendente per circa € 300.000 per fini diversi da quelli della società;
3. per la cassazione della sentenza d’appello ricorre NOME COGNOME COGNOME con 3 motivi; resiste la società con controricorso, illustrato da memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
con il primo motivo, parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. (art. 360, n. 4, c.p.c.) e nullità della sentenza per motivazione apparente e obiettivamente incomprensibile;
2. il motivo è infondato;
secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105/2017; conf. Cass, n. 20921/2019), restando il sindacato di legittimità sulla motivazione circoscritto alla sola verifica della violazione del cd. minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (Cass. S.U. n. 8053 e n. 8054/2014, n. 23940/2017, n. 16595/2019); nel caso di specie, la Corte ha esplicitato adeguatamente il percorso logico-argomentativo che l’ha portata alla revoca del decreto ingiuntivo opposto (così come il Tribunale); motivazione non condivisa non significa motivazione nulla, e, infatti, essa viene criticata nei motivi successivi;
con il secondo motivo, parte ricorrente deduce omesso esame di fatto decisivo (art. 360, n. 5, c.p.c.);
il motivo è inammissibile, in quanto precluso dalla pronuncia di merito doppia conforme, ai sensi dell’art. 360, comma 4, c.p.c., che stabilisce che, quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti posti a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, primo comma, nn. 1), 2), 3), 4), c.p.c.;
con il terzo motivo, deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1241, 1243, 1246 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.), contestando la ricorrenza nella specie dei presupposti della operata compensazione impropria;
7. il motivo non è fondato;
nel caso di specie, è stata operata compensazione atecnica (o impropria) tra le rispettive partite di dare-avere derivanti dal medesimo rapporto di lavoro, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, che ha chiarito che, quando tra due soggetti i rispettivi debiti e crediti hanno origine da un unico, ancorché complesso, rapporto, non vi è luogo ad una ipotesi di compensazione propria, bensì a un mero accertamento di dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, cui il giudice può procedere senza che siano necessarie l’eccezione di parte o la domanda riconvenzionale (Cass. n. 26365/2024; v. anche Cass. n. 6700/2024, n. 5777/2024, nonché Cass. n. 10132/2018 richiamata dalla sentenza impugnata);
le spese di lite del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza; al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.p.r. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.