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Compensazione impropria: quando si applica?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 6700/2024, affronta il tema della compensazione impropria. Nel caso esaminato, due arbitri avevano emesso un lodo tardivo, poi annullato. La parte che li aveva incaricati ha chiesto la restituzione degli acconti versati, sostenendo di aver subito un danno maggiore a causa dell’inadempimento. La Corte ha stabilito che il credito al compenso degli arbitri si è estinto per compensazione impropria con il maggior credito risarcitorio del cliente, sorto dallo stesso rapporto di mandato, confermando la condanna alla restituzione delle somme.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compensazione Impropria: Quando il Danno Annulla il Compenso

Quando un professionista non adempie correttamente al proprio incarico, ha comunque diritto al compenso? E se il cliente ha subito un danno a causa di questo inadempimento? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un istituto fondamentale per rispondere a queste domande: la compensazione impropria. Questo meccanismo consente di ‘bilanciare’ dare e avere all’interno dello stesso rapporto contrattuale, con conseguenze significative per entrambe le parti. Analizziamo la vicenda per capire come funziona.

I Fatti di Causa

La controversia nasce da un incarico affidato a due arbitri per risolvere una disputa tra un imprenditore e una società di costruzioni. Gli arbitri, tuttavia, depositano il loro lodo oltre il termine previsto, causandone la nullità. L’imprenditore, che nel frattempo aveva versato cospicui acconti per il compenso degli arbitri, agisce in giudizio per ottenerne la restituzione.

La sua tesi è semplice: l’inadempimento degli arbitri (il ritardo nel deposito del lodo) gli ha causato un danno ben superiore al compenso versato. In particolare, la nullità del lodo gli ha impedito di riscuotere un ingente credito nei confronti della società di costruzioni, che nel lungo tempo trascorso per le vicende giudiziarie è stata cancellata dal registro delle imprese. Di conseguenza, il diritto degli arbitri al compenso dovrebbe considerarsi estinto a fronte del maggior danno patito dal cliente.

L’Iter Giudiziario e la Compensazione Impropria

Il percorso legale è lungo e complesso, con la questione che arriva per ben due volte in Cassazione. Il punto di svolta è la prima sentenza della Suprema Corte, che stabilisce un principio fondamentale: l’annullamento del lodo per un vizio imputabile agli arbitri può generare un pregiudizio per il cliente, suscettibile di compensazione impropria con il credito degli arbitri per il compenso.

Il caso viene quindi rinviato alla Corte d’Appello, che, seguendo le indicazioni della Cassazione, accerta l’esistenza di un danno effettivo per l’imprenditore. I giudici di secondo grado condannano gli arbitri a restituire gli acconti ricevuti. Gli arbitri impugnano nuovamente la decisione in Cassazione, sostenendo, tra le altre cose, che la richiesta di risarcimento del danno fosse stata introdotta tardivamente e che non sussistessero i presupposti per la compensazione. La Suprema Corte, con l’ordinanza in esame, rigetta definitivamente i ricorsi, consolidando l’applicazione dell’istituto della compensazione impropria al caso di specie.

Le motivazioni

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella distinzione tra la compensazione ‘propria’ (o legale, disciplinata dall’art. 1243 c.c.) e la compensazione impropria (o atecnica). La prima si applica quando i crediti e i debiti derivano da rapporti giuridici distinti e richiede requisiti stringenti (certezza, liquidità ed esigibilità dei crediti). La compensazione impropria, invece, opera quando i crediti e i debiti reciproci scaturiscono da un unico rapporto. In questo scenario, il giudice non fa altro che un accertamento contabile del dare e dell’avere tra le parti, senza la necessità di un’apposita domanda o eccezione di parte.

Nel caso in esame, sia il diritto al compenso degli arbitri sia il diritto al risarcimento del danno del cliente derivavano dallo stesso e unico rapporto: il contratto di mandato professionale. L’inadempimento degli arbitri (il tardivo deposito) ha generato un controcredito per danni in capo al cliente. Poiché questo danno è risultato essere di ammontare superiore al compenso pattuito, il credito degli arbitri è stato considerato estinto. Di conseguenza, gli acconti versati sono diventati una prestazione non dovuta e dovevano essere restituiti.

La Corte ha inoltre chiarito che, ai fini della compensazione impropria, non è rilevante che il cliente si fosse riservato di agire in un separato giudizio per il risarcimento completo dei danni. Ciò che conta è che le circostanze fattuali alla base del danno fossero state tempestivamente introdotte nel processo, permettendo al giudice di effettuare la necessaria valutazione comparativa.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre importanti spunti pratici. In primo luogo, rafforza la tutela del cliente nei confronti del professionista inadempiente. Il diritto al compenso non è assoluto, ma è strettamente legato al corretto adempimento della prestazione. In caso di inadempimento colpevole che causi un danno, il diritto al compenso può essere ridotto o addirittura azzerato per effetto della compensazione impropria. In secondo luogo, chiarisce che tale meccanismo opera quasi automaticamente all’interno dello stesso rapporto, come una sorta di ‘autotutela’ riconosciuta dall’ordinamento. Per il cliente, è sufficiente allegare e provare i fatti che costituiscono l’inadempimento e il danno conseguente, senza dover necessariamente avviare una formale domanda riconvenzionale.

Quando si applica la compensazione impropria?
Si applica quando i crediti e i debiti reciproci tra le parti nascono da un unico e medesimo rapporto giuridico, come un contratto di mandato o di prestazione d’opera professionale. In questo caso, il giudice procede a una valutazione complessiva del dare e avere.

È necessario formulare una specifica domanda riconvenzionale per far valere la compensazione impropria?
No. A differenza della compensazione legale, quella impropria non richiede un’eccezione di parte o una domanda riconvenzionale. Il giudice può rilevarla d’ufficio, a condizione che i fatti su cui si basa il controcredito siano stati regolarmente introdotti e provati nel corso del giudizio.

Un professionista che non adempie correttamente al suo incarico ha diritto al compenso?
Secondo questa ordinanza, se l’inadempimento del professionista causa al cliente un danno di importo pari o superiore al compenso pattuito, il diritto al compenso si estingue per compensazione impropria. Di conseguenza, il professionista non solo non avrà diritto al saldo, ma dovrà restituire gli acconti eventualmente già percepiti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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