Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 33034 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 33034 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18223/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso
lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME
– controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE
– intimata – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 1564/2019 depositata in data 08/04/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE proponeva appello contro la sentenza del Tribunale di Milano con la quale erano state respinte le sue domande intese ad ottenere la condanna della RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di € 469.961,27 costituita dall’oggetto di un diritto di credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE, successivamente trasformatasi nella sRAGIONE_SOCIALE e, quindi, nella RAGIONE_SOCIALE poi dichiarata RAGIONE_SOCIALE, verso la RAGIONE_SOCIALE e alla medesima RAGIONE_SOCIALE ceduto o, in subordine, la condanna della RAGIONE_SOCIALE, cessionaria dell’azienda comprendente l’obbligazione alla quale corrisponde il diritto di credito ceduto dalla RAGIONE_SOCIALE, e della RAGIONE_SOCIALE liquidazione, originaria titolare di quella azienda, al
pagamento di tale somma o della parte di essa al cui pagamento non fosse stata condannata la RAGIONE_SOCIALE.
Il Tribunale di Milano aveva ritenuto provata dalla RAGIONE_SOCIALE l’ esistenza dei diritti di credito sorti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per i ritardi e le omissioni nella esecuzione delle opere che essa avrebbe dovuto compiere in base ad un contratto di subappalto concluso tra la RAGIONE_SOCIALE ed un RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE cui la medesima RAGIONE_SOCIALE aveva partecipato. Crediti opposti in compensazione a quelli ceduti alla RAGIONE_SOCIALE COGNOME e fatti valere in base a quel contratto.
Peraltro il sopravvenire del fallimento della società RAGIONE_SOCIALE impediva di accertare l’esistenza di ulteriori diritti di credito vantati nei confronti della RAGIONE_SOCIALE poi trasformatasi nella RAGIONE_SOCIALE.r.RAGIONE_SOCIALE. RAGIONE_SOCIALE e quindi nella sRAGIONE_SOCIALE.
Il Tribunale aveva dichiarato la carenza di legittimazione passiva della RAGIONE_SOCIALE in relazione alle domande di condanna nei suoi confronti proposte a causa della avvenuta cessione da parte di essa dell’azienda comprendente le obbligazioni originate dal contratto d’appalto alla RAGIONE_SOCIALE e aveva comunque respinto ogni domanda proposta nei confronti di quest’ultima e della RAGIONE_SOCIALE in conseguenza della avvenuta definizione con accordi transattivi delle controversie sorte tra la RAGIONE_SOCIALE, capogruppo del suddetto RAGIONE_SOCIALE, e la RAGIONE_SOCIALE.
Si costituiva nel giudizio di appello la RAGIONE_SOCIALE eccependo in primo luogo la sua inammissibilità e comunque chiedendone il rigetto.
Si costituivano anche la RAGIONE_SOCIALE liquidazione e la RAGIONE_SOCIALE entrambe chiedendo il rigetto dell’appello nonchè la società RAGIONE_SOCIALE, che in via subordinata, instava per la condanna della RAGIONE_SOCIALE a tenerla indenne di quanto fosse condannata a pagare a favore della RAGIONE_SOCIALE.
Il Curatore del fallimento della RAGIONE_SOCIALE restava contumace.
La Corte d’Appello accoglieva il gravame e condannava la RAGIONE_SOCIALE al pagamento a favore della RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME della somma di € 469.961,27 oltre agli interessi secondo il tasso previsto dall’art. 1284 c.c. dal giorno 3.3.2009.
P reliminarmente la Corte evidenziava che l’appello non censurava la mancanza di legittimazione passiva al contraddittorio di RAGIONE_SOCIALE così come non veniva avanzata alcuna domanda nei suoi confronti evocata solo come litis denuntiatio.
Analogamente nessuna censura era formulata in merito alla dichiarazione emessa dal Tribunale di Milano di inammissibilità della domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE liquidazione e di conseguenza nessuna statuizione doveva ora essere al riguardo assunta.
La Corte d’Appello riteneva provato il credito vantato dall’originaria attrice mentre riteneva non provato il cred ito opposto in compensazione da parte della convenuta. In particolare, trattandosi di una compensazione giudiziale, riteneva che il suddetto credito opposto in compensazione non fosse di facile e pronta liquidazione, con la conseguenza che, difettando tali condizioni, la convenuta doveva far valere il credito in separata
sede con autonomo giudizio e l’eccezione di c ompensazione doveva essere disattesa.
Infatti, la società RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto la condanna della RAGIONE_SOCIALE in relazione ad un diritto di credito ad essa ceduto dalla RAGIONE_SOCIALE, successivamente trasformatasi nella RAGIONE_SOCIALE e quindi nella RAGIONE_SOCIALE, in seguito allo svolgimento di un contratto d’appalto concluso dalla RAGIONE_SOCIALE con un RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE composto dalla RAGIONE_SOCIALE, dalla RAGIONE_SOCIALE, da un’altra società e dalla RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva opposto in compensazione al diritto di credito fatto valere dalla RAGIONE_SOCIALE un contrapposto diritto di credito sorto in capo ad essa RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE relativamente alle somme pari alle parti del corrispettivo stabilito per le opere previste nel contratto d’appalto non pagate dalla committente e pari alle spese resesi necessarie a causa degli inadempimenti della RAGIONE_SOCIALE nella esecuzione delle opere su di essa gravante.
In particolare, la RAGIONE_SOCIALE aveva fatto valere il diritto di credito relativo alla somma di € 469.961,27 verso la RAGIONE_SOCIALE ad essa ceduto dalla RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE non aveva contestato l’esistenza di tale diritto di credito, limitandosi ad affermare la sua estinzione per compensazione con il diritto di credito concernente la maggiore somma pari ad € 523.342,73 , di cui la medesima era divenuta titolare nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
Secondo la Corte d’Appello , mentre era accertata e non contestata l’esistenza del diritto di credito fatto valere dalla RAGIONE_SOCIALE
NOME COGNOME, la debitrice RAGIONE_SOCIALE non aveva assolto l’onere di fornire la prova della esistenza del suo controcredito addotto in compensazione.
In particolare, l’origine del diritto di credito opposto in compensazione dalla RAGIONE_SOCIALE consisteva nell’inadempimento da parte della RAGIONE_SOCIALE delle obbligazioni derivanti dal contratto d’appalto concluso con il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE al quale la RAGIONE_SOCIALE partecipava insieme anche alla RAGIONE_SOCIALE, società capogruppo, ed era pari alla somma corrispondente ai costi ed alle diminuzioni del corrispettivo per l’inadempimento della RAGIONE_SOCIALE.
Poiché tale credito opposto in compensazione dalla RAGIONE_SOCIALE era stato contestato dalla RAGIONE_SOCIALE, lo stesso non si configurava come liquido ed esigibile.
Infatti, oltre ad essere stato contestato nella sua esistenza dalla RAGIONE_SOCIALE, non risultava accertato con un provvedimento giudiziale né poteva in alcun modo anche solo presumersi esistente in base ai titoli relativamente ad esso rilasciati, essendosi la RAGIONE_SOCIALE solo limitata a richiamare -a sostegno della sua affermazione circa l’esistenza del diritto di credito – documenti formati da essa stessa o da parti coinvolte nel compimento delle opere e calcoli da essa stessa compiuti circa l’incidenza negativa degli affermati inadempimenti della RAGIONE_SOCIALE sulla entità del corrispettivo dovuto dalla committente.
Quindi la RAGIONE_SOCIALE aveva l’onere di dare la prova della avvenuta realizzazione dei presupposti dei diritti di credito da essa opposti in compensazione ai diritti dì credito nei confronti di essa
fatti valere dalla RAGIONE_SOCIALE e di offrire precisi elementi idonei a confermare la corrispondenza della somma indicata come oggetto di quei diritti di credito alla differenza tra le somme costituenti il corrispettivo previsto nel contratto d’appalto e le minori somme cagionate dall’ inadempimento della RAGIONE_SOCIALE. Tale prova non poteva considerarsi raggiunta. Anche nel documento recante la “perizia asseverata” fatta redigere dalla RAGIONE_SOCIALE risultavano richiamate le dichiarazioni dei responsabili delle RAGIONE_SOCIALE incaricate della installazione di controsoffittature e della realizzazione di manufatti in legno, i quali avevano indicato nella attività degli addetti alla realizzazione degli impianti elettrici la causa dei vizi rilevati nei controsoffitti e nei manufatti in legno, ma nessun riscontro oggettivo risulta essere stato acquisito circa tali dichiarazioni e il fondamento tecnico di esse.
Del resto, anche l’oggetto della prova per testimoni richiesta dalla RAGIONE_SOCIALE con la memoria depositata nel giudizio di primo grado secondo quanto previsto dalle disposizioni del sesto comma n. 29 dell’art. 183 c.p.c. risultava avere una formulazione generica e implicare inoltre valutazioni non consentite ai testimoni così da risultare tale mezzo di prova comunque inammissibile.
Peraltro, in base a quanto stabilito dalle disposizioni del secondo comma dell’art. 1243 c.c. “Se il debito opposto in compensazione non è liquido ma è di facile e pronta liquidazione, il giudice può dichiarare la compensazione per la parte del debito che riconosce esistente, e può anche sospendere la condanna per il credito liquido fino all’accertamento del credito opposto in compensazione”: a tale proposito doveva ritenersi in conformità
con la giurisprudenza di legittimità che il diritto di credito opposto in compensazione dalla RAGIONE_SOCIALE non era di facile e pronta liquidazione alla luce degli elementi documentali addotti dalla stessa RAGIONE_SOCIALE, richiedendo una attività istruttoria più complessa di quella richiesta dai mezzi di prova proposti dalla stessa società.
In conclusione, la Corte d’Appello riconosceva la RAGIONE_SOCIALE obbligata al pagamento della somma di € 469.961,27.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi di ricorso.
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE In Liquidazione con atti di analogo tenore hanno resistito con controricorso.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con altro controricorso.
Tutte le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha nno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza e/o del procedimento ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. violazione e/o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – inammissibilità dell’appello.
Il Giudice a quo, pur enunciando correttamente il principio sotteso alla norma invocata, avrebbe fatto errata applicazione dell’art. 342 c.p.c. ritenendo che l’appello proposto dalla NOME COGNOME possedesse i requisiti prescritti dalla disposizione richiamata mentre, dall’esame dell’atto di appello – riportato in ricorso emergerebbe ictu oculi l’assenza dei requisiti prescritti dai nn. 1 e 2 dell’art. 342 c.p.c. a pena di inammissibilità.
In particolare, l’intero appello si sostanziava in una autoreferenziale riaffermazione di argomenti difensivi già svolti nel giudizio di primo grado, destituita però di qualsivoglia approccio critico alla sentenza.
1.1 Il primo motivo di ricorso è infondato.
In proposito, è sufficiente richiamare l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 27199 del 2017 secondo cui: Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla I. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata. Si legge nella citata pronuncia che ciò che il nuovo testo dell’art. 342 c.p.c. esige è che le questioni e i punti contestati della sentenza impugnata siano chiaramente enucleati e con essi le relative doglianze; per cui, se il nodo critico è nella ricostruzione del fatto, esso deve essere indicato con la necessaria chiarezza, così come l’eventuale violazione di legge. Ne consegue che, così come potrebbe anche non sussistere alcuna violazione di legge, se la questione è tutta in fatto, analogamente potrebbe porsi soltanto una questione di corretta applicazione delle norme, magari per presunta erronea
sussunzione della fattispecie in un’ipotesi normativa diversa; il tutto, naturalmente, sul presupposto ineludibile della rilevanza della prospettata questione ai fini di una diversa decisione della controversia. Le sezioni Unite, pertanto, in linea di continuità con precedenti enunciazioni di questa Corte relative al testo precedente la riforma del 2012, hanno riaffermato che nell’atto di appello deve affiancarsi alla parte volitiva una parte argomentativa, che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. La maggiore o minore ampiezza e specificità delle doglianze ivi contenute sarà, pertanto, diretta conseguenza della motivazione assunta dalla decisione di primo grado. Ove le argomentazioni della sentenza impugnata dimostrino che le tesi della parte non sono state in effetti vagliate, l’atto di appello potrà anche consistere, con i dovuti adattamenti, in una ripresa delle linee difensive del primo grado, mentre è logico che la puntualità del giudice di primo grado nel confutare determinate argomentazioni richiederà una più specifica e rigorosa formulazione dell’atto di appello, che dimostri insomma di aver compreso quanto esposto dal giudice di primo grado offrendo spunti per una decisione diversa. Quello che viene richiesto – in nome del criterio della razionalizzazione del processo civile, che è in funzione del rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata – è che la parte appellante ponga il giudice superiore in condizione di comprendere con chiarezza qual è il contenuto della censura proposta, dimostrando di aver compreso le ragioni del primo giudice e indicando il perché queste siano censurabili. Tutto ciò, inoltre, senza che all’appellante sia richiesto il rispetto di particolari forme sacramentali o comunque vincolate.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: omessa valutazione di prove decisive e/o travisamento ed errata percezione delle prove – nullità della sentenza e/o del procedimento ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.· violazione dell’art. 115 c.p.c.
Nel caso di specie, la Corte d’appello sarebbe incorsa in un’omessa valutazione della prova e/o in un travisamento del contenuto oggettivo di prove decisive avendo erroneamente valutato come assenti le prove offerte da RAGIONE_SOCIALE e già acquisite al giudizio di primo grado perché valutate come evidenze decisive.
In altri termini, contraddicendo apertamente il Tribunale di prime cure, la Corte d’appello ha concluso per l’inesistenza di prova del credito di NOME: da una parte, omettendo di valutare prove dirimenti offerte da NOME a supporto dell’ an e del quantum del proprio credito, sebbene queste fossero state valorizzate anche dal giudice di prime cure come rilevanti e sufficienti; dall’altro, attribuendo ai documenti esaminati un contenuto diverso da quello oggettivamente risultante dagli stessi.
La ricorrente riporta gli elementi da cui risulterebbero provati sia l’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE sia la quantificazione della pretesa di NOME.
La Corte d’Appello, nonostante la mera riproposizione delle difese di primo grado, non avrebbe tenuto in alcuna considerazione tutti i documenti richiamati e ritrascritti che pure erano risultati decisivi nel giudizio di primo grado con una evidente omessa valutazione di prove decisive, che avrebbe condotto all’erronea conclusione della mancanza di prova del titolo di credito di RAGIONE_SOCIALE e degli inadempimenti contestati in violazione dell’art. 115 c.p.c. .
Inoltre, riguardo al secondo profilo di censura relativo all ‘ omessa valutazione e/o errore di percezione sul contenuto oggettivo della prova, l’affermazione secondo cui le prove offerte da RAGIONE_SOCIALE si sostanzierebbero in documentazione formata dalla stessa RAGIONE_SOCIALE, sarebbe smentita dall ‘elencazione riportata in ricorso laddove, per ciascuno dei documenti ivi ritrascritti ed esaminati, si evidenzia trattarsi di documenti provenienti da terzi o, per quelli formati da RAGIONE_SOCIALE, della congruenza dei contenuti rispetto ad altri documenti formati da terzi. Dunque, risulterebbe provato l’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE mentre non sarebbe comprensibile il riferimento in sentenza a ” contestazioni peraltro non esplicitamente riferite alla RAGIONE_SOCIALE “.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. illogicità manifesta, violazione dell’art.132, comma 2, n. 4, c.p.c.
La censura attiene alla mancata ammissione delle istanze istruttorie. La Corte d’appello si è pronunciata solo sull’inammissibilità della prova testimoniale mentre nessuna pronuncia, nell’un senso o nell’altro, con riferimento alla richiesta di interpello. Tale omissione sarebbe illogica a fronte del rigetto delle domande di RAGIONE_SOCIALE per carenza di prova. Nel ricorso si richiamano i capitoli indicati nella memoria ex art. 183, VI co. n. 2 c.p.c.
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1243 c.c. e 1252 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
La Corte d’Appello avrebbe erroneamente sussunto la fattispecie dedotta nella sfera applicativa della compensazione giudiziale incorrendo in una falsa applicazione dell’art. 1284 c.c.
Invero, sin dalla comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado, NOME ha contestato l’inesistenza del credito di NOME COGNOME. In particolare, a pag. 10 della comparsa di costituzione di primo grado si legge: alla luce di tutto quanto sopra provato documentalmente il credito ceduto dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE sarebbe in buona sostanza inesistente. NOME ha contestato e documentato, infatti, che a causa degli inadempimenti perpetrati da RAGIONE_SOCIALE la Committente aveva applicato penali per ritardo e maggiori costi che, all’esito della negoziazione condotta, erano stati ridotti a Lit. 533.656.885 e detratti dal corrispettivo residuo dovuto dalla Committente al RTI (comparsa di costituzione RAGIONE_SOCIALE laddove si legge: … il tutto comportò una detrazione totale dei corrispettivi dovuti di Lit. 533.656.885 come comunicato alla RAGIONE_SOCIALE con raccomandata del 13.12.01).
Tale modalità di regolazione delle partite di dare/avere tra Committente ed RTI era convenzionalmente prevista all’art. 17 del Contratto di subappalto. Dunque, NOME non ha mai ricevuto dalla Committente la somma di Lit. 533.656.885. Ne consegue che la Cedente non aveva alcun diritto a pretendere dalla RAGIONE_SOCIALE il pagamento di corrispettivi alla stessa mai erogati, essendo la dedotta compensazione intervenuta “a monte” sub specie di compensazione volontaria esercitata dalla Committente ai sensi del contratto. Ed infatti, Il Tribunale di Milano, qualificando correttamente i fatti e l’eccezione opposta da NOME, non ha
dichiarato la compensazione giudiziale, bensì ha accertato “l’inesistenza del credito avanzato da NOME COGNOME in virtù della cessione ed eccepita compensazione” concludendo per il rigetto della domanda attorea. La Corte d’appello, invece, noncurante della qualificazione operata dal Tribunale in primo grado, delle allegazioni difensive di NOME e della denunciata inesistenza del credito, ha ritenuto doversi applicare al caso di specie l’art. 1243 c.c., Il co. c.c. anziché rilevare che ai sensi dell’art. 1252 c.c. e dell’art. 17 del Contratto di subappalto (doc. 1 fascicolo di parte RAGIONE_SOCIALE in primo grado) la Committente aveva compensato le proprie ragioni di credito verso il RTI con i corrispettivi ad esso dovuti e, dunque, l’asserito credito di RAGIONE_SOCIALE era in realtà inesistente, quantomeno per la quota parte riferibile agli importi detratti dalla Committente per fatto imputabile alla RAGIONE_SOCIALE e quantificati come dal SAL ultimo.
La sentenza sarebbe, poi, errata nella parte in cui ha ritenuto non liquido il credito per i costi addebitati da RAGIONE_SOCIALE per l’esecuzione delle opere in sostituzione di RAGIONE_SOCIALE, anch’essi quantificati nel l’ultimo SAL.
A ben vedere, la documentazione prodotta da NOME comproverebbe chiaramente l’esistenza e l’ammontare del credito.
4.1 Il secondo e il quarto motivo di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati e il loro accoglimento determina l’assorbimento de l terzo relativo alle istanze istruttorie.
Deve premettersi che nella specie ricorre un’ipotesi di cessione del credito che si perfeziona, nella estraneità del debitore, per effetto del solo consenso del cedente e del cessionario. La cessione
ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l’ha accettata o quando gli è stata notificata. Nella specie, dalla lettura della sentenza e dagli atti difensivi tale aspetto non risulta accertato, in ogni caso la RAGIONE_SOCIALE non ha contestato la qualità di creditrice della controparte limitandosi ad eccepire il suo controcredito derivante dall’inadempimento contrattuale della società cedente il credito RAGIONE_SOCIALE.
Ciò precisato deve osservarsi come, in tema di cessione del credito, il debitore ceduto è legittimato ad opporre al cessionario tutte le eccezioni che avrebbe potuto sollevare nei confronti dell’originario creditore, ovvero sia le eventuali eccezioni rifluenti sul pregresso rapporto con il cedente, sia le eccezioni riguardanti l’esatto adempimento del negozio, così come quelle relative a fatti estintivi o modificativi del credito antecedenti la notifica o accettazione della cessione.
Nella specie, l’eccezione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE è stata erroneamente qualificata dalla Corte d’Appello come eccezione di compensazione giudiziale mentre si tratta di una eccezione di compensazione c.d. ‘ impropria ‘, essendo relativa ad un unico rapporto nel quale la RAGIONE_SOCIALE in qualità di mandataria del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha fatto valere i suoi diritti di credito sorti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per i ritardi e le omissioni nella esecuzione delle opere che essa avrebbe dovuto compiere in base ad un contratto di subappalto concluso tra la RAGIONE_SOCIALE ed il suddetto RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE cui la medesima RAGIONE_SOCIALE aveva partecipato. Dunque, l’eccezione della RAGIONE_SOCIALE deve qualificarsi come eccezione di compensazione c.d. impropria o
anche di inadempimento ( inadimplenti non est adimplendum ) e, in ogni caso, non necessita di essere di facile e pronta liquidazione. D’altra parte, il Tribunale in primo grado l’aveva anche ritenuta meritevole di accoglimento sulla base dell’istruttoria espletata.
Questa Corte in plurime occasioni ha avuto modo di affermare che: Quando tra due soggetti i rispettivi debiti e crediti hanno origine da un unico – ancorché complesso – rapporto, non vi è luogo ad una ipotesi di compensazione “propria”, bensì ad un mero accertamento di dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, cui il giudice può procedere senza che siano necessarie l’eccezione di parte o la domanda riconvenzionale. Tale accertamento, che si sostanzia in una compensazione “impropria”, pur producendo risultati analoghi a quelli della compensazione “propria”, non è sottoposto alla relativa disciplina tipica, sia processuale sia sostanziale, ivi compresa quella contenuta nell’art. 1248 c.c., riguardante l’inopponibilità al cessionario, da parte del debitore che abbia accettato puramente e semplicemente la cessione, della compensazione che avrebbe potuto opporre al cedente (Sez. 2 – , Sentenza n. 4825 del 19/02/2019, Rv. 652692 – 01).
Allo stesso modo si è detto che in caso di crediti originati da un unico rapporto, la cui identità non è esclusa dal fatto che uno di essi ha natura risarcitoria, derivando da inadempimento, è configurabile la cd. compensazione atecnica, nel qual caso la valutazione delle reciproche pretese comporta l’accertamento del dare e avere, senza necessità di apposita domanda riconvenzionale od eccezione di compensazione, che postulano, invece, l’autonomia
dei rapporti ai quali i crediti si riferiscono (Sez. 3, Sentenza n. 16800 del 13/08/2015, Rv. 636862 – 01).
D’altra parte, come si è detto, l’eccezione proposta dalla S iram può inquadrarsi anche nell’ambito della normale eccezione di inadempimento in virtù del principio inadimplenti non est adimplendum come invocato anche in base al contratto di subappalto. Sul punto può richiamarsi il seguente principio di diritto: In tema di inadempimento del contratto di appalto, le disposizioni speciali di cui agli artt. 1667, 1668 e 1669 cod. civ. integrano – senza escluderne l’applicazione – i principi generali in materia di inadempimento delle obbligazioni, con la conseguenza che, nel caso in cui l’opera sia stata realizzata in violazione delle prescrizioni pattuite o delle regole tecniche, il committente, convenuto per il pagamento del prezzo, può – al fine di paralizzare la pretesa avversaria – opporre le difformità e i vizi dell’opera, in virtù del principio inadimplenti non est adimplendum , richiamato dal secondo periodo dell’ultimo comma dell’art. 1667 cod. civ., anche quando non abbia proposto, in via riconvenzionale, la domanda di garanzia o la stessa sia prescritta (Sez. 2, Sentenza n. 4446 del 20/03/2012, Rv. 622108 – 01). Ciò vale anche nel caso del rapporto interno caratterizzante un RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE costituito per lo svolgimento di un appalto che è riconducibile al mandatocon la capogruppo quale mandataria delle altre partecipanti – la cui onnicomprensività, riguardante gli atti per cui è stato espressamente conferito e quelli necessari al loro compimento, ne comporta la conclusione solo al termine dell’esecuzione dell’appalto stesso (Sez. 1, Sentenza n. 25518 del 18/12/2015, Rv. 637985 – 01).
Nella specie, peraltro, risulta fondato anche il secondo motivo relativo alla inesistenza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla ritenuta mancanza di prova del credito opposto in compensazione. La Corte d’appello, infatti, in modo contraddittorio , ha dapprima escluso potersi operare la compensazione giudiziale perché il credito opposto in compensazione non era liquido ed esigibile e allo stesso tempo ha ritenuto che la RAGIONE_SOCIALE avesse l’onere di dare la prova della avvenuta realizzazione dei presupposti dei diritti di credito da essa opposti in compensazione ai diritti di credito nei confronti di essa fatti valere dalla RAGIONE_SOCIALE e di offrire precisi elementi idonei a confermare la corrispondenza della somma indicata come oggetto di quei diritti di credito alla differenza tra le somme costituenti il corrispettivo previsto nel contratto d’appalto e le minori somme cagionate dall’ inadempimento della RAGIONE_SOCIALE e che tale onere non era stato assolto.
Una tale statuizione risulta contraddittoria perché non si comprende se la prova del controcredito di RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE non sia stata assolta oppure se non potesse procedersi al suo accertamento perché non di pronta e facile liquidazione. Peraltro, come si è già detto, in primo grado il credito derivante dai rapporti dare avere tra la RAGIONE_SOCIALE debitrice ceduta e RAGIONE_SOCIALE (creditrice cedente) era stato accertato e la Corte d’Appello non ha in alcun modo chiarito le ragioni per le qua li lo ha ritenuto non provato, senza in alcun modo confutare le statuizioni della sentenza di primo grado.
In conclusione, la Corte accoglie il secondo e quarto motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e
rinvia alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e quarto motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione