Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11986 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 11986 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/05/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 15381/2024 R.G. proposto da: NOME COGNOME, NOME COGNOME elettivamente domiciliati in PEC DEL DIFENSORE DOMICILIO DIGITALE, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (SPRVCN76S09G273Z) che li rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME RAGIONE_SOCIALE COMITATO DI PALERMO, elettivamente domiciliato in PEC DEL DIFENSORE DOMICILIO DIGITALE, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO PALERMO n. 1156/2023 depositata il 20/12/2023.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 30.11.23 la corte d’appello di Palermo, in riforma di sentenza del 2021 del tribunale della stessa sede, ha annullato il precetto con il quale due lavoratori avevano intimato il pagamento di euro 11.345 alla Croce Rossa Italiana (d’ora in avanti, CRI) e condannato gli stessi a pagare euro 4.596 in favore della predetta.
In particolare, i lavoratori avevano ottenuto in data 23.10.18 ordinanza cautelare ex articolo 669-terdecies c.p.c. che aveva ordinato la riassunzione degli stessi ed il pagamento delle retribuzioni, ravvisando una conversione del rapporto a tempo determinato in un rapporto a tempo indeterminato; la sentenza di merito del 25.2.21 aveva successivamente confermato la conversione del rapporto e condannato CRI al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a 3,5 mensilità (il periodo intercorso tra la scadenza del termine e la riammissione in servizio era pari invece a nove mesi e mezzo). I lavoratori avevano quindi intimato precetto per il pagamento dell’indennità indicata in sentenza e delle spese legali indicate nell’ordinanza cautelare.
Il tribunale, adito in via di opposizione al precetto, aveva ritenuto che l’ordinanza avesse conservato efficacia, in difetto di statuizione della sentenza di merito; al contrario, la corte territoriale ha rilevato, invece, che il credito dei lavoratori era stato
ridotto con la sentenza di merito, che aveva rimpiazzato come titolo l’ordinanza cautelare; per altro verso, poiché i lavoratori avevano già riscosso maggiori somme in quanto la CRI aveva pagato le retribuzioni per il periodo anteriore alla cautela, la corte ha ritenuto illegittimo il precetto in ragione della provvisorietà dell’ordinanza cautelare e, in presenza di domanda riconvenzionale della CRI volta alla restituzione di quanto pagato, ha condannato i lavoratori a restituire la differenza tra quanto complessivamente percepito (comprensivo da un lato delle spese già liquidate nella pronuncia cautelare, delle somme di cui in sentenza e, dall’altro lato delle ulteriori somme pagate spontaneamente da CRI) e quanto spettante ai sensi della sola sentenza di merito.
Avverso tale pronuncia ricorrono i lavoratori per 11 motivi, resiste con controricorso CRI.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso deduce violazione degli articoli 91, 113 e 336 c.p.c., 12 preleggi, 1362 e 1372 c.c., ex articolo 360, cxomma 1, n. 4 c.p.c., per avere la corte territoriale ritenuto che le somme pacificamente pagate da CRI derivassero solo dall’ordinanza cautelare.
Il secondo motivo deduce violazione degli articoli 111 Costituzione, 132 comma 2, n. 4 c.p.c., per assenza di motivazione sul rapporto tra le somme di cui all’ordinanza cautelare e quelle di cui alla sentenza di merito.
Il terzo motivo deduce vizio motivazionale ex art. 360 n. 5 c.p.c., per avere la Corte territoriale trascurato che l’ordinanza cautelare non conteneva alcuna condanna.
Il quarto motivo deduce violazione degli articoli 615, 618 bis, 91, 113 e 336 c.p.c., 12 preleggi, 1362 e 1372 c.c. , ai sensi
dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per avere la corte territoriale ritenuto l’ordinanza cautelare sempre priva di definitività e trascurato che la stessa era stata confermata in sede di merito, nonché per aver consentito al giudice dell’opposizione all’esecuzione di modificare le somme di quel titolo esecutivo giudiziale.
Il quinto motivo deduce violazione degli articoli 1243 e 1173 c.c., per avere la corte territoriale compensato crediti contrapposti relativi a titoli diversi, ritenendo il credito vecchio già pagato, e condannando solo al pagamento della differenza portata dalla sentenza, quasi fosse il medesimo titolo alla base dei contrapposti crediti. Afferma il ricorso che in sede di opposizione al precetto si può rilevare la compensazione solo se i requisiti della compensazione giudiziale effettivamente sussistono, mentre nel caso di specie mancava il requisito del giudicato sui crediti, non bastando un provvedimento puramente esecutivo.
Il sesto motivo deduce violazione degli articoli 111 Costituzione, 132 comma 2 numero 4, 118 attuazione c.p.c., sempre ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per assenza di motivazione della sentenza impugnata, che aveva escluso la compensazione ma defalcato comunque il credito.
Il settimo motivo deduce violazione degli articoli 99, 101, 112 e 437 c.p.c., sempre sensi del numero 4 dell’articolo 360 c.p.c., per non avere la corte territoriale dichiarato inammissibile la domanda formulata in appello relativa alla ripetizione di indebito (che era un indebito semplice derivante da un pagamento fatto per errore), sebbene in primo grado fosse stata chiesta la sola restituzione delle somme di cui all’ordinanza cautelare.
L’ottavo motivo deduce violazione degli articoli 699 -novies c.p.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per avere la corte territoriale ritenuto che la sentenza di merito comportasse la
caducazione in ogni caso della pronuncia cautelare, mantre ciò avviene solo in casi tassativi.
Il nono motivo di ricorso deduce violazione dell’articolo 91 c.p.c., per avere trascurato che le spese della cautela restano anche dopo la sentenza di merito tanto più se confermativa.
Il decimo motivo deduce violazione agli articoli 113 e 336 c.p.c., 12 preleggi, 1362 e 1372 c.c., ai sensi dell’articolo 360 numero 4 c.p.c., previa autorizzazione al deposito di nuovi documenti che riguardano la nullità della sentenza, per avere trascurato che in sede cautelare non erano state proposte richieste risarcitorie o di pagamento di indennità.
Il motivo undicesimo infine deduce violazione dell’articolo 28 del decreto legislativo 81 del 2015 nonché 91, 136 e 113 c.p.c., 12 preleggi, 1361 e 1372 c.c., per le stesse ragioni ora indicate, questa volta proposte ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
I motivi possono essere trattati congiuntamente per la loro connessione, essendo essenzialmente tutti volti alla determinazione delle somme portate dal titolo alla base del precetto e, dall’altro lato, alla definizione dei reciproci rapporti di dare ed avere tra le parti.
Occorre premettere che nel caso di specie il precetto si basava sulle somme portate dall’ordinanza cautelare, per come confermata dalla sentenza di merito, e dunque sia per le tre mensilità e mezzo indicate nella sentenza quale indennità spettanti ai lavoratori, sia per le spese di lite liquidate nell’ordinanza cautelare.
Invero, l’ordinanza cautelare non aveva perso efficacia con la sentenza di merito, che l’aveva confermata: il diritto fatto valere dai lavoratori, la conversione del rapporto di lavoro, era stato confermato dalla sentenza di merito; l’ordinanza cautelare non
recava un ordine di pagamento delle retribuzioni passate, peraltro non richiesto nella domanda cautelare, né un ordine di risarcimento danni (del pari non richiesto), ma semplicemente un ordine di riammettere i lavoratori con diritto alle retribuzioni (evidentemente per il futuro, non trattandosi di reintegra, ma di ‘riammissione’, per usare la terminologia dell’ordinanza).
L’ordinanza cautelare dunque, non essendo stata caducata dalla sentenza di merito, ben poteva essere posta (unitamente alla sentenza di merito che disponeva il pagamento dell’indennità pari alle tre mensilità) alla base del precetto (che, come detto, intimava il pagamento delle spese di lite portate dalla cautela).
Deve però considerarsi che CRI aveva spontaneamente pagato le retribuzioni per un periodo precedente non considerato dalla cautela (che, come detto, non riguardava le retribuzioni passate) e poi solo in parte ricompreso nell’indennità di cui alla sentenza di merito. CRI aveva quindi invocato, in via riconvenzionale, la restituzione delle maggiori somme pagate.
Al riguardo, deve intanto rilevarsi che la domanda di CRI è volta alla ripetizione di un indebito inerente allo stesso rapporto, sicché ben può operare una compensazione impropria tra le opposte partite, rilevabile anche d’ufficio (come precisato da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7474 del 23/03/2017, Rv. 644828 -01, secondo la quale, in tema di estinzione delle obbligazioni, si è in presenza di compensazione cd. impropria se la reciproca relazione di debito-credito nasce da un unico rapporto, in cui l’accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite può essere compiuto dal giudice d’ufficio, diversamente da quanto accade nel caso di compensazione cd. propria, che, per operare, postula l’autonomia dei rapporti e l’eccezione di parte; resta salvo il fatto che, così come la compensazione propria, anche quella impropria può operare esclusivamente se il credito opposto in compensazione possiede il requisito della certezza).
Per la parte eccedente detta compensazione impropria, vi è un credito di CRI, per il quale il giudice deve pronunciare condanna.
In tale contesto, la sentenza impugnata ha correttamente considerato i crediti dei lavoratori derivanti dalla sentenza di merito e, dall’altro lato, il debito restitutorio dei lavoratori per quanto indebitamente percepito a seguito dello spontaneo pagamento da parte di CRI; la corte territoriale, tuttavia, non ha considerato le spese di lite portate dalla cautela, somme -come detto – rimaste dovute ai lavoratori anche all’esito della sentenza di merito, per essere questa (a differenza di quanto ritenuto dalla corte territoriale) confermativa della cautela.
Per tutto quanto sopra esposto, risulta fondato solo il nono motivo di ricorso, che è quello relativo alle spese portate dalla cautela: mentre gli altri motivi di ricorso vanno rigettati.
La sentenza impugnata deve dunque essere cassata in relazione al solo motivo accolto.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa va decisa nel merito e deve essere confermata la condanna dei lavoratori al pagamento delle somme indicate nella sentenza impugnata, con detrazione delle somme liquidate in loro favore per spese legali nell’ordinanza cautelare del 23.10.18.
28. Le spese dell’intero processo possono essere compensate tra le parti, attesa la soccombenza reciproca e le peculiarità del caso concreto relativo all’applicazione dell’art. 669 -novies co. 3 c.pc.
p.q.m.
accoglie il nono motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, conferma la condanna dei lavoratori al pagamento delle somme indicate nella sentenza impugnata, con detrazione delle
somme liquidate in loro favore per spese legali nell’ordinanza cautelare del 23.10.18.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 marzo 2025.