Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22691 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22691 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3183/2024 R.G. proposto da
COGNOME NOME , elettivamente domiciliato in ALTAMURA INDIRIZZO/C DOM DIG, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore e domiciliata ope legis in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e difende
-controricorrente –
Oggetto: Comunità europea -Agricoltura – Aiuti compensativi al reddito -Reg. CEE n. 1765/92 Reg. CE 885/2006
R.G.N. 3183/2024
Ud. 23/04/2025 CC
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI BARI n. 1020/2023 depositata il 26/06/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 23/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 1020/2023, pubblicata in data 26 giugno 2023, la Corte d’appello di Bari, nella contumacia dell’appellata RAGIONE_SOCIALE ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Bari n. 4379/2019 pubblicata in data 22 novembre 2019, la quale, a propria volta, aveva respinto la domanda del medesimo NOME COGNOME, volta ad ottenere la condanna di AGEA alla corresponsione della somma di € 26.000,00, a titolo di aiuti compensativi PAC per le annate agrarie 2006, 2007 e 2008 oppure, in subordine, ad accertare l’intervenuta prescrizione del diritto dell’AGEA alla ripetizione degli importi ad essa eventualmente dovuti per le annate agrarie dal 1997 al 2003.
NOME COGNOME aveva agito premettendo di avere ottenuto gli aiuti compensativi al reddito disposti dal Regolamento CEE n. 1765/92 in favore dei coltivatori diretti proprietari di terreni ‘seminativi’ alla data del 31 dicembre 1991 ma che AGEA, appresa la pendenza di un giudizio penale per il reato previsto e punito dall’art. 640 -bis c.p., aveva, con provvedimento del 1° febbraio 2006, disposto la sospensione dell’erogazione dell’integrazione al reddito sino alla concorrenza di € 99.588,82 , negando lo sblocco della somma anche dopo che, con sentenza in data 1° marzo 2013, il Tribunale di Bari aveva dichiarato l ‘ estinzione dei reati contestati per intervenuta prescrizione ed anzi
adottando un provvedimento amministrativo ‘di accertamento di somme indebitamente percepite’ con cui si disponeva la compensazione delle somme trattenute per le annualità successive al 2004 con quelle indebitamente erogate per le annualità precedenti.
3. La Corte d’appello di Bari ha disatteso il gravame rilevando che, all’esito del giudizio penale, AGEA che aveva già disposto ai sensi dell’art. 33 del D. L gs. n. 228/2001 la sospensione dell’erogazione con provvedimento non impugnato dall’appellante innanzi alla giurisdizione amministrativa -aveva autonomamente proceduto all’accertamento delle condotte contestate all’appellante, adottando in data 5 agosto 2013 ulteriore provvedimento -neanch’esso impugnato innanzi il giudice amministrativo – con il q uale, determinati in € 25.365,50, oltre interessi, i contributi indebitamente riscossi dall’appellante per gli anni dal 1997 al 2004, aveva disposto, ai sensi dell’art. 5 del Reg. CE n. 885/2006, la deduzione dai crediti maturati dal beneficiario, già sospesi.
La Corte, quindi, ha osservato che NOME COGNOME non aveva fornito adeguata prova -su di esso gravante, avendo agito a titolo di indebito – del l’insussistenza della causa giustificativa dell’attribuzione patrimoniale pretesa dall’AGEA , risultando, per contro, provata la fondatezza della pretesa di AGEA, la quale, conseguentemente, doveva ritenersi aver correttamente operato la compensazione impropria tra la somma sospesa e quella ritenuta indebitamente erogata.
La Corte territoriale ha, infine, disatteso le ulteriori deduzioni dell’appellante, osservando, in sintesi, che:
-infondate erano le contestazioni in ordine alla legittimazione attiva di AGEA a recuperare i contributi indebitamente riscossi, essendo AGEA il soggetto deputato all’erogazione dei contributi in questione e, conseguentemente, da ritenersi anche legitti-
mato, ex art. 5ter , Reg. CE n. 885/2006, al recupero di quelli indebitamente erogati, anche mediante trattenuta dai futuri pagamenti spettanti al debitore dell’indebita percezione ;
-l’assenza di una domanda riconvenzionale di AGEA non era ostativa all’operatività della compensazione impropria, applicabile anche d’ufficio;
-infondata era l’eccezione di prescrizione, essendosi AGEA costituita parte civile nel procedimento penale, interrompendo in tal modo il corso della prescrizione del diritto alla ripetizione dei contributi indebitamente erogati sino alla data di irrevocabilità della sentenza che aveva definito quel procedimento ed avendo comunque AGEA espressamente escluso i contributi erogati negli anni 1995 e 1996, per i quali era maturata la prescrizione decennale.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bari ricorre NOME COGNOME
È rimasta intimata AGEA.
In data 14 luglio 2024, il Consigliere delegato, ha formulato proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c. segnalando la inammissibilità del ricorso.
A detta proposta ha fatto seguito istanza del ricorrente per la definizione del giudizio.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a tre motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 1, c.p.c., la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 37 c.p.c.
Il ricorrente, dopo avere premesso che il provvedimento del 5 agosto 2013 era stato specificamente impugnato, deduce che la provvisorietà dell’accantonamento disposto ex art. 33 , D. Lgs. n. 228/2001 comportava la necessità di un accertamento giudiziale, ‘ sicché, alla luce di quanto rimarcato, ritenuta la giurisdizione del Giudice Amministrativo, il Relatore avrebbe dovuto sollevare il corrispondente difetto, anziché propendere per la definitività di un documento, viceversa inidoneo e comunque mai diventato tale ‘ .
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2033 e 2697 c.c.
Il ricorrente sottolinea di avere agito per ottenere l’accertamento del proprio diritto alla corresponsione dei contributi in virtù della infondatezza della pretesa restitutoria esercitata dall’intimata essendo, semmai, quest’ultima tenuta a dimostrare le proprie asserzioni – deducendo, quindi, che il suo onere probatorio era solo quello di dimostrare l’infondatezza di tale ultimo profilo, per richiedere, a propria volta, la restituzione di quanto trattenuto a titolo di garanzia del pagamento ex art. 33 D. Lgs. n. 228/2001.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 28 del Reg. UE n. 908/2014.
Si censura la decisione impugnata nella parte in cui la stessa si è venuta a basare sul provvedimento del 05.08.2003 (prot. n. UCCU.2013 4739) , di cui si contesta radicalmente l’efficacia sia perché lo stesso, a propria volta, richiama un verbale redatto dall’allora Corpo Forestale, ‘contenente la semplice contestazione ed incontrovertibilmente preordinato alla irrogazione di una multa di speculare entità, ma soprattutto volto a sollecitare l’azione penale, ex art. 2 L. 898/’86’ e
‘pertanto inoppugnabile’ nonché ‘ inadeguato ad interrompere il termine di prescrizione (in quanto, come noto, legittimato attivo per la ingiunzione della sanzione è il Ministero delle Politiche Agricole)’ sia perché ‘quandanche all’epoca dell’invio avesse spiegato effetti esecutivi, li ha persi in seguito, per non essere stato contestualmente inserito il credito ivi riportato nel Registro dei debitori come accertamento definitivo (ai sensi dell’art. 54 del Reg. UE n. 1306/2013)’ .
La proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c. datata 14 luglio 2024 osserva:
‘ Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 37 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 1 c.p.c. Egli assume che, ritenuta la giurisdizione del Giudice Amministrativo, la Corte territoriale avrebbe dovuto sollevare il difetto di giurisdizione e non vi aveva provveduto per la ritenuta definitività di un documento amministrativo (inidoneo allo scopo e comunque divenuto tale in seguito) per presunta omessa impugnazione dello stesso, viceversa operata.
Il motivo presenta plurimi profili di evidente inammissibilità.
In primo luogo, dalla sua esposizione neppur si comprende se il ricorrente contesti la giurisdizione del giudice ordinario, evidentemente ritenuta dai giudici baresi, che in primo e in secondo grado hanno rigettato nel merito le sue domande.
In secondo luogo, la predetta giurisdizione appare incontestabile sia perché è stato lo stesso ricorrente a rivolgersi al giudice ordinario, sia perché egli non ha impugnato la decisione di primo grado che aveva ritenuto implicitamente la sussistenza della giurisdizione ordinaria.
In terzo luogo, il motivo non è pertinente e specifico perché la Corte barese non ha affatto affermato la giurisdizione del giudice amministrativo, ma si è limitata a rilevare la mancata impugnazione del
provvedimento del 5.8.2013 dinanzi al giudice amministrativo competente.
In quarto luogo, il ricorrente non indica come e quando il provvedimento sarebbe stato impugnato e tantomeno quando e come tale circostanza sarebbe stata rappresentata ai giudici del merito.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2033 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. e osserva che l’onere probatorio ritenuto non assolto da parte attrice aveva per oggetto l’inesistenza del diritto vantato dall’Amministrazione di pretenderne la restituzione e giammai il diritto di ricevere gli aiuti, come invece sostenuto dalla Corte territoriale.
Il motivo è inammissibile perché non affronta e non confuta la concorrente ratio decidendi della sentenza impugnata che, anche a prescindere dalle considerazioni circa la distribuzione dell’onere probatorio, ha ritenuto che in concreto la percezione indebita dei contributi fosse stata dimostrata in giudizio dall’AGEA.
La Corte di appello, infatti, ha affermato che non poteva dubitarsi che quel controcredito fosse certo, liquido ed esigibile in quanto comprovato dai puntuali accertamenti contenuti nel verbale del Corpo Forestale di Stato del 5.1.2006, riguardo al quale le contestazioni mosse dall’appellante erano generiche e indimostrate e ha rilevato che il provvedimento del 05.08.2003 (rectius: 2013) prot. n. UCCU.2013 4739) con il quale l’AGEA aveva accertato i contributi indebiti riscossi dallo Spalluto non erta stato da questi impugnato dinanzi al TAR ed era divenuto definitivo.
Il ricorrente con la dedotta denuncia di violazione di legge mira a chiedere indebitamente a questa Corte di riesaminare l’accertamento dei fatti e rivalutare le risultanze istruttorie, cosa non consentita in sede di legittimità, per di più in presenza di una doppia pronuncia conforme
dei giudici del merito, preclusiva della denuncia di vizio motivazionale (art.348-ter, comma 5 c.p.c. ed ora art.360, comma 4, c.p.c.).
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 28 del Reg. UE 908/2014, in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. Egli osserva che gli Stati membri della Comunità Europea possono procedere a compensazione dei futuri pagamenti dei debiti in essere, soltanto qualora questi ultimi siano giuridicamente accertati mentre nel caso di specie non è stata assolta tale ultima condizione.
Anche in questo caso le censure debordano nel merito e non tengono conto del fatto che la Corte ha invece ritenuto accertato il controcredito opposto in compensazione da AGEA.
Secondo giurisprudenza del tutto consolidata in tema di rapporti tra il credito dell’agricoltore a titolo di contributi dell’Unione europea conseguenti alla Politica agricola comune (Pac), ed i debiti dello stesso, viene ritenuta ammissibile la cd. compensazione impropria o atecnica, a condizione che il controcredito sia certo e liquido secondo la valutazione dei giudici di merito, incensurabile in sede di legittimità, a tal fine valorizzando l’unitarietà del rapporto (Sez. 1, n. 24325 del 3.11.2020).
Inoltre AGEA ha interrotto la prescrizione già con la costituzione di parte civile nel giudizio penale e il giudice di appello ha respinto l’appello del produttore, relativamente alla prescrizione, proprio in ragione dell’avvenuta costituzione di parte civ ile senza che il ricorrente abbia sottoposto a specifica censura tale ratio decidendi.
La deduzione del ricorrente, per cui il provvedimento avrebbe perso efficacia per non essere stato inserito nel Registro dei debitori è inammissibile, perché formula per la prima volta un’eccezione che non risulta proposta nei gradi di merito e comunque introduce una questione di mero fatto. ‘ .
Ritiene questa Corte di dover integralmente condividere i contenuti della proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c., dovendosi, del resto, osservare che il ricorrente, da un lato, nella propria istanza di decisione, ha omesso di prendere specifica posizione sul l’intero complesso di molteplici e specifici rilievi formulati nella proposta medesima ed ha replicato in modo inadeguato ad altri rilievi -dovendosi, in particolare, osservare che, in assenza di specifico motivo di impugnazione, la statuizione assunta dalla Corte d’appello in ordine all’interruzione della prescrizione (peraltro non unico motivo di inammissibilità del motivo di ricorso) non può essere oggetto di revisione nella presente sede -e, dall ‘altro lato, non si è avvalso dell’ulteriore facoltà di deposito di memoria ex art. 380bis .1 c.p.c. .
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.
Nulla sulle spese, essendo AGEA rimasta intimata.
Avendo questa Corte deciso in conformità della proposta, deve trovare applicazione l’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c., il quale richiama, in caso di decisione conforme alla proposta, il disposto di cui all’art. 96, terzo e quarto comma, c.p.c.
Nel caso in esame, sempre in virtù della mancata costituzione di RAGIONE_SOCIALE, deve trovare applicazione il solo quarto comma, con conseguente condanna ulteriore del ricorrente soccombente al pagamento in favore della Cassa delle Ammende, di una somma di denaro non inferiore ad € 500,00 e non superiore ad € 5.000,00, somma che si liquida come da dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” ,
spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di € 2.500,00, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1- quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima