Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21837 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21837 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19992/2024 R.G. proposto da :
COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di GENOVA n. 439/2024 depositata il 18/03/2024;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/04/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia trae origine dal decreto ingiuntivo n. 2981/2019 emesso dal Tribunale di Genova, su ricorso ex art. 633 c.p.c. di NOME COGNOME con cui era ingiunto alla società RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE il pagamento della somma di € 6.874,23, oltre interessi e spese monitorie.
La società RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione, deducendo l’inesistenza del credito, in quanto fondato su pagamenti ritenuti non dovuti.
Si costituiva l’opposta, chiedendo il rigetto dell’opposizione, la concessione della provvisoria esecutorietà del decreto e la conferma del provvedimento monitorio. Deduceva, anche, di aver versato in favore della società opponente, in esecuzione di due sentenze successivamente cassate, l’importo complessivo di € 17.024,00, parzialmente corrisposto a mezzo assegni bancari e per il residuo mediante compensazione volontaria, con crediti derivanti da pregresse sentenze favorevoli.
Con ordinanza del 14 luglio 2020, il Tribunale rigettava l’istanza di provvisoria esecuzione e disponeva il prosieguo della causa. Esaurita la trattazione, con sentenza n. 1133/2021 il Tribunale accoglieva l’opposizione, revocava il decreto ingiuntivo e rigettava le domande di COGNOME, condannandola alle spese.
Avverso tale sentenza proponeva appello la soccombente, chiedendone la riforma, con conferma del decreto ingiuntivo.
All’esito della trattazione cartolare, la Corte d’appello di Genova rimetteva la causa in istruttoria, rilevando la necessità di accertare: a) se la compensazione volontaria allegata fosse già stata oggetto di deduzione nel giudizio di legittimità relativo alle sentenze cassate; b) l’esito del giudizio di rinvio, potenzialmente incidente sulla regolamentazione delle spese.
Parte appellante produceva la sentenza n. 1149/2023, depositata il 23 ottobre 2023, con cui, nel giudizio R.G. n. 1132/2018, la Corte d’appello di Genova aveva disposto l’integrale compensazione delle spese di lite.
All’esito della nuova trattazione cartolare, la causa veniva trattenuta in decisione.
Con sentenza n. 439/2024, pubblicata il 18 marzo 2024, la Corte d’appello rigettava il gravame, ritenendo insussistenti i presupposti per una compensazione ex lege , per difetto del requisito di certezza dei crediti, e negava, altresì, l’esistenza di un accordo perfezionato tra le parti in ordine alla compensazione volontaria, in quanto alla proposta era seguita una controproposta non accettata.
Avverso tale pronuncia NOME COGNOME propone ricorso per Cassazione con due motivi.
3.1. RAGIONE_SOCIALE, di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, resiste con controricorso.
Tutte le parti hanno depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo, articolato in più censure, parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e 4, c.p.c la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., dell’art. 132, comma 4, c.p.c. e dell’art. 111, comma 6, Cost. – mancanza di motivazione sotto il profilo dell’illogicità manifesta e della contraddittorietà intrinseca.
In relazione all’art. 360, n. 3 e 4 c.p.c.: la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1252 c.c. e 2697 c.c.
In relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ovvero che la stessa appellata Mige ha sostenuto che tra le parti era stato concluso un accordo di
compensazione volontaria nell’ottobre 2008 avente ad oggetto la parziale compensazione tra i reciproci crediti/debiti derivanti dalle sentenze del Tribunale di Chiavari n. 197/2008 e 341/2004; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ovvero che la stessa appellata COGNOME ha sempre riconosciuto di avere ricevuto dalla COGNOME nel 2008 il pagamento mediante assegno della somma di euro 5.964,41 producendo anche copia del relativo assegno.
Deduce che la Corte d’appello di Genova: (i) avrebbe violato il principio di disponibilità delle prove, ‘non avendo posto a fondamento della decisione un fatto assolutamente pacifico tra le parti (l’intervenuta conclusione di un accordo di compensazione nell’ottobre 2008, che aveva anche trovato immediata e conforme attuazione con il pagamento da parte della Vaio della somma di debito residuato dalla compensazione)’ (cfr. p. 12, ricorso); (ii) sarebbe incorsa pure in un vizio motivazionale anche ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., per aver ritenuto non raggiunto, tra le parti, un accordo di compensazione volontaria ai sensi dell’art. 1252 c.c., tra le spese di lite di cui alle sentenze del Tribunale di Chiavari n. 197/2008 e della Corte di appello di Genova n. 341/2004, quando invece sarebbe pacifico e confermato dagli atti del processo. Per cui, a suo avviso, vi sarebbe stato un travisamento delle risultanze processuali.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1243 c.c., mancanza di motivazione sotto il profilo dell’illogicità manifesta e dell’insufficiente e apparente motivazione e della contraddittorietà intrinseca.
La sentenza impugnata sarebbe, poi, afflitta da vizio di legge, laddove la Corte Genovese ha ritenuto che, nella fattispecie, sarebbe ‘da escludersi una compensazione ex lege ‘.
In particolare, secondo il Giudice di secondo grado la compensazione ex lege ai sensi dell’art. 1243 c.c. dedotta dall’appellante ‘non è possibile in quanto è pacifico che nel requisito della liquidità richiesto dall’art. 1243 c.c. è inclusa la certezza dei crediti da compensare. In quel momento entrambi i crediti erano incerti essendo entrambi sub judice ed è quindi da escludersi una compensazione ex lege ‘.
Sostiene, al riguardo, la ricorrente che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe manifestamente illogica, meramente apparente e intrinsecamente contradditoria, per aver il giudice del gravame escluso che, rispetto alle spese legali dei suddetti giudizi, era intervenuta una compensazione ex lege, quando invece sarebbe stato così, sussistendo, tra le parti, a tale titolo, reciproci crediti e debiti di somme di denaro liquide ed esigibili. Inoltre, afferma che, contrariamente a quanto statuito dalla Corte d’appello, per tale compensazione, non sarebbe necessaria la certezza del credito.
5. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Il motivo è articolato cumulativamente sotto i profili di cui all’art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5 c.p.c., risultando perciò affetto da eterogeneità delle censure, in violazione del principio di specificità, giacché le diverse doglianze non sono tenute distinte né argomentate in modo coerente con i diversi vizi denunciati.
Sotto altro profilo, la doglianza centrale relativa all’omesso riconoscimento, da parte della Corte territoriale, dell’intervenuta conclusione di un accordo di compensazione volontaria ex art. 1252 c.c. – è inammissibile, in quanto fondata su valutazioni di merito. L’accertamento della sussistenza o meno di un accordo tra le parti in ordine alla compensazione dei rispettivi crediti implica, infatti, un’indagine di fatto, riservata al giudice del merito, che ha ritenuto non provata, sulla base degli atti, la volontà concorde di estinguere
i rispettivi obblighi mediante compensazione. Tale apprezzamento non è suscettibile di riesame in sede di legittimità, salvo i rigorosi limiti dell’art. 360, n. 5, c.p.c., che nella specie non risultano in alcun modo soddisfatti, essendo la censura generica, priva dell’indicazione di un ‘fatto storico decisivo’ e non confrontata criticamente con la motivazione della sentenza impugnata.
In via dirimente, è poi da rilevare che non può configurarsi una restituzione di quanto non sia stato oggetto di pagamento, ma di una estinzione per compensazione; e, a tutto concedere, la restitutio al pristino stato dovrebbe significare semplicemente che i controcrediti coinvolti nella (pure di assai dubbia ammissibilità e, in concreto, fieramente contestata) compensazione non si sarebbero estinti per compensazione: in tanto risolvendosi, appunto, l’eliminazione dal mondo del diritto degli effetti della solutio in forza di provvedimento poi riformato.
Varrà aggiungere, ad ogni buon conto, che, anche a voler ammettere in astratto l’avvenuta compensazione volontaria tra le parti, non risulterebbero comunque integrati i presupposti per l’esperibilità dell’azione restitutoria ex art. 389 c.p.c., come – in sostanza correttamente ritenuto dalla Corte d’appello.
Detta azione, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte (Cass. SS.UU. n. 2841/1989; Cass. civ., Sez. II, ord. n. 6788/2024; Sez. I, ord. n. 3187/2024), presuppone che la parte istante abbia effettivamente eseguito un pagamento in esecuzione della sentenza poi cassata, e che tale pagamento abbia avuto per oggetto somme specificamente riferibili al decisum riformato.
Nel caso di specie, tuttavia, la somma azionata nel procedimento monitorio pari a € 6.874,23 – non risulta mai essere stata effettivamente corrisposta dalla ricorrente alla controparte, come ella stessa ha ammesso, avendo allegato una compensazione
intervenuta tra partite reciproche, fondate su sentenze diverse da quella oggetto dell’annullamento in cassazione.
In particolare, mentre l’ordinanza n. 20691/2018 ha riformato la sentenza n. 342/2013 della Corte d’appello (emessa nel giudizio di primo grado definito con sentenza n. 197/2008 del Tribunale di Chiavari), la somma pretesa si riferiva a spese legali relative alla distinta sentenza n. 98/2010 della Corte d’appello di Genova, emessa nel diverso procedimento introdotto con atto definito con sentenza n. 341/2004.
A ciò si aggiunge che l’unica somma effettivamente versata dalla Vaio pari a € 10.149,77 – è pacificamente stata restituita dalla MIGE prima dell’introduzione del giudizio monitorio. Di conseguenza, la pretesa azionata con il decreto ingiuntivo del 10 settembre 2019 non aveva ad oggetto un credito reale, bensì una posta compensata e quindi già estinta per effetto di un meccanismo satisfattivo alternativo all’adempimento (cfr. Cass. civ., Sez. I, 23 novembre 2001, n. 14861; Sez. III, ord. n. 34984/2024).
In definitiva, anche a voler ritenere perfezionata una compensazione volontaria, la stessa escludeva l’esistenza di un credito ripetibile, rendendo in ogni caso inammissibile e infondata la domanda restitutoria. Da qui, l’inammissibilità del motivo nella sua interezza, per cumulo disorganico di censure e per insindacabilità in sede di legittimità dell’accertamento in fatto relativo all’asserito accordo tra le parti.
5.1. Il secondo motivo di ricorso è assorbito.
Una volta esclusa la sussistenza di un credito restitutorio in capo alla ricorrente, non residua alcun interesse a scrutinare la censura inerente alla negata operatività della compensazione legale ex art. 1243 c.c.
Anche a prescindere dall’assorbimento in conseguenza di quanto già chiarito sul piano restitutorio, il motivo, comunque, non merita accoglimento.
La censura si fonda sull’asserita erroneità della decisione della Corte d’appello che ha negato la possibilità di compensazione legale ex art. 1243 c.c., affermando che i crediti contrapposti non erano certi, liquidi ed esigibili, in quanto ancora sub iudice . Tale valutazione è corretta in diritto e coerente con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, la quale richiede, ai fini dell’operatività della compensazione legale, la sussistenza -al momento dell’eccezione – di crediti reciprocamente certi, liquidi ed esigibili (cfr. Cass. SS.UU. n. 23225/2016; Cass. n. 27113/2024).
La parte ricorrente, al contrario, ha contestato la sussistenza di tale requisito invocando una diversa interpretazione dell’art. 1243 c.c., ma senza offrire una puntuale e fondata critica giuridica alla motivazione impugnata.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, escluso il riconoscimento di esborsi, non esposti dalla parte nella sua nota spese.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in complessivi Euro 4.600,00, oltre Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente al competente ufficio di merito, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza