Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22504 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 22504 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
Oggetto
R.G.N.6288/2022
COGNOME
Rep.
Ud 29/05/2025
CC
ORDINANZA
sul ricorso 6288-2022 proposto da: COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME – controricorrente – avverso la sentenza n. 2779/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 23/08/2021 R.G.N. 3944/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Mozumder NOME impugna la sentenza n. 2779/2021 della Corte d’appello di Roma che ha respinto il gravame avverso la pronuncia del Tribunale della medesima sede che aveva rigettato il ricorso, originariamente proposto da RAGIONE_SOCIALE, in opposizione ad avviso di addebito avente ad oggetto contributi non versati nel periodo gennaio 2013-ottobre 2015, contributi ritenuti dovuti poiché, in esito ad accertamento ispettivo, era emerso che la società aveva effettuato indebite compensazioni tra debiti contributivi e crediti erariali dichiarati inesistenti dal fisco.
Mozumder Kamal propone tre motivi di censura.
Resiste INPS con controricorso.
Chiamata la causa all’adunanza camerale del 29 maggio 2025, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, cod. proc. civ.).
CONSIDERATO CHE
Il ricorrente censura la sentenza per tre motivi.
I)Violazione e falsa applicazione dell’art. 354, comma 4, e dell’art. 101, comma 2, cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. per avere la Corte ritenuto inammissibile il primo motivo di gravame in ordine alla ritenuta inammi ssibilità della domanda di annullamento dell’atto per vizi formali perché proposta oltre il termine di 20 gg di cui all’art. 617 cod. proc. civ.
II) Erronea valutazione delle prove in relazione agli art. 115 e 116 cod. proc. civ. nei limiti dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.: in ordine alla eccezione sollevata dal ricorrente per
cui i crediti erariali che la società aveva opposto in compensazione con i debiti contributivi non erano stati dichiarati inesistenti dall’Agenzia delle Entrate, la Corte ha concluso che detta dichiarazione non era necessaria in forza di Convenzione tra Di rezione regionale del Lazio dell’Agenzia delle Entrate e la Direzione regionale INPS in base alla quale quest’ultima provvede al recupero dei contributi indebitamente compensati. III) Erronea valutazione delle prove in relazione agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. nei limiti dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. nella parte in cui la Corte afferma che sarebbe stato onere della società ricorrente dare prova dell’esistenza dei crediti dedotti in compensazione e che le prove offerte erano inidonee a d imostrare l’effettività degli stessi.
Il primo motivo è infondato.
Il capo della sentenza di primo grado con cui è stata dichiarata tardiva l’opposizione proposta avverso l’avviso di addebito per far valere vizi formali poteva essere impugnato solo con il ricorso immediato in C assazione, essendo irrilevanti l’eventuale errata qualificazione dell’azione data dal primo giudice e la dedotta violazione dell’art. 101 cod. proc. civ.
La statuizione sul punto della Corte è corretta.
Si legge ex multis in Cass. n. 25773/2023 che, laddove il Giudice di prime cure qualifichi l’azione come opposizione agli atti esecutivi, «al cospetto d’una tale qualificazione espressa, il ricorrente avrebbe dovuto dolersi della decisione del giudice di primo grado con il ricorso per cassazione e non con l’appello». Sul punto, da ultimo, Cass. n. 3793/2024 richiama i precedenti di questa Corte ribadendo il seguente principio di diritto: «qualora una opposizione in materia esecutiva possa scindersi in un duplice contenuto, in parte riferibile ad una opposizione
agli atti esecutivi e in parte riferibile ad una opposizione all’esecuzione, l’impugnazione della conseguente sentenza deve seguire il diverso regime previsto per i distinti tipi di opposizione (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 18312 del 27/08/2014, Rv. 632102 -01; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 19267 del 29/09/2015, Rv. 636948 -01; Sez. 3, Sentenza n. 14661 del 18/07/2016, Rv. 640586 -01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3166 del 11/02/2020, Rv. 656752 -01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3722 del 14/02/2020, Rv. 657020 -01; Sez. 3, Ordinanza n. 31549 del 13/11/2023, Rv. 669336 – 01). In base al suddetto principio di diritto, il regime dell’impugnazione delle decisioni su distinte domande (in particolare, opposizioni esecutive) proposte nel medesimo processo resta quello proprio di ciascuna domanda».
Il secondo ed il terzo motivo, da analizzarsi congiuntamente per l’intima connessione che li unisce, sono inammissibili.
Va ricordato che in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio). È inammissibile la diversa doglianza che il giudice, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, in quanto tale attività valutativa è consentita dall’art. 116 cod. proc. civ. (Cass. S.U. n. 20867/2020).
Inoltre, la censura di violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare prova o una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di
diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento” e abbia preteso di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale). La doglianza è ammissibile anche qualora il giudice abbia dichiarato di valutare secondo il suo prudente apprezzamento una prova soggetta ad una specifica regola di valutazione. Ove invece si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. S.U. n. 20867/2020 cit.).
Nella specie, ove la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è invocata ‘nei limiti dell’art. 360, comma 1, n. n. 5 cod. proc. civ.’, la Corte non ha deciso né in violazione del primo, non avendo giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti ed al di fuori dei casi in cui è attribuito potere officioso di disposizione del mezzo probatorio, né del secondo, non avendo apprezzato liberamente una prova legale né essendosi ritenuta vincolata da prova liberamente apprezzabile, ma ha ritenuto non dimostrata l’esistenza dei crediti po rtati in compensazione alla luce delle prove ritualmente acquisite in giudizio che, sulla base di valutazione non censurabile in questa sede, ha comparato ed apprezzato.
La sentenza ha, infatti, innanzitutto affermato che nel verbale di accertamento, sottoscritto per ricezione dal legale rappresentante della società, era precisato che l’accertamento era stato attuato dagli Ispettori INPS in forza di Convenzione stipulata il 25 ottobre 2013 tra la Direzione Regionale del Lazio dell’Agenzia delle Entrate e la Direzione Regionale dell’INPS,
Convenzione in forza della quale ‘la Direzione Regionale dell’INPS provvederà al recupero dei contributi previdenziali indebitamente compensati ed alla restituzione delle somme indebitamente trasferite all’Istituto con le modalità che saranno comunicate da lla Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate’. Di tal ché , ‘sul presupposto che la società avesse operato, per il periodo 01/01/2013-31/10/2015, indebite compensazioni con crediti inesistenti verso l’Erario, gli ispettori hanno riquantificato il debito contributivo mediante rielaborazione delle denunce retributive/contributive mensili, sulla scorta di quelle già inoltrate dalla società, indicando gli importi che la società avrebbe dovuto pagare, a titolo di contribuzione omessa, per regolarizzare il d ebito contributivo accertato’.
La Corte ha quindi concluso, apprezzando il contenuto della convenzione, che era evidente come ‘non fosse necessaria una previa dichiarazione da parte dell’Agenzia delle Entrate di inesistenza dei crediti asseritamente vantati, né che potesse sorgere in a lcun modo l’ipotizzato pericolo di duplicazione, essendo espressamente regolata -nei rapporti tra i due uffici -l’attribuzione della competenza alla Direzione Regionale dell’I.N.P.S. ai fini del recupero dei contributi previdenziali indebitamente compens ati’.
Sul presupposto, corretto, che la società avrebbe dovuto fornire la prova dell’esistenza dei crediti che aveva portato in compensazione, la Corte ha evidenziato che detta prova non era stata acquisita, ‘essendo la documentazione prodotta in primo grado ini donea a dimostrare l’effettività dei crediti’.
Ha, quindi, valutato criticamente tutti gli elementi di giudizio offerti dalle parti, per poi pervenire al proprio convincimento con motivazione esauriente ed esente da censure.
Ha, infatti, passato al vaglio la documentazione, nello specifico ‘contratti di acquisto di ramo di azienda stipulati nel 2013, 2014 e 2015 e … alcuni F24 risalenti agli anni 2014 e 2016 ‘ precisando che, in ordine ad essi, ‘ non viene in alcun modo illustrato in che modo tali atti avrebbero dato origine a crediti IVA e per quali esatti importi’.
Ha, quindi, proceduto alla disamina delle censure concernenti la inesistenza dei crediti Ires, Iva e Irap oggetto della compensazione, giudicando errati e non pertinenti i rilievi dell’appellante a fronte delle analitiche e dettagliate informazioni riporta te nella nota dell’Agenzia delle Entrate, che ha ritenuto ‘non adeguatamente e specificatamente contestate dall’appellante’ e ‘ che ben possono essere poste a fondamento della decisione’.
Ha, così, richiamato alcune risultanze: ad esempio, ‘nel 2013 RAGIONE_SOCIALE aveva compensato debiti di varia natura, ed in particolare ritenute e debiti contributivi, con presunti crediti IRES, IVA e IRAP relativi agli anni di imposta 2011 e 2012 per complessivi € 851.266,87, nonostante per l’anno di imposta 2011 non avesse presentato la dichiarazione, mentre per l’anno 2012 non avesse dichiarato alcun credito’: di conseguenza, ha argomentato la Corte, ‘non si comprende come detta società, avendo in iziato l’attività in data 24/11/2012 come affermato nell’atto di appello, abbia potuto maturare un credito IVA relativo all’anno 2011’. Ancora, nel 2014 la società aveva nuovamente compensato (anche) debiti contributivi, con presunti crediti IVA, IRES e recupero da parte dei sostituti d’imposta delle somme erogate ai sensi dell’art. 1 d.l. n. 66 del 2014 relativi agli anni di imposta 2012 e 2013 per complessivi € 1.951.104,30, nonostante per gli anni di imposta 2012 e 2013 non avesse dichiarato alcun credit o: ‘trattasi di circostanza non
contestata neanche in sede di appello’. Nel 2015 la società aveva ancora compensato debiti contributivi con presunti crediti IVA, INAIL e recupero da parte dei sostituti d’imposta delle somme erogate ai sensi dell’art. 1 d.l. n. 66 del 2014 per complessivi € 203.359,83, nonostante per l’anno 2013 non avesse dichiarato alcun credito IRES e per l’anno di imposta 2014 avesse presentato solamente la dichiarazione IVA, ‘dalla quale non emerge alcun credito di imposta: anche su tali aspetti l’appellante non ha mo sso specifiche ed esaurienti contestazioni, sia nel corso del giudizio di primo grado che nell’atto di impugnazione’.
La parte ricorrente non ha in questa sede scalfito efficacemente gli elementi addotti dalla Corte territoriale allo scopo di avvalorare la statuizione di rigetto delle domande, in primis l’inidoneità delle acquisizioni documentali e la mancanza di contestazioni persuasive in ordine al complesso delle risultanze.
Il ricorso va, pertanto, complessivamente rigettato, con condanna al pagamento delle spese di legittimità secondo soccombenza, come liquidate in dispositivo.
Atteso il rigetto, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 10.000,00 per
compensi ed € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, atteso il rigetto del ricorso, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 29 maggio