Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24853 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24853 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 18218-2021 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 196/2021 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 27/04/2021 R.G.N. 661/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/05/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Fatti di causa
Oggetto
Altre ipotesi di rapporto privato
R.G.N.18218/2021
COGNOME
Rep.
Ud 21/05/2025
CC
NOME COGNOME, dipendente della RAGIONE_SOCIALE, veniva licenziato in data 25.10.2011; a seguito di ricorso cautelare ex art. 700 cpc, il recesso veniva dichiarato illegittimo con conseguente emissione di un ordine di reintegra nel posto di lavoro. L’11.6.2012 seguiva un secondo licenziamento, anche esso dichiarato illegittimo con provvedimento cautelare che disponeva la reintegra, avvenuta il 25.10.2012.
Previo ricorso al Tribunale di Messina, il lavoratore otteneva il decreto con cui veniva ingiunto alla società di corrispondergli la complessiva somma di euro 8.318,27, oltre accessori e spese, a titolo di retribuzioni per i mesi da febbraio 2012 a giugno 2012. Nelle more lo Schepis otteneva, in data 3.10.2012, la somma di euro 7.220,35 a titolo di TFR.
Con l’opposizione al provvedimento monitorio la società eccepiva la compensazione atecnica dell’importo versato nelle more a titolo di TFR che il lavoratore, con la reintegra, non avrebbe avuto diritto a conservare.
Il Tribunale adito rigettava l’opposizione rilevando che la società non aveva dato la prova di avere corrisposto le chieste retribuzioni e che la istanza di compensazione era illegittima perché la portata del provvedimento ex art. 700 cpc era solo limitato alla parte ordinatoria di ripristino del rapporto di lavoro, con esclusione di ogni effetto dichiarativo.
La Corte di appello di Messina, con la sentenza n. 196/2021, ritenuto ammissibile l’appello, in riforma della pronuncia di primo grado ha revocato il decreto ingiuntivo dichiarando compensate le somme a titolo retributivo vantate dallo Schepis per il periodo febbraio-giugno 2012 con quelle da lui dovute a titolo di restituzione del TFR.
I giudici di seconde cure rilevavano che: a) i provvedimenti di urgenza, emessi ex art. 700 cpc, ed aventi contenuto anticipatario della sentenza di merito, erano dotati, ai sensi del novellato art. 669 octies commi 6 e 7 cpc, di un regime di stabilità privilegiato, che non imponeva alcun obbligo di iniziare il giudizio di merito; b) nella specie, il provvedimento emesso in favore dello Schepis nel posto di lavoro aveva certamente un contenuto anticipatorio ed era stato prontamente eseguito senza dare corso ad alcun giudizio di merito; c) esso investiva non solo il ripristino della funzionalità del rapporto, ma anche tutti gli aspetti retributivi ed eventualmente restitutori, con la conseguenza che il TFR erogato nelle more costituiva un vero e proprio indebito ex art. 2033 cod. civ.; d) si verteva in una ipotesi di compensazione atecnica, in quanto i rispettivi crediti e debiti avevano origine dall’unico rapporto lavorativo, in relazione al quale era irrilevante il mancato consenso del lavoratore nonché altri limiti sostanziali alla compensabilità; e) la società, quindi, legittimamente aveva provveduto alla compensazione tra la retribuzione dovuto al netto e il TFR già calcolato, al momento della erogazione, al netto, i conteggi sottesi alla compensazione erano corretti; f) la richiesta avanzata dallo Schepis, in sede di appello, di essere creditore dell’ulteriore importo lordo di euro 16.264,00, per altre mensilità non corrisposte (per il quale insisteva per una declaratoria di compensazione) costituiva, in realtà, non una eccezione riconvenzionale condizionata, bensì una vera e propria domanda riconvenzionale, in quanto tale inammissibile e, comunque, non provata, in relazione ai dedotti crediti, dalla sola prodotta attestazione dei servizi INPS per gli anni 2011 e 2012; g) le spese di giudizio
andavano poste a carico dello Schepis nella misura di tre quarti, con compensazione della restante parte, atteso che il pagamento del TFR era avvenuto dopo la richiesta di provvedimento monitorio.
Avverso la sentenza di secondo grado proponeva ricorso per cassazione NOME COGNOME affidato a quattro motivi cui resisteva con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
Il ricorrente depositava memoria.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
Ragioni della decisione
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 700 e 669 cpc, della legge n. 604/1966, dell’art. 2, dell’art. 2118 e 1243 cod. civ., in relazione all’articolo 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere erroneamente ritenuto la Corte terr itoriale legittima l’operata compensazione atecnica del TFR sulla retribuzione via via maturata nonostante il provvedimento cautelare non costituiva sentenza ed aveva caratteri di provvisorietà e di decisorietà propri dei provvedimenti anticipatori non seguiti dal giudizio di merito.
Con il secondo motivo si censura la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 345 e 416 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere erroneamente la Corte distrettuale rigettato la eccezione riconvenzionale riguardante le altre retribuzioni, vantate da esso ricorrente, per altri periodi, ritenendola inammissibile in rito e infondata nel merito. Si obbietta che, a differenza di quanto opinato, non si trattava di una domanda riconvenzionale in quanto la richiesta aveva ad oggetto esclusivament e il rigetto dell’altrui pretesa e, in
questi termini, in ogni caso avrebbe dovuto essere presa in considerazione ai fini del decidere.
Con il terzo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 633 e 645 cpc, nonché degli artt. 115 cpc e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per non avere rilevato la Corte di appello che la sussistenza del maggior credito eccepito da esso ricorrente non era stato contestato dalla RAGIONE_SOCIALE e tale comportamento, unitamente alla attestazione dei servizi INPS erano idonei a dimostrare la circostanza dedotta del mancato pagamento.
Con il quarto motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere erroneamente la Corte di appello posto a suo carico le spese di lite anche del procedimento monitorio e di quello di opposizione, nella misura di tre quarti, nonostante al momento della richiesta di ingiunzione il TFR non era stato ancora erogato e sebbene il credito, da lui vantato, fosse stato poi integralmente accertato sia nell’ an che nel quantum , per cui con la revoca del decreto ingiuntivo, le spese avrebbero dovuto essere compensate integralmente.
Il primo motivo non è fondato.
Questa Corte, in tema di impugnativa del licenziamento, ha affermato che il ricorso ex art. 700 c.p.c., proposto ai sensi degli artt. 669 bis e 669 ter c.p.c., a proposito della decadenza, è idoneo ad impedire la decadenza prevista dall’art. 6, comma 2, secondo periodo, della l. n. 604 del 1966, come modificato dall’art. 32, comma 1, della l. n. 183 del 2010, poiché il procedimento d’urgenza, in tal caso, al pari di quello ordinario, assolve alla primaria funzione di emersione tempestiva del contenzioso e alla connessa finalità
di superare l’incertezza suscettibile di incidere in modo significativo sull’organizzazione e sulla gestione dell’impresa, avuto anche riguardo alla particolare affinità sussistente tra i due procedimenti, in ragione della definitività – seppur condizionata ad una differente ed eventuale decisione assunta nel giudizio ordinario -che caratterizza il provvedimento conclusivo del procedimento cautelare d’urgenza Cass. n. 10823/2023, Cass. n. 10840/2016).
Nell’ipotesi di emissione, in sede cautelare, di un ordine di reintegra nel posto di lavoro, con la statuizione delle connesse conseguenze risarcitorie, pertanto, l’interesse sostanziale della parte istante viene soddisfatto in modo totale e, in mancanza di instaurazione del giudizio di merito e, anzi, di completa esecuzione del dictum del provvedimento, non può negarsi che questo abbia assunto un carattere di definitività che non può essere limitato solo ad un aspetto funzionale del rapporto, ma concerne anche il presupposto genetico (illegittimità del recesso) posto a fondamento dell’ordine.
In questa situazione di definitività ‘ allo stato degli atti ‘ (cd. giudicato cautelare), sia pure non caratterizzata dai profili di un giudicato sostanziale ex art. 2909 cod. civ. o formale ex art. 324 cpc, gli atti e i comportamenti delle parti devono essere valutati in relazione a tale contesto di talché non possono considerarsi (perché ciò sarebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza) le statuizioni giurisdizionali emesse in via d’urgenza valide ai fini di determinati effetti (ripristino del rapporto lavorativo e pagamento delle retribuzioni) e non valevoli ed efficaci per altri aspetti (per es. per il pagamento del TFR che, risultando ripristinato il rapporto, è divenuto indebito) stante la asserita precarietà
della situazione derivante dalla sola tutela cautelare, come invece sostiene parte ricorrente.
In altri termini, in una condizione disciplinata da un provvedimento anticipatorio cautelare e/o urgente, dotato di una certa definitività perché non modificato ex art. 669 terdecies cpc né interessato dal successivo giudizio di merito (mai instaurato a distanza di anni), il sinallagma contrattuale è regolato dalle statuizioni da esso previste, per entrambe le parti, e non può invocarsi la delibazione, di natura sommaria, solo per taluni effetti e non per altri.
Da ciò, naturalmente, esula la problematica se, per il provvedimento cautelare, sia ammissibile o meno, la proposizione del ricorso per cassazione, sia ordinario che straordinario, ovvero il regolamento preventivo di giurisdizione, attesa la mancanza della decisorietà e definitività dello stesso (come più volte affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, per tutte Cass. Sez. Un. n. 19368/2023), perché il profilo che qui viene in rilievo non è quello della impugnabilità, bensì quello della individuazione dell’ordine giurisdizionale che regola il caso concreto, in relazione al quale vanno parametrati gli atti e i comportamenti delle parti interessate, in un determinato momento storico.
Correttamente, quindi, la Corte territoriale ha ritenuto costituente pagamento dell’indebito la corresponsione , nelle more, del TFR al lavoratore che era stato reintegrato nel posto di lavoro in virtù di un provvedimento ex art. 700 cpc.
Il secondo motivo è parimenti infondato.
Va precisato che, a differenza della domanda riconvenzionale (con la quale il convenuto, traendo occasione dalla domanda contro di lui proposta, chiede un
provvedimento giudiziale a sé favorevole, che gli attribuisca beni determinati in contrapposizione a quelli richiesti con la domanda principale), l’eccezione riconvenzionale esprime una richiesta che, pur rimanendo nell’ambito della difesa, amplia il tema della controversia, senza tuttavia tendere ad altro fine che non sia quello della reiezione della domanda, opponendo al diritto fatto valere dall’attore un diritto idoneo a paralizzarlo (Cass. n. 16314/2007).
La distinzione tra domanda e eccezione riconvenzionale non dipende, poi, dal titolo posto a base della difesa del convenuto, e cioè dal fatto o dal rapporto giuridico invocato a suo fondamento, né dal relativo oggetto sostanziale (il bene della vita), ma dal petitum processuale, vale a dire dal risultato che lo stesso intende con essa ottenere in giudizio, limitato, nel secondo caso, al rigetto della domanda proposta dall’attore; di conseguenza, non sussistono limiti al possibile ampliamento del tema della controversia da parte del convenuto a mezzo di eccezioni, purché vengano allegati, a loro fondamento, fatti o rapporti giuridici prospettati come idonei a determinare l’estinzione o la modificazione dei diritti fatti valere dall’attore, ed in base ai quali si chiede la reiezione delle domande da questo proposte e non una pronunzia di accoglimento di ulteriori e diverse domande (Cass. n. 31010/2023).
Ricorre, quindi, l ‘ ipotesi della eccezione riconvenzionale (come tale ammissibile anche in appello) allorquando il fatto dedotto dal convenuto sia diretto provocare il mero rigetto della domanda avversaria; integra invece vera e propria domanda riconvenzionale, preclusa in sede di gravame, l’istanza con la quale venga chiesto, oltre al rigetto dell’altrui pretesa, l’ulteriore
declaratoria di tutte le conseguenze giuridiche connesse all’invocato mutamento della situazione precedente.
Nella fattispecie in esame, la gravata sentenza è in linea con tali principi e correttamente ha rilevato che, essendo la richiesta di declaratoria della compensazione del credito richiesto dalla RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE con il maggior credito per altre mensilità vantate dallo Schepis, non azionate in sede monitoria (per l’ulteriore importo lordo di euro 16.264,00), finalizzata non solo a paralizzare la istanza ex adverso articolata ma anche ad ottenere il riconoscimento di somme aggiuntive, rispetto a quelle originariamente oggetto di ingiunzione, da portare appunto in compensazione nel computo del dare e dell’avere tra le parti, la richiesta andava appunto considerata come una domanda riconvenzionale (e in quanto tale inammissibile perché proposta per la prima volta in appello) e non quale eccezione riconvenzionale.
Alla infondatezza del secondo motivo consegue, poi, la inammissibilità del terzo.
La impugnata pronuncia, sulla richiesta di compensazione con il maggior credito dello Schepis, vantato per altre mensilità, è stata, infatti, fondata su due rationes decidendi : la inammissibilità in rito della domanda da qualificarsi come riconvenzionale e, comunque, la infondatezza della stessa.
Una volta accertata, in questa sede, la correttezza della statuizione sulla inammissibilità in rito, le problematiche sulla infondatezza diventano inammissibili per sopravvenuta carenza di interesse perché giammai le doglianze, anche se fondate, potrebbero condurre alla cassazione della sentenza gravata (Cass. n. 5102/2024).
Il quarto motivo, infine, è anche esso non meritevole di accoglimento avendo la Corte distrettuale applicato il criterio
della soccombenza globale: in tema di spese processuali, infatti, nel procedimento per decreto ingiuntivo, la fase monitoria e quella di opposizione ex art. 645 c.p.c. fanno parte di un unico processo, nel quale il relativo onere del pagamento delle spese è regolato globalmente in base all’esito finale del giudizio ed alla complessiva valutazione del suo svolgimento: nella fattispecie la Corte territoriale ha svolto tale accertamento di merito insindacabile in cassazione.
Va, infatti, ribadito che, in materia di attribuzione delle spese, fuori dell’ipotesi in cui sia violato il principio della soccombenza – per il quale è vietato, ai sensi dell’art 91 cod. proc civ, condannare alle spese la parte totalmente vittoriosa – la statuizione è rimessa al criterio insindacabile del giudice di merito, senza che sia possibile alcuna censura in sede di legittimità, neppure al fine di accertare l’esistenza o meno di giusti motivi che possano consigliare, ai sensi dell’art 92 cod. proc. civ, la compensazione totale o parziale delle spese del procedimento.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del
presente giudizio che liquida in euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 21.5.2025
La Presidente
Dott.ssa NOME