Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21153 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21153 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 24/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22291/2022 R.G., proposto da
MINISTERO DELLA DIFESA e STANO Bruno , il primo in persona del Ministro p.t., rappresentati e difesi ex lege dall’ Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati ex lege come da indirizzo pec indicato,
–
ricorrenti –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME domiciliato ex lege come da indirizzo pec indicato,
–
contro
ricorrente – contro
COGNOME NOME COGNOME NOME ,
–
intimati – per la cassazione della sentenza n. 3526/2022 della CORTE d’APPELLO di Roma pubblicata il 24.5.2022;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 20.5.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Responsabilità della PA Compensatio lucri cum damno -Eccezione in senso lato – Deducibilità in appello sulla base di elementi già risultanti ex actis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME, militare operante presso la base ‘RAGIONE_SOCIALE‘ sita in An Nasiriyah (Iraq), dove era stanziato il Reparto Multinational Specialized UNIT (MSU) a guida italiana, rimasto gravemente ferito a causa dell’attentato del 12.11.2003, conveniva dinanzi al Tribunale di Roma il Ministero della Difesa e i generali NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME e ne chiedeva la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti.
Con sentenza n. 11539/2017 il Tribunale di Roma in accoglimento della domanda svolta condannava il Ministero della Difesa e il generale NOME COGNOME al pagamento solid ale in favore dell’attore di euro 329.971,00, oltre interessi e rivalutazione, rigettando la domanda nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La Corte d’Appello di Roma, nei giudizi riuniti promossi, il primo, dal Ministero della Difesa e dallo Stano, il secondo, dal COGNOME, altresì appellante in via incidentale, con sentenza pubblicata il 24.5.2022, rigettato l’appello svolto dal Ministero della Difesa e dallo Stano e in parziale accoglimento delle impugnazioni (principale e incidentale) svolte dal COGNOME, condannava i primi al pagamento di euro 400.000,00, oltre rivalutazione e interessi. Il Ministero della Difesa e lo Stano erano gravati delle spese del grado, con rifusione in favore dello Stato ai sensi dell’art. 133 d.p.r. 115/2002. A carico del COGNOME, invece, erano poste le spese del grado in favore degli appellati NOME COGNOME e NOME COGNOME
La Corte d’appello , per quanto ancora di rilievo ai fini del giudizio, disattesa l’impugnazione quanto all’ an , rigettava anche il motivo basato sulla richiesta, già avanzata in primo grado, da parte del Ministero della Difesa e dello Stano di scomputo dal risarcimento del danno di quanto percepito dall’attore a titolo indennitario o per altra causa , perché non provato l’avvenuto incasso di somme a qualunque titolo da parte dell’attore. Osservava la corte che la documentazione prodotta in sede di impugnazione era inammissibile, ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ. , perché di formazione
precedente, dovendo altresì la parte provare di esserne venuta in possesso solo dopo il decorso delle preclusioni probatorie o successivamente alla pronuncia del Tribunale.
La Corte d’appello, inoltre, in accoglimento dell’impugnazione svolta dal COGNOME , il quale si doleva per l’avvenuta liquidazione del danno non patrimoniale non in base alle tabelle «milanesi», rideterminava il dovuto in complessivi euro 400.000,00 compresa la personalizzazione.
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorrono il Ministero della Difesa e NOME COGNOME sulla base di un motivo. Resiste con controricorso NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME sono rimasti intimati.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
NOME COGNOME ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di impugnazione è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056, 2041, 2697 e 2727 e ss. cod. civ., nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
I ricorrenti lamentano che la sentenza confliggerebbe con il principio della rilevabilità d’ufficio anche in appello delle eccezioni in senso lato risultanti ex actis , indipendentemente da specifica allegazione di parte, come statuito da Cass., Sez. Un., 7 maggio 2013, n. 10531 e riaffermato da Cass., sez. III, 14 maggio 2021, n. 12891. La corte, pertanto, avrebbe dovuto ritenere legittimamente acquisiti al giudizio tanto la questione della compensatio lucri cum damno , quanto provati i fatti posti a suo fondamento.
Infatti, già in primo grado a pagina 71 della comparsa di costituzione, nel contestare nell’ an e nel quantum la domanda svolta, il Ministero aveva evidenziato che l’indennizzo corrisposto al danneggiato ‘ può essere interamente scomputa dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento
del danno’ e precisato ‘ si rimanda alla documentazione già depositata nei precedenti giudizi riportante le somme che, per quanto informalmente accertato da questa difesa presso la P.A. interveniente e salvo errori od omissioni per difetto o per eccesso, risulterebbero essere state riscosse a vario titolo da controparte in relazione al danno causato dall’attentato ‘.
In sede di appello erano stati indicati i provvedimenti emessi in favore del COGNOME e della moglie NOME COGNOME . Segnatamente, in favore dell’attore erano stati emessi:
decreto 18/2011 di attribuzione della speciale elargizione per euro 227.257,80;
decreto 19/2011 relativo a:
assegno mensile vitalizio di euro 258,23 elevato a euro 500,00 dall’1.1.2004 soggetto annualmente a perequazione automatica ;
ii) speciale assegno vitalizio di euro 1.033,00 a decorrere dal 26.8.2004 soggetto annualmente a perequazione automatica.
Sempre in sede di appello era stata depositata quietanza RAGIONE_SOCIALE attestante l’attribuzione all’attore dell’indennizzo assicurativo di euro 18.087 ,67 in base a polizza stipulata dall’amministrazione, mentre non era stato erogat o l’ «equo indennizzo» data la percezione di quanto corrisposto dall’assicuratore , e fatto presente che lo scomputo avrebbe dovuto avere a oggetto non solo gli importi già percepiti, ma anche la capitalizzazione fino al 75° anno di età degli assegni vitalizi. A sostegno di quanto dedotto era stato prodotto uno schema riepilogativo, da cui emergeva che l’ammontare complessivo dei benefici erogati ed erogandi ammontava a euro 1.599.302,15. La percezione di tali somme non era stata contestata dal COGNOME.
La decisione della Corte d’appello, inoltre, contrast erebbe con quanto affermato da Cass., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 584, secondo cui la compensazione non può operare qualora non sia stato corrisposto o non sia quanto meno determinato o determinabile l’indennizzo nel suo preciso ammontare. Nel caso in esame, invece, erano stati già acquisti sia elementi
idonei a escludere che si fosse al cospetto di una «astratta spettanza» di somme a titolo di indennizzo, sia dati sufficientemente specifici per la determinazione di quanto corrisposto, risultando documentalmente provato che l’indennizzo era stato concretamente riconosciuto come allegato e documentato.
La Corte d’appello avrebbe potuto decidere sulla base di quanto allegato, documentato e incontestato o sulla base di quanto presumibile, così incorrendo nella violazione degli artt. 2697 e 2727 cod. civ., nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e potendo far luogo, in ogni caso, a una pronuncia di detrazione generica con rimessione alla successiva fase esecutiva l ‘esatta determinazione degli importi da scomputare.
La decisione impugnata, là dove si legge a proposito dell’obbligo di produrre ‘la documentazione relativa alla percepita indennità’, sarebbe erronea, poiché il giudice dell’appello avrebbe dovuto pronunciare sull’eccezione di compensatio lucri cum damno (integrante una mera difesa) anche indipendentemente da una specifica deduzione e prova circa l’esatta misura della somma da scomputare, facendo riferimento a tutte le risultanze del giudizio in base al principio di acquisizione della prova (Cass., sez. III, 24 novembre 2020, n. 26757).
2. Il motivo è infondato.
I ricorrenti, di là de ll’ indicazione nell’intestazione del motivo di svariate norme sostanziali e processuali, alcune delle quali nemmeno poi evocate, direttamente o indirettamente, nello sviluppo del testo, lamentano primariamente che la sentenza della corte capitolina confliggerebbe con il principio della rilevabilità d’ufficio anche in appello delle eccezioni in senso lato risultanti ex actis , indipendentemente da specifica allegazione di parte.
La Corte d’appello nel pervenire al rigetto del secondo motivo di appello ha accolto l’eccezione del COGNOME di inammissibilità , ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ., della documentazione prodotta dall’amministrazione in sede di impugnazione , peraltro neppure con l’atto di appello ma ‘solo con la comparsa di costituzione delle controparti COGNOME e COGNOME ‘ (v. pagina
9 della sentenza, riga 12). La corte ha poi aggiunto che ‘detta documentazione ben poteva essere prodotta nel giudizio di primo grado essendo di formazione precedente, laddove sarebbe stato preciso onere della parte fornire la prova nella propria impossibilità di venirne in possesso solo successivamente alla scadenza dei termini di cui all’art. 183 comma VI cod. proc. civ. o., comunque, all’emissione della sentenza di primo, prova che nel caso di specie non è stata fornita’.
I ricorrenti, tuttavia, pur dolendosi del rigetto dell’impugnazione ‘per mancanza di prova dell’effettivo avvenuto incasso di somme a qualunque titolo da parte dell’attore’ (pagina 9 della sentenza, riga 24 e s.), non hanno censurato, nemmeno indirettamente, la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ. nella formulazione vigente ratione temporis , spiegando dettagliamente, e provvedendo alla relativa localizzazione, come e quando ex actis sarebbe stato possibile rilevare d’ufficio la compensatio lucri cum damno.
Secondo un indirizzo consolidato di questa Corte, la compensatio lucri cum damno integra un’eccezione in senso lato, rientrante nell’attività difensiva consentita alla parte in ogni momento e finché non resti preclusa da un giudicato interno anche implicito, sicché può essere dedotta per la prima volta in appello ed essere rilevata pure di ufficio dal giudice. Infatti, con essa non viene prospettato alcun ampliamento dell’iniziale oggetto della controversia, pur sempre circoscritto alla valutazione globale delle conseguenze dirette dell’illecito nella sfera economica del danneggiato: non viene fatto valere alcun diritto sostanziale del convenuto in contrapposizione a quello avanzato dall’attore, né l’eccezione stessa è identificabile come oggetto di una specifica disposizione di legge che ne faccia riserva in favore della parte (v. Cass., sez. III, 14 gennaio 2014, n. 533).
La valutazione sulla compensatio non amplia l’oggetto iniziale della controversia; essa può anche essere rilevata d’ufficio dal giudice, il quale, per determinare l’esatta misura del danno risarcibile, può fare riferimento, per il principio dell’acquisizione della prova, a tutte le risultanze del giudizio (v. Cass., sez. III, 24 settembre 2014, n. 20111; Cass. sez. III, 30 ottobre
2020, n. 24177; Cass. sez. III, 20 novembre 2020, n. 26757; sez. I, 28 luglio 2022, n. 23588; Cass., sez. III, 13 giugno 2023, n. 6808; 30 gennaio 2024, n. 2840) e può avvalersi anche del proprio potere officioso di sollecitazione presso gli uffici competenti (v. Cass. 2840/2024, Cass. 6808/2023, citate). Il principio della compensatio lucri cum damno , conclusivamente, è inteso dal diritto vivente, secondo l’approdo nomofilattico avutosi con le quattro coeve sentenze del 22 maggio 2018, dal n. 12564 al n. 12567, delle Sezioni Unite civili, “come regola di evidenza operativa per la stima e la liquidazione del danno”.
Mutuando i principi enunciati da Cass., Sez. Un., 7 maggio 2013, n. 10531, secondo la quale l’eccezione in senso lato è rilevabile d’ufficio, purché risulti dagli atti del processo e anche se non sia stata allegata dalla parte interessata, è stato affermato che la deduzione degli elementi rilevanti ai fini della compensatio è svincolata dalla sequenza ordinaria prevista per l’allegazione e la prova dei fatti (giacché, se si ritenesse operante anche per i fatti posti a fondamento dell’eccezione in senso lato lo sbarramento previsto dall’art. 183, comma sesto, cod. proc. civ., la differenza di regime rispetto alle eccezioni in senso stretto si ridurrebbe al fatto che la rilevazione di queste ultime va anticipata alla comparsa di risposta), essendo sufficiente che tali elementi emergano comunque nel giudizio di primo grado (v. Cass., sez. III, 14 maggio 2021, n. 12891, non massimata, ma espressamente in motivazione; v. inoltre Cass., sez. III, 13 giugno 2023, n. 16808).
Già in precedenza, per quanto su un tema diverso da quello odierno, è stato affermato da questa Corte che il potere del giudice di rilievo d’ufficio dell’eccezione non implica il superamento del divieto della scienza privata del giudice medesimo, ma occorre pur sempre che determinati fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultino acquisiti agli atti e che la parte faccia richiesta di attribuire rilevanza ai fatti medesimi (v. Cass., sez. Lav., 13 aprile 1999, n. 3631). Da tale allegazione, a seguito di Cass., Sez. Un., 10531/2013 si può prescindere, ma rimane ferma la necessità che l’eccezione in senso lato risulti dagli atti del processo.
In breve, come è stato fatto notare, « l’eccezione in senso lato è rilevabile d’ufficio ove risulti dagli atti del processo e non deve essere dato spazio ad un effetto contrario al valore primario del processo costituito dalla giustizia della decisione, quale si verificherebbe se ogni questione, anche per sua natura rilevabile d’ufficio, fosse sottoposta ai limiti preclusivi di allegazione e prova a cura di parte».
I ricorrenti sin dal primo grado, nel contestare la domanda attorea nell’ an e nel quantum , hanno dedotto che l’indennizzo corrisposto al COGNOME lo si sarebbe dovuto scomputare dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno, al fine di evitare che con riferimento allo stesso fatto lesivo il Ministero della Difesa fosse gravato da due diverse attribuzioni patrimoniali in favore d ell’attore.
Sennonché, la tale deduzione è stata svolta in modo del tutto generico e in assenza di qualsiasi evidenza offerta in giudizio. Nella comparsa di costituzione, infatti, oltre al richiamo a Cass., Sez. Un., 584/2008, si legge: ‘ si rimanda alla documentazione già depositata nei precedenti giudizi riportanti le somme che, per quanto informalmente accertato da questa difesa presso la P A. interveniente e salvo errori od omissioni per difetto o per eccesso, risulterebbero esser state riscosse a vario titolo da controparte in relazione al danno causato dall’attentato.
I ricorrenti riferiscono quest’oggi che in sede di appello avrebbero indicato i provvedimenti emessi in favore del COGNOME e della moglie NOME COGNOME. Segnatamente, in relazione all’ attore sarebbero stati emessi: a) decreto 18/2011 di attribuzione della speciale elargizione per euro 227.257,80; b) decreto 19/2011 relativo a i) assegno mensile vitalizio di euro 258,23 elevato a euro 500,00 dall’1.1.2004 soggetto annualmente a perequazione automatica; ii) speciale assegno vitalizio di euro 1.033 a decorrere dal 26.8.2004 soggetto annualmente a perequazione automatica.
Sempre in sede di appello risulterebbe essere stata depositata quietanza RAGIONE_SOCIALE attestante l’attribuzione all’attore dell’indennizzo assicurativo di euro 18.087,67 in base a polizza stipulata
dall’amministrazione, con la precisazione che non era stato erogato l’equo indennizzo data la percezione del già menzionato indennizzo assicurativo.
Nella stessa sede il Ministero della Difesa avrebbe prodotto uno schema riepilogativo dei benefici corrisposti e da corrispondere in favore del COGNOME, dal quale risulta che l’ammontare dei benefici collateral i previdenziali e assicurativi erogati e da erogare ammonterebbe a complessivi euro 1.599.302,15.
Anche a voler prescindere dall’assenza di specificità del motivo, posto che la censura è fondata su fatti processuali ( l’allegazione e la produzione di documentazione a sostegno dell’eccezione ) dei quali si omette specifica indicazione, sia contenutistica sia quanto alla localizzazione nel fascicolo di causa degli atti dai quali essi dovrebbero risultare, in violazione dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. (v. Cass., sez. un., 27 dicembre 2019, n. 34469 e ribadito più di recente da Cass., sez. III, 1° luglio 2021, n. 18695), la Corte d’appello in alcun modo avrebbe potuto procedere al rilievo d’ufficio, poiché, come già detto, in primo grado l’amministrazione si era riportata alla documentazione riversata in altri giudizi, nella quale sarebbero stati indicate le somme che, ‘ per quanto informalmente accertato da questa difesa presso la P A. interveniente e salvo errori od omissioni per difetto o per eccesso, risulterebbero esser state riscosse a vario titolo da controparte in relazione al danno causato dall’attentato ‘.
Dunque, deve escludersi che agli atti del giudizio di primo grado emergessero elementi sui quali fondare la chiesta decurtazione.
Tale situazione non risulta essere stata sanata in sede di appello. La Corte d’appello ha ritenuto inammissibile, perché tardiva ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ., la documentazione prodotta in sede di impugnazione, che ‘ben poteva essere prodotta nel giudizio di primo grado essendo di formazione precedente, laddove sarebbe stato preciso onere della parte fornire la prova della propria impossibilità di venirne in possesso solo successivamente alla scadenza dei termini di cui a ll’art. 183 comma VI cod.
proc. civ. o, comunque, alla emissione della sentenza di primo grado, prova che nel caso di specie non è stata fornita’ ( pagina 9, da riga 14 a riga 19).
Non essendoci negli atti del processo alcun elemento a sostegno della compensazione invocata, e considerando che l’unico documento rilevante prodotto in appello -oltre alla quietanza dei Lloyd’s, i nconferente per la causa -era un riepilogo degli importi versati al COGNOME -nel ricorso, pagina 10, riga 6, si legge ‘Dinanzi alla Corte d’Appello di Roma veniva chiarito ulteriormente che « Al fine di dimostrare l’infondatezza delle pretese del COGNOME, si evidenzia che la Direzione generale della previdenza militare ha emesso i seguenti provvedimenti in favore del sig. COGNOME e della consorte, sig.ra COGNOME NOMECOGNOME -, in alcun modo la Corte d’appello avrebbe potuto procedere al rilievo d’ufficio auspicato da i ricorrenti.
Gli ulteriori rilievi sono stati svolti dai ricorrenti in modo del tutto inappropriato.
Questo vale, in primo luogo, per la pretesa non contestazione della percezione da parte del COGNOME, oggi evocata svolta dai ricorrenti in modo del tutto assertorio.
Quando il motivo di impugnazione è fondato sul rilievo che la controparte ha mantenuto una condotta processuale di non contestazione, al fine di consentire a questa Corte di legittimità di prendere cognizione delle doglianze mosse, il ricorrente ha l’onere di indicare non solo con quale atto e in quale sede abbia operato la deduzione in fatto, ma anche in quale modo la circostanza sia stata provata o risultata pacifica (Cass., sez. I, 18 luglio 2007, n. 15961; sez. III; 28 giugno 2006, n. 10583; sez. 6-I, 12 ottobre 2017, n. 24062; sez. 6-III, 13 ottobre 2017, n. 20637; sez. II, 4 luglio 2018, n. 17474; sez. III, 5 marzo 2019, n. 6303; sez. 6-III, 4 aprile 2022, n. 10761). I ricorrenti avrebbero dovuto quantomeno indicare l’atto processuale in cui il COGNOME avrebbe mancato di sollevare la contestazione e dare poi conto del relativo contenuto, in modo da consentire a questa Corte di vagliare la decisività della censura.
Del pari, la censura per violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è stata effettuata in modo non adeguato alla stregua dei consolidati orientamenti espressi da questa Corte (v., Cass., Sez. Un., 5 agosto 2016, n. 16598, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto; Cass., VI-3, 23 ottobre 2018, n. 26769; sez. lav., 19 agosto 2020, n. 17313, quanto alla prima, nonché da Cass., 10 giugno 2016, n. 11892; 8 ottobre 2019, n. 25027; 31 agosto 2020, n. 18092; 22 settembre 2020, n. 19798; Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867, quanto alla seconda).
Analogamente, l a violazione dell’art. 2697 cod. civ. non è stata formulata in maniera conforme al consolidato principio di diritto espresso da questa Corte in tema di regolazione dell’onere della prova secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni (v., sempre, le già citate Cass., Sez. Un., 16598/2016, Cass., VI-3, 26679/2018; Cass., sez. lav., 17313/2020, nonché Cass., sez. V, 15 ottobre 2024, n. 26739). Ipotesi non ricorrenti nel caso di specie, poiché la Corte d’appello ha arrestato la sua valutazione all’inosservanza dell’art. 345 cod. proc. civ. Profilo, quest’ultimo, d el tutto ignorato dai ricorrenti.
Per mera completezza si rileva, in fine, che nell’illustrazione del motivo , quanto alla pretesa violazione dell’art. 2727 cod. civ. al di là dell’assenza di rilievi espliciti – non si rintraccia alcunché che possa ricondursi al modo di dedurre la violazione delle norme sulle presunzioni siccome indicato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 17845 del 2018 (si vedano, non risultando massimata sul punto, i paragrafi 4 e ss. della motivazione).
6. Il ricorso, conclusivamente, deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità possono essere compensate in ragione della elevata controvertibilità delle questioni esaminate.
Non può trovare applicazione l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, essendo parte ricorrente Amministrazione dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, è esentata dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (v., Cass., sez. III, 13 novembre 2024, n. 3384; sez. V, 29 dicembre 2016, n. 27301; sez. 6-Lav., 29 gennaio 2016, n. 1778; v. anche Cass., sez. un., 8 maggio 2014, n. 9938; Cass., sez. III, 14 marzo 2014, n. 5955).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della