Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26537 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26537 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5510/2022 R.G. proposto da : COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
NOME, domiciliata ex lege all’indirizzo Pec in atti.
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME, domiciliato ex lege all’indirizzo Pec in atti.
-controricorrente e ricorrente incidentale- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di SALERNO n. 1063/2021 depositata il 15/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/06/2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
Rilevato che
COGNOME NOME ricorreva al Tribunale di Salerno per sentir dichiarare risolto il contratto di comodato alla data del 29 giugno 2004 ovvero, in subordine, alla data del 2 febbraio 2012, e di conseguenza sentir dichiarare sine titulo l’occupazione da parte di COGNOME NOME, con condanna del medesimo al rilascio immediato dell’immobile ed al risarcimento dei danni conseguenti al mancato utilizzo dell’immobile, da determinarsi nel loro ammontare in separato giudizio.
Si costituiva COGNOME NOME, contestando le avverse domande sul rilievo per cui non era intercorso alcun contratto di comodato né con la RAGIONE_SOCIALE né con la società sua dante causa, RAGIONE_SOCIALE, ed altresì spiegando domanda riconvenzionale di accertamento dell’intervenuta usucapione dell’immobile, per pacifico ed esclusivo possesso ventennale come proprio ufficio e studio.
Con sentenza n. 2327 del 15 maggio 2015 il Tribunale di Salerno accoglieva la domanda subordinata dell’attrice e per l’effetto dichiarava cessato alla data del 2 febbraio 2012 il contratto di comodato, disponendo l’immediato rilascio dell’immobile, con condanna del convenuto al pagamento delle spese processuali. Rigettava invece la domanda di usucapione.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME proponeva appello, che veniva solo in parte accolto, dato che la Corte di Appello, definitivamente pronunciando, così testualmente provvedeva: “1) Accoglie in parte l’appello e per l’effetto, in corrispondente riforma della impugnata sentenza, rigetta la domanda di COGNOME NOME. Conferma il rigetto della domanda di usucapione; 2) Condanna COGNOME NOME al pagamento delle spese del giudizio compensate per la metà”.
In sintesi, la corte territoriale -in accoglimento del gravame proposto dal COGNOME sul punto -perveniva ad affermare la mancanza di idonea prova circa l’esistenza di un contratto di comodato tra la società dante causa della RAGIONE_SOCIALE ed il RAGIONE_SOCIALE NOME avente ad oggetto l’immobile oggetto di causa (v. pp. 7 -8 dell’impugnata sentenza), ed altresì soggiungeva che, anche se tale prova fosse stata raggiunta, la stessa COGNOME sarebbe stata priva di legittimazione a proporre la domanda di risoluzione di un contratto al quale era estranea ‘atteso che le disposizioni dell’art. 1599 cod. civ. non sono estensibili, per il loro carattere eccezionale, a rapporti diversi dalla locazione’, sicché la COGNOME non avrebbe potuto agire in via contrattuale (v. p. 9 dell’impugnata sentenza).
Per altro verso, tuttavia, la Corte d’Appello rigettava anche la domanda riconvenzionale di usucapione proposta dal COGNOME, ritenendo che gli elementi emersi in istruttoria non integrassero la prova necessaria del suo prospettato possesso ad usucapionem (v. p. 9. cit.).
Avverso tale sentenza COGNOME NOME propone ora ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Resiste con controricorso, anche contenente ricorso incidentale affidato ad un unico motivo, il COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato le proprie conclusioni.
La ricorrente ha depositato memoria.
Rilevato che
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 414, 426 e 447bis c.p.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c. comma 1, n. 4. in via pregiudiziale, irritualità ed improcedibilità del gravame per violazione degli artt. 414 e 447bis c.p.c.’.
Premesso che il giudizio di prime cure, avendo ad oggetto domanda di risoluzione di contratto di comodato, era stato instaurato con ricorso ex art. 447bis cod. proc. civ. e trattato con il rito del lavoro e che del tutto inopinatamente l’appellante, odierno resistente, invece instaurava il giudizio di gravame con atto di citazione, e dunque con rito ordinario, la ricorrente lamenta che la corte territoriale aveva omesso di accogliere la richiesta di essa parte appellata, ritualmente formulata con la comparsa di costituzione in giudizio, di declaratoria di improcedibilità dell’appello, e neppure aveva ritenuto, in via del tutto gradata, di disporre il mutamento del rito.
Non avendo la corte di merito provveduto in tal senso, l’impugnata sentenza risulterebbe viziata da nullità nella sua complessiva efficacia decisoria alla stregua del n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Non risulta, infatti, per nulla correlato alla motivazione dell’impugnata sentenza, che ha preso puntualmente posizione rispetto alle eccezioni svolte dalla appellata ed è pervenuta ad affermare espressamente che ‘(…) la controversia, introdotta in primo grado con ricorso, secondo le regole del rito speciale di cui all’art. 447 bis c.p.c. previsto in materia di comodato, dall’udienza del 28/05/2015 ha seguito il rito ordinario di cognizione avendo il Giudice disposto il mutamento del rito e concesso i termini per il deposito delle memorie ex art. 183 c.p.c.’ (v. p. 4 dell’impugnata sentenza).
Risulta dunque che la causa è stata oggetto di mutamento del rito, correttamente disposto dalla corte territoriale, atteso che la riconvenzionale doveva trattarsi con il rito ordinario e trovava applicazione il terzo comma dell’art. 40 cod. proc. civ., vigente ratione temporis , secondo cui ‘Nei casi previsti negli articoli 31, 32, 34, 35 e 36, le cause, cumulativamente proposte o
successivamente riunite, debbono essere trattate e decise col rito ordinario, salva l’applicazione del solo rito speciale quando una di tali cause rientri fra quelle indicate negli articoli 409 e 442′ (sulla base della medesima ratio legis , la disposizione è stata novellata dal recente d.lgs. n. 149/2022 convertito con modificazioni nella legge 29 dicembre 2022, n. 197, che ha aggiunto al citato terzo comma dell’art. 40 la ulteriore seguente previsione: ‘In caso di connessione ai sensi degli articoli 31, 32, 34, 35 e 36 tra causa sottoposta al rito semplificato di cognizione e causa sottoposta a rito speciale diverso da quello previsto dal primo periodo, le cause debbono essere trattate e decise con il rito semplificato di cognizione’).
Va infatti ribadito il principio secondo cui l’art. 40 cod. proc. civ., nel testo novellato dalla legge 26 novembre 1990, n. 353, consente il cumulo nell’unico processo di domande soggette a riti diversi esclusivamente in presenza di ipotesi qualificate di connessione “per subordinazione” o “forte” (artt. 31, 32, 34, 35 e 36, cod. proc. civ.), stabilendo che le stesse, cumulativamente proposte o successivamente riunite, devono essere trattate secondo il rito ordinario, salva l’applicazione del rito speciale qualora una di esse riguardi una controversia di lavoro o previdenziale (v. Cass., 08/09/2014, n. 18870; Cass., 22 ottobre 2004, n. 20638; v. anche, nell’affrontare la questione sotto il profilo della esclusione della proponibilità del regolamento di competenza, trattandosi unicamente di questione attinente all’individuazione del rito applicabile, Cass., 09/07/2015, n. 14367: ‘Non è impugnabile con il regolamento di competenza il provvedimento con cui il giudice, investito secondo il rito locativo di un cumulo di cause, principali e riconvenzionali, rigetti od accolga l’istanza della parte diretta ad ottenere il cambiamento del rito ed il passaggio alla trattazione con il rito ordinario ai sensi dell’art. 40, terzo comma, cod. proc. civ., trattandosi non
già di una decisione sulla competenza, bensì solo sul rito con cui il giudice adito deve trattare la causa’).
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 418 cpc. ai sensi dell’art. 360 cpc comma 1, n. 3’.
Lamenta che – sebbene il giudizio di prime cure fosse stato introdotto con il rito speciale locatizio ex art. 447bis e ss. cod. proc. civ. e l’allora resistente NOME avesse spiegato domanda riconvenzionale di usucapione – alla parte ricorrente non erano stati notificati né la memoria difensiva contenente la domanda riconvenzionale, né il provvedimento del G.I. che fissava la nuova udienza di comparizione.
La corte di merito avrebbe pertanto dovuto rilevare la manifesta violazione del terzo comma dell’art. 418 cod. proc. civ. e ritenere meritevole di accoglimento l’eccezione di inammissibilità della riconvenzionale, in quanto mai notificata, eccezione ritualmente e tempestivamente sollevata, a verbale, alla prima effettiva udienza di trattazione.
2.1. Il motivo è inammissibile.
La ricorrente trascura di impugnare l’unica motivazione enunciata dalla corte territoriale sulla questione, che, alla stregua di Cass., Sez. Un., n. 3840 del 2007, risultava impugnabile: si tratta della motivazione enunciata nelle prime due proposizioni del punto 1.2. della pagina 5 della sentenza (‘Ancora in via preliminare va ritenuta tardiva l’eccezione, sollevata dalla appellata soltanto nella comparsa conclusionale di questo grado, diretta a far dichiarare la inammissibilità della domanda riconvenzionale di usucapione proposta in primo grado dalla resistente in quanto non notificata nei termini previsti dal rito. L’eccezione avrebbe infatti dovuto essere qui riproposta, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., dall’appellata con la comparsa di risposta’).
Tale ratio decidendi , inerendo ad una ragione di rito -al di là
della questione della tardiva proposizione, che, peraltro, doveva essere decisa in forza del disposto passaggio della causa al rito ordinario -ha reso non impugnabile l’altra motivazione, quella enunciata nella terza proposizione del detto punto (‘Essa in ogni caso è infondata giacché il COGNOME, nel costituirsi in giudizio, aveva fatto espressa istanza di differimento della prima udienza per provvedere alla notifica della comparsa di risposta contenente la domanda riconvenzionale, e il Giudice, con provvedimento reso all’udienza del 15/01/2015, aveva concesso all’attrice il termine di giorni 60 per la relativa disamina, senza che alcuna eccezione di inammissibilità fosse successivamente sollevata dalla COGNOME‘), in quanto enunciata in difetto di potestas iudicandi .
L’indicata ratio decidendi era l’unica che avrebbe potuto e dovuto essere impugnata.
Non lo è stata e tanto rende il motivo inammissibile.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 324 e 329 c.p.c. e 2909 cod. civ. error in procedendo -violazione del giudicato interno -ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 c.p.c. -violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. – vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.’.
Lamenta che la corte territoriale avrebbe errato a rilevare che ella, in allora appellata, non avrebbe potuto agire in via contrattuale -non essendo stata raggiunta la prova dell’esistenza di un contratto di comodato con il COGNOME -ma avrebbe dovuto agire esclusivamente per ottenere il rilascio del bene.
Deduce di avere, sin dal primo grado, rassegnato conclusioni nel senso di aver chiesto comunque di accertare e dichiarare l’occupazione senza titolo dell’immobile da parte del COGNOME, tant’è che, infatti, il tribunale aveva svolto tale accertamento e lo aveva condannato al rilascio, sul rilievo per cui ‘parte attrice ha documentalmente provato la volontà di ottenere la restituzione
dell’immobile a mezzo sua nota inviata ai convenuti in data 02.02.2012′ .
Sostiene che ‘Siffatta motivazione, in relazione al fatto che il COGNOME, a seguito della raccomandata in virtù della quale gli veniva chiesto di rilasciare l’immobile, occupava l’immobile privo di titolo giustificativo, non è stata impugnata dall’appellante il quale ha soltanto eccepito che la raccomandata del 2 febbraio 2012 era pervenuta all’appellante quando era già maturato il periodo necessario per usucapire il cespite’ (v. p. 10 del ricorso).
Pertanto, la mancata impugnazione, nel merito, dell’accertamento giudiziale della illegittima occupazione del cespite, quantomeno, a far tempo dalla richiesta di rilascio, avrebbe comportato il perfezionarsi del ‘giudicato interno’ circa l’accertamento della detenzione sine titulo dell’immobile, per cui la corte territoriale, confermando la decisione del tribunale che aveva rigettato la domanda riconvenzionale di usucapione, avrebbe dovuto necessariamente dare atto, quantomeno, che l’appellante aveva occupato sine titulo a far tempo dal 2 dicembre 2012 l’immobile dell’appellata e, conseguentemente confermare la condanna del COGNOMEall’immediato rilascio’ dell’immobile, come disposta dal tribunale in prime cure.
Lamenta, inoltre, che la corte salernitana ‘avrebbe dovuto necessariamente- considerare che, non rientrando tra i negozi che richiedono la forma scritta ad probationem , il comodato poteva essere stipulato verbalmente e che elemento essenziale del comodato è la consegna dell’immobile’ (v. p. 14 del ricorso); invece, la corte territoriale ‘ha omesso di valutare elementi di prova che, invece, il Tribunale, in prime cure, aveva opportunamente vagliato, pervenendo pertanto alla decisione oggetto del giudizio di gravame. Ricorre pertanto nel caso in specie sia la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., censurabile ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c., che il vizio di
motivazione ex art. 360, n. 5 c.p.c.’ (v. p. 11).
3.1. Il motivo è, anzitutto, infondato quanto all’esistenza del giudicato interno.
Ravvisa, infatti, l’esistenza di un giudicato interno in un’affermazione del tribunale che, invece, è del tutto inidonea ad integrarne il presupposto, giacché, anche al lume dello stesso tenore delle conclusioni di primo grado, si riferiva all’essere la detenzione priva di giustificazione a titolo di comodato, sicché non è dato comprendere come, una volta negata l’esistenza del comodato da parte della sentenza impugnata, parte ricorrente possa pretendere di salvarla per giustificare, di fronte al rigetto della domanda di usucapione, la negazione del godimento in assoluto in capo alla resistente.
Nella seconda parte del motivo, la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è dedotta inammissibilmente, in quanto in maniera non conforme al consolidato orientamento di legittimità, secondo cui ‘In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360, n. 4, c.p.c., solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime’ (v. Cass., 10/06/2016, n. 11892); ‘In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure,
qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass., 30/09/2020, n. 20867).
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cpc ai sensi dell’art. 360, n. 3’.
Lamenta di essere stata condannata al pagamento, in ragione della metà, delle spese del doppio grado del giudizio, in palese violazione e falsa applicazione delle norme evocate in rubrica.
4.1. Il motivo è inammissibile.
Posto che è indiscutibile, sulla base della lettura dell’impugnata sentenza, che all’esito dei due gradi di giudizio sia sussistita una soccombenza reciproca, la valutazione di compensarne solo la metà non è sindacabile nella presente sede di legittimità.
Valga ricordare, al riguardo, che secondo costante orientamento di questa Suprema Corte (v. Cass., n. 5828 del 16/03/2006; Cass., 31/07/2006, n. 17457; Cass., 11/02/2008, n. 3218; Cass., 06/10/2011, n. 20457; cfr. anche Cass., Sez. Un., 15/07/2005, n. 14989 n. 14989), ‘In tema di regolamento delle spese processuali, la relativa statuizione è sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione di legge, quale si verificherebbe nell’ipotesi in cui, contrariamente al divieto stabilito dall’art. 91 cod. proc. civ., le stesse venissero poste a carico della parte totalmente vittoriosa’, mentre la valutazione dell’opportunità della compensazione totale o parziale rientra, invece, nei poteri discrezionali del giudice di merito anzitutto
nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nelle altre ipotesi ricorrenti ratione temporis , a seguito della ripetuta novellazione dell’art. 92 cod. proc. civ. (in merito alla previsione di ‘giusti motivi’, poi di ‘gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione’, attualmente, a seguito del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, ‘nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti’).
5. Con un unico motivo il ricorrente incidentale denuncia ‘ Violazione e falsa applicazione degli artt. 1141, 1158, 2697 c.c. nonché art. 132 co. 2 n. 4 c.p.c. -in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. per avere la Corte di Appello rigettato e ritenuto non provata l’usucapione dell’immobile oggetto di controversia da parte del sig. COGNOME. Mancata applicazione della presunzione di possesso nel potere di fatto esercitato dal COGNOME. Contraddittorietà della Sentenza’.
Censura l’impugnata sentenza, là dove ha confermato il rigetto della domanda di usucapione, rilevando che ‘gli elementi addotti dal COGNOME effettivamente non integrino la prova necessaria del possesso ad usucapionem ‘ (v. p. 9 dell’impugnata sentenza).
Ne deduce il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto, là dove, esaminati congiuntamente il secondo ed il quarto motivo di appello per la stretta connessione, la corte territoriale li ha ritenuti infondati per le seguenti ragioni: ‘… sia pure con motivazione stringata, il Got ha rigettato la domanda riconvenzionale di usucapione, ritenendo che il convenuto, attraverso le dichiarazioni dei testi escussi, non avesse offerto adeguata motivazione dell’acquisto della proprietà a titolo originario ed ha, altresì, rilevato la contraddizione tra l’allegazione dell’acquisto della proprietà con atto del 1989 poi
non perfezionato davanti al notaio, e la dedotta condizione di possessore ad usucapionem . Ritiene la Corte che gli elementi addotti dal COGNOME effettivamente non integrano la prova necessaria del possesso ad usucapionem …’ (cfr. p. 9 dell’impugnata sentenza).
5.1. Il motivo è inammissibile, sotto tutti i profili in cui è dedotto.
La violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., per prospettata contraddittorietà dell’impugnata sentenza, è dedotto sulla base di elementi aliunde rispetto alla motivazione, in manifesta violazione dell’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte.
Deve essere infatti ribadito che il citato art. 132 cod. proc. civ., n. 4, attribuisce rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass., 26/09/2018, n. 23153; Cass., 10/06/2016, n. 11892); tale vizio di motivazione deve essere intrinseco alla sentenza impugnata e non, come nel caso di specie, dedotto sulla base di elementi estrinseci rispetto alla motivazione (v. Cass., Sez. Un., n. 8053 del 2014).
Anche la violazione dell’art. 2697 cod. civ. è dedotta in modo inidoneo, cioè senza rispettare i criteri indicati da Cass., Sez. Un., n. 16598 del 2016, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, e ribaditi, ex multis , da Cass., n. 26979 del 2018.
Il motivo si risolve in una mera manifestazione di dissenso sulla motivata valutazione delle risultanze probatorie svolte dalla corte territoriale nell’impugnata sentenza.
Secondo il consolidato e pluridecennale orientamento di questa Corte, non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove
potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito ( ex permultis , Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, “N, Pagina 6 R.G.N. 4832/18 Udienza del 22 ottobre 2019 Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006, Rv. 588706; Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006, Rv. 588486; Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006, Rv. 587214).
Ed infatti è ormai pacifico il principio per cui ‘È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito’ (Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34476; nello stesso senso Cass., 04/03/2021, n. 5987).
In conclusione, il ricorso principale va rigettato, mentre il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile.
Stante la soccombenza reciproca, le spese del giudizio di legittimità sono integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale.
Compensa integralmente le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà
atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte sia della ricorrente in via principale, sia del ricorrente in via incidentale, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione l’11 giugno 2025.
Il Presidente COGNOME NOME COGNOME