Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 30298 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 30298 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2909/2022 R.G. proposto da :
BANCA MONTE DEI PASCHI SIENA SPA, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che l a rappresenta e difende.
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 4575/2021 depositata il 23/06/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.Il ricorso riguarda la sentenza con cui la Corte d’appello di Roma ha riformato la sentenza resa dal locale Tribunale che, nel pronunciare sulla domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE, diretta ad ottenere da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE la restituzione di quanto indebitamente versato sul conto corrente acceso presso la medesima in virtù di clausole nulle, l’aveva ritenuto fondata quanto alla illegittima capitalizzazione degli interessi soltanto dalla data di inizio del rapporto (ottobre 1999) sino al 30 giugno 2000, essendo risultato che in relazione al periodo successivo la banca si fosse adeguata alle prescrizioni della Delibera C.I.C.R. 9.2.2000; mentre l’aveva ritenuta infondata quanto alla dedotta illegittima applicazione della commissione di massimo scoperto, posto che la detta commissione è rivolta a remunerare un onere effettivamente gravante sulla banca (quello di dover tenere a disposizione risorse liquide) ed è, quindi, meritevole di tutela giuridica, mentre nessuna contestazione di carattere specifico risultava formulata sulla conformità della sua quantificazione ai criteri contrattuali.
2.La Corte d’appello, accogliendo i motivi d’appello, ha, invece, stabilito: (a) che per l’anatocismo, dopo la Delibera C.I.C.R. del 2000, v’è necessità di specifica approvazione da parte del cliente della variazione contrattuale, in conformità alla giurisprudenza di legittimità che sul punto aveva chiarito che le clausole anatocistiche inserite in contratti di conto corrente conclusi prima dell’entrata in vigore della predetta Delibera sono nulle, con conseguente impraticabilità del giudizio di comparazione previsto dal secondo comma dell’art. 7 della Delibera stessa (giudizio teso a verificare se
le nuove pattuizioni abbiano o meno comportato un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate), sicché per la valida introduzione di una nuova clausola di capitalizzazione degli interessi è necessaria un’espressa pattuizione formulata nel rispetto dell’art. 2 della predetta Delibera; (b) che la clausola di massimo scoperto contenuta nel contratto di conto corrente doveva ritenersi nulla per indeterminatezza dell’oggetto, prevedendo la stessa unicamente la percentuale dello 0,25%, in assenza di predeterminazione della effettiva base per calcolare tale percentuale, con diritto del correntista alla ripetizione di quanto indebitamente versato a tale titolo.
3.- Avverso detta sentenza ha proposto ricorso la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei paschi di RAGIONE_SOCIALE affidandolo ad un solo motivo di cassazione. Ha resistito, con controricorso RAGIONE_SOCIALE Memorie di entrambe le parti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con l’unico motivo di ricorso la banca ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione de ll’ art. 1346 c.c., deli artt. 116 e 117 T.U.B., della L. n. 2/2009 e successive modifiche, nonché dei principi enunciati nella giurisprudenza di legittimità (cita Cass. n. 12965/2016), per avere la Corte territoriale accertato e dichiarato la nullità della clausola contrattuale relativa alla commissione di massimo scoperto e per aver condannato la banca alla restituzione della somma versata a tale titolo. In sintesi la banca ha dedotto l’erroneità della statuizione di nullità in quanto avrebbe omesso di considerare che -come stabilito dalla sentenza di legittimità predetta -la L. n. 2/2009 ha statuito la legittimità della commissione di massimo scoperto quale commissione di messa a disposizione dei fondi sottraendola alle censure di legittimità sotto il profilo della mancanza di causa; ha aggiunto che, pur considerato che l’intero periodo di durata del rapporto in conto corrente oggetto di causa è precedente all’entrata in vigore della legge predetta, la Corte territoriale avrebbe dovuto considerare legittima la clausola
pattuita ed applicata perché detta legge aveva effettuato una ricognizione dell’esistente, così sancendone la legittimità anche per il periodo pregresso; né la clausola difetterebbe di elementi costitutivi poiché il contratto di conto corrente prevedeva l’espressa pattuizione della percentuale di calcolo la quale era stata applicata sull’importo massimo di utilizzo del fido in ciascun periodo trimestrale di liquidazione degli interessi e la correntista, nella sua autonomia contrattuale, aveva accettato la condizione prevedente la misura numericamente determinata e l’applicazione della commissione, in conformità al disposto dell’articolo 117, comma 4, T.U.B. che prevede la forma scritta ad substantiam per ogni prezzo, condizione ed onere praticati nei contratti bancari.
2.- Il motivo presenta concorrenti profili di inammissibilità.
2.1- Anzitutto invocando la legittimità della clausola di massimo scoperto sotto il profilo della sua giustificazione causale (come sancita anche invia ricognitiva dalla legge n. 2/2009 invocata), non si confronta con la ratio decidendi della motivazione impugnata che non dichiara la nullità della clausola nella specie convenuta per assenza di causa, bensì per indeterminatezza del suo oggetto, specificando che era da ritenersi insufficiente l’indicazione della mera percentuale in assenza dell’indicazione della base di calcolo, ratio che non è sottoposta a censura essendosi la ricorrente, sul punto, limitata ad affermare che la clausola era stata contrattualmente prevista in misura numericamente determinata pari allo 0,25%» rispettando i requisiti di forma di cui all’art. 117 , comma 4, T.U.B., senza affrontare il diverso e decisivo profilo della mancanza di indicazioni dei criteri di calcolo di detta percentuale. Sicché del tutto inconferente è anche il richiamo che la parte ricorrente fa alla sentenza di questa Corte n. 12965/2016, poiché -come specifica del resto il passo della motivazione che la medesima riporta -questa ha solo affermato che la legge n. 2/2009 « pur omettendo ogni definizione più puntuale della CMS, ha
effettuato una ricognizione dell’esistente con l’effetto sostanziale di sancire definitivamente la legittimità di siffatto onere e, per tale via, di sottrarla alle censure di legittimità sotto il profilo della mancanza di causa ».
2.2- Sotto il detto profilo della rilevata mancanza di indicazioni dei criteri di calcolo della percentuale stabilita per l’applicazione della CMS, peraltro, la sentenza impugnata fa applicazione del consolidato orientamento di legittimità sul punto secondo cui « deve considerarsi nulla per indeterminatezza dell’oggetto la clausola che preveda la commissione di massimo scoperto indicandone semplicemente la misura percentuale, senza specificare le modalità di calcolo e di quantificazione della stessa, posto che, in tal caso, il correntista non è, invero, in grado di conoscere quando e come sorgerà l’obbligo di dover corrispondere la suddetta commissione alla banca. Non è perciò legittima una clausola negoziale nella quale la commissione di massimo scoperto viene indicata unicamente mediante una determinata percentuale, senza alcun riferimento al valore sul quale dovesse essere calcolata tale percentuale » (cfr., in motivazione, Cass. n. 19825 del 2022, confermata in seguito da numerose pronunce v. per tutte Cass. n. 9712/2024).
Sicché la censura di legittimità svolta da RAGIONE_SOCIALE si presta ad essere dichiarata inammissibile anche ex art. 360 bis. comma 1 c.p.c.
3.- Con la successiva memoria la ricorrente ha modificato l’impianto del gravame deducendo che l’errore della Corte territoriale « sia stato quello di non accertare e verificare che dal regolamento contrattuale nel suo complesso, si potesse desumere la comune intenzione delle parti in relazione agli ulteriori elementi della pattuizione della CMS volti a escludere il suddetto carattere di indeterminatezza », richiamando in proposito Cass. Ord. nr. 1373/2024 del 15/01/2024, che ha statuito che « in tema di conto
corrente bancario, non è nulla la clausola contrattuale che individui la commissione di massimo scoperto mediante la sola specificazione del tasso percentuale, senza alcun riferimento alla periodicità di calcolo, qualora detta periodicità sia comunque determinabile facendo corretto uso delle regole di interpretazione del contratto, avuto riguardo, in particolare, alla necessità di tener conto delle altre previsioni negoziali e di una interpretazione del testo compiuta secondo buona fede e in modo da valorizzare la comune volontà delle parti ». Secondo quanto afferma nella memoria la ricorrente, nella fattispecie dalla lettura del documento contrattuale, si evince l’espresso riferimento alla periodicità trimestrale con cui si pattuiva di far pervenire l’estratto conto, ivi inclusi gli addebiti delle relative spese ed imposte di legge -così come indicate nei fogli informativi -nonché la periodicità (trimestrale) della liquidazione degli interessi; inoltre, dagli estratti conto si evince che la CMS era stata applicata sull’importo massimo di utilizzo del fido in ciascun periodo trimestrale di liquidazione degli interessi essendo in tal modo commisurata al rischio crescente assunto dalla RAGIONE_SOCIALE in proporzione all’ammontare dell’utilizzo concreto dei fondi, così come rilevato in sede di comparsa di costituzione in appello e di comparsa conclusionale in primo grado. Pertanto la Corte d’Appello avrebbe errato, posto che dall’insieme delle menzionate disposizioni emerge in modo inequivocabile che la chiusura periodica del conto avveniva ogni trimestre e che in occasione di ciascuna di esse, dovevano regolarsi tutti i rapporti di dare ed avere tra cliente e banca, ivi compresi quelli relativi alle commissioni; sicché una corretta applicazione del disposto di cui all’art. 1363 c.c., anche sotto il profilo della ricerca della comune volontà delle parti attraverso la valutazione degli estratti conto, avrebbe necessariamente comportato l’accertamento della determinatezza o quantomeno determinabilità della clausola relativa alle CMS, applicabile appunto trimestralmente. Parimenti le
medesime disposizioni avrebbero dovuto indurre la Corte a ravvisare la determinatezza della clausola in questione: (a) un’interpretazione secondo buona fede del contratto, ai sensi dell’art. 1366 c.c., (b) il canone interpretativo di cui all’art. 1367 c.c., in base al quale « nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno », poiché, a fronte di una chiusura periodica del conto corrente pacificamente trimestrale, il principio di conservazione del contratto avrebbe dovuto indurre a ritenere determinata la commissione di massimo scoperto nella sua periodicità trimestrale, piuttosto che ravvisarne la nullità, (c) il canone ermeneutico ex art. 1368 c.c., visto che la pratica generalmente in uso al momento della stipulazione del contratto in questione era notoriamente quella di contabilizzare trimestralmente le commissioni di massimo scoperto.
3.1- Si tratta di argomenti inammissibili in quanto tardivamente proposti. L a memoria ex art. 378 c.p.c. – e lo stesso vale per quella di cui all’art. 380 -bis1 c.p.c. – non può integrare i motivi del ricorso per cassazione, poiché assolve all’esclusiva funzione di chiarire ed illustrare i motivi di impugnazione che siano già stati ritualmente -cioè in maniera completa, compiuta e definitiva -enunciati nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, con il quale si esaurisce il relativo diritto di impugnazione (Cass. 30 marzo 2023, n. 8949; cfr. pure: Cass. 20 dicembre 2016, n. 26332; Cass. 22 febbraio 2016, n. 3471).
4.- Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE; condanna la parte ricorrente al
pagamento delle spese di lite in favore di RAGIONE_SOCIALE liquidate nell’importo di euro 5.700,00 cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sezione