Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5574 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5574 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 760/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 2611/2020 depositata il 05/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Il ricorso riguarda la sentenza con cui la Corte d’appello di Bologna, ha confermato la sentenza resa dal Tribunale di Ferrara che ha respinto la domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE contro Cassa di Risparmio di Cento per far accertare che al contratto di conto corrente in essere con il predetto istituto erano stati applicati interessi usurari, era stato violato il divieto dell’anatocismo, ed erano state addebitate spese e commissioni non dovute, con condanna della banca a restituire la somma di 22.033,46 euro.
– La Corte ha respinto l’appello proposto contro la sentenza di primo grado osservando quanto segue:
con riguardo al primo motivo di appello, ha ritenuto che non possa essere disconosciuta l’esistenza di una giustificazione causale alla clausola contrattuale che preveda il pagamento di una CMS, che rappresenta una remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del correntista; inoltre diversamente da quanto riteneva la parte appellante, tale clausola risultava sufficientemente determinata;
quanto al secondo motivo, relativo alla violazione della disciplina sull’usura, ha osservato che la CTU aveva espressamente affermato -in accordo con la CTP – che entrambe le formule di calcolo proposte dalle parti conducevano al risultato che mai erano rilevabili superamenti dei tassi soglia usurari; inoltre con riguardo alla necessità di ricomprendere nel TEG praticato dalla banca anche la CMS agli effetti della verifica del superamento del tasso soglia, osservava che – in conformità a quanto stabilito dalle Sezioni Unite – ai fini della verifica del superamento del TSU andava effettuata la
separata comparazione del TEG praticato in concreto e della CMS rispettivamente con il tasso-soglia e con la CMS- soglia; infine, quanto alla fattispecie dell’usura soggettiva, ha osservato che a nulla rilevava la mera possibilità – affermata dalla parte appellante – di una sproporzione tra il tasso di interesse praticato con il correntista e il tasso medio generalmente praticato per operazioni similari, perché non essendo stati prodotti in giudizio nè i bilanci né altra idonea documentazione contabile, mancava comunque la prova che l’attore si trovasse in condizioni di difficoltà economica e l’istituto di credito ne avesse approfittato;
con riguardo al terzo motivo d’appello ha ritenuto infondata la doglianza di violazione della disciplina sull’anatocismo, perché secondo quanto previsto dalla delibera CICR, era legittima la prevista capitalizzazione degli interessi in condizione di reciprocità (prevista nel documento di sintesi) né alcuna violazione con riguardo rispetto al rispetto di tale previsione era stata rilevata dalla CTU;
ha respinto anche il quarto motivo – relativo alla mancanza di chiarezza e precisione delle condizioni economiche praticate in contratto e alla loro unilaterale variazione ad opera della banca in quanto la doglianza era del tutto generica, e la CTU aveva escluso unilaterali modifiche di dette condizioni da parte della banca.
4.- Avverso detta sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso affidandolo a cinque motivi di cassazione. Ha resistito, con controricorso Cassa di Risparmio di Cento s.p.a. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Il primo motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 1346 c.c. e della legge n. 108/996 in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c.. poiché la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto infondate le contestazioni relative
alla nullità – per assenza di causa giustificatrice – della clausola che prevede la commissione di massimo scoperto e alla determinabilità nella specie della commissione pattuita, poiché dalla lettura del contratto in questione sarebbe facile rilevare che non sono stati indicati i criteri per l’identificazione della base di calcolo della CMS.
1.2- il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
È infondato con riguardo alla censura che concerne la motivazione circa la validità della clausola che prevede la CMS, avendo la Corte d’appello fatto applicazione del consolidato orientamento di legittimità che ritiene giustificata la clausola che prevede detta commissione che «nella tecnica bancaria viene definita come il corrispettivo pagato dal cliente per compensare l’intermediario dell’onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell’utilizzo dello scoperto del conto. Tale compenso – che di norma viene applicato allorché il saldo del cliente risulti a debito per oltre un determinato numero di giorni -viene calcolato in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento», definizione che compare testualmente per la prima volta nell’aggiornamento delle Istruzioni della Banca d’Italia del luglio 2001 ma cui si rifanno anche le Istruzioni precedenti, che espressamente prendono in considerazione la CMS calcolata sull’ammontare del massimo scoperto ( v. per tutte Cass. Sez. Un. n. 16303/2018).
E’ inammissibile laddove censura la motivazione della sentenza a proposito della ritenuta determinabilità della clausola in questione avendo la Corte d’appello ritenuto nella specie la clausola sufficientemente determinata perché nel contratto di conto corrente stipulato tra le parti era esattamente individuata non solo la percentuale ma anche la base di calcolo (il massimo scoperto di conto e la periodicità dell’addebito), risultando dal contratto anche la chiara previsione della sua entità diversificata per l’ipotesi in cui la società si fosse avvalsa di somme rientranti entro i limiti
dell’affidamento (per la quale era stata convenuta una percentuale dello 0,125%) e per quella in cui la correntista avesse superato tali limiti (prevedendo in tal caso la percentuale dello 0,500%) previsioni chiaramente definite nel documento di sintesi allegato al contratto cui lo stesso rimandava.
Perciò, con la censura proposta, la ricorrente pretende in questa sede di legittimità una inammissibile diversa ed alternativa lettura del contenuto del contratto ed in particolare delle clausole contrattuali che si riferiscono alla CMS, in contrasto con il principio consolidato per cui l’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione in caso di violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., oltre che nell’ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass. 10745/2022). Il sindacato di legittimità, in altre parole, non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (sez. 3, sentenza n. 2465 del 10/02/2015; n. 2074 del 2002; vedi: n. 4178 del 2007, n. 22801 del 2009, n. 25866 del 2010).
2.- Il secondo motivo denuncia violazione o falsa applicazione della legge n. 108/96 e dell’art. 644 c.p. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., perché la Corte d’appello non ha ravvisato l’applicazione di interessi usurari da parte della banca sugli errati presupposti che la formula da utilizzare per il ricalcolo degli stessi
sia solamente quella rinvenienti nelle istruzioni della Banca d’Italia e che la CMS non vada inclusa nel calcolo degli interessi. La ricorrente -riproponendo negli stessi termini i motivi d’appello già respinti dalla sentenza gravata – contesta la correttezza dei criteri utilizzati dalla Banca d’Italia per il calcolo dell’usura in quanto contenenti istruzioni che la Banca d’Italia detta in base ad esigenze statistiche di natura omogenea che trascurerebbero di rilevare quei dati ed elementi di costo aventi carattere altamente soggettivo; pertanto si dovrebbe avere riguardo, non al TEGM individuato dalla Banca d’Italia, ma al TEG praticato dall’Istituto di in questione, che solo indica il costo effettivo che il cliente sostiene per l’utilizzo di una somma sulla base di una scopertura media concessa dalla banca. Inoltre reputa che per verificare se sia verificata un’ipotesi di usura oggettiva la determinazione del TEG praticato dall’Istituto vada operata tenendo in considerazione tutte le voci di costo (escluse quelle per imposte e tasse) che siano connesse con le operazioni di credito e che, quindi, dovrebbe esservi ricompresa anche la CMS.
2.1- Il motivo è inammissibile.
Questa Corte (v. Cass. Sez. Un. n. 16303/2018, confermata in innumerevoli successive pronunce) ha affermato il principio di diritto che in tema di contratti bancari, con riferimento ai rapporti svoltisi, in tutto o in parte, nel periodo anteriore all’entrata in vigore (il 1 gennaio 2010) delle disposizioni di cui all’art. 2 bis del d.l. n. 185 del 2008, inserito dalla legge di conversione n. 2 del 2009, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta, come determinato in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale (TEG) degli interessi praticati in concreto e della commissione di massimo scoperto (CMS) eventualmente applicata, rispettivamente con il “tasso soglia” – ricavato dal tasso effettivo globale medio (TEGM) indicato nei decreti ministeriali
emanati ai sensi dell’art. 2, comma 1, della predetta l. n. 108 del 1996 – e con la “CMS soglia” – calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media pure registrata nei ridetti decreti ministeriali -, compensandosi, poi, l’importo dell’eccedenza della CMS applicata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con l’eventuale “margine” residuo degli interessi, risultante dalla differenza tra l’importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati. Di questo principio la sentenza gravata ha fatto applicazione né le censure che muove la ricorrente sono specifiche come richiesto dall’art, 366 comma 1 n. 4 c.p.c. per l’ammissibilità del motivo giacché « ai fini della specificità del motivo di ricorso non è sufficiente che la censura sollevata avverso la sentenza di merito denunci solamente e astrattamente la mancata considerazione dell’incidenza della commissione di massimo scoperto sul superamento del tasso soglia, occorrendo che la censura medesima sia accompagnata da specifiche deduzioni ed argomentazioni volte a dimostrare che tale incidenza avrebbe in concreto determinato l’incapienza del margine di compensazione fra interessi e commissioni di massimo scoperto, così da comportare, ulteriormente, il superamento della soglia » (Cass. 24013/21).
3.- Il terzo motivo denuncia violazione o falsa applicazione della legge n. 108/96 e dell’art. 644 c.p. in relazione all’usura soggettiva ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., in quanto la Corte d’appello non avrebbe rilevato che il rapporto di conto corrente per cui è causa « è caratterizzato dalla presenza di condizioni vessatorie in quanto conducono ad addebiti che non corrispondono ad alcun servizio effettivamente prestato, ovvero del tutto sproporzionati rispetto al costo effettivo per l’istituto di credito; sicché i funzionari della banca, a conoscenza del fabbisogno finanziario di parti e attrice e stante la palesata costosità del finanziamento, non potevano non essere consapevoli che stavano applicando tassi effettivi
ampiamente superiori alle soglie indicate ». Osserva ancora che, dall’analisi tesa alla ricostruzione del rapporto di conto corrente per cui è causa emergerebbe chiaramente che la banca convenuta ha utilizzato un TEG superiore al TEGM nel trimestre 2009, per un totale di euro 15.636,04 euro, sicché sarebbe rilevabile l’usura soggettiva già sul piano tecnico finanziario in base ai soli numeri della banca e dalle rilevazioni peritali a prescindere dalla prova dello stato di bisogno e del fatto che la banca ne avesse approfittato.
3.1- Il motivo – diretto al riesame dei fatti riguardo alla prova dell’usura soggettiva – è inammissibile.
Da un lato, la ricorrente discorre di argomenti (l’esame del conto corrente e delle condizioni in esso applicate, quali fonte della prova matematicofinanziaria dell’usura soggettiva) che non risultano essere state dibattute nel giudizio di secondo grado, giacché la Corte d’appello nel riferire del relativo motivo di gravame (e nel respingerlo) dà conto solo di deduzioni relative alla consapevolezza dell’istituto di credito di una situazione di bisogno di cui si sarebbe avvantaggiato applicando un tasso decisamente superiore alle soglie, sicché va data continuità al principio per cui « qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio » (Cass, n. 17041/2013; Cass. n. 15430/2018; Cass. n. 20712/2018).
Dall’altro il motivo è del tutto versato in fatto, avendo la Corte d’appello escluso motivatamente l’usura soggettiva osservando che a nulla rilevava la mera possibilità di una sproporzione tra il tasso di interesse praticato con il correntista e il tasso medio generalmente praticato per operazioni similari, perché non essendo stati prodotti in giudizio nè i bilanci né altra idonea documentazione contabile, mancava, comunque, la prova che l’attore si trovasse in condizioni di difficoltà economica e che vi fosse stato un approfittamento da parte dell’istituto di credito, sicchè attraverso il vizio di violazione di legge -che consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa -la ricorrente allega, in realtà, un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione ( ex aliis : Cass. n. 16698/2010; Cass. n. 7394/2010).
4.- Il quarto motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 1283 c.c., 120 TUB e 644 c.p. in relazione all’ art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. in quanto il giudice avrebbe erroneamente ritenuto insussistente la violazione della disciplina sull’anatocismo, poiché: a) la banca avrebbe applicato la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori ma non sarebbe dimostrato che lo stesso sia avvenuto per quelli creditori; b) che « il vero punto dolente sarebbe determinato dalla forchetta tassi creditori e tassi debitori che caratterizza tra l’altro ancor di più lo spirito dolosamente usurario del settore del credito »; c) nella specie non risulterebbe prova del fatto che l’anatocismo sia stato applicato in modo conforme alla delibera CICR, ovvero a condizioni di reciprocità; d) non risulterebbe neppure essere stata stipulata tra le parti una regolare convenzione anatocistica.
4.1- Il motivo è inammissibile ove non infondato.
Premesso che « in tema di conto corrente bancario, stipulato successivamente alla delibera CICR del 9 febbraio 2000, il requisito della reciprocità, quale presupposto per la liceità della capitalizzazione trimestrale degli interessi, non viene meno ove il tasso pattuito per i saldi periodici debitori sia diverso da quello previsto per quelli creditori, poiché l’effetto accrescitivo dell’anatocismo in favore del cliente non si annulla a causa della minor rilevanza del tasso percentuale e l’asimmetria dipende dall’incremento dell’indebitamento » (Cass. 11014/24), onde la doglianza sub b) è infondata, quanto al resto delle censure il motivo è inammissibile essendo le stesse versate in fatto, riguardando, invero, la ricognizione degli elementi istruttori effettuata dal giudice di merito sia in punto prova della corretta applicazione dell’anatocismo, che in punto sussistenza di idonea convenzione scritta, che -per ragioni già dette poco sopra- non possono essere sindacate in sede di legittimità se non sotto il profilo del vizio motivazionale e negli stretti limiti in cui questo è deducibile quale anomalia motivazionale che non soddisfa il minimo costituzionale garantito ( v. Cass. Sez. Un. n. 8053/2014).
5.- Il quinto motivo è rubricato « Relativamente alla perizia del CTU » e con esso la ricorrente si duole che il giudice di primo e di secondo grado non avrebbero tenuto conto delle osservazioni del consulente tecnico di parte all’elaborato del CTU relativamente al fatto che non risultavano allegate al contratto di conto corrente le condizioni economiche sottoscritte dalle parti, perciò queste risulterebbero essere state praticate non solo in modo discrezionale ma anche unilaterale; né potrebbe condividersi la conclusione di ritenere valide le condizioni contenute nella comunicazioni periodiche di cui ai documenti di sintesi, mai accettate formalmente da parte attrice.
5.1- Il motivo è del tutto inammissibile a partire dalla sua formulazione, che non indica neppure il vizio di legittimità che con l’argomentazione proposta la ricorrente intende far valere, essendo noto che il giudizio di cassazione è un giudizio critica vincolata delimitato dai motivi di ricorso, onde il singolo motivo, assume una funzione identificativa condizionata dalla sua formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative di censura formalizzate dal legislatore; sicchè la tassatività e la specificità del motivo di censura esigono, quindi, una precisa formulazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche di censura enucleate dal codice di rito (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; in senso sostanzialmente conforme: Cass. 14 maggio 2018, n. 11603; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 29 maggio 2012, n. 8585).
Fermo quanto precede, si osserva altresì che il motivo risulta attenere a quella parte della decisione gravata che attiene al rigetto del quarto motivo d’appello (di cui replica le doglianze) che è stato ritenuto generico dalla Corte di merito « posto che non è dato capire quali siano esattamente queste condizioni economiche che si assumono indeterminate in aggiunta al fatto che la CTU è escluso che esse siano state unilateralmente modificate dall’Istituto di credito », con una pronuncia da intendersi come inammissibilità ai sensi dell’art. 342 c.p.c., che non risulta, quindi, neppure impugnata.
6.- Il ricorso in conclusione va respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese in favore di parte controricorrente, liquidate nell’importo di euro 2.700,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre
alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1° Sezione