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Commissione di massimo scoperto: quando è illegittima?

Una società ha contestato gli addebiti sul proprio conto corrente, inclusa la commissione di massimo scoperto (CMS). La Corte d’Appello ha stabilito che la CMS era illegittima perché il contratto, pur indicando l’aliquota, non specificava le modalità di calcolo. Questa indeterminatezza ha reso la clausola nulla. Di conseguenza, la Corte ha ordinato il ricalcolo del saldo del conto escludendo la CMS, trasformando un debito del cliente in un credito e condannando la banca alla restituzione delle somme e alla rettifica della segnalazione in Centrale Rischi.

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Pubblicato il 30 maggio 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Commissione di massimo scoperto: se non è chiara nel contratto, è nulla

La Corte d’Appello di Firenze, con una recente sentenza, ha ribadito un principio fondamentale a tutela dei correntisti: la commissione di massimo scoperto (CMS) è illegittima e deve essere rimborsata se il contratto non ne specifica in modo trasparente le modalità di calcolo. Vediamo nel dettaglio questa importante decisione e le sue implicazioni pratiche.

I Fatti di Causa

Una società e il suo garante citavano in giudizio una banca, lamentando l’applicazione di interessi anatocistici, tassi usurari e commissioni illegittime sul proprio conto corrente. In particolare, veniva contestata la validità della commissione di massimo scoperto. Il Tribunale di primo grado aveva rigettato le domande, spingendo la società a presentare appello.

La Decisione della Corte d’Appello e la validità della commissione di massimo scoperto

La Corte d’Appello ha parzialmente riformato la decisione iniziale. Dopo aver disposto una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) per analizzare il rapporto di conto corrente, i giudici si sono concentrati sulla questione della commissione di massimo scoperto.

Il contratto bancario prevedeva l’applicazione di una CMS con un’aliquota dello 0,999, ma, come sottolineato dalla Corte, mancava di qualsiasi specificazione riguardo ai criteri e alle modalità di calcolo. Questa assenza è stata ritenuta decisiva. La Corte ha stabilito che la clausola relativa alla CMS era nulla per indeterminatezza, in quanto non consentiva al correntista di comprendere quando e come tale costo sarebbe sorto. Di conseguenza, ha accolto l’ipotesi di ricalcolo del conto formulata dal CTU che escludeva completamente gli addebiti per CMS. L’esito di questo ricalcolo ha trasformato il saldo da negativo a positivo, determinando un credito a favore della società correntista per oltre 5.000 euro.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha motivato la sua decisione sulla base di un principio consolidato in giurisprudenza: la trasparenza e la determinatezza delle condizioni contrattuali. Perché una commissione, come quella di massimo scoperto, sia legittima, non è sufficiente indicarne l’aliquota percentuale. È indispensabile che il contratto specifichi in modo chiaro, certo e predeterminato tutti gli elementi necessari al suo calcolo.

Il correntista deve essere messo nelle condizioni, sin dall’inizio del rapporto, di conoscere con esattezza quando e in che misura dovrà sostenere tale costo. L’assenza di queste specificazioni rende la clausola indeterminata e, pertanto, giuridicamente nulla. La banca non può colmare questa lacuna contrattuale ex post, nemmeno attraverso le comunicazioni periodiche come gli estratti conto.

La nullità della clausola ha reso superfluo l’esame di altre questioni, come l’usura, poiché la sua eliminazione dal calcolo era sufficiente a determinare il nuovo saldo. La Corte ha inoltre ordinato alla banca di provvedere alla revoca della segnalazione alla Centrale Rischi, ritenuta illegittima alla luce del credito accertato in favore del cliente.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa sentenza rafforza un importante strumento di tutela per i consumatori e le imprese nei rapporti con le banche. L’implicazione pratica è chiara: un cliente che si veda addebitare una commissione di massimo scoperto ha il diritto di verificare se il proprio contratto ne specifica chiaramente non solo il tasso, ma anche e soprattutto le modalità di calcolo.

In caso contrario, la clausola può essere impugnata come nulla, con il diritto di ottenere la restituzione di tutte le somme indebitamente pagate a tale titolo. Per le banche, questa decisione rappresenta un monito a redigere contratti chiari e trasparenti, che non lascino alcun dubbio sulle condizioni economiche applicate, pena la nullità delle clausole e la conseguente condanna alla restituzione delle somme.

Quando una commissione di massimo scoperto (CMS) è considerata nulla?
Una commissione di massimo scoperto è considerata nulla per indeterminatezza quando il contratto, pur indicandone l’aliquota percentuale, non specifica in modo chiaro e predeterminato le modalità e i criteri per il suo calcolo, impedendo al cliente di comprendere quando e come il costo verrà applicato.

È sufficiente indicare la percentuale di una commissione nel contratto per renderla valida?
No, secondo la sentenza, indicare la sola aliquota percentuale non è sufficiente. Per essere valida, la clausola deve essere determinata o determinabile, il che richiede la specificazione nel contratto degli elementi che consentono di calcolare la commissione in modo trasparente.

Cosa succede se la clausola della commissione di massimo scoperto viene dichiarata nulla?
Se la clausola viene dichiarata nulla, la Corte ordina la sua eliminazione dal rapporto contrattuale. Ciò comporta un ricalcolo del saldo del conto corrente senza tenere conto degli addebiti per tale commissione, con la conseguenza che il cliente ha diritto alla restituzione di tutte le somme indebitamente versate a quel titolo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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