Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6693 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6693 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n° 17494 del ruolo generale dell’anno 2019 , proposto da
NOME COGNOME C.F. CODICE_FISCALE nato il 10.04.1971 in Casalnuovo di Napoli, ed ivi residente alla INDIRIZZO in qualità di tutore di NOME COGNOME C.F. CODICE_FISCALE nato il 21.08.1940, giusta nomina resa dal Tribunale di Nola, seconda sezione civile, con Sentenza n. 629/2018, nell’ambito del procedimento recante V.G. n. 7380/2017 ed autorizzato alla proposizione del presente ricorso dal Giudice Tutelare del Tribunale di Nola, con decreto di accoglimento totale n. cron. 503/19 del 18.02. 2019 (R.G. n. 807/2018-2) della istanza per l’autorizzazione alle azioni legali ex art. 374 c.c., depositata in data 13.02.2019, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE, giusta procura conferita in calce al ricorso, con il quale elettivamente domicilia in Roma alla INDIRIZZO che dichiara, ai sensi e per gli effetti del secondo comma dello art. 176 c.p.c., di voler ricevere le comunicazioni presso il proprio indirizzo PEC EMAIL così indicati ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2 del d.p.r. 11/2/2005 n. 68.
Ricorrente
contro
Azienda Ospedaliera Universitaria ‘Federico II’ , in persona del direttore generale, dott. NOME COGNOME, con sede in Napoli, alla INDIRIZZO, C.F. e P.I. P_IVA, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME c.f. CODICE_FISCALE e con questi elettivamente domiciliata in Napoli al INDIRIZZO in virtù di procura a margine del controricorso conferita in attuazione della deliberazione del direttore generale n. 576 del 28.06.2019 (ai sensi degli artt. 136 e 176 c.p.c., come modificato dalla Legge 263/05). Il procuratore dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni alla seguente casella di posta elettronica: EMAIL ovvero al seguente numero di fax NUMERO_TELEFONO e 081/898.33.36).
Controricorrente
nonché
Università degli Studi di Napoli Federico II , con sede in Napoli al INDIRIZZO in persona del Rettore Prof. NOME COGNOME rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al controricorso, dall’avv. NOME COGNOME
Controricorrente
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n° 5719 depositata il 14 dicembre 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 novembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .- NOME COGNOME avvocato, con contratto del 17 ottobre 1999 assumeva l’incarico di Direttore generale dell’Azienda Universitaria Policlinico dell’Università degli Studi Federico II a decorrere dal 1° novembre 1999 e sino al 31 ottobre 2001 verso un compenso di euro 200 mila.
Nel corso dell’incarico il COGNOME veniva attinto da una misura cautelare interdittiva emessa dal Tribunale del riesame di Napoli, consi-
stente nella sospensione dell’esercizio del pubblico ufficio e servizio a norma dell’art. 289 cod. proc. pen., che veniva comunicata al Magnifico Rettore il 14 ottobre 2000.
Quest’ultimo con decreto del 20 ottobre successivo, commissariava l’Azienda Universitaria Policlinico dell’Università Federico II, nominando quale commissario straordinario il professor NOME COGNOME.
Il Rettore, inoltre, iniziava una causa contro il COGNOME onde ottenere la risoluzione del contratto, che si concludeva con la reiezione della domanda da parte del Tribunale di Napoli, con sentenza confermata dalla Corte d’appello.
2 .- Il COGNOME, dopo aver inutilmente sollecitato l’Azienda Universitaria con quattro diverse missive (del 19 gennaio, del 3 febbraio, del 29 marzo 2001 e del 4 luglio 2002) al pagamento del residuo dei suoi compensi per le funzioni di direttore generale, otteneva un decreto ingiuntivo di euro 107.595,18 -a titolo di compensi maturati e non pagati per il periodo successivo al 16 ottobre 2000 -col quale venivano condannate in solido sia l’Università degli Studi di Napoli Federico II, sia l’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II, che, a dire del COGNOME, era subentrata all’Azienda Universitaria Policlinico dell’Università degli Studi Federico II.
Proposta opposizione dall’Università Federico II e dall’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II, il Tribunale di Napoli osservava che il termine per iscrivere a ruolo l’opposizione a decreto ingiuntivo avanzata dall’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II era di soli cinque giorni (e non di dieci), con la conseguenza che essa era improcedibile in quanto iscritta a ruolo oltre tale termine.
L’opposizione proposta dall’ Università era, invece, ‘ assorbita ‘ da tale pronuncia.
3 .- Proposto appello, nel contraddittorio tra tutte le parti, la Corte, con la sentenza indicata in intestazione, accoglieva i gravami della
Azienda Ospedaliera Universitaria e dell’Università, accogliendo le due opposizioni proposte e revocando il decreto ingiuntivo.
Osservava la Corte che l’appello principale era stato proposto solo dall’Azienda Ospedaliera Universitaria, mentre l’Università si era costituita in secondo grado meramente riproponendo le eccezioni del primo giudizio, ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ.
Tale atto processuale doveva, tuttavia, essere qualificato come appello incidentale, sicché era infondata l’eccezione del COGNOME che invocava il passaggio in giudicato del monitum nei confronti dell’Università.
Infatti, da un lato, la comparsa di risposta dell’Università possedeva nella sostanza gli elementi e le caratteristiche dell’impugnazione incidentale, sicché la sostanza doveva prevalere sulla forma, senza necessità di particolari formule sacramentali; dall’altro, in presenza di una pronuncia che si caratterizzava per la sua ‘ eccentricità ‘, l’appellante aveva solo l’onere di riproporre le domande avanzate in primo grado.
Osservava poi che l’opposizione formulata dall’Azienda Ospedaliera Policlinico non era affatto improcedibile, poiché il termine per l’iscrizione a ruolo era di dieci e non di cinque giorni, come previsto dalla legge n° 218/2011, di interpretazione autentica dell’art. 165 cod. proc. civ.
Nel merito, era assorbente il motivo di impugnazione proposto da entrambe le ingiunte, secondo il quale il provvedimento rettorale di commissariamento -riconosciuto legittimo dal giudice amministrativo -aveva comportato la cessazione dell’incarico del COGNOME con conseguente perdita del diritto alla retribuzione, essendo il commissario organo straordinario che va a surrogarsi all’organo ordinario, direttore generale.
Spese secondo soccombenza, liquidate ex d.m. n° 55 del 2014 in euro 13 mila per il primo grado ed in euro 9.515,00 per il secondo,
per entrambe le parti vittoriose, senza il compenso per la fase istruttoria in appello.
4 .- Per la cassazione di questa sentenza ricorre il COGNOME, affidando il gravame a sei motivi.
Resiste l’Azienda Ospedaliera Policlinico, che conclude per la reiezione dell’impugnazione.
Resiste anche l’Università che conclude per il rigetto.
Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.
Con atto privo di data ma pervenuto presso la cancelleria di questa Corte il 7 ottobre 2024, l’Ateneo ha segnalato la morte dell’avvocato NOME COGNOME avvenuta in data 11 settembre 2023, come da certificato allegato.
Nessuna delle parti ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5 .-Preliminarmente il Collegio rileva che l’evento morte che ha toccato l’unico difensore dell’Università, avvocato NOME COGNOME, non ha alcun effetto sul presente giudizio di legittimità (Cass. Su, 13 gennaio 2006, n° 477), nel quale nemmeno ricorre l’esigenza di un rinvio, dato che la parte interessata (l’Ateneo, difeso dal difensore deceduto) era perfettamente a conoscenza dell’evento morte (come si desume dalla p.e.c. inviata dall’Università alla Cancelleria di questa Corte, contenente la comunicazione del decesso del suo difensore).
6 .- Col primo motivo il COGNOME si duole del mancato accoglimento della sua eccezione di inammissibilità dell’appello proposto dall’Università e della violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 346 cod. proc. civ.
La Corte avrebbe errato a qualificare la comparsa di costituzione e risposta dell’Università come appello incidentale: l’assorbimento, impropriamente dichiarato dal primo giudice, consisteva in realtà in
un accoglimento o in un rigetto implicito della domanda, con la conseguenza che per rimuovere tale statuizione sarebbe occorso un appello incidentale, giacché la conferma del decreto monitorio spiegava effetti sfavorevoli per entrambi gli ingiunti.
7 .- Il mezzo è inammissibile.
Secondo l’indirizzo di questa Suprema Corte, l’interpretazione degli atti processuali va condotta sulla base dei criteri ermeneutici degli artt. 1362 e seguenti del cod. civ. ( ex multis : Cass. sez. 1, 2 agosto 2016, n° 16057, con menzione di altri precedenti).
Pertanto, la parte che censuri il significato attribuito ad un atto dal giudice di merito deve dedurre la specifica violazione di tali criteri o il vizio di motivazione sulla loro applicazione, dovendo indicare altresì, a pena d’inammissibilità, le considerazioni del giudice in contrasto con i criteri sopra menzionati e il testo dell’atto processuale oggetto di erronea interpretazione.
Il principio è il medesimo espresso in tema di interpretazione del contratto, ove si afferma parimenti che il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, il quale appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati.
Ora, nel motivo in esame il ricorrente, pur lamentando un’erronea interpretazione della comparsa di risposta dell’Università da parte della Corte d’appello, non deduce la violazione o la falsa applicazione di alcun canone interpretativo previsto dagli artt. 1362 e seguenti cod. civ., ma pretende che questa Corte riqualifichi l’atto processuale dell’Università come una semplice comparsa di risposta, priva di appello incidentale.
Non è chi non veda che tale attività interpretativa -che, peraltro, è stata correttamente condotta dalla Corte territoriale -esuli completamente dal controllo di legittimità cui questo Collegio è deputato, con la conseguenza che il mezzo appare inammissibile.
Va, poi, aggiunto che il ricorrente -sebbene abbia individuato una seconda ratio decidendi contenuta nella sentenza (secondo la Corte d’appello, a fronte della abnorme decisione di assorbimento, l’Università aveva solo l’onere di riproporre le domande e le eccezioni non esaminate nel primo grado) -di fatto non la censura e non espone, dunque, le ragioni per cui dovrebbe essere disatteso l’orientamento di Cass. SU, 13 gennaio 2022, n° 927, secondo il quale, ‘ qualora la sentenza impugnata, nel definire il giudizio, abbia deciso esclusivamente una questione pregiudiziale di rito, come nella specie dichiarando inammissibile per tardività l’opposizione a decreto ingiuntivo, i motivi di appello, che a norma dell’art. 342 cod. proc. civ. devono indicare la parte del provvedimento impugnato e le circostanze da cui deriva la violazione della legge e la loro rilevanza i fini della decisione appellata, non possono concernere anche il merito della domanda, il quale non ha, del resto, neppure formato oggetto della pronuncia. In siffatta evenienza, l’impugnazione della statuizione sulla questione pregiudiziale inerente alla inammissibilità dell’opposizione costituisce comunque manifestazione di volontà di proseguire nel giudizio, con implicita riproposizione della domanda principale, dovendo perciò il giudice di appello, che ritenga ammissibile l’opposizione, pronunciarsi nel merito delle questioni dedotte in primo grado, non rientrando tale ipotesi tra i casi previsti dagli artt. 353 e 354 cod. proc. civ. ‘.
8 .- Col secondo motivo il ricorrente si duole ancora del rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello incidentale, da lui formulata in secondo grado, e, dunque, della violazione degli artt. 333 e 342 cod. proc. civ., nonché dell’art. 112 dello stesso codice: il tutto in base agli artt. 360 n° 3 e 4 cod. proc. civ.
In particolare, la Corte avrebbe fatto applicazione del principio di prevalenza della sostanza sulla forma, nonostante la comparsa dell’Università fosse priva di ogni censura alla sentenza di primo grado.
9 .- Il mezzo è inammissibile per più ragioni.
Anche con questo motivo, infatti, il ricorrente sollecita la Corte di cassazione a dare una diversa interpretazione alla comparsa di risposta dell’Università: operazione che, come si è già detto al precedente paragrafo, non è consentita in sede di legittimità.
Sotto altro aspetto il mezzo appare anche privo di specificità, poiché -pur enunciando l’impossibilità di comprendere come la Corte abbia potuto concludere per la presenza di un appello incidentale -non trascrive il contenuto della comparsa di risposta dell’Università, fatta eccezione per due stringati ed insufficienti passaggi (ricorso pagine 5 e 12), precludendo, così, a questa Corte di verificare se il percorso logico seguito dal giudice di secondo grado (che apparentemente non presenta lacune o contraddittorietà) potesse essere effettivamente seguito partendo dalle argomentazioni dell’Ateneo.
10 .- Col terzo motivo il COGNOME lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ. (in riferimento all’art. 360, primo comma, n° 3), in quanto la Corte avrebbe erroneamente ritenuto che ogni eccezione e deduzione formulata dall’Università nel giudizio di secondo grado fosse già stata avanzata nel primo.
In realtà l’Università solo in fase di gravame aveva resistito all’eccezione di carenza di legittimazione passiva formulata dall’Azienda Ospedaliera Universitaria (ossia che, ratione temporis , l’eventuale debito avrebbe dovuto far carico alla pregressa Azienda Universitaria Policlinico), donde l’erroneo ingresso di una eccezione nuova nel giudizio di secondo grado.
Col quarto motivo il ricorrente lamenta, sempre ai sensi dell’art. 360, primo comma, n° 3, la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in quanto la Corte nell’accogliere le doglianze dell’Università COGNOME
co II, ometteva qualunque decisione in merito all’eccezione di difetto di legittimazione da essa proposto per la prima volta nel secondo grado di giudizio e dall’Azienda Ospedaliera Universitaria sin dall’atto di opposizione al Decreto Ingiuntivo n° 9498/07, soprattutto in considerazione delle posizioni configgenti delle due parti.
11 .- I mezzi -esaminabili congiuntamente in ragione della loro connessione -sono inammissibili, in quanto eccentrici rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata.
Infatti, la Corte ha accolto le opposizioni proposte dall’Università e dall’Azienda Ospedaliera per tutt’altra ragione, ossia sul rilievo che il commissariamento della pregressa Azienda Universitaria Policlinico avrebbe comportato la cessazione dell’incarico del COGNOME, con conseguente perdita del diritto alla retribuzione.
Tale essendo la ratio della decisione, la questione della carenza di legittimazione passiva o della titolarità del rapporto è rimasta indecisa per effetto della ragione più liquida, presa in considerazione della Corte di merito (sopra descritta) e posta a fondamento del rigetto della pretesa del COGNOME con la conseguenza che neppure occorreva stabilire se tale eccezione fosse nuova o no.
11 .- Col quinto motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n° 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n° 502/1993, nonché, sulla base dell’art. 360, primo comma, n° 4, illogicità e contraddittorietà della motivazione, donde la nullità della sentenza e del procedimento per travisamento della prova.
La Corte avrebbe ritenuto non dovuta la retribuzione del COGNOME in ragione del commissariamento dell’Azienda Universitaria Policlinico, ‘ in aperto contrasto con quanto disposto dall’art. 3, comma 6, del d.lgs. n° 502/1992, che attribuisce al solo medesimo Direttore Generale la facoltà di sospensione, nonché trascurando la pronuncia sulla validità del contratto ‘ e giungendo alla conclusione secondo la quale il direttore generale costituiva l’organo decisionale e di imputazione primario della struttura.
Tuttavia, tale conclusione sarebbe stata fondata sull’art. 4, quinto comma, del d.lgs. n° 502/1992 nel testo abrogato dal d.lgs. n° 229/1999.
Per contro, nella versione applicabile ratione temporis la normativa prevederebbe quali organi dell’azienda il direttore generale e il collegio sindacale.
Era dunque ‘ palese che la Corte d’Appello di Napoli incentrato la propria motivazione in virtù dell’erronea applicazione di una normativa non più vigente che non prevedeva l’esistenza del Collegio di Direzione ‘.
Infine, la Corte aveva assunto la decisione in assenza di produzione dello Statuto dell’Università degli Studi di Napoli, pur richiamato dall’art. 4 d.lgs. 502/1992, che determinerebbe le ripartizioni delle funzioni gestionali.
12 .- Il mezzo è infondato.
Al di là dei richiami normativi contenuti nella sentenza della Corte territoriale, le conclusioni cui questa è pervenuta sono del tutto corrette.
Le aziende ospedaliero-universitarie sono disciplinate dal d.lgs. n° 517/1999, il quale ha previsto un regime transitorio di quattro anni, che comprende anche gli anni 1999-2001, ossia quelli nei quali il COGNOME avrebbe dovuto svolgere le funzioni di direttore generale. Ora, l’art. 4 del predetto d.lgs. n° 517/1999, dopo aver previsto al primo comma quali sono gli organi delle aziende ospedalierouniversitarie (direttore generale, collegio sindacale e organo di indirizzo), al secondo comma ha poi previsto che ‘ imitatamente al periodo quadriennale di sperimentazione nelle aziende ospedaliere universitarie integrate con il Servizio sanitario nazionale, il direttore generale è nominato dal rettore dell’università, acquisita l’intesa con la regione ‘, specificando inoltre che ‘ ai direttori generali si applicano gli articoli, 3 e seguenti del medesimo decreto legislativo, ove non derogati dal presente decreto ‘.
Tra questi articoli è rinvenibile il 3bis , settimo comma (del d.lgs. n° 502/1992: comma poi abrogato dall’art. 9, comma 1, D.Lgs. 4 agosto 2016, n. 171), secondo il quale ‘ quando ricorrano gravi motivi (…) la Regione risolve il contratto dichiarando la decadenza del direttore generale ‘.
Trasponendo tale disposizione al caso dei policlinici gestiti dalle Università e tenendo presente che il ruolo della Regione è, per il periodo qui in rilievo (1999-2001), svolto dal Rettore dell’Università (art. 4 d.lgs. n° 517/1999), si ha che il commissariamento dell’Azienda Universitaria Policlinico (dal quale la Corte territoriale ha fatto derivare la conseguenza della ‘ cessazione dell’incarico del COGNOME ‘) è stato correttamente disposto dal Rettore, con un provvedimento che -peraltro -ha trovato anche conferma davanti al giudice amministrativo (Cons. Stato n° 1380/2008).
In conclusione, il mezzo va respinto.
13 .- Col sesto mezzo il COGNOME si duole della violazione e dell’erronea applicazione del d.m. n° 55/2014: la Corte avrebbe liquidato euro 13 mila, ma senza tener conto che nel primo grado non si sarebbero svolte la fase istruttoria e quella decisionale; inoltre, la liquidazione delle spese sarebbe eccessiva e sproporzionata.
Quindi, tenuto anche conto dell’incertezza degli orientamenti giurisprudenziali in ordine al termine di costituzione in giudizio dell’opponente, sussisterebbero giustificati motivi per disporre la compensazione integrale delle spese di lite.
14 .- Il mezzo è in parte infondato e in parte inammissibile.
È infondato nella parte in cui lamenta che la Corte territoriale abbia liquidato le spese comprendendo anche la fase istruttoria, in quanto i compensi per tale fase sono stati espressamente esclusi (capo F della sentenza).
Non è dato, per contro, comprendere perché debba essere escluso il compenso per la fase decisionale, tenuto conto che tale compenso remunera le prestazioni previste dall’art. 4, quinto comma, let-
tera d), del d.m. n° 55/2014, tra le quali ‘ le precisazioni delle conclusioni e l’esame di quelle delle altre parti, le memorie, illustrative o conclusionali anche in replica, compreso il loro deposito ed esame, la discussione orale, sia in camera di consiglio che in udienza pubblica, le note illustrative accessorie a quest’ultima, la redazione e il deposito delle note spese, l’esame e la registrazione o pubblicazione del provvedimento conclusivo del giudizio, comprese le richieste di copie al cancelliere, il ritiro del fascicolo, l’iscrizione di ipoteca giudiziale del provvedimento conclusivo stesso, ecc… ‘, il cui svolgimento (almeno per ciò che concerne il deposito di conclusionali e replica) risulta per tabulas (punto B.d della sentenza).
È, invece, inammissibile nella parte in cui invoca una diversa liquidazione delle spese stesse ed un loro diverso riparto, poiché la denuncia di violazione della norma di cui all’art. 91, primo comma, cod. proc. civ. in sede di legittimità trova ingresso solo quando i compensi del difensore siano posti a carico della parte integralmente vittoriosa ( ex multis : Cass. sez. 6-3, 26 novembre 2020, n° 26912).
15 .- In conclusione, il ricorso deve essere integralmente disatteso. Alla soccombenza del ricorrente segue la sua condanna alla rifusione delle spese di lite in favore delle controparti, per la cui liquidazione -fatta in base al d.m. n° 55 del 2014, come modificato dal d.m. n° 147 del 2022, ed al valore della lite (euro 107,5 mila) -si rimanda al dispositivo che segue.
Va, inoltre, dato atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1-quater, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente, ove dovuto.
p.q.m.
la Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere le spese alle resistenti, che liquida in euro 7.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi per ciascuna delle controparti, oltre al rim-
borso forfettario delle spese in ragione del 15%, oltre al cp ed all’iva, se dovuta. Dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1-quater, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente, ove dovuto.
Così deciso in Roma il 26 novembre 2024, nella camera di consiglio