Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21315 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21315 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 19363 – 2021 proposto da:
COGNOME NOME, in proprio e quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliate in Roma, INDIRIZZO presso lo studio del dott. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME giusta procura allegata al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI MILANO, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentato e difeso con gli avv. NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME e
NOME COGNOME giusta procura allegata al controricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2443/2020 della CORTE D’APPELLO di MILANO, pubblicata il 7/1/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/10/2024 dal consigliere NOME COGNOME
lette le memorie delle parti.
FATTI DI CAUSA
In data 7 ottobre 2017, in INDIRIZZO a Milano, la Polizia locale contestò, con verbale n. 7666485-1, a NOME COGNOME, alla RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME e alla RAGIONE_SOCIALE, la violazione dell’art. 22, comma 2, della legge regionale della Lombardia n.6/2010, per avere esercitato attività di commercio in forma itinerante in zona non consentita, come stabilito dal Sindaco con ordinanza n. 78193/2013, poi modificata dall’ordinanza n. 662913/2015.
Con ordinanza-ingiunzione n. 30579/2017 del 16/11/2017, il Comune di Milano ingiunse a NOME COGNOME quale autrice materiale e, quali coobbligate in solido, alla RAGIONE_SOCIALE quale proprietaria del veicolo e alla RAGIONE_SOCIALE quale titolare della licenza all’esercizio del commercio, il pagamento dell’importo di E. 1.000,00, la confisca del veicolo Ape Piaggio tg. TARGA_VEICOLO, la confisca e la distruzione delle merci e la confisca e alienazione delle attrezzature contenute o installate nel veicolo.
Con ricorso depositato il 21 dicembre 2017, la RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE proposero opposizione dinnanzi al Tribunale di Milano, respinta con sentenza n. 12495/2018.
Con sentenza n. 2443/2020, la Corte d’appello di Milano rigettò l’impugnazione proposta dalle due società, escludendo per quel che qui ancora rileva, che fosse sindacabile il merito delle scelte discrezionali dell’amministrazion e ed escludendo la violazione delle leggi comunitarie a tutela della libera concorrenza, oltre che del l’art. 1, comma 4 del d.lgs. n. 222/2016, perché il nuovo procedimento per l’adozione dei provvedimenti limitativi non escludeva comunque la competenza dei Comuni e, in ogni caso, disponeva per il futuro, salvaguardando la validità dei provvedimenti adottati prima della sua entrata in vigore.
Avverso la sentenza n. 2443/2020 della C orte d’appello di Milano, NOME COGNOME in proprio e quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE hanno proposto ricorso per cassazione, affidandolo a tre motivi, a cui il Comune di Milano ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Il Pubblico ministero ha depositato memoria, chiedendo il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, deve escludersi la legittimazione in proprio di NOME COGNOME -che non risulta aver partecipato ai gradi di merito del giudizio – a proporre ricorso per cassazione, atteso che la condanna in solido è stata pronunciata soltanto nei confronti della società di cui ella è socia accomandataria.
Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. , la RAGIONE_SOCIALE di NOME RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE hanno denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 113 Cost., dell’art. 1 l.n. 689/1981, degli artt. 2 e 5 l.n. 2248/1985 all. E e dell’art. 6, comma 5, d.lgs. n. 150/2011 per avere la Corte erroneamente negato la
propria giurisdizione al sindacato di legittimità della sanzione amministrativa inflitta dal C omune di Milano e dell’atto amministrativo presupposto; in particolare, le ricorrenti hanno rappresentato che lo scrutinio di legittimità della sanzione implica l’esame incidentale anche dell’atto amministrativo presupposto, al fine della sua disapplicazione e che, pertanto, il giudice ordinario ha giurisdizione.
1.2. Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. , le società hanno lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art. 22, comma 2, l.r. Lombardia n.6/2010, dell’art. 3, commi 1, 2, 6, 7 e 8 del d.l. n. 138/2011, convertito in l.n. 148/2011, dell’art. 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, dell’art. 15 della direttiva 2006/123/CE, degli artt. 10 e 12, comma 1, del d.lgs. n.59/2010 e dell’art. 1 del d.l. 24 gennaio 2012, convertito in l. n. 27/2012: la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che il divieto del commercio itinerante in una zona così vasta del territorio milanese , come disposto con l’ordinanza sindacale, non violasse le norme comunitarie e interne in materia di libertà di iniziativa economica privata e, a in tal senso, non avrebbe svolto la comparazione tra l’interesse privato e l’interesse pubblico, non verificando adeguatamente, in conseguenza, la proporzionalità, necessità e adeguatezza del suddetto divieto.
1.3. Con il terzo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., la RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE hanno prospettato la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 4 e dell’art. 6, comma 2 del d.lgs n. 222/2016 per averne la Corte escluso l’applicabilità retroattiva.
I tre motivi, che possono essere trattati congiuntamente per continuità di argomentazione, sono infondati.
Il giudizio di opposizione è costruito, formalmente, come giudizio d’impugnazione dell’atto (art. 22, comma 1, legge n. 869/1981, secondo cui contro l’ordinanza- ingiunzione di pagamento e contro l’ordinanza che dispone la sola confisca, gli interessati possono proporre opposizione), ma tende all’accertamento negativo della pretesa sanzionatoria, nel senso che l’atto è il veicolo d’accesso al giudizio di merito, al quale si perviene per il tramite appunto dell’impugnazione dell’atto (arg. ex art. 23, comma 2, sull’ordine alla p.a. di depositare copia del rapporto con gli atti relativi all’accertamento, nonché alla contestazione o notificazione della violazione e che non si giustificherebbe ove il giudizio fosse limitato all’atto).
Tale giudizio concerne la legittimità formale e sostanziale del provvedimento per l’esistenza di una giurisdizione esclusiva del giudice ordinario estesa – a seguito della L. n. 689 del 1981 – anche all’annullamento dell’atto ed alla sua modificazione limitatamente all’entità della somma dovuta (Cass. Sez. 1, n. 12679 del 29/05/2009).
Nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa, dunque, al giudice ordinario è devoluto anche il sindacato di legittimità del provvedimento amministrativo presupposto, al fine della sua eventuale disapplicazione ove risulti illegittimo: per atto presupposto sindacabile, però, si intende il provvedimento che si inserisca nella sequenza procedimentale sfociata nell’adozione dell’ordinanza opposta (Cass. Sez. 6 – 2, n. 22793 del 27/10/2014).
Questo controllo, quando venga prospettato un eccesso di potere, sebbene non possa evidentemente tradursi in una indebita ingerenza nel merito delle scelte operate dall’amministrazione, può spingersi fino a verificare la rispondenza delle finalità perseguite dall’amministrazione con quelle indicate dalla legge nei limiti in cui il
difetto di rispondenza incida sulla legittimità del provvedimento (cfr. Cass. Sez. 2, n. 1742 del 24/01/2013).
In tal senso, era ed è perciò sindacabile dal Giudice ordinario la legittimità dell’ordinanza n. 78193/2013, poi modificata dall’ordinanza n. 662913/2015 (prodotta in allegato al controricorso), come violata da NOME COGNOME laddove ha stabilito le zone in cui è vietato il commercio ambulante.
L’art.8 di questa ordinanza vieta il commercio ambulante in tutto il centro storico, nelle vie direttamente confluenti in dette località, per una estensione «non inferiore ai 300 metri e inoltre a tutte le aree sottoposte al regolamento del verde, a quelle sottoposte alla disciplina dei beni di interesse culturale ed ambientale (d. lgs. 22 gennaio 2004 n. 42) e a quelle eventualmente escluse con provvedimenti assunti dal Comune di Milano nelle aree di mercato e aree adiacenti lo INDIRIZZO».
Così costruito, il divieto è pienamente legittimo, come evidenziato dalla Corte d’appello nella sentenza impugnata.
Per l’a rt. 28, comma 4 del d.lgs. n. 114 del 1998, comma 15, il Comune, sulla base delle disposizioni emanate dalla Regione, stabilisce l’ampiezza complessiva delle aree da destinare all’esercizio delle attività di commercio; al comma 16, è poi previsto che, nella deliberazione di cui al comma 15, vengano individuate altresì le aree aventi valore archeologico, storico, artistico e ambientale nelle quali l’esercizio del commercio è vietato o sottoposto a condizioni particolari ai fini della salvaguardia delle aree predette; possono essere stabiliti divieti e limitazioni all’esercizio anche per motivi di viabilità, di carattere igienico sanitario o per altri motivi di pubblico interesse.
Ai sensi del secondo comma dell’art. 22 l.r. Lombardia n. 6/10, il commercio su aree pubbliche esercitato in forma itinerante può essere
oggetto di limitazioni e divieti per comprovati motivi di viabilità di carattere igienico sanitario o per altri motivi di pubblico interesse.
Il comma 4 dell’art. 1 del decreto legislativo 25/11/2016 n. 222 prevede poi che, per le finalità indicate dall’articolo 52 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, il Comune, d’intesa con la Regione, sentito il competente soprintendente del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, possa adottare deliberazioni volte a delimitare, sentite le associazioni di categoria, zone o aree aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico in cui è vietato o subordinato ad autorizzazione, rilasciata ai sensi dell’articolo 15 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, l’esercizio di una o più attività individuate con riferimento al tipo o alla categoria merceologica, in quanto non compatibile con le esigenze di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale; nel procedimento introdotto dall’art. 1 comma 4 d.lgs. 222/2016, pertanto, la competenza a stabilire i limiti delle zone di commercio è rimasta comunque ai Comuni.
Il comma 2 dell’art. 6 dello stesso decreto legislativo, poi, non prevede alcuna nullità retroattiva dei precedenti provvedimenti restrittivi, ma unicamente l’obbligo di regioni e enti locali di «adeguarsi» alle disposizioni di cui agli articoli da 1 a 4 entro un certo termine e non risulta sia stato portato all’attenzione del Giudice di merito che il mancato rispetto di quest’obbligo.
Tutto ciò precisato, c ome rimarcato dalla Corte d’appello, il motivo di pubblico interesse fonda, certamente, la salvaguardia delle aree di interesse storicoartistico, riportato al comma 2 dell’art. 8 dell’ordinanza suindicata, sicché l’interdizione del commercio itinerante in tutto il centro storico coincidente con la zona di decentramento 1 è giustificata dal valore storico e artistico dei monumenti e delle costruzioni che vi si trovano (l’Arco, la INDIRIZZO e il Casello
daziario nella INDIRIZZO) che necessitano di particolare salvaguardia; in tal senso, il Comune ha rappresentato che la piazza è sottoposta a vincolo culturale ai sensi dell’art. 10 D. Lgs. 42/2004 (vincolo automatico) e i manufatti ivi insistenti (l’Arco, la Porta e il Casello daziario) sono sottoposti a un vincolo monumentale diretto di cui al decreto del 1912.
Per la sussistenza di questo interesse, deve altresì escludersi un contrasto con la direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE, c.d. «Bolkestein», posto che la normativa europea conserva all’amministrazione uno spazio significativo per il riconoscimento di «motivi imperativi d’interesse generale» in bilanciamento con il diritto di libera circolazione dei servizi tra gli Stati membri.
In particolare, vi assume decisiva rilevanza la conservazione del patrimonio nazionale storico ed artistico, come già salvaguardata dall’art. 36 del Trattato sul Funzionamento dell’U.E. e come da sempre considerata dalla Corte di Giustizia a fini di bilanciamento con il diritto di libera iniziativa economica nelle sue differenti manifestazioni quali la libera concorrenza, il libero stabilimento e la libera circolazione delle merci.
Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna delle ricorrenti in solido al rimborso delle spese processuali in favore del Comune, liquidate in dispositivo in relazione al valore.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna NOME COGNOME in proprio e quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore del Comune di Milano, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00 e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda