Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6279 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 6279 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11754/2020 R.G. proposto da :
ATO RAGIONE_SOCIALE, in persona del liquidatore pro tempore , con diritto di ricevere le notificazioni presso la PEC dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME con diritto di ricevere le notificazioni presso la PEC dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende -controricorrente- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CALTANISSETTA n. 454/2020 pubblicata il 27/11/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Caltanissetta, con la sentenza n.454/2020 pubblicata il 27/11/2019, ha accolto il gravame proposto da NOME COGNOME nella controversia con l’ATO RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (l’ATO).
La controversia ha per oggetto il risarcimento del danno preteso da NOME COGNOME, dipendente del Comune di Gela e comandata il 23/04/2010 presso l’ATO «fino alla liquidazione» dello stesso, cagionato dalla revoca dell’incarico da parte dell’ATO il successivo 23/05/2011, quando la liquidazione era ancora in corso. L’i ncarico aveva ad oggetto, per effetto del protocollo d’intesa con l’ATO, le funzioni e le attività di responsabile tecnico e della sicurezza della discarica di Timpazzo, e successivamente era stato esteso, a far tempo dal disciplinare del 16/02/2011, anche alle attività di progettazione e direzione lavori.
Il Tribunale di Gela rigettava le domande proposte dalla COGNOME, ritenendo che la clausola «fino alla liquidazione dello stesso ATO» dovesse interpretarsi nel senso che l’incarico fosse stato conferito fino alla apertura dello stato di liquidazione; ciò anche in considerazione della natura dell’incarico conferito dall’ATO, compatibile solo con una funzione pienamente operativa dell’ente.
La Corte territoriale ha ritenuto che tale clausola, anche in considerazione del comportamento tenuto dalle parti dopo l’esecuzione dell’incarico presso l’ATO, dovesse interpretarsi nel senso che l’incarico fosse stato conferito fino alla effettiva chiusura della procedura liquidatoria; che con riferimento ai compiti conferiti alla Cosentino in forza del protocollo d’intesa non si ponesse alcuna questione di compatibilità con la gestione liquidatoria, risultando provato che almeno fino al settembre 2013 l’ATO avesse continuato a gestire la discarica di Timpazzo; che la controversia aveva ad oggetto il risarcimento del danno preteso in forza della revoca illegittima del protocollo d’incarico da parte dell’ATO, rispetto al quale la legittimazione passiva spettava unicamente all’ATO, e non
al Comune di Gela; che i compiti conferiti alla COGNOME con il disciplinare del 16/02/2011 non fossero compatibili con le attività liquidatorie in corso.
Per la cassazione della sentenza ricorre ATO, con ricorso affidato a quattro motivi. La COGNOME resiste con controricorso. Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo ATO lamenta, con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 56 del d.P.R. n.3/1957, dell’art.70 comma 12 del d.lgs. n.165/2001, degli artt. 1362, 1367 e 1369 cod. civ.
Con il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art.1362 cod. civ., con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ.
Con il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art.112 cod. proc. civ., con riferimento all’art.360 comma primo n.4 cod. proc. civ., nonché la vioiolazione e falsa applicazione degli artt.1223, 2033 e 2041 cod. civ., con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ.
Con il quarto motivo, dedotto in via subordinata, lamenta l’omessa pronuncia sull’eccezione avanzata nei precedenti gradi di giudizio, la violazione e falsa applicazione dell’art.112 cod. proc. civ., con riferimento all’art.360 comma primo n.4 cod. proc. civ. , nonché la violazione e falsa applicazione degli artt.414 e 426 cod. proc. civ., con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ.
Il primo motivo è fondato.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, al quale si intende dare continuità, «la posizione di comando, pur non comportando alcuna alterazione del rapporto di lavoro, ne implica una rilevante modificazione in senso oggettivo, giacché il
dipendente viene destinato a prestare servizio, in via ordinaria e abituale, presso un’organizzazione diversa da quella di appartenenza. In particolare, fermo restando il c.d. rapporto organico (che continua ad intercorrere tra il dipendente e l’ente di appartenenza o di titolarità), si modifica il c.d. rapporto di servizio, atteso che il dipendente è inserito, sia sotto il profilo organizzativo -funzionale, sia sotto quello gerarchico e disciplinare, nell’amministrazione di destinazione, a favore della quale egli presta esclusivamente la sua opera. (…) Il comando disposto mediante provvedimento di organo di amministrazione pubblica attua, sul piano dell’organizzazione e della provvista del personale, il principio di buon andamento dell’amministrazione e gli interessi coinvolti (del soggetto datore di lavoro e del dipendente) hanno la consistenza dell’interesse legittimo. L’interesse primario che giustifica l’attribuzione del potere è dunque quello dell’amministrazione di destinazione (sulla quale, di conseguenza, gravano tutti gli oneri economici), che assume i poteri di gestione del rapporto di lavoro in forza dell’imperatività del provvedimento, non certo per effetto di accordi negoziali conclusi con l’ente di provenienza» (Cass.05/04/2006, n. 7971, Cass.12100/2017; più di recente, e con ampio esame degli istituti coinvolti, Cass. 1471/2024).
6. In buona sostanza, secondo il costante orientamento di questa Corte la posizione soggettiva del dipendente pubblico rispetto al mantenimento della posizione di comando non è qualificabile come diritto soggettivo, ma come interesse legittimo, ed in quanto tale non può costituire la fonte di una obbligazione risarcitoria. Poiché l’interesse coinvolto è solo quello dell’ente di destinazione e non quello del dipendente, non può sussistere alcun diritto al risarcimento nei confronti dell’ente di destinazione, non potendo esso essere fondato sul mero interesse alla regolarità dell’azione amministrativa (Cass. 12100/2017 cit.).
La Corte territoriale ha considerato esclusivamente la natura del rapporto intercorso tra l’ing. COGNOME e l’ATO, soffermandosi in particolare sulla interpretazione del protocollo d’intesa da loro sottoscritto.
Così facendo la Corte territoriale ha obliterato le disposizioni dettate dagli artt.56 d.p.r. n.3/1957 e 70 comma 12 d.lgs. n.165/2001, laddove nel bilanciamento degli interessi coinvolti (ente di appartenenza, ente di destinazione, dipendente pubblico) attribuiscono rilevanza preminente agli interessi dell’ente di destinazione, degradando la posizione giuridica del dipendente pubblico da diritto soggettivo (al mantenimento al comando) a interesse legittimo. Posizione soggettiva che non consente la tutela risarcitoria invocata dalla controricorrente.
Per questi motivi il primo motivo di ricorso deve essere accolto, con assorbimento degli altri. La sentenza impugnata deve essere cassata con riferimento al motivo accolto e rinvio alla Corte d’appello di Caltanissetta che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Caltanissetta, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 05/03/2025.