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Comando dipendente pubblico: nessun risarcimento

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6279/2025, ha stabilito che la posizione di un dipendente pubblico in comando presso un’altra amministrazione costituisce un interesse legittimo e non un diritto soggettivo. Di conseguenza, la revoca anticipata dell’incarico da parte dell’ente di destinazione non dà diritto al lavoratore di ottenere un risarcimento del danno. La Corte ha cassato la sentenza d’appello che aveva invece riconosciuto tale diritto, riaffermando che l’interesse primario tutelato è quello dell’ente di destinazione al buon andamento della propria organizzazione.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Comando Dipendente Pubblico: la Revoca dell’Incarico non Dà Diritto al Risarcimento

L’istituto del comando dipendente pubblico rappresenta un importante strumento di flessibilità per la Pubblica Amministrazione, ma qual è la natura giuridica della posizione del lavoratore comandato? Si tratta di un diritto soggettivo a mantenere l’incarico fino alla scadenza pattuita? Con la recente ordinanza n. 6279/2025, la Corte di Cassazione ha fornito una risposta chiara e netta, stabilendo che la revoca anticipata del comando non legittima una richiesta di risarcimento danni.

I Fatti del Caso: Un Incarico Revocato

La controversia nasce dalla vicenda di una dipendente di un Comune, comandata presso una società a partecipazione pubblica (un ATO, Ambito Territoriale Ottimale) per svolgere funzioni di responsabile tecnico di una discarica. L’incarico, inizialmente definito “fino alla liquidazione” dell’ente, era stato revocato anticipatamente mentre la procedura di liquidazione era ancora in corso.

La lavoratrice, ritenendo illegittima la revoca, aveva citato in giudizio l’ATO per ottenere il risarcimento dei danni subiti. Mentre il Tribunale di primo grado aveva respinto la sua domanda, interpretando la durata dell’incarico come legata solo alla fase operativa dell’ente, la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione, accogliendo il gravame della dipendente e riconoscendole il diritto al risarcimento.

La Decisione della Corte d’Appello

Secondo i giudici di secondo grado, la clausola sulla durata dell’incarico doveva essere interpretata nel senso di una sua prosecuzione fino alla chiusura effettiva della liquidazione. La Corte territoriale aveva quindi ritenuto illegittima la revoca e fondata la pretesa risarcitoria della lavoratrice, basando la propria decisione sull’interpretazione del protocollo d’intesa sottoscritto tra le parti.

Il Comando Dipendente Pubblico Secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’ATO, cassando la sentenza d’appello e delineando un quadro giuridico completamente diverso. Gli Ermellini hanno chiarito che, nel valutare un caso di comando dipendente pubblico, non ci si può limitare all’interpretazione degli accordi negoziali tra le parti. È necessario, invece, considerare la natura pubblicistica dell’istituto e le norme che lo regolano (in particolare l’art. 56 del d.P.R. n. 3/1957 e l’art. 70 del D.Lgs. n. 165/2001).

Il comando, pur modificando il rapporto di servizio (il dipendente presta la sua opera per l’ente di destinazione), non altera il rapporto organico con l’ente di appartenenza. L’interesse primario che giustifica il comando è quello dell’amministrazione di destinazione, che necessita di acquisire specifiche professionalità per garantire il principio di buon andamento dell’azione amministrativa.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione centrale della Suprema Corte risiede nella qualificazione della posizione giuridica del lavoratore comandato. Non si tratta di un diritto soggettivo al mantenimento del posto presso l’ente di destinazione, ma di un interesse legittimo. Questo significa che l’interesse del dipendente è tutelato solo indirettamente, attraverso il controllo sulla legittimità e correttezza dell’azione della Pubblica Amministrazione.

Poiché l’interesse prevalente è quello dell’ente di destinazione, quest’ultimo ha il potere di gestire il rapporto, e di conseguenza anche di revocarlo, in funzione delle proprie esigenze organizzative. L’interesse del lavoratore alla stabilità dell’incarico cede di fronte all’interesse pubblico. Di conseguenza, non potendo vantare un diritto soggettivo, il dipendente non può chiedere un risarcimento del danno per la mera revoca dell’incarico, in quanto tale pretesa non può fondarsi sul semplice interesse alla regolarità dell’azione amministrativa.

Le Conclusioni

In conclusione, la Cassazione ha stabilito un principio fondamentale: la posizione soggettiva del dipendente pubblico in comando non è qualificabile come diritto soggettivo, ma come interesse legittimo. Pertanto, non può costituire la fonte di un’obbligazione risarcitoria in caso di revoca. La Corte d’Appello ha errato nel considerare esclusivamente la natura negoziale del rapporto, obliterando le disposizioni pubblicistiche che degradano la posizione del lavoratore. La causa è stata quindi rinviata alla Corte d’Appello, in diversa composizione, che dovrà attenersi a questo principio di diritto.

Un dipendente pubblico in comando ha un diritto soggettivo a mantenere la sua posizione?
No, secondo la Corte di Cassazione la posizione soggettiva del dipendente pubblico in comando non è un diritto soggettivo, ma un interesse legittimo al corretto esercizio del potere da parte dell’amministrazione di destinazione.

La revoca di un incarico in comando può dare diritto a un risarcimento del danno?
No. Poiché la posizione del lavoratore è di interesse legittimo e non di diritto soggettivo, la sua revoca da parte dell’ente di destinazione non può costituire la fonte di un’obbligazione risarcitoria. L’interesse tutelato in via primaria è quello dell’ente di destinazione.

Su chi gravano gli oneri economici e i poteri di gestione del rapporto durante il comando?
Durante il comando, tutti gli oneri economici e i poteri di gestione del rapporto di lavoro (organizzativo, gerarchico e disciplinare) gravano sull’amministrazione di destinazione, a favore della quale il dipendente presta esclusivamente la sua opera.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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