Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24976 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 24976 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/09/2025
Oggetto: Successioni
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 07095/2019 R.G. proposto da NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME nel cui studio in TorinoINDIRIZZO INDIRIZZO è elettivamente domiciliato;
-ricorrente –
contro
NOMECOGNOME rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, INDIRIZZO -controricorrente e ricorrente incidentale – avverso la sentenza n. 988/2020 emessa dalla Corte d’Appello di Torino, pubblicata il 7/10/2020 e non notificata.
Udita la relazione svolta dal consigliere dott.ssa NOME COGNOME nella pubblica udienza del 10 luglio 2025;
lette le conclusioni scritte della Procura generale, in persona del sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del terzo motivo di ricorso principale e la reiezione di quello incidentale condizionato.
FATTI DI CAUSA
Ai fini della migliore comprensione dei fatti di causa, è opportuno riassumere la vicenda sulla base della ricostruzione operata dalla Corte d’Appello, integrata, quanto alle questioni afferenti agli atti introduttivi della causa di merito non del tutto chiariti in sentenza, con gli elementi risultanti dal ricorso e dal controricorso.
Con atto di citazione notificato il 24/7/2014, NOME Domenico COGNOME convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Torino, il fratello NOME COGNOME deducendo che, dopo la morte del padre, NOME COGNOME avvenuta il 23/1/2008, gli eredi (la moglie e i due figli) avevano diviso il patrimonio immobiliare relitto, ma non anche il denaro e i titoli di Stato del valore di circa € 256.000,00, rimasti nell’esclusiva disponibilità della madre; che negli anni successivi la madre aveva donato, con assegni bancari per € 63.000,00, una parte considerevole di tali somme al figlio NOME; che quest’ultimo, negli ultimi mesi di vita della madre, aveva prelevato dai conti correnti ulteriori di lei ingenti somme (per l’importo di € 124.071,85), lasciando la stessa, alla sua morte, priva di apparenti disponibilità economiche; che la madre, deceduta il 10/6/2011, aveva nominato il figlio NOME suo erede universale, lasciando al figlio NOME NOME la sola quota di legittima. L’attore impugnò, dunque, il testamento della madre e chiese che venisse disposta la divisione ereditaria del patrimonio relitto dai genitori, che venisse accertata la donazione indiretta disposta dalla de cuius in favore del figlio NOME in seguito alla liquidazione della divisione del
patrimonio immobiliare paterno, che questi rendesse il conto della gestione degli immobili posseduti in esclusiva dal decesso della madre, conferendo i relativi proventi o imputandoli all’asse relitto e che si sarebbe dovuto procedere prima alla divisione dell’asse paterno, assegnando a ciascuno dei figli la somma di euro 42.753,29.
Costituitosi in giudizio, NOME COGNOME dedusse che NOME COGNOME aveva, a sua volta, ricevuto negli anni numerose donazioni, dirette e indirette, da parte della madre o comunque dei genitori, e chiese, pertanto, la condanna del predetto alla collazione dei relativi importi, la determinazione delle quote ereditarie spettanti a ciascun erede nel rispetto del testamento olografo materno del 9/5/2011 e la divisione del patrimonio relitto da quest’ultima.
Con sentenza non definitiva n. 5981/2018, pubblicata il 19/12/2018, il Tribunale, dato atto dell’autenticità del testamento olografo di NOME COGNOME, stabilì che, in forza di esso, la quota ereditaria spettante all’attore era pari a 1/3; accertò la composizione dell’asse ereditario materno, costituito dagli immobili in Piossasco, Regione Garola, Mombarcaro Borgata Montané e Gorzegno, nonché dal credito di euro 124.071,85 nei confronti del figlio NOME COGNOME; accertò che la de cuius aveva donato al figlio NOME NOME la somma di euro 516,45 e al figlio NOME la complessiva somma di euro 72.199,39; condannò NOME COGNOME a corrispondere all’attore la somma di € 6.716,66, oltre interessi, pari alla sua quota dei canoni di locazione relativi agli immobili in comunione percepiti dal convenuto; condannò NOME COGNOME a rimborsare al convenuto la somma di € 2.254,52, oltre interessi, pari alla sua quota delle spese di gestione degli immobili in comunione, e la somma di € 1.707,82, oltre a interessi, pari alla sua quota delle spese funerarie; rigettò le ulteriori domande
proposte dalle parti, disponendo con separata ordinanza, la prosecuzione del giudizio.
Con atto di citazione del 18/6/2019, NOME COGNOME interpose appello avverso tale sentenza non definitiva, investendo profili afferenti prevalentemente alla sola successione materna e instaurando un giudizio nel quale si costituì NOME COGNOME che si limitò a chiedere il rigetto del gravame, senza interporre appello incidentale.
Con sentenza n. 988/2020, pubblicata il 7/10/2020, la Corte d’Appello di Torino, in parziale accoglimento dell’appello, accertò che, in sede di divisione della somma di € 90.000,00, NOME COGNOME aveva conseguito un’eccedenza rispetto alla propria quota di € 15.000,00 ed era debitore, nei confronti dell’eredità, della somma di € 464,04, pari a ½ dell’importo di lire 1.797.000; accertò che NOME COGNOME era creditore, nei confronti dell’eredità, della somma di € 158,58; stabilì che le quote spettanti a NOME COGNOME e a NOME COGNOME erano pari, rispettivamente, a 1/3 e a 2/3, per un valore rispettivo di € 57.824,03 e di € 262.147,59; accertò che NOME COGNOME aveva sopportato, relativamente agli immobili oggetto di causa, un ulteriore esborso di complessivi € 4.878,55 e condannò NOME COGNOME a corrispondere a lui l’importo pari alla sua quota di 1/3, per un valore di complessivi € 1.626,18, oltre a interessi legali ex art. 1284, quarto comma, cod. civ. dalla data della domanda, dichiarando interamente compensate le spese del giudizio di gravame.
Avverso questa sentenza, COGNOME NOME propone ricorso per cassazione, affidandolo a sei motivi, mentre COGNOME NOME si difende con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale affidato a tre motivi.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 Con il primo motivo di ricorso principale, si lamenta la nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli artt. 24 e 111 Cost., 99, 101, secondo comma, e 112 cod. proc. civ., 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., perché i giudici di merito, analizzando la ripartizione tra fratelli della somma di euro 90.000,00 e constando l’avvenuta attribuzione a NOME COGNOME dell’importo di euro 45.000,00, avevano ritenuto che questi avesse ricevuto un’eccedenza di euro 15.000,00, in quanto la quota a lui spettante era pari a 1/3 del totale e non alla metà, qualificando la relativa operazione come divisione anticipata e parziale del relictum in virtù di accordo tra le parti. Il ricorrente ha sul punto obiettato che nessuna delle parti aveva mai dedotto l’esistenza di un accordo divisorio, avendo NOME COGNOME sempre chiesto che detta somma, qualificabile come donazione indiretta, fosse soggetta a collazione, e che, pertanto, i giudici si fossero pronunciati extra petita.
Analogo errore era stato commesso anche con riferimento alla somma di lire 1.797.000, che il ricorrente aveva riconosciuto di avere ricevuto dai genitori nel 1999, in quanto avevano qualificato la relativa dazione di denaro in termini di mutuo, benché NOME COGNOME l’avesse considerata come donazione indiretta soggetta a collazione, sicché avevano, in questo modo, impedito al ricorrente di eccepire la prescrizione del diritto ad ottenerne la restituzione, la cui richiesta non era stata peraltro mai avanzata.
1.2 Il primo motivo è infondato.
Occorre innanzitutto respingere l’eccezione di inammissibilità della censura perché non autosufficiente, sollevata dal controricorrente, non avendo il ricorrente localizzato gli atti e i documenti posti a fondamento della doglianza.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366, primo comma, n. 3), cod. proc. civ. il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito (tra le tante Cass., Sez. 6-3, 28/5/2018, n. 13312; Cass., Sez. 6-3, 3/2/2015, n. 1926).
Il principio di autosufficienza non risponde, invero, a un’esigenza di mero formalismo, ma è volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione, e a consentire di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti e atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (Cass., Sez. 3, 12/1/2024, n. 1352; Cass., Sez. 5, 4/10/2018, n. 24340), principio questo che è stato rispettato nella specie, avendo il ricorrente chiarito adeguatamente gli antefatti anche processuali della vicenda, le questioni prospettate e le critiche alla decisione.
Peraltro, se è vero che il n. 6 dell’art. 366 cod. proc. civ. impone di indicare specificamente gli atti processuali e i documenti sui quali il ricorso si fonda (vedi Cass., Sez. 5, 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. 5, 15/01/2019, n. 777), mediante la riproduzione diretta o indiretta del contenuto che sorregge la censura, precisando, in
quest’ultimo caso, la parte del documento cui quest’ultima corrisponde (Cass., Sez. 5, 15/07/2015, n. 14784; Cass., Sez. 6-1, 27/07/2017, n. 18679) e i dati necessari all’individuazione della sua collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (vedi Cass., Sez. 5, 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. 5, 15/01/2019, n. 777), è anche vero che ciò è necessario quando la doglianza imponga una verifica sul contenuto di quei documenti, ma non anche quando, come nella specie, si fondi sulla mancata osservanza del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Non è neppure fondata l’eccezione sulla natura meritale della questione prospettata col motivo in esame, atteso che il ricorrente ha inteso con esso dolersi del fatto che i giudici, qualificando la domanda proposta dall’originario convenuto diversamente da come prospettata, avevano emesso una sentenza nulla perché pronunciata ultra petita, senza per questo sollecitare una revisione del compendio probatorio acquisito, susseguente alla predetta attività ermeneutica.
1.3 Venendo al merito, va, innanzitutto, evidenziato che l’effetto devolutivo dell’appello entro i limiti dei motivi d’impugnazione, pur limitando il giudizio all’esame delle sole questioni oggetto di specifici motivi proposti (Cass., Sez. L, 03/04/2017, n. 8604), preclude al giudice del gravame esclusivamente di estendere le sue statuizioni a punti che non siano compresi, neanche implicitamente, nel tema del dibattito esposto nei motivi d’impugnazione, mentre non viola il principio del tantum devolutum quantum appellatum il giudice di appello che fondi la decisione su ragioni che, pur non specificamente fatte valere dall’appellante, appaiano tuttavia, nell’ambito della censura proposta, in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi, costituendone necessario antecedente logico e giuridico (Cass.,
Sez. 3, 13/4/2018, n. 9202), sicché detto principio non può dirsi violato allorché il giudice di secondo grado fondi la propria decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall’appellante nei suoi motivi, ovvero esamini questioni non specificamente da lui proposte o sviluppate, le quali, però, appaiano in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi e, come tali, comprese nel thema decidendum del giudizio (Cass., Sez. L, 03/04/2017, n. 8604, cit.).
Nel giudizio d’appello, infatti, il giudice può riesaminare l’intera vicenda nel complesso dei suoi aspetti, purché tale indagine non travalichi i margini della richiesta, coinvolgendo punti decisivi della statuizione impugnata suscettibili di acquisire forza di giudicato interno in assenza di contestazione, e decidere, con pronunzia che ha natura ed effetto sostitutivo di quella gravata, anche sulla base di ragioni diverse da quelle svolte nei motivi d’impugnazione (Cass., Sez. 3, 13/4/2018, n. 9202).
A questo riguardo soccorre, infatti, il principio iura novit curia , di cui all’art. 113, primo comma, cod. proc. civ., il quale importa la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonché all’azione esercitata in causa, e di ricercare le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, potendo porre a fondamento della sua decisione princìpi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, salvo ovviamente il correlato divieto di ultra o extra-petizione, di cui all’art. 112 cod. proc. civ., in applicazione del quale è precluso al giudice mutare i fatti costitutivi o quelli estintivi della pretesa, ovvero decidere su questioni che non hanno formato oggetto del giudizio e non sono rilevabili d’ufficio o attribuire un bene non richiesto o diverso da quello domandato (tra le molte, Cass., Sez. 6-1, 9/4/2018, n. 8645; Cass., Sez. L, 3/3/2021, n. 5832), o decidere sulla base non
già della diversa qualificazione giuridica del rapporto, ma di diversi elementi materiali che inverano il fatto costitutivo della pretesa (Cass., Sez. L, 24/7/2012, n. 12943).
In sostanza, il potere – dovere del giudice di merito di interpretare la domanda e di qualificare giuridicamente i fatti allegati e le domande proposte incontra un limite -anche in appello -nell’oggetto della contestazione, all’interno del quale la decisione deve essere mantenuta. Ne deriva che il giudice, nel definire e qualificare i rapporti tra le parti, non può esorbitare dalle loro richieste né introdurre un nuovo tema di indagine (Cass., Sez. 2, 20/2/2004, n. 3366), ma deve attenersi ai limiti della domanda, seguendo, nell’attività di sua interpretazione e qualificazione, i criteri degli artt. 1362 ss. cod. civ., applicabili a tutti gli atti privati, senza essere condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte, in particolare nelle sole conclusioni dell’atto introduttivo, ma accertando e valutando il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile dal tenore letterale degli atti e altresì dalla natura delle vicende rappresentate dalla medesima parte e dalle precisazioni da essa fornite nel corso del giudizio, nonché dal provvedimento concreto richiesto, perché, appunto, il giudice del merito avrà riguardo allo scopo pratico perseguito dall’istante con il ricorso all’autorità giudiziaria ( ex plurimis : Cass., Sez. 1, 18/5/2023, n. 13887; Cass. 9/5/2022, n. 14669; Cass. 21/5/2019, n. 13602, la quale ha avuto occasione di precisare che restano esclusi i criteri ermeneutici della ‘comune intenzione delle parti’; Cass. 13/8/2018, n. 20718; Cass., Sez. U, 13/2/2007, n. 3041; Cass. 21/2/2006, n. 3702; Cass. 13/12/2005, n. 27428; Cass. 29/4/2004, n. 8225; Cass. 5/2/2004, n. 2148; Cass., Sez. U, 10/7/2003, n. 10840; Cass., Sez. U, 21/2/2000 n. 27; Cass. 24/9/1999, n. 10493).
1.4 Nella specie, la Corte d’Appello ha ritenuto che la somma di euro 90.000,00 prelevata dai due fratelli dal conto corrente della madre in data 9-10/6/2011, prima della pubblicazione del testamento, avvenuta il 19/10/2011, non potesse considerarsi atto di donazione di quest’ultima, soggetto, in quanto tale, a collazione, come preteso dal ricorrente, atteso che la somma era stata concordemente prelevata dalle parti al momento o in prossimità del decesso della genitrice sul presupposto della parità delle quote e che, dunque, andasse qualificata in termini di divisione anticipata e parziale del relictum . Il fatto poi che, per effetto del testamento materno, la ripartizione tra i due eredi non dovesse essere fatta, come avvenuto, per quote uguali, spettando a NOME COGNOME soltanto la quota di legittima, pari a 1/3, ha fatto sì che i giudici ritenessero di dover tener conto, in sede di formazione delle porzioni, del fatto che quest’ultimo avesse percepito in esubero la somma di euro 15.000,00, senza che una tale argomentazione possa dirsi contrastare con il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, per non avere il controricorrente domandato il rimborso di tale eccedenza, atteso che una siffatta pretesa è implicita nella domanda di scioglimento della comunione ereditaria e di formazione delle quote, chiesta da entrambe le parti. Quanto alla somma di lire 1.797.000,00 corrisposta dalla de cuius a NOME COGNOME si osserva che la qualificazione della stessa in termini di prestito restitutorio operata dai giudici di merito, anziché di donazione, come, invece, dedotto da NOME COGNOME discende direttamente dalle stesse argomentazioni difensive del ricorrente, che aveva sostenuto di avere ricevuto la somma in prestito e di avere restituito i relativi importi con tre distinti assegni, sebbene poi la relativa prova sia stata ritenuta non integrata.
Né può dirsi che, in mancanza di domanda restitutoria sul punto, i giudici avrebbero ancora una volta violato il principio della corrispondenza e pronunciato e che questo avrebbe altresì violato il diritto di difesa del ricorrente, come pure lamentato.
Infatti, nell’azione di divisione ereditaria è insita la petizione dell’eredità, ove si chieda la ricostruzione dell’asse relitto e l’inclusione in esso di beni sottratti da altro erede o da un terzo, tanto più che la sentenza di assegnazione dei beni ai condividenti costituisce titolo esecutivo, idoneo a consentire a ciascuno di essi di acquistare la piena proprietà dei cespiti rientranti nella quota, nonché il potere di esercitare le relative azioni, inclusa quella per il rilascio dei beni rispetto ai quali altri condividenti, per effetto dello scioglimento della comunione ereditaria, non hanno più titolo per proseguire la loro detenzione (in tal senso Cass., Sez. 2, 17/10/2024, n. 26951).
2.1 Con il secondo motivo di ricorso principale, si lamenta la nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli artt. 115, 116, 132 n. 4 e 244 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ., 2724 n. 1) e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., perché, sempre con riguardo alla somma di lire 1.797.000, di cui alla precedente censura, i giudici di merito avevano ritenuto non assolto, da parte del ricorrente, l’onere della prova della sua restituzione ai genitori, benché questa fosse stata offerta sia documentalmente, attraverso la produzione dell’appunto della de cuius dicente ‘ Silvio reso 600.000 ‘, erroneamente ritenuta non decisiva in assenza di corrispondenza di importo e di dato cronologico, benché il ricorrente avesse dedotto di avere restituito l’importo in tre tranches mensili, sia attraverso la prova orale, che i giudici avevano erroneamente respinto, ritenendola generica in assenza di indicazioni sugli importi di ciascuna rata, senza
considerare che la restituzione aveva riguardato l’intera somma divisa in rate che potevano presumersi uguali.
2.2 Il secondo motivo è infondato.
Si deve in primo luogo ribadire che la valutazione delle prove raccolte costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili con il ricorso per cassazione e, in particolare, che l’omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciata al giudice di legittimità solo nel caso in cui essa abbia determinato l’assenza di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito (Cass., Sez. 1, 3/7/2023, n. 18857; Cass. 19/07/2021, n. 20553; Cass. 29/10/2018, n. 27415). Nella specie, i giudici di merito hanno ritenuto che l’appunto della de cuius dicente ‘ Silvio reso 600.000 ‘ non fosse con sufficiente certezza riferibile alla somma di lire 1.797.000 data in prestito al figlio NOME, avuto riguardo alla pluralità e frequenza delle erogazioni fatte in favore del predetto, non essendovi corrispondenza di importo e non essendo di per sé decisivo il dato cronologico.
Quanto alle prove orali, la Corte d’Appello ha sostanzialmente condiviso quanto osservato dal Tribunale, che aveva ritenuto superflui i capitoli dedotti, aggiungendo che gli stessi erano generici in quanto non indicavano gli importi di ciascuno dei tre assegni e che la rilevanza di tale questione emergeva per l’appunto dall’annotazione della defunta, essendo necessario verificare la pertinenza della stessa all’erogazione in esame.
Orbene, se è vero che la motivazione deve ritenersi affetta dal vizio di contraddittorietà insanabile e viola, quindi, il “minimo costituzionale”, qualora il giudice di merito rigetti la domanda ritenendola non provata dopo aver respinto una richiesta di prova (tra le tante Cass., Sez. 6-3, 9/11/2017, n. 26538), è anche vero che ciò accade quando la prova dedotta è non inammissibile, mentre nella specie si legge nella censura che i capitoli di prova non specificavano gli importi di ciascun assegno, ciò che non avrebbe consentito di verificare se effettivamente ciascuno di essi, interpretato alla luce di quell’appunto, fosse riconducibile alla somma data in prestito.
3.1 Con il terzo motivo di ricorso principale, si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 769, 1322, 1362 e 2909 cod. civ., 99, 112, 116 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello deciso le quote ereditarie, partendo dall’assunto che nel donatum fosse da includere anche la somma di euro 86.333,00 asseritamente ricevuta per donazione dal ricorrente in esito alla divisione del patrimonio immobiliare paterno. Il ricorrente, ha premesso che, alla morte del padre, gli eredi (moglie e i due figli) avevano inteso dividere il patrimonio immobiliare relitto con la finalità di assegnare alla madre alcuni beni immobili in proprietà esclusiva e parte dei proventi liquidi in denaro, a lui i soli proventi liquidi in denaro e al fratello NOME la proprietà esclusiva della casa in Piossasco, INDIRIZZO. Tale intenzione si era concretata nell’alienare a terzi l’immobile in Mombarcaro con atto del 13/9/2008 e quello in Piossasco con atto del 9/10/2008, nell’assegnare ai due figli l’intera casa di Piossasco, Regione Garola n. 21/3, e alla madre le quote indivise sugli altri immobili con atto di divisione del 17/7/2009 e, infine, nella vendita da lui al fratello NOME della quota indivisa della casa di Piossasco, Regione Garola
n. 21/3, con atto del 17/7/2009, senza pagamento di prezzo. Ciò posto, il ricorrente ha lamentato l’avvenuta violazione del giudicato, da parte dei giudici di merito, atteso che nessuno aveva impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva riconosciuto l’unitarietà di questa operazione e ritenuto che il valore di euro 120.000,00 dichiarato nell’atto di vendita tra i due fratelli a titolo di corrispettivo rappresentasse l’importo portato in compensazione con quanto percepito dal ricorrente in più del fratello, essendo motivo di contrasto tra i due il solo fatto che la rinuncia della madre a percepire le somme liquide derivanti dalle prime due vendite in favore dei figli avesse avvantaggiato maggiormente il ricorrente della somma di euro 43.000,00.
Peraltro, i giudici avevano errato, avendo deciso ultra petita, sia in quanto non avevano tenuto conto della natura gratuita della cessione intercorsa tra i due fratelli, circostanza questa che, in uno con le discrasie sulla valutazione del bene che ne era oggetto (pari a 130.000,00 euro secondo quanto indicato nell’atto di divisione, a euro 240.000,00 secondo quanto indicato nell’atto di vendita al fratello e di euro 160.000,00, secondo quanto accertato dal c.t.u.), li aveva indotti a ritenere sussistente la donazione materna in favore del ricorrente delle somme che quest’ultima non aveva percepito dalle vendite, non essendo stato valutato il collegamento funzionale tra i quattro atti e, dunque, la finalità perseguita con la vendita tra fratelli di perequare le donazioni disposte dalla de cuius nei confronti del figlio NOME, sia in quanto non avevano considerato che le donazioni materne erano andate a beneficio di entrambi i figli, sicché la collazione avrebbe dovuto essere limitata alla sola differenza tra le due.
Peraltro, la Corte di merito, limitandosi al dato formale della necessità di valutare i soli atti donativi provenienti dalla de cuius , con esclusione, dunque, della compravendita tra fratelli ancorché
funzionalmente collegata alle precedenti operazioni, non aveva neppure considerato che la compravendita senza pagamento di prezzo sarebbe stata priva di causa e che essa avrebbe dovuto altrimenti essere qualificata come divisione anticipata tra eredi.
Infine, il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado sul valore attribuito al bene oggetto della compravendita tra fratelli, di euro 120.000,00, avrebbe imposto ai giudici di tener conto di questo importo ai fini dei conguagli.
3.2 Il terzo motivo è fondato nei limiti che seguono.
Occorre innanzitutto respingere il rilievo di inammissibilità della censura, sollevato dal controricorrente sul presupposto del difetto di autosufficienza, non avendo il ricorrente localizzato gli atti e i documenti posti a fondamento dello stesso.
Al riguardo, richiamati i principi ricordati nel precedente punto 1.2, si rileva che, contrariamente a quanto eccepito, il ricorrente ha indicato tra parentesi il numero di allegato corrispondente a ciascuno dei documenti citati, con conseguente ammissibilità della censura.
3.3 Venendo al merito, va rilevata l’infondatezza della censura nella parte in cui lamenta la violazione del giudicato.
Va, infatti, rilevato al riguardo che, secondo l’insegnamento di questa Corte, l’ambito di operatività del giudicato, in virtù del principio secondo il quale esso copre il dedotto e il deducibile, è correlato all’oggetto del processo e colpisce, perciò, tutto quanto rientri nel suo perimetro, incidendo, da un punto di vista sostanziale, non soltanto sull’esistenza del diritto azionato, ma anche sull’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi, ancorché non dedotti, senza estendersi a fatti ad esso successivi e a quelli comportanti un mutamento del petitum e della causa petendi , fermo restando il requisito dell’identità delle persone (Cass., Sez. 1, 9/11/2022, n. 33021).
La preclusione per effetto di giudicato sostanziale può scaturire, invero, solo da una statuizione che abbia attribuito o negato “il bene della vita” preteso e non anche da una pronuncia che non contenga statuizioni al riguardo, pur se essa risolva questioni giuridiche strumentali rispetto all’attribuzione del bene controverso, atteso che non sono suscettibili di passare in giudicato quei capi della pronuncia che, sebbene non impugnati, sono strettamente collegati da rapporto pregiudiziale o conseguenziale (Cass., Sez. 1, 17/1/2022, n. 1252).
Ai fini della selezione delle questioni, di fatto o di diritto, suscettibili di devoluzione e, quindi, di giudicato interno se non censurate in appello, la locuzione giurisprudenziale ” minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno ” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico, con la conseguenza che, sebbene ciascun elemento di detta sequenza possa essere oggetto di singolo motivo di appello, nondimeno l’impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo di essi riapre la cognizione sull’intera statuizione (fra le tante Cass., Sez. 3, 19/10/2022, n. 30728; Cass., Sez. 6-L, 12/8/2018, n. 24783, non massimata).
Nella specie, risulta dalla stessa sentenza che l’appellante NOME COGNOME aveva proposto specifico motivo in ordine alla divisione del patrimonio immobiliare rientrante nell’asse ereditario paterno e alla lettura dei diversi atti meglio descritti nella censura, che erano stati letti dal Tribunale in modo diverso da quanto preteso in quanto aveva escluso (erroneamente secondo l’appellante) la sussistenza di una donazione indiretta della de cuius in favore dei figli.
La proposizione di una siffatta censura ha, dunque, investito il giudice d’appello dell’intera questione, ivi compresa
l’interpretazione e la qualificazione del contratto e il calcolo dell’entità delle somme ricevute da ciascuno degli eredi, con conseguente esclusione della dedotta violazione del giudicato.
3.4 Il motivo, come sopra ricordato, investe la sentenza impugnata proprio nella parte in cui ha omesso di rilevare il dedotto collegamento funzionale tra l’atto di divisione del 17/7/2009, con cui era stata assegnata ai due figli l’intera casa di Piossasco, Regione Garola n. INDIRIZZO/3, e alla madre le quote indivise sugli altri immobili, e i tre contratti di compravendita posti in essere in data 13/9/2008 (quello relativo all’immobile in Mombarcaro), in data 9/10/2008 (quello relativo all’immobile in Piossasco) e in data 17/7/2009 (quello avente ad oggetto la vendita da NOME COGNOME a NOME COGNOME della quota indivisa della casa di Piossasco, INDIRIZZO Garola nINDIRIZZO, senza pagamento del prezzo).
I giudici di merito hanno ritenuto che potesse parlarsi di donazione soltanto con riguardo ai corrispettivi delle vendite, siccome provenienti dalla de cuius e da lei fatte incassare al figlio nella misura di euro 86.333,00, ma non anche con riferimento alla cessione della quota immobiliare tra fratelli, e hanno pertanto assoggettato a collazione il solo corrispettivo delle vendite, siccome asseritamente donato dalla madre a NOME COGNOME
Questa argomentazione, lì dove non si pone il problema di verificare se i quattro atti compiuti dai tre condividenti (due vendite di immobili con ritenzione, da parte del ricorrente, della parte di corrispettivo spettante alla madre; attribuzione di un immobile ai due figli; trasferimento della quota del ricorrente al fratello NOME senza pagamento del prezzo da parte di quest’ultimo) fossero tra essi collegati da una medesima funzione giuridico-economica (apporzionamento del relictum secondo le rispettive quote ideali dei condividenti), incorre nella violazione degli artt. 1362 c.c. e 1363 (quest’ultimo estensivamente interpretato).
Orbene, si ha collegamento negoziale, che impone la considerazione unitaria della fattispecie, quando due o più contratti, ciascuno con propria autonoma causa, non siano inseriti in un unico negozio composto (misto o complesso), ma rimangano distinti, pur essendo interdipendenti, soggettivamente o funzionalmente, per il raggiungimento di un fine ulteriore, che supera i singoli effetti tipici di ciascun atto collegato, per dar luogo ad un unico regolamento di interessi, che assume una propria diversa rilevanza causale, sicché, perché una siffatta fattispecie possa configurarsi, è necessario che ricorra sia il requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico fra i negozi, che il requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti, pur se non manifestato in forma espressa, di volere non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il collegamento ed il coordinamento di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, non essendo sufficiente che quel fine sia perseguito da una delle parti all’insaputa e senza la partecipazione dell’altra (Cass., Sez. 1, 20/4/2007, n. 9447; Cass., Sez. 3, 21/7/2004, n. 13580), ma rilevando soltanto l’unicità o pluralità degli interessi perseguiti (Cass., Sez. 2, 28/06/2001, n. 8844).
Ai fini della qualificazione giuridica di tale situazione negoziale, l’accertamento del giudice di merito deve investire l’esistenza, l’entità, la natura, le modalità e le conseguenze del collegamento realizzato dalle parti mediante l’interpretazione della loro volontà contrattuale (Cass., Sez. 6-1, 07/08/2018, n. 20634) e tale interpretazione, che costituisce una quaestio facti , è insindacabile in sede di legittimità solo se immune da vizi logici e da violazione delle norme ermeneutiche previste negli artt. 1362 e seguenti cod. civ. e se condotta nel rispetto dei criteri di logica ermeneutica e di corretto apprezzamento delle risultanze di fatto
(Cass., Sez. 2, 10/10/2023, n. 28324; Cass., Sez. 6-1, 07/08/2018, n. 20634, cit.; Cass., Sez. 3, 08/10/2008, n. 24792; Cass., Sez. 2, 27/03/2007, n. 7524).
Quest’ultima situazione non si è però verificata nella specie, giacché i giudici di merito, nell’esaminare le quattro operazioni soltanto nell’ottica di verificare se con esse fossero state realizzate delle donazioni indirette dalla madre, hanno optato per un’interpretazione atomistica delle stesse, privilegiando l’individualità propria di ciascun tipo di negozio, senza, però, verificare se, in base alla volontà delle parti, alla contiguità temporale delle singole operazioni e al mancato pagamento del prezzo della cessione del bene tra fratelli, le stesse fossero state, in realtà, concepite e volute come avvinte teleologicamente da un nesso di reciproca interdipendenza, tale da far sì che le vicende dell’una andassero a ripercuotersi sull’altra, condizionandone la validità e l’efficacia, e senza considerare se, nella volontà delle parti, l’esito finale delle stesse fosse quello di apporzionare e assegnare a ciascuna il patrimonio comune secondo le quote ideali. Peraltro, nessuna rilevanza può attribuirsi al fatto che le quattro operazioni fossero state realizzate da parti non coincidenti, posto che, come già affermato da questa Corte, il collegamento fra negozi è configurabile anche quando siano stipulati tra soggetti diversi, purché essi risultino concepiti e voluti come funzionalmente ed (Cass., Sez. 2, 30/10/1991, connessi ed interdipendenti, al fine di un più completo equilibrato regolamento degli interessi n. 11638).
Consegue da quanto detto la fondatezza della censura nei limiti sopra precisati.
4.1 Con il quarto motivo di ricorso principale, si lamenta la nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli artt. 115, 116 e 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 118 disp. att.
cod. proc. civ., 2697, 2700 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., perché i giudici di merito, nell’esaminare le due vendite del 13/9/2008 al prezzo di euro 75.000,00 e del 9/10/2008 al prezzo di euro 110.000,00 e nell’affermare che il ricorrente aveva, all’esito, ricevuto dalla madre la donazione di euro 86.333,00, non avevano chiarito il ragionamento svolto per arrivare alla predetta quantificazione, se non prendendo per buono quanto affermato da NOME COGNOME secondo cui il fratello aveva incassato tutti e tre gli assegni di acconto della prima vendita, pari a euro 2.500,00 ciascuno, il saldo di euro 67.000,00 e l’assegno di euro 5.000,00, che avrebbe portato ad un corrispettivo superiore a quello pattuito, mentre invece il pagamento dell’acconto era avvenuto a mani di tutti e tre i venditori (da qui l’emissione di tre assegni) e quello del saldo a mani della madre che l’aveva girato al ricorrente, unitamente ai due assegni di acconto trattenuti dalla madre e versati al ricorrente con un proprio assegno di euro 5.000,00.
4.2 Il quarto motivo, siccome afferente alla corretta quantificazione del conguaglio, resta assorbito dall’accoglimento del terzo.
5.1 Con il quinto motivo di ricorso principale, si lamenta la nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli artt. 115, 116 e 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 2697 cod. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato che NOME COGNOME avesse sopportato, per i predetti immobili, esborsi per euro 4.878,55, pari alla somma di euro 2.084,55 e di euro 2.794,00, e che il ricorrente avrebbe dovuto corrispondergli 1/3 di detto complessivo importo, senza specificare sulla base di quali elementi avessero ritenuto provato l’esborso di euro 2.084,55, non accertata dal c.t.u.
5.2 Il quarto motivo è inammissibile.
Si legge nella sentenza impugnata che i giudici di merito avevano accolto il motivo proposto da NOME COGNOME in ordine alle spese sostenute per la gestione degli immobili caduti in successione, sostenendone la fondatezza sulla base degli elementi indicati dallo stesso appellante, sostanzialmente recepiti per relationem , il quale aveva evidenziato che la prova era data dalla documentazione relativa agli anni 20112014 e che il Tribunale l’aveva erroneamente considerata tardiva ovvero generica e non specificamente riferibile ai beni caduti in successione, in quanto non aveva considerato che la stessa era contenuta nella tabella a pg. 27 della relazione peritale, da cui si desumeva la sua tempestiva produzione ( sub doc. 13 di cui alla comparsa di costituzione e risposta, quanto all’imposta di registro, e sub docc. 32, 35 e 35, allegati alla memoria ex art. 183, sesto comma, n. 2, cod. proc. civ., quanto agli altri esborsi) e che le fatture RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE di Ronco RAGIONE_SOCIALE si riferivano a lavori eseguiti nell’immobile di Piossasco-INDIRIZZO, mentre lo scontrino sub doc. 36 riguardava l’acquisto del mobilio (tavolo e sedie) comprovato dalla fotografia prodotta doc. sub 39.
Né possono dirsi violate le disposizioni richiamate nella rubrica, atteso che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura unicamente nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando il ricorrente intenda lamentare, come accaduto nella specie, che, a causa di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, la sentenza impugnata abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere.
La violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. può, poi, essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola
contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass., Sez. 2, 21/3/2022, n. 9055; Cass., Sez. U, 30/9/2020, n. 20867), così come la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass., Sez. U, 30/9/2020, n. 20867; Cass., Sez. 5, 9/6/2021, n. 16016).
E poiché la censura lamenta, nella sostanza, il cattivo esercizio del potere di valutazione delle prove non legali, non denunciabile in cassazione in quanto non inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 n. 4, cod. proc. civ., –
dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass., Sez. 1, 6/11/2023, n. 30844; Cass., Sez. 5, 15/5/2018, n. 11863; Cass., Cass., Sez. 1, 26/9/2018, n. 23153; Cass., Sez. 6-5, 7/12/2017, n. 29404; Cass., Sez. 1, 2/8/2016, n. 16056; Cass., Sez. 3, 10/6/2016, n. 11892), deve ritenersi che la stessa sia inammissibile, siccome tesa a sollecitare un nuovo esame del compendio probatorio acquisito.
6.1 Con il sesto motivo di ricorso principale, si lamenta, infine, la violazione o falsa applicazione degli artt. 91, primo comma, e 92, secondo comma, cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello di Torino errato nel compensare integralmente, anziché soltanto parzialmente, le spese del giudizio, nonostante NOME COGNOME fosse risultato soccombente nel grado in ragione di tre quarti delle domande ivi formulate.
6.2 Il sesto motivo di ricorso principale resta assorbito dall’accoglimento del terzo.
7.1 Con il primo motivo di ricorso incidentale condizionato, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 581 e 1102 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello di Torino affermato l’infondatezza del motivo d’appello sollevato da NOME COGNOME con il quale era stata domandata la collazione, da parte di NOME COGNOME dell’importo di € 50.400,00, per avere questi goduto esclusivamente dell’immobile, già di proprietà dei genitori, sito in Piossasco, Regione Garola INDIRIZZO, nel periodo dal 8/11/2003 al 27/3/2009, e dell’immobile sito in Mombarcaro –INDIRIZZO, utilizzato dal medesimo anche prima del 2003 e fino al 2009. Ad avviso del ricorrente incidentale, i giudici, nell’affermare che i genitori potevano fare ciò che volevano dei propri beni, non
avevano considerato che egli, con la morte del padre NOME COGNOME era divenuto comproprietario della sua quota, ciò che gli dava il diritto di ricevere i frutti quantomeno dal periodo 23/1/2008 e fino al 27/3/2009.
7.2 Il primo motivo di ricorso incidentale presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.
Occorre, innanzitutto, osservare che, come risulta dalla sentenza impugnata, i giudici d’appello hanno respinto il motivo proposto dall’appellante -ricorrente incidentale, che aveva censurato la sentenza di primo grado in quanto non aveva esaminato la richiesta di collazione dell’importo di euro 50.400,00 per l’uso esclusivo che NOME COGNOME aveva avuto sia dell’immobile in Mombarcaro, frazione di Montané, per il periodo 2003-2009, sia di quello in Piossasco, Regione Garola INDIRIZZO, per il periodo 8/11/2003-27/3/2009, sia antecedentemente, sia successivamente al decesso del padre, senza mai versare alcunché alla madre (o ai genitori). La Corte d’appello ha sostenuto, al riguardo, che l’appellante non si era doluto dell’accertata sussistenza di un accordo tra i genitori e il figlio NOME NOME che impegnava quest’ultimo unicamente a pagare le spese relative all’immobile, con conseguente esclusione di un contratto di locazione e di qualsiasi pretesa sul pagamento del relativo canone; che era irrilevante il mancato godimento, da parte dell’appellante, dei medesimi immobili, non essendone quest’ultimo comproprietario e potendo i genitori disporre del bene come meglio credevano; e che l’uso in sé non potesse considerarsi in termini di donazione, stante la mancata dimostrazione dello spirito di liberalità e l’appunto della madre sull’affitto delle case.
Orbene, come noto, l’istituto della collazione, che, in presenza di donazioni fatte in vita dal de cuius e salva apposita dispensa di quest’ultimo, impone il conferimento del bene che ne è oggetto in
natura o per imputazione, ha la finalità di assicurare l’equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti nella formazione della massa ereditaria, così da non alterare il rapporto di valore tra le varie quote determinate attraverso la sommatoria del relictum e del donatum al momento dell’apertura della successione, sicché il relativo obbligo sorge automaticamente in seguito ad essa, senza necessità di proporre espressa domanda da parte del condividente, essendo a tal fine sufficiente che sia chiesta la divisione del patrimonio relitto e che sia menzionata, in esso, l’esistenza di determinati beni quali oggetto di pregressa donazione (Cass., Sez. 2, 27/7/2022, n. 23403).
Tale principio, che consente di respingere l’eccezione sollevata dal controricorrente incidentale circa la tardività della domanda di collazione proposta, in quanto formulata soltanto in sede di comparsa conclusionale di primo grado, implica, dunque, che vi sia stata una donazione da collazionare, la quale deve, però, escludersi nella specie.
Come più volte affermato da questa Corte, infatti, il godimento a titolo gratuito di un immobile concesso durante la propria vita dal de cuius a uno degli eredi, da inquadrarsi necessariamente nel contratto di comodato, non è qualificabile come donazione soggetta a collazione, atteso che l’utilità per il comodatario consiste nell’uso personale, gratuito e temporaneo della cosa, essendo insito nello schema causale del contratto l’obbligo di restituzione, peculiarità, questa, incompatibile con l’illimitata rinuncia alla disponibilità del bene che caratterizza la struttura e la finalità della donazione nella quale la predetta utilità costituisce il risultato finale dell’atto posto in essere dalle parti (Cass., Sez. 2, 16/11/2017, n. 27259; Cass., Sez. 2, 23/11/2006, n. 24866).
Ciò comporta che, non essendo configurabile un atto di liberalità, l’utilizzo del bene concesso dai genitori al figlio non è soggetto a
collazione, sicché correttamente i giudici di merito hanno ritenuto di non tener conto, a questi fini, dei due immobili di cui il figlio NOME aveva l’uso esclusivo durante il periodo in cui i genitori erano in vita.
Con riguardo al periodo successivo al decesso del padre, nel quale il ricorrente incidentale aveva acquistato la comproprietà dei beni in uso esclusivo al fratello, deve osservarsi che il diritto del predetto ad ottenere la rappresentazione dei frutti non può certo farsi rientrare nella domanda di collazione, né in quella di scioglimento della comunione ereditaria, le uniche ad essere state proposte dal medesimo, come risulta dalla stessa sentenza impugnata, ma semmai in quella di rendimento del conto, essendo questa finalizzata proprio all’emissione di titoli di pagamento e recando, dunque, ineludibilmente in sé anche quella di condanna al pagamento delle somme che risulteranno dovute (Cass., Sez. 2, 10/12/2018, n. 31857), che però è stata proposta soltanto dal ricorrente principale.
Infatti, è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che sussista autonomia tra il procedimento di divisione e l’azione di rendiconto, la quale, ancorché per il disposto dell’art. 723 cod. civ. costituisca operazione contabile che deve necessariamente precedere la divisione, in quanto preliminare alla determinazione della porzione spettante a ciascun condividente, può essere inserita, nell’ambito dei rapporti tra coeredi, nel procedimento divisorio, ai sensi dell’art.723 cod. civ., con la finalità di definire i rapporti interni inerenti la comunione, ma può svolgersi anche indipendentemente dal giudizio di divisione, trattandosi, in questo caso, di un obbligo a sé stante, fondato sul presupposto della gestione di affari altrui condotta da uno dei partecipanti (Cass., Sez. 2, 10/12/2018, n. 31857; Cass., sez. 2, 30/12/2011, n.
30552; Cass., sez. 2, 31/01/2014, n. 2148; Cass. 13 novembre 1984 n. 5720).
Pertanto, posto che il giudizio di cassazione ha, per sua natura, la funzione di controllare la difformità della decisione del giudice di merito dalle norme e dai principi di diritto e che, pertanto, sono precluse non soltanto le domande nuove, ma anche nuove questioni di diritto, qualora queste postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito che, come tali, sono esorbitanti dal giudizio di legittimità (Cass., Sez. 3, 12/6/2018, n. 15196), il ricorrente avrebbe dovuto specificare se avesse proposto una domanda di rappresentazione dei frutti o di rendiconto, onde evitare una statuizione di inammissibilità della censura per novità della stessa.
Consegue da quanto detto l’inammissibilità, sotto questo profilo, del motivo.
8.1 Con il secondo motivo di ricorso incidentale condizionato, si lamenta la nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli artt. 111, sesto comma, Cost., 116, 132, quarto comma, cod. proc. civ., 2727 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato che l’appunto vergato da NOME COGNOME, contenente la dicitura ‘ Silvio affitto casa 52 mesi per E 900 = 46.800 compresa casa di Montanè ‘, escludesse l’ animus donandi della Galliano, ma non fosse idoneo ad escludere che tra la de cuius e NOME COGNOME fosse intercorso un accordo, a mente del quale quest’ultimo poteva godere degli immobili siti in Piossasco-INDIRIZZO e in Mombarcaro-frazione INDIRIZZO, pagando solamente le utenze, e affermato l’esistenza di un credito dell’eredità di pari ammontare.
Ad avviso del ricorrente incidentale, i giudici, nell’escludere che il predetto documento dimostrasse lo spirito di liberalità della de
cuius , avevano reso una motivazione illogica, come tale soggetta al sindacato di legittimità.
8.2 Il secondo motivo di ricorso incidentale è inammissibile.
Si osserva, in proposito, che, dopo la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, e dunque di totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. 5, 6/5/2020, n. 8487; Cass., Sez. 6 – 3, 08/10/2014, n. 21257; Cass., Sez. 6 – 3, 20/11/2015, n. 23828; Cass., Sez. 2, 13/08/2018, n. 20721; Cass., Sez . 3, 12/10/2017, n. 23940).
Nella specie, i giudici di merito hanno ampiamente spiegato le ragioni per le quali hanno ritenuto che la concessione al figlio NOME
NOME COGNOME dell’uso esclusivo dei beni di proprietà dei genitori non potesse considerarsi atto di liberalità, sia perché secondo gli accordi assunti il primo, a fronte del godimento del bene, avrebbe dovuto pagare le relative spese, sia perché l’ animus donandi era escluso proprio dal contenuto dell’appunto della de cuius sull’affitto della casa.
La censura, in sostanza, si appunta sulla non corretta interpretazione del documento descritto nel motivo di ricorso, senza considerare che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 n. 4, cod. proc. civ., dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass., Sez. 1, 26/9/2018, n. 23153; Cass., Sez. 3, 10/6/2016, n. 11892), sia perché la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il nuovo parametro di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., sia perché con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, contrapponendovi le proprie, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie concreta operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità ( ex plurimis Cass., Sez. 1, 6/11/2023, n. 30844; Cass., Sez. 5, 15/5/2018, n.
11863, Cass., Sez. 6-5, 7/12/2017, n. 29404; Cass., Sez. 1, 2/8/2016, n. 16056).
9.1 Con il terzo motivo di ricorso incidentale condizionato, si lamenta, infine, la nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli artt. 116,132, quarto comma, cod. proc. civ., 2727 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto infondata la domanda, formulata da NOME COGNOME di condanna di NOME COGNOME alla collazione dell’importo di lire 35.328.000 ricevuto da NOME COGNOME per l’acquisto dell’immobile sito in Piossasco –INDIRIZZO Garola INDIRIZZO/3, in quanto le dichiarazioni manoscritte dalla defunta, benché ad essa riconducibili, non erano idonee a dimostrare, per la loro unilateralità, la donazione in favore di NOME COGNOME e in quanto, alla stregua del documento n. 28, risultava la richiesta di denaro per l’acquisto della casa in Piossasco, INDIRIZZO, anche alla famiglia della moglie.
La motivazione della sentenza, in quanto fondata soltanto su quest’ultimo documento, andava considerata, ad avviso del ricorrente, illogica e apodittica.
9.2 Il terzo motivo di ricorso incidentale è parimenti inammissibile.
Fermi restando i principi sulla motivazione ricordati nel precedente punto 8.2, si osserva che i giudici di merito hanno rigettato la censura riguardante la qualificabilità in termini di donazione della dazione, da parte dei coniugi COGNOME al figlio NOME NOME, della somma di lire 35.280.000 per l’acquisto e la ristrutturazione dell’immobile sito in Piossasco, INDIRIZZO così confermando quanto affermato dal Tribunale che aveva ritenuto la circostanza non provata, sostenendo che i documenti prodotti, in quanto attestanti dichiarazioni unilaterali della donante, non fossero sufficienti a dimostrare l’atto di liberalità, che tale prova non potesse ritenersi raggiunta neanche in connessione con
gli altri elementi evidenziati dall’appellante, che la lettera di cui al doc. 28 non soltanto non fosse determinante, ma deponesse addirittura in senso contrario, in quanto attestante che NOME Domenico aveva chiesto un aiuto alla famiglia della moglie, e che la prova orale dedotta sul punto fosse inammissibile perché generica.
E’ allora evidente che, assolto in modo adeguato l’onere motivazionale, la censura non fa che sollecitare una nuova rivalutazione del compendio probatorio, senza considerare che la valutazione delle prove raccolte costituisce attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili con il ricorso per cassazione (Cass., Sez. 1, 3/7/2023, n. 18857; Cass. 19/07/2021, n. 20553; Cass. 29/10/2018, n. 27415).
Consegue da quanto detto l’inammissibilità della censura.
10. In conclusione, dichiarata la fondatezza del terzo motivo di ricorso principale, l’infondatezza del primo e del secondo, l’inammissibilità del quinto e l’assorbimento del quarto e del quinto, nonché l’infondatezza del primo motivo di ricorso incidentale e l’inammissibilità dei restanti, va accolto il solo ricorso principale e rigettato quello incidentale. La sentenza va, pertanto, cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso principale, rigetta tutti gli altri e il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente incidentale del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 10/7/2025