Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15500 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 15500 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 10/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16856/2022 R.G. proposto da :
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso congiuntamente e disgiuntamente dagli Avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME presso il cui studio, sito in Roma, INDIRIZZO è elettivamente domiciliato
-ricorrente-
contro
Università di Pisa, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’ Avv. NOME COGNOME
-controricorrente-
nonché contro
Istituto Nazionale della Previdenza RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli Avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso l ‘Avvocatura centrale dell’INPS
-resistente con mandato- avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 715/2021 depositata il 31/12/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La C orte d’appello di Firenze ha definito il giudizio di rinvio riassunto da NOME COGNOME dopo la cassazione della precedente pronuncia d’appello disposta da questa Corte con sentenza n. 28498 del 06/11/2019, con la quale era stata dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario su tutte le domande formulate dall’originario ricorrente con riferimento ai rapporti di collaborazione intercorsi con l’Università nel periodo 1990/1994 , in ragione della asserita instaurazione tra le parti di un rapporto di fatto subordinato e della conseguente configurabilità del tipo contrattuale previsto dall’art. 28 del d.P.R. n. 382 del 1980; tale ricostruzione, ad avviso del lavoratore, comportava che al successivo contratto a tempo indeterminato stipulato il 4 novembre 1994 con la qualifica di collaboratore esperto linguistico dovesse trovare applicazione il trattamento retributivo previsto per il professore associato a tempo definito o quello di ricercatore universitario confermato, ovvero, comunque, la disciplina dettata per gli ex lettori di lingua madre straniera, poi assunti come collaboratori, e ciò a prescindere dalla nazionalità del contraente, che aveva espletato le proprie mansioni al fine di consentire l’apprendiment o della lingua italiana da parte di stranieri.
La Corte territoriale, riassunta la vicenda processuale, ha rilevato che la sentenza rescindente si era limitata a statuire sulla giurisdizione ravvisata in capo al giudice ordinario in base al principio secondo cui ciò che rileva è la causa petendi , che, nella specie, andava individuata nella prospettazione di un rapporto unitario che si era svolto prima e dopo il 30 giugno 1998. Così chiarita la portata del principio affermato in sede di legittimità, ha, quindi, ritenuto di dovere escludere, per carenza di prova, la natura subordinata del rapporto e la difformità dello svolgimento di fatto
rispetto alla qualificazione formale e ha rilevato che tutte le allegazioni contenute nel ricorso introduttivo e le circostanze indicate nei capitoli di prova, per la loro genericità, non consentivano di affermare che l’appellante era stato sottoposto al potere direttivo, gerarchico e disciplinare dell’Università, ben potendo le circostanze sulle quali l’originario ricorrente aveva fatto leva essere espressione del potere di coordinamento della prestazione autonoma rispetto all’organizzazione aziendale nell a quale la stessa si inserisce. Esclusa la natura subordinata del rapporto, su cui si fondava la pretesa, ha, di conseguenza, ritenuto infondate le ulteriori domande, precisando che il trattamento retributivo riservato al collaboratore esperto linguistico non poteva essere rimesso in discussione, atteso che la normativa di cui si invocava l’applicazione si riferiva esclusivamente ai cosiddetti ex lettori, qualifica mai ricoperta nella specie.
Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione NOME COGNOME sulla base di quattro motivi, cui oppone difese l’Università di Pisa con controricorso, mentre l’ Istituto Nazionale della Previdenza Sociale si è limitato a depositare procura speciale rilasciata in calce al ricorso notificato.
Il ricorrente e la controricorrente hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare, va disattesa l’eccezione di inammissibilità del controricorso per difetto di rappresentanza.
Si assume, in particolare, la nullità della procura conferita dall’Università di Pisa all’Avv. NOME COGNOME per carenza di un valido provvedimento del Consiglio di Amministrazione di autorizzazione alla deroga al patrocinio autorizzato spettante per legge all’Avvocatura dello Stato.
1.1. Le deduzioni svolte a corredo dell’eccezione si incentrano sul presupposto che la procura sia stata conferita dall’Università ad avvocati del libero foro e, a tal fine, si richiamano i pertinenti precedenti di questa S.C.
Sul punto il Collegio precisa che non intende affatto discostarsi dai principi anche di recente riaffermati dalle Sezioni Unite di questa Corte
(Cass. Sez. U. 12/03/2025, n. 6635, sulla scorta dell’insegnamento di Cass. Sez. U., 20/10/2017, n. 24876).
In dette pronunzie si afferma che, ai sensi dell ‘ art. 43 del r.d. n. 1611 del 1933 – come modificato dall ‘ art. 11 della l. 3 aprile 1979, n. 103 – la facoltà per le Università statali di derogare ‘ in casi speciali ‘ al ‘ patrocinio autorizzato ‘ , spettante per legge all ‘ Avvocatura dello Stato, per avvalersi dell ‘ opera di liberi professionisti è subordinata all ‘ adozione di una specifica e motivata deliberazione dell ‘ ente (ossia del rettore) da sottoporre agli organi di vigilanza (consiglio di amministrazione) per un controllo di legittimità, cosicché, in via generale, la mancanza di tale controllo determina la nullità del mandato alle liti, non rilevando che esso sia stato conferito con le modalità prescritte dal regolamento o dallo statuto dell ‘ Università, fonti di rango secondario insuscettibili di derogare alla legislazione primaria; tuttavia, nei casi in cui ricorra una vera e propria urgenza, ai sensi dell ‘ art. 12 del r.d. n. 1592 del 1933, il rettore, quale presidente del consiglio d ‘ amministrazione, può provvedere direttamente al conferimento dell ‘ incarico all ‘ avvocato del libero foro, purché curi di far approvare sollecitamente la relativa delibera dal consiglio, così sanando l ‘ originaria irregolarità. Inoltre, in base al citato art. 43, è valido il mandato conferito ad avvocati del libero foro con il solo provvedimento del rettore, non seguito dal vaglio del consiglio, nel caso in cui si verifichi in concreto un conflitto di interessi sostanziali tra più enti pubblici parti nel medesimo giudizio, rendendo un simile conflitto di interessi – che deve essere non meramente ipotetico, ma reale e documentato – non ipotizzabile il patrocinio dell ‘ Avvocatura dello Stato in favore dell ‘ Università, sicché non vi è alcuna ragione di richiedere la suindicata preventiva autorizzazione.
1.2. Tanto premesso, il Collegio rimarca che la fattispecie concreta qui all’attenzione è differente da quella esaminata nelle innanzi ricordate pronunzie di legittimità.
Nel caso qui in esame, infatti, la procura è stata conferita ad avvocato appartenente all’Avvocatura interna dell’ente.
Insomma, se è vero che la questione dello ius postulandi , quanto al conferimento della procura ad avvocati del libero foro, va risolta alla luce dei principi innanzi enunziati, va verificata la tenuta di dette affermazioni con riguardo alla diversa ipotesi in cui il conferimento dell’incarico è stato disposto in favore di avvocati appartenenti alla Avvocatura interna.
Ebbene, osserva il Collegio, che, seppure detta ipotesi non sia espressamente disciplinata dall’art. 43 del r.d. n. 1611 del 1933, il dato normativo di cui innanzi va riletto ed interpretato alla luce della complessiva evoluzione che, per quanto qui ci interessa, ha mutato la natura delle Università statali.
1.3. Nel segno della novella di cui all’art. 6 della l. n. 168 del 1989 le Università non sono più organi dello Stato, ma enti pubblici dotati di autonoma personalità giuridica, oltre che di autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, con ordinamento autonomo e proprio statuto e regolamento.
A detti enti si applica, quindi, l’art. 43 del r.d. n. 1611 del 1933 ovvero la disciplina relativa alle amministrazioni pubbliche non statali (irrilevante la mancata inclusione delle Università nell’elenco di cui al r.d. n. 779 del 1940, inclusione non contemplabile ratione temporis stante la natura di organi dello Stato).
Ne consegue che dopo la riforma di cui alla citata l. n. 168 del 1989, ai fini della rappresentanza e difesa da parte dell’Avvocatura dello Stato, non opera il patrocinio obbligatorio disciplinato ex art. 1-11 del r.d. n. 1611 del 1933, ma quello autorizzato disciplinato, invece, dagli artt. 43-45 del r.d. n. 1611 del 1933, come modificati dalle novelle intervenute.
Ed invero, il più volte ricordato art. 43, nella versione frutto della novella ex art. 11, comma 1, l. n. 103 del 1979, che in particolare ha aggiunto il comma terzo, così dispone:
«L ‘ Avvocatura dello Stato può assumere la rappresentanza e la difesa nei giudizi attivi e passivi avanti le autorità giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali di Amministrazioni pubbliche non statali ed Enti sovvenzionati, sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza
dello Stato, sempre che ne sia autorizzata da disposizione di legge, di regolamento o di altro provvedimento approvato con Regio decreto.
Le disposizioni e i provvedimenti anzidetti debbono essere promossi di concerto coi Ministri per la grazia e giustizia e per le finanze.
Qualora sia intervenuta l ‘ autorizzazione, di cui al primo comma, la rappresentanza e la difesa nei giudizi indicati nello stesso comma sono assunte dalla Avvocatura dello Stato in via organica ed esclusiva, eccettuati i casi di conflitto di interessi con lo Stato o con le regioni.
Salve le ipotesi di conflitto, ove tali amministrazioni ed enti intendano in casi speciali non avvalersi della Avvocatura dello Stato, debbono adottare apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza.
Le disposizioni di cui ai precedenti commi sono estese agli enti regionali, previa deliberazione degli organi competenti».
1.4. La disposizione, sicuramente applicabile al conferimento dell’incarico ad avvocati del libero foro, non chiarisce in che termini si ponga il patrocinio autorizzato nei casi in cui l’Università sia dotata di un apposito ufficio legale, al quale siano assegn ati dipendenti iscritti nell’Albo Speciale assunti allo specifico scopo di assicurare le attività di consulenza giuridica e di difesa giudiziale del datore di lavoro pubblico.
Si tratta di una carenza evidentemente dovuta a ragioni storiche, che va risolta in via interpretativa anche tenendo conto della sopravvenienza di specifiche disposizioni che, nel dettare le norme generali sull’ordinamento del lavoro nelle amministrazioni pubbliche, hanno imposto a queste ultime, nell’ambito dei rispettivi ordinamenti, di «organizzare la gestione del contenzioso del lavoro, anche creando appositi uffici, in modo da assicurare l’efficace svolgimento di tutte le attività stragiudiziali e giud iziali inerenti alle controversie» (art. 12 d.lgs. n. 165 del 2001).
Nel contesto normativo innanzi richiamato non va affatto escluso che le Università – enti pubblici non statali dotati di personalità giuridica e, come si è già detto, di autonomia organizzativa, finanziaria, contabile, con propri statuti e regolamento -possano a monte, mediante atto organizzativo e regolamentare con cui l’ente istituisce e organizza il proprio ufficio legale,
disciplinare le ipotesi nelle quali affidare l’incarico ai propri professionisti interni (in tal senso si è espressa anche la giurisprudenza amministrativa in plurimi precedenti, sebbene con percorso motivazionale non completamente sovrapponibile; fra tutti si veda TAR Sicilia Palermo sez. I n. 2056 del 2020 e la giurisprudenza ivi richiamata). Si tratta di una ipotesi, a ben vedere, che, valorizzando l’autonomia delle scelte discrezionali delle Università, si colloca nel solco e nel pieno rispetto della previsione del citato art. 43, perché fa discendere dall’atto organizzativo e regolamentare adottato ‘in via generale’ al momento dell’istituzione dell’ufficio, quella scelta che, in caso di conferimento del potere ad avvocato del libero foro, va esplicitat a con l’adozione della singola delibera, da sottoporre al successivo vaglio e controllo.
In definitiva, qualora l’Università si doti di Avvocatura interna, è con l’atto organizzativo e regolamentare di istituzione che, a monte, vengono effettuate dai vertici dell’Università quelle scelte organizzative che, nel caso del conferimento del mandato all’avvocato del libero foro, devono necessariamente transitare per l’adozione dei provvedimenti e dei controlli di cui innanzi si è detto.
1.5. Il principio così enunciato non si pone neppure in contrasto con quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 12642 del 12/05/2021, perché in quel caso veniva in rilievo l’assunzione del patrocinio dell’Università da parte dell’Avvocatura dello Stato.
Con quella pronuncia si è escluso, infatti, che «l ‘ Università, seppure in condizione di avvalersi di dipendenti autorizzati all ‘ esercizio della professione legale, debba esplicitare le ragioni per le quali ritenga opportuno affidare la difesa all ‘ Avvocatura, perché il potere di rappresentanza è conferito a quest ‘ ultima dalla legge e la delibera motivata è richiesta solo qualora l ‘ ente ritenga di dovere derogare al regime, per così dire, ordinario».
Tale principio è pienamente coerente con quanto sopra evidenziato in merito alla rilevanza dell’atto organizzativo generale di istituzione dell’ufficio legale, atto che non impedisce l’assunzione della difesa, nei casi in cui ciò
sia ritenuto opportuno o necessario, da parte dell’Avvocatura statale (difesa che in tal caso sarà in ogni aspetto disciplinata dall’art. 43 del citato r.d.), ma rende non necessario far precedere il rilascio della procura dalle formalità prescritte dall’a rt. 43 nei casi in cui il potere venga conferito all’avvocatura interna, rispetto alla quale non si pongono, ovviamente, quelle esigenze anche di carattere finanziario sottese al principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite.
1.6. L’eccezione sollevata n el presente giudizio è, dunque, infondata, in ragione dell’incontestato (e desumibile ex actis ) conferimento dello ius postulandi ad avvocato appartenente all’Avvocatura interna , quale ipotesi evidentemente diversa da quella del conferimento del mandato ad avvocati del libero foro, soggetto, invece, ai vincoli procedurali delineati dall’art. 43 cit. e rimarcati dalla giurisprudenza di legittimità già sopra richiamata.
Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’ art. 384 c.p.c., ex art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., sul rilievo che la sentenza rescin dente avrebbe affermato la natura unitaria dell’intero rapporto sul piano sostanziale e, conseguentemente, ciò avrebbe precluso alla Corte territoriale di valutare distintamente le due diverse fasi.
2.1 Il motivo è manifestamente infondato perché con la sentenza cassatoria n. 28498 del 2019 questa Corte ha statuito unicamente sulla giurisdizione , ravvisando l’unitarietà della causa petendi ai limitati fini della individuazione del giudice al quale attribuire la cognizione della controversia, mentre ha lasciato impregiudicata ogni valutazione sulla fondatezza della domanda proposta, come si desume anche dall’assorbimento delle ulteriori censure .
Con il secondo mezzo si censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. , sempre ex art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., consistente nell’omessa pronuncia su tutte le domande e, in particolare, sulla rilevanza ai fini della ricostruzione della carriera degli anni di servizio prestati prima della assunzione come collaboratore esperto linguistico.
3.1. Il motivo si rivela inammissibile perché non si confronta adeguatamente con la ratio decidendi addotta d alla Corte d’appello, che ha ritenuto assorbente la natura non subordinata dell’originario rapporto (p p. 10-11 sentenza impugnata), anche precisando che la professionalità acquisita prima della sottoscrizione del contratto come collaboratore non poteva essere fatta valere nella fattispecie ai fini della ricostruzione della carriera, perché il ricorrente non aveva mai ricoperto la qualifica di lettore né il suo contratto era riconducibile a quello disciplinato dall’art. 28 del d.P.R. n. 382 del 1980 (p. 12 sentenza impugnata).
Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 4 della l . n. 236 del 1995 e dell’art. 1 del d.l. n. 2 del 2004, convertito in l. n. 63 del 2004, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., sull’assunto che, pur trattandosi di lettore di lingua italiana, dovesse essere applicata la medesima normativa dettata per i lettori di lingua straniera e quindi anche la ricostruzione della carriera prevista dal richiamato d.l. n. 2 del 2004.
4.1. Il motivo è infondato per le considerazioni ampiamente espresse in fattispecie analoga da questa Corte con ordinanza n. 14108 del 23/05/2023, alla cui motivazione, pienamente condivisa dal Collegio, si rinvia, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c .p.c.
In particolare, in questa sede si torna a sottolineare come, in base al quadro normativo e giurisprudenziale ricostruito in detta pronuncia, emerga con evidenza che sia le pronunce della Corte di Giustizia, sia gli interventi normativi che alle stesse hanno fatto seguito, hanno riguardato unicamente la categoria degli ex lettori di madrelingua stranieri , assunti ai sensi dell’art. 28 del d.P.R. n. 382 del 1980, divenuti collaboratori linguistici ai sensi del d.l. n. 120 del 1995, convertito dalla l. n. 236 del 1995. Sono, dunque, state ritenute destituite di fondamento domande, analoghe a quella qui proposta da NOME COGNOME come osservato, in particolare, da Cass., Sez. L., 26 giugno 2020, n. 12877, in continuità con l’orientamento già espresso da Cass. Sez. L., 05/03/2019, n. 6341, e Cass., Sez. L., 06/11/2019, n. 28502, secondo cui ai collaboratori esperti linguistici assunti ai sensi del richiamato d.l. n. 120 del 1995 è riservato il trattamento retributivo previsto dalla
contrattazione collettiva di comparto e non già quello dettato dalla diversa disciplina di cui al d.l. n. 2 del 2004, convertito con modificazioni dalla l. n. 63 del 2004, applicabile solo ai collaboratori linguistici ex lettori di madrelingua straniera, già destinatari di contratti stipulati ai sensi del d.P.R. n. 382 del 1980.
Il principio di diritto, che trova riscontro anche nella motivazione dell’ordinanza della Corte costituzionale n. 38 del 2012, è stato affermato valorizzando, da un lato, il tenore letterale della norma e del successivo intervento di interpretazione autentica, dall’altro la ratio della stessa, finalizzata a dettare un criterio oggettivo per la ricostruzione della carriera degli ex lettori, divenuti collaboratori linguistici, che rispondesse alle indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia con la sentenza 26 giugno 2001, in causa C-212/99, che aveva censurato lo Stato italiano per non «aver assicurato il riconoscimento dei diritti quesiti agli ex lettori di lingua straniera, divenuti collaboratori linguistici, riconoscimento invece garantito alla generalità dei lavoratori nazionali».
Si tratta, quindi, di una finalità chiaramente non ravvisabile per i collaboratori esperti linguistici assunti ab origine sulla base della normativa dettata dal richiamato d.l. n. 120 del 1995, con il quale il legislatore, pur qualificando il contratto di diritto privato, in linea con il processo di contrattualizzazione dell’impiego pubblico già all’epoca in atto, ha abilitato la contrattazione collettiva a fissare il trattamento retributivo dei collaboratori, non equiparabili ai docenti universitari, perché chiamati a soddisfare «esigenze di apprendimento delle lingue e di supporto alle attività didattiche» (art. 4 d.l. n. 120 del 1995) e, quindi, a svolgere una funzione che, pur rientrando nella didattica intesa in senso lato, è caratterizzata dall’essere strumentale e di supporto, rispetto all ‘ insegnamento connotato da specifiche competenze didattiche e scientifiche (Cass., Sez. L., 18/03/2005, n. 5909, e Cass., Sez. L,. 11/07/2019, n. 18709).
La disciplina dettata presuppone, dunque, una transizione dal rapporto di lettorato a quello di collaborazione linguistica, diversamente
disciplinati pur nella sostanziale continuità delle figure professionali coinvolte, e non può venire in rilievo nei casi in cui il collaboratore non abbia mai stipulato un contratto ai sensi dell’art. 28 del d.P.R. n. 382 del 1980.
D’altro canto, la disciplina dettata per i collaboratori esperti linguistici con il d.l. n. 120 del 1995, pur qualificando il rapporto di natura privatistica, ha rinviato alla contrattazione collettiva che, in ragione della natura pubblica del datore di lavoro, è quella di comparto, disciplinata, all’epoca, dall’art. 45 del d.lgs. n. 29 del 1993 e, successivamente, dagli artt. 40 e ss. del d.lgs. n. 165 del 2001 nelle diverse versioni succedutesi nel tempo. Inoltre, il rinvio alla contrattazione collettiva non realizza alcuna discriminazione in ragione della nazionalità e, al contrario, è pienamente in linea con i principi che, all’esito della privatizzazione dei rapporti di impiego pubblico, ispirano la disciplina dell’impiego contrattualizzato alle dipende nze delle pubbliche amministrazioni, principi che la Corte Costituzionale ha più volte richiamato e valorizzato (di recente, Corte cost. n. 253 del 2022).
In proposito, giova, peraltro, evidenziare che questa Corte ha da tempo affermato che il principio di parità di trattamento vieta trattamenti individuali migliorativi o peggiorativi rispetto a quelli previsti dalla contrattazione collettiva ma non costituisce parametro per giudicare le eventuali differenziazioni operate in quella sede, dato che il legislatore ha lasciato piena autonomia alle parti sociali di prevedere trattamenti differenziati in funzione dei diversi percorsi formativi, delle specifiche esperienze maturate e delle diverse carriere professionali (fra molte, Cass., Sez. L., 06/03/2019, n. 6553, e Cass. Sez. L., 05/02/2020, n. 2718), sicché la previsione di un trattamento differenziato per i collaboratori esperti linguistici di nuova assunzione rispetto a quelli che in precedenza avevano ricoperto la qualifica di lettori non contrasta, dunque, né con il diritto interno né con quello eurounitario, perché tutte le pronunce della Corte di Giustizia intervenute sulla disciplina dettata per i lettori di lingua straniera hanno riguardato il passaggio dal rapporto di lettorato a quello di collaborazione linguistica e sono state rese sulla premessa di un trattamento differenziato rispetto a quello riservato ai lavoratori di nazionalità italiana, condizione
questa che, per quanto evidenziato nel punto che precede, non ricorre nella fattispecie.
4.2. La sostanziale diversità dell’attività propria dei lettori e dei collaboratori rispetto a quella dei docenti non consente, in ogni caso, l’invocata parificazione e detta conclusione non è smentita, bensì è confermata, dal d.l. n. 2 del 2004, che alla retribuzione del ricercatore confermato a tempo definito ha fatto riferimento solo in via parametrica e prevedendo un divisore orario (500 ore) diverso e superiore rispetto a quello previsto per la categoria dei ricercatori confermati a tempo definito (200 ore. Tale parametro è stato indicato dal legislatore italiano e ritenuto congruo dalla Corte di Giustizia (sentenza 18 luglio 2006, in causa C119/04, punti 36 e 37) all’esclusivo fine di individuare «un criterio oggettivo, che permette di far fronte alle difficoltà inerenti ad una valutazione caso per caso della carriera di tutti gli ex lettori» ( Corte UE, cit. punto 36) in un contesto in cui, a seguito dell’abrogazione dell’art. 28 d.P.R. n. 382 del 1980 e della disciplina dettata per i collaboratori esperti linguistici dal d.l. n. 120 del 1995, si era passati da un sistema nel quale il trattamento retributivo era rimesso ai singoli Atenei, ai quali era imposto solo un limite massimo non superabile (commi 4 e 5 del richiamato art. 28), ad una nuova disciplina che, in linea con quella dell’impiego pubblico privatizzato, ha riservato alla contrattazione collettiva la determinazione della retribuzione spettante per l’esercizio delle funzioni strumentali e di supporto rispetto all’attività didattica .
4.3. Né risulta utilmente invocabile il caso che si è posto per i cosiddetti ‘ lettori di scambio ‘ divenuti C.E.L., di cui le Sezioni Unite di questa Corte si sono occupate con la sentenza n. 21972 del 21/09/2017, sia perché le Sezioni Unite, sull’applicazione del parametro fissato dal d.l. n. 2 del 2004, utilizzato dalla Corte territoriale, si sono limitate a prendere atto della non contestazione da parte dell’Università (punto 24 di p. 25), sia in quanto in quel caso l’estensione analogica poteva essere giustificata dall’eguale passaggio fra due diversi regimi e dalla necessità di ottemperare alle indicazioni date dalla CGUE con la sentenza 15 maggio 2008, in causa C-
276/07 (secondo cui «l’art. 39, n. 2, CE osta a che, nell’ambito della sostituzione di un contratto di lavoro a tempo determinato come lettore di scambio con un contratto di lavoro a tempo indeterminato come collaboratore linguistico, una persona che si trovi nella situazione della ricorrente nella causa principale si veda negare il riconoscimento dei diritti acquisiti sin dalla data della sua prima assunzione, con conseguenze per quanto riguarda la retribuzione, il calcolo dell’anzianità e il versamento de i contributi previdenziali da parte del datore di lavoro, laddove un lavoratore nazionale in una situazione analoga avrebbe beneficiato di un siffatto riconoscimento.»).
Sulla base dei richiamati principi di diritto, condivisi dal Collegio e qui ribaditi, va, pertanto, respinto anche il terzo motivo in esame.
5. Infine, con il quarto motivo si deduce, ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’ omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, anche in base all’art. 416, terzo comma, c.p.c. rappresentato dal contenuto di autonomo insegnamento della lingua italiana di studenti stranieri dell’Università di Pisa, proseguito senza soluzione di continuità né modifiche sostanziali per tutto l’arco del rapporto lavorativo , dal primo contratto stipulato il 26 marzo 1990 sino al pensionamento. In tal modo, si torna a prospettare il tema della unitarietà del rapporto, adducendo anche la non contestazione delle circostanze allegate nell’atto introduttivo .
5.1. Il motivo, nei termini formulati, è inammissibile perché nella sostanza sollecita una diversa rivalutazione dei fatti di causa rispetto al convincimento espresso dal giudice di merito in ordine alla configurabilità di un unico rapporto subordinato a tempo indeterminato, al di fuori dei limiti tracciati da questa Corte a Sezioni Unite (Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8053 ) per l’individuazione del vi zio denunciabile in cassazione ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., siccome riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui anche l ‘ omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in
causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Nella specie, la sentenza impugnata ha dato ampiamente conto delle ragioni per le quali ha escluso la fondatezza della domanda, in base alle allegazioni ed alle risultanze in atti, osservando, fra l’altro, che la complessiva genericità delle allegazioni e delle prove orali articolate incidevano anche sull’onere di contestazione a carico dell’Università, che non poteva essere specifico, fermo restando che l’Ateneo aveva comune ribadito la natura autonoma del rapporto intrattenuto con l’odierno ricorrente (p. 12 sentenza impugnata).
6. In ragione della manifesta infondatezza del ricorso, ritiene il Collegio che debba essere disattesa l’istanza di rinvio a nuovo ruolo e di fissazione dell’udienza pubblica ex art. 375 c.p.c., formulate nella memoria difensiva.
Hanno affermato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. U., 19/02/2024, n. 4331 ) che all’esito della riformulazione dell’art. 375 c.p.c., operata dal d.lgs. n. 149 del 2022, la Corte di cassazione, anche a Sezioni Unite, pronuncia in pubblica udienza unicamente nei casi di ricorso per revocazione ex art. 391quater c.p.c. e di particolare rilevanza della questione di diritto, mentre delibera con ordinanza resa all’esito della camera di consiglio ex art. 380bis 1 c.p.c., «in ogni altro caso in cui non pronuncia in pubblica udienza» (art. 375, secondo comma, n. 4quater ).
La disposizione delinea un rapporto regola/eccezione secondo cui i ricorsi sono «normalmente» destinati ad essere definiti nel rispetto delle forme previste dall’art. 380 -bis 1 c.p.c. , ossia all’esito di adunanza camerale, salvo che non ricorrano le condizioni indicate nel primo comma dello stesso art. 375 c.p.c. , la cui applicabilità, quanto all’ipotesi riferibile all’esercizio del potere nomofilattico, richiede che la questione di diritto sulla quale la Corte è chiamata a pronunciare si presenti di particolare rilevanza, che va esclusa, non solo nell’ipotesi in cui la questione medesima non sia nuova, perché già risolta dalla Corte, ma anche qualora il principio di diritto che la Corte è chiamata ad enunciare sia solo apparentemente connotato
da novità, perché conseguenza della mera estensione di principi già affermati, sia pure in relazione a fattispecie concrete connotate da diversità rispetto a quelle già vagliate.
Quest’ultima evenienza ricorre nella fattispecie, giacché le questioni prospettate si risolvono sulla base di principi che questa Corte ha già enunciato in plurime pronunce, in coerenza con quanto affermato dalle Sezioni Unite, secondo quanto sopra ampiamente osservato, principi che consentono di superare anche gli ulteriori rilievi, svolti dal ricorrente in sede di memoria, in ordine alla procedura di infrazione promossa dalla Commissione Europea sempre in ordine alla posizione degli ex lettori divenuti CEL, posizione, come più volte sottolineato, che non ricorre nella specie.
Il ricorso va, pertanto, respinto.
Le spese di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore dell’Università , seguono la soccombenza, mentre non vi è luogo a provvedere in ordine alla posizione dell’I.NRAGIONE_SOCIALESRAGIONE_SOCIALE, che non ha svolto attività difensiva.
Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore dell’Università di Pisa, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre agli esborsi liquidati in euro 200,00, al rimborso delle spese generali al 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 07/05/2025.