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Collaboratori linguistici: diritto alla retribuzione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13490/2024, ha affrontato il caso di due collaboratori linguistici contro un’università per il corretto inquadramento retributivo e previdenziale. La Corte ha rigettato il ricorso dell’ateneo, confermando la natura privatistica del rapporto di lavoro. Il punto cruciale della decisione è il riconoscimento del diritto alla retribuzione per un collaboratore anche per il periodo di lavoro svolto dopo una dichiarazione di decadenza per cumulo di impieghi, stabilendo che le norme sull’incompatibilità del pubblico impiego non si applicano a questa categoria.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Collaboratori Linguistici: la Cassazione sul Diritto alla Retribuzione

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato una questione fondamentale per i collaboratori linguistici impiegati nelle università italiane, chiarendo la natura del loro rapporto di lavoro e le tutele economiche spettanti. La decisione si concentra in particolare sul diritto alla retribuzione anche in situazioni complesse, come la dichiarata decadenza dall’incarico per cumulo di impieghi. Analizziamo i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: La Controversia tra Collaboratori Linguistici e l’Ateneo

Due ex lettrici di lingua straniera, successivamente inquadrate come collaboratori linguistici, avevano citato in giudizio la propria università. Le loro richieste miravano a ottenere il riconoscimento del diritto a un trattamento retributivo equiparato a quello dei ricercatori confermati a tempo definito, la completa ricostruzione della carriera, il pagamento delle differenze retributive e del trattamento di fine rapporto, e la regolarizzazione della loro posizione previdenziale.

La Corte d’Appello aveva parzialmente accolto le loro richieste, ma aveva escluso il diritto alle differenze retributive per una delle due lavoratrici per il periodo successivo alla dichiarazione di decadenza dall’incarico, comminata dall’università a causa di un presunto cumulo di impieghi non consentito. L’università, insoddisfatta della sentenza, ha presentato ricorso in Cassazione, così come le lavoratrici con un ricorso incidentale.

L’Analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato i vari motivi di ricorso, giungendo a conclusioni di grande rilevanza per la categoria dei collaboratori linguistici.

La Natura Giuridica del Rapporto di Lavoro dei Collaboratori Linguistici

Il punto centrale della controversia ruotava attorno alla natura del rapporto di lavoro. La Cassazione ha ribadito con fermezza un principio consolidato: il rapporto che si instaura tra le università e i collaboratori linguistici è di natura privatistica e non di pubblico impiego.

Questa distinzione è cruciale. Essendo un rapporto di diritto privato, non si applicano le norme specifiche del pubblico impiego, come quelle relative alla decadenza per incompatibilità (art. 53 del D.Lgs. 165/2001) o quelle che individuano nell’ente previdenziale (INPS) il soggetto passivo per le pretese relative al trattamento di fine servizio. Di conseguenza, è l’università, in qualità di datore di lavoro, a rispondere direttamente delle obbligazioni retributive, previdenziali e di fine rapporto.

Il Diritto alla Retribuzione e il Principio della Prestazione di Fatto

Il motivo di ricorso più significativo accolto dalla Corte riguarda la posizione della collaboratrice dichiarata decaduta. La Cassazione ha stabilito che la Corte d’Appello ha errato nell’escludere il suo diritto alla retribuzione per il lavoro effettivamente svolto.

Il ragionamento della Suprema Corte si basa sull’articolo 2126 del Codice Civile, che tutela la cosiddetta “prestazione di fatto”. Secondo tale norma, la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione. In altre parole, il lavoro prestato deve essere sempre retribuito. Poiché il rapporto dei collaboratori linguistici è di natura privata, le sanzioni tipiche del pubblico impiego, come la decadenza retroattiva per cumulo di impieghi, non possono trovare applicazione per annullare il diritto alla giusta retribuzione per l’attività lavorativa concretamente fornita.

le motivazioni

La Corte ha rigettato i motivi del ricorso principale dell’università. In primo luogo, ha dichiarato inammissibile la censura sulla quantificazione del trattamento di fine rapporto per mancanza di specificità. In secondo luogo, ha respinto l’argomento secondo cui l’ateneo non fosse responsabile per il trattamento di fine servizio, riaffermando che la natura privatistica del rapporto pone tale obbligo direttamente in capo al datore di lavoro. Infine, ha ritenuto infondato il motivo relativo alla prescrizione dei contributi, chiarendo che l’obbligo contributivo sorge con la maturazione del diritto alla retribuzione e non con il suo accertamento giudiziale, giustificando così la condanna alla costituzione di una rendita vitalizia per sanare l’omissione.

Per quanto riguarda il ricorso incidentale delle lavoratrici, la Corte ha accolto il secondo motivo, quello relativo al diritto alla retribuzione della collaboratrice dichiarata decaduta. La motivazione risiede, come detto, nell’inapplicabilità delle norme sull’incompatibilità del pubblico impiego e nella piena operatività dell’art. 2126 c.c., che garantisce la retribuzione per la prestazione di fatto. Ha invece rigettato il primo motivo, confermando che il parametro retributivo del ricercatore serve solo come base di partenza e non per gli sviluppi di carriera successivi, regolati dalla contrattazione collettiva specifica.

le conclusioni

L’ordinanza della Cassazione stabilisce due principi fondamentali. Primo: il rapporto di lavoro dei collaboratori linguistici è disciplinato dal diritto privato, con la conseguenza che è l’università a rispondere di tutte le obbligazioni contrattuali. Secondo, e di maggior impatto pratico, il diritto alla retribuzione è intangibile per il lavoro effettivamente svolto, in virtù dell’art. 2126 c.c. Anche in presenza di una contestazione formale come la decadenza per incompatibilità, non si può negare il compenso per l’attività lavorativa prestata. La sentenza è stata quindi cassata su questo punto, con rinvio alla Corte d’Appello per la rideterminazione delle somme dovute alla lavoratrice.

Il rapporto di lavoro dei collaboratori linguistici è pubblico o privato?
La Corte di Cassazione ha confermato che il rapporto di lavoro che intercorre tra le università e i collaboratori esperti linguistici è di natura privatistica, e non di pubblico impiego. Di conseguenza, si applica la disciplina del codice civile e delle leggi speciali sul lavoro privato.

Un collaboratore linguistico dichiarato decaduto per cumulo di impieghi ha diritto alla retribuzione per il lavoro svolto?
Sì. La Corte ha stabilito che le norme sull’incompatibilità e sulla decadenza previste per il pubblico impiego non si applicano a questa categoria. In base all’art. 2126 del Codice Civile, il lavoro effettivamente prestato (prestazione di fatto) deve sempre essere retribuito, anche se il rapporto fosse considerato nullo.

Chi è responsabile del versamento dei contributi previdenziali e del TFR per i collaboratori linguistici?
Essendo un rapporto di lavoro di diritto privato, il responsabile delle obbligazioni retributive, del trattamento di fine rapporto (TFR) e del versamento dei relativi contributi previdenziali è il datore di lavoro, ovvero l’università, e non l’ente previdenziale come avviene per il trattamento di fine servizio (TFS) dei dipendenti pubblici.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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