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Collaboratori fissi: quando scatta l’obbligo INPGI?

Una società editoriale ricorre in Cassazione contro la condanna al pagamento di contributi per tre giornalisti, ritenuti collaboratori fissi e non autonomi. La Corte Suprema dichiara il ricorso inammissibile a causa della “doppia conforme”, ovvero la piena coincidenza tra la sentenza di primo grado e quella d’appello, ribadendo che non è possibile un nuovo esame dei fatti in sede di legittimità.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Collaboratori fissi: la Cassazione conferma l’obbligo contributivo per l’editore

La recente ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, getta nuova luce sulla qualificazione dei rapporti di lavoro nel mondo del giornalismo, con particolare attenzione alla figura dei collaboratori fissi. Questa pronuncia è cruciale per comprendere quando una collaborazione giornalistica, anche se formalmente autonoma, possa essere ricondotta a un rapporto di natura subordinata ai fini previdenziali, facendo scattare gli obblighi contributivi a carico dell’editore.

I Fatti del Caso: Una Controversia sui Contributi Previdenziali

Una società editoriale si era opposta a un decreto ingiuntivo emesso su richiesta dell’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani (INPGI). L’ente previdenziale richiedeva il pagamento di quasi 50.000 euro a titolo di contributi omessi per tre giornalisti. Secondo un verbale ispettivo, questi professionisti, sebbene legati all’azienda da contratti di collaborazione coordinata e continuativa, erano in realtà da considerarsi collaboratori fissi ai sensi del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) dei giornalisti.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione all’INPGI, rigettando le difese della società. I giudici di merito, sulla base delle prove raccolte, avevano concluso che le concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro integrassero gli estremi della collaborazione fissa, legittimando così la richiesta di recupero dei contributi.

La Decisione della Corte di Cassazione sui collaboratori fissi

Di fronte alla Suprema Corte, la società editoriale ha presentato un ricorso basato su due motivi principali, denunciando la violazione di norme di legge e un’errata valutazione delle prove. Tuttavia, la Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la decisione dei giudici d’appello.

L’Inammissibilità per “Doppia Conforme”

Un punto centrale della decisione è l’applicazione del principio della cosiddetta “doppia conforme”. Quando, come in questo caso, la sentenza d’appello conferma integralmente la decisione di primo grado basandosi sullo stesso percorso logico-argomentativo, il ricorso in Cassazione per omesso esame di un fatto decisivo diventa inammissibile. La società ricorrente non è riuscita a dimostrare che le motivazioni delle due sentenze fossero significativamente diverse, rendendo il suo motivo di ricorso impraticabile.

Il Divieto di Riesame del Merito

La Corte ha inoltre ribadito un principio fondamentale del giudizio di legittimità: la Cassazione non può riesaminare i fatti o rivalutare le prove, come le testimonianze. Il compito della Suprema Corte è verificare la corretta applicazione delle norme di diritto, non stabilire come si sono svolti i fatti. Il ricorso della società, invece, mirava proprio a ottenere una nuova e diversa lettura delle risultanze istruttorie, un’operazione non consentita in questa sede.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano su ragioni prettamente procedurali che impediscono un esame nel merito della questione. In primo luogo, la Cassazione ha evidenziato come il ricorso mancasse di “autosufficienza”: la società non aveva riportato il testo dell’articolo 2 del CCNL Giornalisti che assumeva violato, né aveva specificato in che modo la Corte d’Appello lo avesse interpretato erroneamente. La Corte di merito, al contrario, aveva fatto un preciso riferimento a tale norma, analizzando gli elementi caratterizzanti dei collaboratori fissi: la “continuità di prestazione”, il “vincolo di dipendenza” (seppur attenuato nel contesto giornalistico) e la “responsabilità di un servizio”.

In secondo luogo, la Corte ha sottolineato che il ricorso non si confrontava adeguatamente con l’articolato ragionamento della sentenza impugnata. Invece di contestare specificamente i passaggi logici seguiti dai giudici d’appello, la ricorrente si è limitata a proporre una propria, diversa, valutazione delle prove testimoniali. Questo approccio si traduce in una richiesta di riesame del merito, inammissibile davanti alla Corte di Cassazione.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Editori e Giornalisti

L’ordinanza ribadisce un messaggio chiaro per il settore editoriale: la qualificazione di un rapporto di lavoro non dipende dal nome dato al contratto (es. co.co.co.), ma dalle sue concrete modalità di esecuzione. La figura del collaboratore fisso rappresenta una zona grigia tra autonomia e subordinazione che, se accertata, comporta precisi obblighi contributivi. Per gli editori, ciò significa che è fondamentale analizzare attentamente la reale natura delle collaborazioni per evitare il rischio di costose vertenze con gli enti previdenziali. Per i giornalisti, questa decisione conferma la tutela previdenziale anche per coloro che, pur non essendo dipendenti a tempo pieno, sono inseriti stabilmente nell’organizzazione redazionale.

Quando un giornalista è considerato un “collaboratore fisso” ai fini contributivi?
Secondo la Corte, un giornalista è un collaboratore fisso quando sussistono tre elementi caratterizzanti, come definiti dall’art. 2 del CCNL Giornalisti: la continuità della prestazione, un vincolo di dipendenza (anche se in forma attenuata, tipica del lavoro giornalistico) e la responsabilità di un servizio. La decisione si basa sulle concrete modalità di svolgimento del rapporto, non sulla qualifica formale del contratto.

Cosa significa “doppia conforme” e quali conseguenze ha sul ricorso in Cassazione?
Si ha “doppia conforme” quando la sentenza della Corte d’Appello conferma integralmente quella del Tribunale, basandosi sullo stesso iter logico-argomentativo. In questi casi, come previsto dall’art. 348-ter c.p.c., diventa inammissibile il motivo di ricorso in Cassazione relativo all’omesso esame di un fatto decisivo, limitando di molto le possibilità di impugnazione.

Perché la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso della società editoriale?
La Cassazione lo ha dichiarato inammissibile per due ragioni principali: 1) la sussistenza della “doppia conforme” tra le sentenze di primo e secondo grado; 2) il ricorso tentava di ottenere un riesame dei fatti e una nuova valutazione delle prove, attività che non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione, la quale giudica solo la corretta applicazione del diritto (giudizio di legittimità) e non il merito della controversia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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