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Collaboratori a progetto: la linea con il subordinato

Una società ricorre in Cassazione dopo due sentenze sfavorevoli sulla qualificazione dei suoi collaboratori a progetto come lavoro subordinato. La Corte dichiara il ricorso inammissibile, confermando che la genericità del progetto e l’inserimento nell’organizzazione aziendale sono indici di subordinazione. Il tentativo di ottenere una nuova valutazione dei fatti in Cassazione è stato respinto.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Collaboratori a Progetto: La Sottile Linea con il Lavoro Subordinato

La distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato è uno dei temi più dibattuti nel diritto del lavoro. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione torna a fare chiarezza sulla qualificazione dei rapporti di lavoro mascherati da contratti per collaboratori a progetto. La vicenda analizzata offre spunti fondamentali per le aziende, evidenziando come la mera forma contrattuale non sia sufficiente a escludere la natura subordinata di una prestazione lavorativa.

Il Caso: Dalla Collaborazione all’Accertamento Contributivo

Una società commerciale si era vista notificare una cartella esattoriale dall’INPS per un importo superiore a 120.000 euro, a titolo di contributi omessi per alcuni lavoratori. L’azienda aveva inquadrato questi lavoratori come collaboratori a progetto, ma un’ispezione aveva portato alla loro riqualificazione come dipendenti subordinati.

L’azienda ha impugnato l’accertamento, ma sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno respinto le sue ragioni. I giudici di merito hanno concluso che i rapporti di lavoro in questione, al di là del nome formale, presentavano tutti gli indici tipici della subordinazione.

L’Analisi dei Giudici: Perché i collaboratori a progetto sono stati riqualificati?

La decisione dei giudici di merito si è basata su un’analisi sostanziale dei rapporti di lavoro. È emerso che i progetti posti a base dei contratti erano estremamente generici e non definivano un risultato specifico e conseguibile entro un termine prestabilito. Invece di essere legati a un obiettivo definito, i lavoratori svolgevano attività continuative che rientravano pienamente nell’oggetto sociale e nell’ordinaria operatività dell’azienda.

Questa circostanza, secondo le corti, implicava un vero e proprio “incardinamento” dei lavoratori nella struttura aziendale, rendendoli di fatto indistinguibili dai dipendenti subordinati. La forma contrattuale della collaborazione a progetto era, in sostanza, un mero schermo per eludere gli obblighi contributivi e normativi legati al lavoro dipendente.

Il Ricorso in Cassazione e la questione dell’inammissibilità

L’azienda ha tentato l’ultima carta, ricorrendo in Cassazione con due motivi principali:
1. Violazione di legge: Sosteneva che i giudici avessero sindacato nel merito le scelte organizzative dell’imprenditore, invece di limitarsi a verificare l’esistenza formale di un progetto.
2. Vizio di motivazione: Lamentava che la Corte d’Appello non avesse motivato a sufficienza le ragioni per cui riteneva sussistente la subordinazione.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i motivi inammissibili. I giudici hanno chiarito che, nonostante le rubriche formali, le censure della società non riguardavano un’errata applicazione della legge, ma miravano a ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti e delle prove. Tale attività, però, è di competenza esclusiva dei giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) e non può essere svolta in sede di legittimità.

Inoltre, la Corte ha richiamato il principio della “doppia decisione conforme”. Poiché sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano raggiunto la stessa conclusione sulla base della medesima ricostruzione dei fatti, era preclusa la possibilità di denunciare in Cassazione un omesso esame di fatti rilevanti. In pratica, il tentativo dell’azienda di rimettere in discussione l’accertamento fattuale si è scontrato con un preciso limite processuale.

Le Conclusioni: Implicazioni per le Aziende

L’ordinanza ribadisce un principio consolidato: non è il nome del contratto a definire la natura del rapporto di lavoro, ma le sue concrete modalità di svolgimento. Per le aziende che utilizzano collaboratori a progetto o altre forme di lavoro autonomo, questa decisione rappresenta un monito importante. Un progetto, per essere considerato tale, deve essere specifico, autonomo rispetto all’attività ordinaria dell’impresa e finalizzato a un risultato concreto e definito. In caso contrario, il rischio di una riqualificazione del rapporto in lavoro subordinato, con tutte le conseguenze economiche e legali che ne derivano, è estremamente elevato.

Quando un contratto di collaborazione a progetto può essere considerato lavoro subordinato?
Secondo la decisione, un contratto di collaborazione a progetto nasconde un rapporto di lavoro subordinato quando il “progetto” è generico, non definisce un risultato specifico e conseguibile in un tempo determinato, e l’attività del lavoratore rientra nell’oggetto sociale e nell’ordinaria operatività dell’azienda, implicando il suo inserimento nella struttura aziendale.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove e i fatti di una causa?
No, il ricorso è stato dichiarato inammissibile proprio perché i motivi proposti, pur formalmente denunciando vizi di legge, miravano in realtà a una nuova valutazione dei fatti e del materiale probatorio, attività che è di competenza esclusiva dei giudici di merito (primo e secondo grado) e non della Corte di Cassazione.

Cosa significa “doppia decisione conforme” e che effetto ha avuto in questo caso?
Significa che sia il Tribunale che la Corte d’Appello sono giunti alla stessa conclusione basandosi sugli stessi fatti. In base all’art. 348 ter c.p.c., questa circostanza ha precluso la possibilità per il ricorrente di contestare in Cassazione l’omesso esame di fatti rilevanti, rafforzando la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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