Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22330 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22330 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 02/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME PEC: EMAIL
-ricorrente –
Contro
COGNOME e COGNOME, rappresentati e difesi dagli Avv.ti NOME COGNOME PEC: EMAIL e NOME COGNOME PEC: EMAIL -controricorrenti –
Nonché
COGNOME rappresentato e difeso dall’ Avv. NOME COGNOME PEC: EMAIL avverso le sentenze della Corte d’Appello di Venezia, n. 721/2022 (r.g. 14683/2022), pubblicata il 29.3.2022 e notificata in data 30.3.
Oggetto: Associazione non riconosciuta decadenza cariche associative
2022, n. 511/2022 (r.g. 10804/2023) e n. 539/2023 (r.g. 10850/ 2023) entrambe pubblicate il 9.2.2023 e notificate il 7.3.2023
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6.2.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -La Confartigianato Imprese Vicenza ha impugnato tre sentenze emesse dalla Corte d’appello di Venezia nei giudizi promossi da NOME COGNOME e NOME COGNOME.
I relativi giudizi ora sono all’esame di questa Corte con r.g. nn. 14683/2022, 10850/2023 e 10804/2023.
2. -Con atto di citazione del 28 aprile 2016, NOME COGNOME e NOME COGNOME convenivano, davanti al Tribunale di Vicenza, Confartigianato Imprese Vicenza, deducendo di essere associati alla convenuta e chiedendo che fosse dichiarata la nullità dell’art. 33, comma 2, dello Statuto della stessa ed annullati i provvedimenti che avevano loro impedito di assumere cariche associative.
I predetti, con atto di citazione notificato il 20 gennaio 2016, avevano impugnato davanti all’autorità giudiziaria un verbale del consiglio direttivo ed una delibera del collegio dei probiviri dell’associazione (il primo avente ad oggetto la candidatura da proporre per la presidenza regionale di Confartigianato Imprese del Veneto; la seconda avente ad oggetto la validità della delibera del consiglio direttivo).
Nel successivo mese di febbraio, COGNOME e COGNOME chiedevano che il Tribunale di Vicenza sospendesse i provvedimenti adottati dal Presidente provinciale e dall’Ufficio provinciale elettorale dell’associazione, con cui non erano stati ammessi alla competizione elettorale per il rinnovo di cariche sociali in ragione della pendenza del suddetto giudizio, da loro promosso nel gennaio 2016 nei confronti dell’associazione.
Il Tribunale sospendeva l’efficacia del provvedimento di esclusione dalla competizione elettorale, la quale si svolgeva e vedeva l’elezione di Pozzebon alla carica di rappresentante mandamentale della categoria metalli preziosi e di COGNOME alla carica di delegato comunale di Quinto Vicentino.
L’elezione non era, tuttavia, convalidata dagli organi dell’associazione. Pertanto, NOME COGNOME e NOME COGNOME si rivolgevano nuovamente al Tribunale per ottenere una dichiarazione di nullità della norma statutaria (invocata dal Presidente e dall’Ufficio elettorale a giustificazione dell’invalidazione della loro elezione) e, quindi, per ottenere l’annullamento dei provvedimenti che avevano loro impedito di assumere i ruoli per cui erano stati eletti, nonché di candidarsi ad ulteriori cariche associative.
3. -Il giudizio r.g. n. 14683/2022 è relativo al procedimento iniziato con atto di citazione del 28 aprile 2016, proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME in qualità di soci della Confartigianato, che la convennero davanti al Tribunale di Vicenza, per sentir dichiarare la nullità dell’art. 33, comma 2, dello Statuto della stessa ed annullare i provvedimenti che avevano loro impedito di assumere cariche associative.
Con sentenza dell’11 febbraio 2019, il Tribunale di Vicenza accolse la domanda, annullando il provvedimento emesso il 25 marzo 2016 dal Presidente dell’associazione, con cui gli attori non erano stati ammessi alla competizione elettorale per il rinnovo di cariche sociali, ed i provvedimenti emessi dall’UPE il 23 marzo 2016, con cui non era stata convalidata l’elezione del COGNOME alla carica di rappresentante mandamentale della categoria metalli preziosi e del COGNOME alla carica di delegato comunale di Quinto Vicentino.
L’impugnazione proposta dalla Confartigianato Imprese Vicenza è stata rigettata dalla Corte d’appello di Venezia, che con sentenza del 29 marzo 2022 ha accolto l’appello incidentale proposto dal COGNOME e dal COGNOME, condannando la Confartigianato al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio.
Avverso la predetta sentenza la Confartigianato Imprese Vicenza ha proposto ricorso per cassazione, articolato in dieci motivi, illustrati anche con memoria, cui il COGNOME e il COGNOME hanno resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.
4. -Il giudizio n. 10850/2023 è relativo alla sentenza pubblicata il 30 settembre 2019, con la quale il Tribunale di Vicenza accolse la domanda proposta da NOME COGNOME e NOME COGNOME nei confronti della Confartigianato Imprese Vicenza, annullando a) la delibera del 30 gennaio 2016, con cui erano state escluse le candidature degli attori rispettivamente alla carica di Delegato, Vice Delegato Comunale e Rappresentante mandamentale di categoria di Confartigianato Vicenza, e alla carica di Delegato comunale di Quinto Vicentino, Vice Delegato Comunale di Quinto Vicentino e Rappresentante mandamentale della categoria Abbigliamento e accessori moda e, il secondo, per la carica di Delegato Comunale di Creazzo e di Rappresentante mandamentale della categoria RAGIONE_SOCIALE, per contrarietà all’art. 33, comma secondo, dello Statuto, e b) la delibera del 4 febbraio 2016, con cui l’Ufficio Provinciale Elettorale dell’Associazione aveva respinto i ricorsi del Pozzebon e del COGNOME avverso le predette esclusioni.
L’impugnazione proposta dalla Confartigianato Imprese Vicenza è stata rigettata dalla Corte d’appello di Venezia, che con sentenza del 7 marzo 2023 ha accolto l’appello incidentale proposto dal COGNOME e dal COGNOME, condannando la Confartigianato al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio.
Avverso la predetta sentenza la Confartigianato Imprese Vicenza ha proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, cui il COGNOME e il COGNOME hanno resistito con controricorso.
5. -Il giudizio r.g. n. 10804/2023 è relativo alla sentenza pubblicata il 4 ottobre 2019, con la quale il Tribunale di Vicenza accolse la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti della Confartigianato Imprese Vicenza, annullando a) le elezioni tenutesi il 27 aprile 2017 per la carica di Componente del Consiglio Mandamentale quale
Rappresentante Mandamentale di Categoria in Rappresentanza del Sistema di Mercato Artigianato Artistico, b) le elezioni tenutesi il 4 maggio 2016 per la carica di Presidente Provinciale di RAGIONE_SOCIALE, Vice Presidente Provinciale di RAGIONE_SOCIALE, Componente il Consiglio Direttivo, quale Rappresentante Provinciale dei Sistemi di Mercato Mandamentale di Categoria in Rappresentanza del Sistema di Mercato, e c) le elezioni tenutesi il 16 maggio 2016 per la carica di Componente della Giunta Mandamentale quale Rappresentante Mandamentale di Categoria in Rappresentanza del Sistema di Mercato Artigianato Artistico.
L’impugnazione proposta dalla Confartigianato Imprese Vicenza è stata rigettata dalla Corte d’appello di Venezia, che con sentenza del 7 marzo 2023 ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale proposto dal Pozzebon.
Avverso la predetta sentenza la Confartigianato Imprese Vicenza ha proposto ricorso per cassazione, articolato in otto motivi, illustrati anche con memoria, cui il COGNOME ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.
6. -Con ordinanze interlocutorie n. 2281 del 23 gennaio 2024, n. 19931 del 30.1.2024 e n. 9920 del 30.1.2024 è stato disposto il rinvio a nuovo ruolo rispettivamente del ricorso iscritto al n. 10850/ 2023 R.G., del ricorso iscritto al n. 14683/2022 R.G. e del ricorso iscritto al n. 10804/2023 R.G., per la trattazione congiunta.
7. -In sintesi:
r.g. n. 14683/2022: NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno ottenuto, sulla pretesa nullità dell’art. 33, comma 2, dello Statuto dell’attuale ricorrente, l’annullamento del provvedimento emesso il 25 marzo 2016 dal Presidente dell’associazione, con cui gli attori non erano stati ammessi alla competizione elettorale per il rinnovo di cariche sociali, ed i provvedimenti emessi dall’UPE il 23 marzo 2016, con cui non era stata convalidata l’elezione del COGNOME alla carica di rappresentante mandamentale della categoria metalli preziosi e del COGNOME alla carica di delegato comunale di Quinto Vicentino ;
r.g. n. 10850/2023: NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno ottenuto l’annullamento delle delibere: a) 30 gennaio 2016, con cui erano state escluse le candidature degli attori alle medesime cariche; b) 4 febbraio 2016, con cui l’Ufficio Provinciale Elettorale dell’Associazione aveva respinto i ricorsi del COGNOME e del COGNOME avverso le predette esclusioni;
r.g. n. 10804/2023: NOME COGNOME ha ottenuto l’annullamento delle elezioni a varie cariche tenutesi: a) il 27 aprile 2017; b) il 4 maggio 2016, e c) il 16 maggio 2016.
-Per quanto qui di interesse la Corte di merito nel giudizio r.g. n. 14683/2022 ha precisato che:
l’art. 23 c.c. non si occupa della nullità delle norme dello statuto, che, anzi, viene indicato come parametro del giudizio di validità delle deliberazioni assembleari. Quand’anche le norme statutarie siano adottate o modificate dall’assemblea, la loro nullità può essere fatta valere in ogni tempo e non rimane ‘sanata’ dalla mancata impugnazione della deliberazione assembleare nel termine di prescrizione dell’azione di annullamento;
l’art. 33, comma 2, dello statuto, che comprende qualunque ipotesi di contenzioso (come afferma la stessa appellante), è parzialmente nullo, e perciò inefficace, nella parte in cui prevede che anche il contenzioso attinente all’impugnazione di deliberazioni degli organi associativi impedisca all’associato di assumere cariche sociali;
la norma dello Statuto impugnata è parzialmente nulla in quanto viola il principio di democraticità, perché esclude dal governo dell’associazione tutti coloro che abbiano con essa un contenzioso, a prescindere dal suo oggetto e da chi l’abbia promosso. Si presta, così, ad abusi, poiché, al di là delle ipotesi estreme di una lite promossa al solo scopo di impedire la candidatura di un associato ad una carica sociale, impone agli associati di accondiscendere a qualunque decisione assunta dagli organi associativi in carica, pena la loro esclusione dalla possibilità di concorrere ad incarichi elettivi (anche di
mera rappresentanza locale di categorie di imprenditori, come nel caso di Pozzebon e COGNOME);
la norma è in contrasto con l’art. 24 della Costituzione, poiché, sanzionando con l’incandidabilità dell’associato, che abbia un qualunque contenzioso in essere con l’associazione, ostacola l’esercizio del diritto costituzionale di agire in giudizio a tutela dei propri interessi; non è neppure rispettosa del principio di eguaglianza, poiché tratta nello stesso modo situazioni tra loro molto diverse, ossia esclude da un ruolo attivo nell’associazione sia coloro che possono effettivamente avere un conflitto d’interesse con l’associazione sia coloro che abbiano agito in giudizio per l’annullamento di decisioni, assunte da uno degli organi di governo, che ritengono illegittime o addirittura dannose per la stessa associazione;
l’ automatismo tra ‘contenzioso legale’ ed esclusione dall ‘esercizio delle cariche sociali, che si trova nella norma statutaria in esame, si poggia su una presunzione d’inidoneità personale dell’associato che ha come solo fondamento l’idea, non certo apprezzabile, secondo cui i dissidi si compongono all’interno della stessa associazione e non rivolgendosi a ‘legali’ o promuovendo procedimenti davanti all ‘autorità giudiziaria;
la norma non può giustificarsi con l’autonomia negoziale delle parti, poiché l’autonomia non può esplicarsi in contrasto con i principi costituzionali, soprattutto in presenza di un’associazione, ossia di una formazione sociale complessa in cui si esplica la personalità dell’individuo ed in cui devono essere garantiti i diritti inviolabili, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione;
la decisione sulla compensazione delle spese viola l’art. 91 c.p.c., poiché non ricorrevano le condizioni per la compensazione di cui allo art. 92 c.p.c., in quanto non vi era soccombenza reciproca né concorrevano altre ragioni per operare la compensazione.
-Per quanto qui di interesse, la Corte di merito nel giudizio r.g. n. 10850/2023 ha precisato che:
a) muovendo dal secondo motivo, per evidenti ragioni di pregiudizialità logica, deve escludersi che la materia del contendere, con l’avvenuta elezione di entrambi gli appellanti, sia cessata, sia perché da una siffatta definizione della controversia conseguirebbe il permanere dell’efficacia della prima delibera impugnata, con i naturali riflessi sugli esiti dell’elezione, sia perché permane comunque l’interesse degli stessi appellati a veder esaminate nel merito le proprie doglianze, e confermare sul punto la decisione di primo grado, (conf. Cass., n. 3854/2022), così come alla corretta interpretazione della clausola statutaria;
b) quanto al primo motivo, le censure mosse non pongono in discussione l’applicabilità della disciplina codicistica dell’art. 23 c.c. alle associazioni non riconosciute e ribadiscono, in buona sostanza, l’interpretazione della clausola statutaria in esame che Confartigianato ha prospettato sin dalla costituzione in giudizio ponendo in risalto il dato letterale che non distingue tra i ‘procedimenti giudiziali ovvero i contenziosi legali in corso’ e che dunque comprenderebbe ogni contenzioso in essere tra l’associazione e il socio, ivi compreso quello che all’epoca pendeva tra le parti;
c) pare evidente che inibire agli associati di ricoprire le cariche sociali in ogni ipotesi di contenzioso produrrebbe effetti incompatibili con l’ordinario svolgimento della vita associativa per tutti quei casi che già il Tribunale ha enucleato (impugnazione delle delibere da parte degli stessi amministratori, strumentali azioni giudiziali nei confronti dell’associato sgradito), sicché l’interpretazione della clausola in oggetto con il mero criterio ‘letterale’ e che non indaghi la ratio della norma finirebbe per non considerare l’effettiva intenzione delle parti; d) va invece accolta l’impugnazione incidentale degli appellati, che lamentano l’erronea compensazione delle spese, disposta dal Tribunale fuori dalle ipotesi previste dal secondo comma dell’art. 92 c.p.c., che consente la compensazione solo per l’ipotesi di soccombenza reciproca o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni agitate in causa, ipotesi entrambe estranee alla fattispecie.
-Per quanto qui di interesse, la Corte di merito nel giudizio r.g. n. 10804/2023 ha precisato che:
con riguardo alla causa asseritamente pregiudiziale, da un lato il Tribunale di Vicenza ha già pronunciato sentenza (n. 336/19) di accoglimento della domanda dell’odierno appellato di annullamento della delibera di esclusione dalla competizione elettorale, e detta pronuncia è stata confermata dalla Corte d’Appello (con sentenza n. 721/22), sicché non può farsi luogo all’invocata sospensione ex art. 295 c.p.c.; dall’altro, l’esito dei due giudizi esclude evidentemente la sospensione facoltativa di cui all’art. 373 c.p.c.;
b) non si vede difatti come «i diritti acquisiti dai terzi in buona fede» possano interferire, escludendolo, sull’interesse ad agire dell’appellato, la cui domanda è volta alla tutela del proprio diritto alla partecipazione della stessa competizione elettorale;
è infondata la domanda volta all’annullamento delle competizioni elettorali e degli esiti delle stesse: l’appellante non chiede di certo l’annullamento della disposizione statutaria richiamata dall’associazione per escludere il COGNOME dalla partecipazione, considerato peraltro che di detta disposizione lo stesso COGNOME invoca, in definitiva, una interpretazione conforme ai principi dell’ordinamento giuridico, e non certo la caducazione;
oggetto dell’impugnativa in esame sono proprio le delibere associative, quand’anche prese da organi monocratici, che hanno escluso l’appellato dalla competizione elettorale e, di conseguenza, gli esiti della stessa;
le doglianze mosse sull’interpretazione dell’art. 33 dello Statuto non pongono in discussione l’applicabilità della disciplina codicistica dell’art. 23 c.c. alle associazioni non riconosciute, ma ribadiscono, in buona sostanza, l’interpretazione della clausola statutaria in esame che Confartigianato ha prospettato sin dalla costituzione in giudizio, ponendo in risalto il dato letterale che non distingue tra i ‘procedimenti giudiziali ovvero i contenziosi legali in corso’ e che dunque
comprenderebbe ogni contenzioso in essere tra l’associazione e il socio, ivi compreso quello che all’epoca pendeva tra le parti;
f) pare evidente che inibire agli associati di ricoprire le cariche sociali in ogni ipotesi di contenzioso produrrebbe effetti incompatibili con l’ordinario svolgimento della vita associativa per tutti quei casi che già il Tribunale ha enucleato, sicché l’interpretazione della clausola in oggetto con il mero criterio ‘letterale’ e che non indaghi la ratio della norma finirebbe per non considerare l’effettivo intento delle parti: la disposizione difatti, lungi dal limitare il diritto dell’associato di denunciare l’eventuale difformità delle delibere allo statuto e alle legge, intende piuttosto evitare che la pendenza di contenziosi che vedano contrapposti gli associati all’associazione, con riguardo ad interessi propri dei soci ed estranei alla stessa partecipazione associativa, integri un conflitto tra gli interessi dell’associazione e quelli del socio che ricopre la carica sociale.
10. -Nel giudizio r.g. n. 14683/2022 Confartigianato Imprese Vicenza ha presentato ricorso con dieci motivi ed anche memoria. NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno presentato controricorso ed anche memoria.
Nel giudizio r.g. n. 10850/2023 Confartigianato Imprese Vicenza ha presentato ricorso con cinque motivi ed anche memoria. NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno presentato controricorso ed anche memoria.
Nel giudizio r.g. n. 10804/2023 Confartigianato Imprese Vicenza ha presentato ricorso con otto motivi ed anche memoria. NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno presentato controricorso ed anche memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
11. – Preliminarmente, va disposta la riunione dei ricorsi, aventi ad oggetto provvedimenti diversi, emessi nell’ambito di distinti giudizi, ma riguardanti tutti la medesima vicenda e vertenti tra le stesse parti.
Nel giudizio r.g. n. 14683/2022 la ricorrente deduce:
-Con il sesto motivo: art. 360, n. 5, c.p.c. omessa valutazione delle norme di interpretazione dei contratti e art. 360, n. 3, c.p.c. violazione dei criteri di interpretazione dei contratti in particolare dell’art. 1362 c.c.
12.1. -La censura del sesto motivo, da valutarsi prioritariamente, perché pone la questione fondante del ricorso, è inammissibile.
La doglianza si dilunga nel riprodurre l’interpretazione dell’art. 33 dello Statuto (che al comma 2 statuisce: «L’esercizio delle cariche sociali è riservato solo a coloro i quali esercitino lavoro personale e professionale nell’impresa e che non abbiano in corso procedimenti giudiziali ovvero contenziosi legali con Confartigianato Vicenza. Gli stessi soggetti esercitano l’elettorato attivo»), così come proposta nella comparsa di costituzione e risposta nel giudizio di II grado. Sostiene che, da un lato, la Corte ha omesso l’interpretazione della clausola e, dall’altro, che, se ha interpretato la norma, ha violato i canoni ermeneutici, superando il tenore letterale della previsione.
La doglianza, però, non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha ritenuto la norma chiara e non equivoca, senza contestare che «comprenda nella fattispecie impeditiva all’assunzione di cariche associative tutte le ipotesi di contenzioso», ma proprio per questo ritenendo la previsione parzialmente nulla, perché in violazione dei principi costituzionali di democraticità, di eguaglianza e del diritto di agire in giudizio a tutela dei propri interessi; la sentenza ha ribadito inoltre che la norma statutaria non può essere giustificata evocando l’autonomia negoziale delle parti, poiché l’autonomia non può esplicarsi in contrasto con i principi costituzionali, soprattutto in presenza di un’associazione, ossia di una formazione sociale complessa in cui si esplica la personalità dell’individuo ed in cui devono essere garantiti i diritti inviolabili, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione.
La doglianza lamenta, così, una omessa interpretazione che, invece, è stata valutata al fine di rilevare il contrasto del suo contenuto con
i principi costituzionali, e l’interpretazione è stata condotta proprio sulla base dei canoni ermeneutici che si assumono violati. In ogni caso, la doglianza non indica con quali modalità il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella formulata nella sentenza impugnata, e dovendo i rilievi contenuti nel ricorso essere accompagnati, in ossequio al principio di autosufficienza, dalla trascrizione delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti, al fine di consentire alla Corte di verificare l’erronea applicazione della disciplina normativa (Cass., n. 15798/2005; Cass., n. 25728/2013; Cass., n. 12279/2016; Cass., n. 29093/2018; Cass., n. 9461/2021). A tale fine, l’estrapolazione del singolo brano della motivazione del provvedimento che si intenda censurare deve associarsi a una puntuale evidenziazione del vizio, risolvendosi altrimenti la deduzione critica in un’astratta enunciazione di principio (Cass., n. 30885/2022).
13. -Con il primo motivo: Violazione o falsa applicazione di legge artt. 329-343, 324, 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. e nullità della sentenza o del procedimento in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. Il Tribunale in primo grado ha rigettato la domanda degli attori, che avevano chiesto accertarsi e dichiararsi la nullità, l’invalidità, e l’inefficacia dell’art. 33, comma 2, dello statuto di Confartigianato, e che gli appellati non avevano proposto nella comparsa di costituzione e risposta appello incidentale (artt. 334 c.p.c.) avverso detto rigetto, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado sul punto (art. 324 c.p.c.), ragion per cui la Corte d’Appello non poteva pronunciarsi sulla nullità parziale della clausola citata. La sentenza viola anche l’art. 1421 c.c. e l’art. 112 c.p.c., perché il principio della rilevabilità di ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, della nullità del contratto deve essere coordinato con i principi della domanda e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato: quindi, la Corte D’Appello è andata ultrapetita .
14. -Con il secondo motivo: Violazione di legge art. 112 c.p.c. della sentenza di primo grado nullità della sentenza o del procedimento di primo grado in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. Violazione dell’art. 1421 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. La Corte di appello si è pronunciata sulla nullità della clausola ex art. 33, comma 2, nonostante fosse passato in giudicato il rigetto di tale domanda in mancanza di appello incidentale, avendo il Tribunale dichiarato che la clausola non è nulla, ma va interpretata nel senso che la incompatibilità va riferita a quelle controversie in cui il socio viene ad essere, rispetto l’associazione, in posizione di terzo. La sentenza di appello viola anche l’art. 1421 c.c. in tema di rilevabilità di ufficio, perché va coordinato con il principio della domanda, nella specie mancante.
14.1. -Le predette censure, da trattarsi unitariamente, in quanto correlate tra loro, sono inammissibili perché non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata.
In I grado la domanda degli attuali controricorrenti era stata accolta sulla base di una interpretazione della clausola statutaria nel senso che l’associato non avrebbe potuto ricoprire cariche associative solo ove avesse in corso una vertenza contro Confartigianato in cui faceva valere una posizione in contrasto con l’Associazione, non qualora avesse agito nell’interesse della medesima. I provvedimenti dell’UPE e della Giunta Esecutiva dell’Associazione del 23.3.2016, che avevano dichiarati decaduti gli odierni scriventi dalle cariche associative ricoperte, erano stati annullati dal Tribunale in quanto contrastanti con l’art. 33, comma 2, dello statuto nella sua interpretazione corretta. La Corte ha semplicemente osservato che: «inoltre, a ben considerare, la decisione del giudice vicentino è stata la nullità parziale della norma statutaria, poiché ne ha ristretto l’ambito applicativo, espungendo dalla fattispecie tutti i “procedimenti giudiziali” in cui l’associato non fa valere un interesse personale contrapposto a
quello dell’associazione, ma agisce per ripristinare la legalità della attività dell’associazione stessa. In particolare, il Tribunale di Vicenza ha precisato che possono entrare nella previsione statutaria solo le controversie che traggono origine non dall’interesse del socio al corretto andamento della vita associativa (quali che siano i motivi sottesi a tale interesse), ma da interessi esterni all’associazione e in conflitto con gli interessi della stessa». Così statuendo, il giudice, benché non l’abbia dichiarato espressamente, ha ritenuto che l’art. 33, comma 2, che invece comprendeva qualunque ipotesi di contenzioso (come afferma la stessa appellante), fosse parzialmente nullo, ossia che la norma fosse nulla e perciò inefficace laddove, per l’appunto, prevedeva che anche il contenzioso attinente all’impugnazione di deliberazioni degli organi associativi impediva all’associato di assumere cariche sociali.
Le censure del secondo motivo tendono a dimostrare che la sola diversa interpretazione della clausola statutaria non poteva comportare l’annullamento dei provvedimenti impugnati. Anche considerando le precisazioni della Corte di merito sulla ‘interpretazione’ della clausola esposta nella sentenza di I grado, la censura deve essere considerata inammissibile poiché fondata su una diversa interpretazione delle decisioni dei giudici di merito. Evidentemente, la parte vuole riproporre le deduzioni sulla sentenza di I grado già poste in appello, e non è possibile porre censure di violazione dell’art. 360 c.p.c. sulle sentenze di I grado.
15. -Con il terzo motivo: violazione art. 360, n.3, c.p.c. violazione o falsa applicazione dell’art. 1418 c.c. Art. 360, n. 5, c.p.c. omesso o fittizio esame delle norme ritenute imperative, omesso esame delle deduzioni dell’appellante. Palese illogicità nell’applicazione delle norme ritenute imperative. Ciò in quanto l’unico limite di natura costituzionale in materia di associazioni è quello di cui all’art. 18 Cost. che prevede la libertà di associazione, ragion per cui sono irrilevanti altri elementi e, comunque, l’art. 33, comma 2, dello statuto non limita la libertà di associazione. I diritti riguardanti la possibilità di
ricoprire cariche elettive sono disponibili, ragion per cui non vi è un diritto imperativo che preveda la loro intangibilità. Non sussiste per le associazioni non riconosciute l’obbligo di darsi un ordinamento democratico, e comunque i principi notori in materia di democrazia sono stati rispettati, non vi è alcuna violazione del diritto di difesa, che non viene compresso in alcun modo, e la clausola rispetta pienamente il principio di eguaglianza, non creando disparità di trattamento fra soggetti all’interno della stessa.
16 . -Con il quarto motivo: violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. Nullità della sentenza per vizio radicale di motivazione in relazione all’art. 132, n.4, c.p.c., manifesta illogicità, contraddittorietà e perplessità, in ordine all’applicazione da parte della Corte d’Appello delle asserite norme imperative di democrazia, diritto di difesa ed eguaglianza.
17. -Con il quinto motivo: art. 360, n. 3, c.p.c. violazione o falsa applicazione dell’art. 18 della Costituzione, in quanto l’unico principio costituzionale applicabile alle associazioni è quello del diritto di associarsi, ragion per cui non possono applicarsi altri principi quali il principio di democrazia, diritto di difesa e uguaglianza.
17.1. -Il terzo, il quarto e il quinto motivo sono connessi e possono essere trattati unitariamente.
La Corte di Appello ha nuovamente ribadito, condivisibilmente, sulla norma statutaria che: «essa viola principi costituzionali. In primo luogo, non è conforme al principio di democraticità, perché esclude dal governo dell’associazione tutti coloro che abbiano con essa un contenzioso, a prescindere dal suo oggetto e da chi l’abbia promosso. Come ha evidenziato il Tribunale di Vicenza, tale norma si presta ad abusi, poiché, al di là delle ipotesi estreme di una lite promossa al solo scopo di impedire la candidatura di un associato ad una carica sociale, impone comunque agli associati di accondiscendere a qualunque decisione assunta dagli organi associativi in carica pena la loro esclusione dalla possibilità di concorrere ad incarichi elettivi». Ed inoltre la stessa: «contrasta con l’art. 24 della Costituzione, poi-
ché, sanzionando con l’incandidabilità l’associato che abbia un qualunque contenzioso in essere con l’associazione, ostacola l’esercizio del diritto costituzionale di agire in giudizio a tutela dei propri interessi. La norma non è neppure rispettosa del principio di eguaglianza, poiché tratta nello stesso modo situazioni tra loro molto diverse, ossia esclude da un ruolo attivo nell’associazione sia coloro che possono effettivamente avere un conflitto d’interesse con l’associazione sia coloro che abbiano agito in giudizio per l’annullamento di decisioni, assunte da uno degli organi di governo, che ritengono illegittime o addirittura dannose per la stessa associazione»; «non vi è necessariamente conflitto tra l’associato e l’associazione quando il primo impugni una deliberazione illegittima adottata dalla maggioranza assembleare. Ed invero ben potrebbe esserci coincidenza di interessi se la decisione impugnata fosse addirittura dannosa per l’associazione».
Le censure riguardanti la possibilità che nella vita delle associazioni possano essere rilevanti soltanto i principi costituzionali sulla libertà di associazione, senza che possa interferire il rispetto di altri principi quali la democraticità e il diritto alla difesa, sono state oggetto di ampia articolata disamina ed efficace valutazione, che ha condotto la Corte d’Appello a sostenere che il rispetto della gerarchia delle fonti impone all’autonomia dei privati il rispetto dei principi e delle norme sovraordinate, primi fra tutti i principi costituzionali. Il precedente citato a p. 29 del ricorso è del tutto fuorviante, poiché la Corte si è preoccupata di precisare che: «nessun ostacolo giuridico è ravvisabile negli artt. 1105 e 1136 cod. civ., dettati dal codice civile in tema di comunione e condominio di edifici, a che l’atto costitutivo contenga clausole limitative del diritto di voto del consorziato (nella specie, escludenti da tale diritto il consorziato in mora nel pagamento dei contributi o che a tal riguardo abbia liti pendenti col consorzio)». A parte il diverso rilievo esistente tra le norme codicistiche e quelle costituzionali, che sembra sfuggire alla ricorrente, anche la sentenza impugnata non ha escluso la possibilità di limitazioni, ma ha sempli-
cemente chiarito che la limitazione non può riguardare le azioni che l’associato propone a difesa degli interessi dell’associazione stessa.
18. -Con il settimo motivo: art. 360, n. 3, c.p.c. violazione o falsa applicazione delle norme di legge, art. 1418 c.c. in quanto la norma imperativa violata deve essere individuata in base ad un interesse pubblico tutelato, non esistente nel nostro caso in quanto sussiste solamente un interesse privato con prevalenza dell’autonomia privata, inoltre la incompatibilità e la decadenza di cariche non costituiscono norme imperative indisponibili.
19. – Con l’ottavo motivo: Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. violazione dell’art. 1418 c.c., violazione della carta dei diritti fondamentali della UE, art. 16 e dell’art. 41, commi 1 e 2, Cost. La sentenza impugnata ha annullato una clausola in base a principi non rientranti nel disposto dell’art. 1418 c.c., in quanto generici e contrapposti ad altri valori e interessi di rango costituzionale, tra i quali quelli della libertà negoziale e del diritto di iniziativa economica, e così facendo ha violato e falsamente applicato detto art. 1418 c.c.
19.1. -Il settimo e l’ottavo motivo, da trattarsi congiuntamente, in quanto correlati tra loro, sono inammissibili, perché non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata.
L’interpretazione proposta dal giudice di I grado e poi specificata dalla Corte di Appello con l’introduzione della nullità parziale è fondata sulla compatibilità del contenuto contrattuale anche con i principi costituzionali. La censura implicitamente sembrerebbe proporre, inammissibilmente, che tali principi non siano norme imperative e non tutelino un interesse pubblico.
Le censure sono inammissibili anche perché si muovono sulla falsariga delle altre, questa volta ipotizzando che i principi enunciati dalla Corte siano in contrasto con l’art. 18 della stessa Costituzione (affermazione che si va a supportare con la citazione di altra decisione di questa Corte a Sezioni Unite sulla «nullità o validità della fideiussione rilasciata in favore di un proprio associato (GAI) da un «confidi minore» (il Consorzio di Garanzia) iscritto nell’elenco previsto già dal
previgente art. 155, comma 4, T.u.b. Il dubbio sorge essendo previsto che tali operatori esercitino «esclusivamente» l’attività di garanzia collettiva dei fidi e servizi»).
La citazione del precedente è fuorviante, perché la Corte si interroga sul nuovo concetto di nullità «come strumento di reazione dell’ordinamento rispetto alle forme di programmazione negoziale lesive di valori giuridici fondamentali» per escludere che solo i confidi autorizzati ex art. 107 T.u.b. (non, quindi, la ricorrente) possano prestare ogni forma di garanzia finanziaria, compresa quella fideiussoria. Discute, cioè, non certo di contrasto del contenuto di una clausola statutaria con i principi costituzionali, considerando quest’ ultimi ‘marginali’.
20. -Con il nono motivo: violazione o falsa applicazione delle norme in tema di prescrizione dell’azione di annullamento, violazione degli artt. 23, 1442, 1419 e art. 1422 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.; l’azione promossa dagli attori è quella di cui all’art. 23 c.c. e si è prescritta in cinque anni dalla approvazione dello Statuto dell’11/11/2010, ciò in deroga all’art. 1418 c.c., quindi si applica l’art. 1442 c.c. secondo cui l’azione di annullamento si prescrive in cinque anni e non l’art. 1442 c.c., né l’art. 1419 c.c. in tema di nullità parziale.
20.1. -La censura non è ammissibile, perché non coglie la ratio decidendi delle sentenze di merito.
La sentenza di I grado fornisce una interpretazione della norma statutaria conforme ai principi costituzionali; la sentenza della Corte ritiene che tale interpretazione comporti che «l’art. 33, 2° co., che invece comprendeva qualunque ipotesi di contenzioso (come afferma la stessa appellante), fosse parzialmente nullo, ossia che la norma fosse nulla e perciò inefficace laddove, per l’appunto, prevedeva che anche il contenzioso attinente all’impugnazione di deliberazioni degli organi associativi impediva all’associato di assumere cariche sociali». La Corte ritiene che trattasi di nullità parziale e indica adeguatamente le ragioni per cui sulla nullità non può incidere il termine di
prescrizione delle delibere assembleari: «l’art. 23 c.c., applicabile anche alle associazioni non riconosciute, contempla l’azione di annullamento delle deliberazioni dell’assemblea, prevedendo che la contrarietà delle stesse alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto possa essere fatta valere da qualunque associato. L’art. 23 c.c. non si occupa della nullità delle norme dello Statuto, che anzi viene indicato come parametro del giudizio di validità delle deliberazioni assembleari. Quand’anche le norme statutarie siano adottate o modificate dall’assemblea, la loro nullità può essere fatta valere in ogni tempo e non rimane ‘sanata’ dalla mancata impugnazione della deliberazione assembleare nel termine di prescrizione dell’azione di annullamento. Le norme statutarie regolano stabilmente l’associazione e la loro efficacia non si esaurisce con l’esecuzione della deliberazione che le ha introdotte, sì che la nullità, secondo il principio generale espresso dall’art. 1422 c.c., può essere fatta valere in ogni tempo».
21. -Con il decimo motivo: violazione o falsa applicazione delle norme art. 91 c.p.c. e 92 c.p.c. in tema di riforma della compensazione delle spese legali in primo grado, art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. La sentenza impugnata è errata anche in ordine alla condanna al pagamento delle spese di primo grado in quanto non ha considerato la reciproca soccombenza, che giustificava la compensazione di cui all’art. 92, comma 2, c.p.c.
21.1. -La censura è inammissibile, perché non coglie la ratio decidendi .
La domanda di accertamento della nullità della clausola era funzionale all’annullamento delle delibere assembleari, che sono state annullate ritenendosi, in I grado, che fosse necessario soltanto interpretare la clausola correttamente secondo i principi costituzionali. Pertanto, non è sostenibile che la fattispecie rientri nella ipotesi di reciproca soccombenza delineata nella censura.
Nel giudizio r.g. n. 10850/2023 la ricorrente deduce:
22. -Con il primo motivo: Mancanza di motivazione e/o motivazione perplessa od incomprensibile con riferimento all’art. 360, n. 4, c.p.c. in merito alla eccepita cessazione della materia del contendere/violazione dell’art. 100 c.p.c., nullità della sentenza ex art. 360, nn. 4 e 3, c.p.c. Il motivo, in sintesi, evidenzia che il Giudice di secondo grado non ha valutato l’intervenuta cessazione della materia del contendere e le relative conseguenze in ordine all’estinzione del giudizio, alla soccombenza virtuale ed alla liquidazione delle spese.
22.1 -La censura è infondata, perché la motivazione, seppur sintetica, è conforme a quanto statuito da questa Corte in tema di impugnazioni: l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c. postula la soccombenza nel suo aspetto sostanziale, correlata al pregiudizio che la parte subisca a causa della decisione, da apprezzarsi in relazione all’utilità giuridica che può derivare al proponente il gravame dall’eventuale suo accoglimento (in attuazione del predetto principio, la S.C. ha confermato la pronuncia di merito che, nell’ambito di un giudizio elettorale, aveva ritenuto che il ricorrente avesse interesse ad impugnare la pronuncia di cessazione della materia del contendere, conseguente alle sue dimissioni dalla carica in contestazione di Sindaco, ritenendo che, per effetto dell’accoglimento dell’impugnazione, egli avrebbe potuto conseguire il risultato pratico favorevole del riesame del merito della controversia) (Cass., n. 38054/2022, indicata in sentenza con un refuso come n. 3854/2022).
23. -Con il secondo motivo: Errata interpretazione ed applicazione dell’art. 33, comma 2, dello statuto di Confartigianato per evidente violazione delle norme in tema di interpretazione dei contratti, artt. 1362 e segg. c.c., violazione dell’art. 360, comma 1, n.3, c.p.c. Nullità della sentenza per motivazione apparente art. 360, comma 1, n.4, c.p.c. Violazione dell’art 100 c.p.c. in tema di pronuncia secondo diritto art. 360, comma 1, n.3, c.p.c. Violazione dell’art. 113 c.p.c. in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4 c.p.c. Rileva parte resistente che lo statuto e l’atto costitutivo di un’associazione costituiscono espressione di autonomia negoziale e sono regolati dai principi generali del
negozio giuridico, che il giudice di primo e di secondo grado hanno errato nell’interpretare ed applicare l’art. 33 dello Statuto, non avendo rispettato i principi ermeneutici prescritti dall’art. 1362 ss. c.c.; dovendo la clausola essere interpretata nel suo significato letterale, non può essere interpretata in buona fede e, in ogni caso, il giudice non può sovrapporre una propria soggettiva opinione all’effettiva volontà dei contraenti.
23.1. – Il mezzo ripropone le censure sull ‘interpretazione dell’art. 33 dello statuto proposte anche negli altri giudizi, rispetto ad una identica pronuncia della Corte di merito giudicante il caso. La censura è inammissibile per quanto precisato sub 11.1 e 12.1.
24. -Con il terzo motivo: Violazione art 360, comma 1, n.3, c.p.c., con riferimento alla pretesa violazione delle norme ritenute imperative, omesso esame delle deduzioni dell’appellante, palese illogicità nell’applicazione delle norme ritenute imperative. L’unico limite di natura costituzionale in materia di associazioni è quello di cui all’art. 18 della Costituzione, che prevede la libertà di associazione, ragion per cui sono irrilevanti altri elementi, e comunque l’art. 33, comma 2, dello statuto non limita la libertà di associazione. I diritti riguardanti la possibilità di ricoprire cariche elettive sono disponibili, ragion per cui non vi è un diritto imperativo che preveda la loro intangibilità. Non sussiste per le associazioni non riconosciute l’obbligo di darsi un ordinamento democratico, e comunque i principi notori in materia di democrazia sono stati rispettati; non vi è alcuna violazione del diritto di difesa, che non viene compresso in alcun modo, e la clausola rispetta pienamente il principio di eguaglianza, non creando disparità di trattamento fra soggetti all’interno della stessa.
25. -Con il quarto motivo: Art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. nullità della sentenza per vizio radicale di motivazione in relazione all’art 132, n. 4 c.p.c., manifesta illogicità, contraddittorietà e perplessità in ordine all’applicazione delle asserite norme di democrazia, diritto di difesa ed eguaglianza. La ricorrente lamenta l’assenza, l’illogicità e la contraddittorietà delle motivazioni delle due sentenze, oltre che
la loro evidente ed eccessiva sommarietà, con conseguente nullità delle medesime pronunce.
26. -Con il quinto motivo: Art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per violazione o falsa applicazione dell’art. 18 della Costituzione. L’unico principio costituzionale applicabile alle associazioni è quello del diritto di associarsi, ragion per cui non possono applicarsi altri principi quali il principio di democrazia, diritto di difesa e uguaglianza.
26.1. – Il terzo , il quarto e il quinto motivo ripropongono le medesime censure proposte anche negli altri giudizi rispetto ad identiche pronunce della Corte di merito giudicante il caso. Le censure sono inammissibili per quanto precisato sub 16.1.
Nel giudizio r.g. n. 10804/2023 la ricorrente deduce:
27. -Con il primo motivo: Mancanza di motivazione e/o motivazione perplessa od incomprensibile con riferimento all’art. 360, n. 4, c.p.c. in merito alla eccepita cessazione della materia del contendere. violazione dell’art. 100 c.p.c., nullità della sentenza ex art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c. Il motivo, in sintesi, evidenzia che il Giudice di secondo grado non ha valutato l’intervenuta cessazione della materia del contendere (per essere state rinnovate, nelle more, le cariche sociali con elezioni cui il Pozzebon non ha partecipato) e le relative conseguenze in ordine all’estinzione del giudizio, alla soccombenza virtuale ed alla liquidazione delle spese.
27.1. -Il mezzo ripropone le medesime censure proposte anche negli altri giudizi rispetto ad identiche pronunce della Corte di merito giudicante il caso. Le censure sono inammissibili per quanto precisato sub 21.1.
28. -Con il secondo motivo: Violazione o falsa applicazione dell’art. 23 c.c. con riferimento alla mancanza di interesse ad agire per tutela dei diritti acquisiti dai terzi in buona fede, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Lamenta la ricorrente che il giudice di primo e di secondo grado aveva erroneamente applicato l’art 23 c.c., non essendo in ogni caso possibile annullare le elezioni svoltesi e oggetto della presente causa, in quanto a norma del secondo comma del
suddetto articolo, l’annullamento della deliberazione non può pregiudicare i diritti acquisiti da terzi in buone fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima, conseguente carenza di interesse ad agire di parte Pozzebon.
29. -Con il quarto motivo: Violazione o falsa applicazione dell’art. 23 c.c. applicabile solamente alle delibere assembleari, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. Con l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, quindi, Pozzebon ha impugnato le elezioni del 27.4.2016, del 4.5.2016 e del 16.5.2016: ma non sono suscettibili di impugnazione le elezioni o gli esiti elettorali, non essendo assimilabili a deliberazioni assembleari, come invece prevede testualmente l’art 23 c.c. che, essendo norma eccezionale, non si applica oltre i casi e i tempi in essa considerati. Sul punto si rileva anche la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione dei giudici di primo e secondo grado.
29.1. -Il secondo e il quarto motivo, da trattarsi unitariamente, in quanto correlati tra loro, non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata.
La Corte d’Appello ha infatti ritenuto che l’azione promossa riguardasse «le delibere associative, quand’anche prese da organi monocratici, che hanno escluso l’appellato dalla competizione elettorale e, di conseguenza, gli esiti della stessa». Ed è innegabile che l’annullamento delle delibere di esclusione dei controricorrenti non può che riflettersi sulla validità delle elezioni avvenute senza la loro partecipazione. Su tale motivazione, seppur sintetica, il mezzo non muove alcuna censura.
Egualmente, la censura del quarto mezzo non chiarisce adeguatamente perché le delibere adottate da organi monocratici dell’associazione non possano esser considerate delibere associative soggette all’art. 23 c.c., ma continua a rappresentare che l’impugnativa riguardi direttamente le procedure elettorali.
30. -Con il terzo motivo: Violazione o falsa applicazione delle norme in tema di prescrizione dell’azione di nullità/annullamento, violazione dell’art. 23 c.c., art. 1422 cc ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Si deduce che COGNOME ha incardinato la domanda sul presupposto che fosse da dichiarare nullo, inefficace o da annullare l’art. 33, secondo comma, dello Statuto non in via incidentale ma con efficacia di giudicato, con conseguente applicabilità del termine quinquennale di prescrizione entro il quale avrebbe dovuto essere proposta l’impugnazione della deliberazione di approvazione dello Statuto (11.11.2010).
30.1. -Il terzo mezzo ripropone le medesime censure proposte anche negli altri giudizi rispetto ad identiche pronunce della Corte di merito giudicante il caso. Le censure sono inammissibili per quanto precisato sub 19.1.
31. -Con il quinto motivo: Errata interpretazione ed applicazione dell’art. 33, comma secondo, dello statuto di Confartigianato per evidente violazione delle norme in tema di interpretazione dei contratti, artt. 1362 ss. c.c., violazione dell’art 360, comma 1, n. 3. Nullità della sentenza per motivazione apparente art. 360, comma 1, n. 4. Violazione dell’art 100 c.p.c. in tema di pronuncia secondo diritto art. 360, comma 1, n.3, c.p.c. Violazione dell’art. 113 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3 e 4, c.p.c. Rileva parte ricorrente che lo statuto e l’atto costitutivo di un’associazione costituiscono espressione di autonomia negoziale e sono regolati dai principi generali del negozio giuridico, che il giudice di primo e di secondo grado hanno errato nell’interpretare ed applicare l’art. 33 dello statuto, non avendo rispettato i principi ermeneutici prescritti dall’art. 1362 e segg. c.c.; dovendo la clausola essere interpretata nel suo significato letterale, non può essere interpretata in buona fede e, in ogni caso, il giudice non può sovrapporre una propria soggettiva opinione all’effettiva volontà dei contraenti.
31.1. – Il quinto motivo ripropone le medesime censure proposte anche negli altri giudizi rispetto ad identiche pronunce della Corte di
merito giudicante il caso. Le censure sono inammissibili per quanto precisato sub 11.1 e 12.1.
32. -Con il sesto motivo: Violazione art. 360, comma 1, n.3, c.p.c., con riferimento alla pretesa violazione delle norme ritenute imperative, omesso esame delle deduzioni dell’appellante, palese illogicità nell’applicazione delle norme ritenute imperative. L’unico limite di natura costituzionale in materia di associazioni è quello di cui all’art. 18 della Costituzione, che prevede la libertà di associazione, ragion per cui sono irrilevanti altri elementi e comunque l’art. 33, secondo comma, dello statuto non limita la libertà di associazione. I diritti riguardanti la possibilità di ricoprire cariche elettive sono disponibili, ragion per cui non vi è un diritto imperativo che preveda la loro intangibilità. Non sussiste per le associazioni non riconosciute l’obbligo di darsi un ordinamento democratico e comunque i principi notori in materia di democrazia sono stati rispettati, non vi è alcuna violazione del diritto di difesa che non viene compresso in alcun modo, la clausola rispetta pienamente il principio di eguaglianza, non creando disparità di trattamento fra soggetti all’interno della stessa.
33. -Con il settimo motivo: Art. Art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. nullità della sentenza per vizio radicale di motivazione in relazione all’art 132, n. 4 c.p.c., manifesta illogicità, contraddittorietà e perplessità in ordine all’applicazione da parte della corte d’appello delle asserite norme di democrazia, diritto di difesa ed eguaglianza. La ricorrente lamenta l’assenza, l’illogicità e la contraddittorietà delle motivazioni delle due sentenze, oltre che la loro evidente ed eccessiva sommarietà, con conseguente nullità delle medesime pronunce. 34. -Con l’ottavo motivo: Art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per violazione o falsa applicazione dell’art. 18 della Costituzione. L’unico principio costituzionale applicabile alle associazioni è quello del diritto di associarsi, ragion per cui non possono applicarsi altri principi quali il principio di democrazia, diritto di difesa e uguaglianza.
34.1. – Il sesto, il settimo e l ‘ottavo mezzo ripropongono le medesime censure proposte anche negli altri giudizi rispetto ad identiche
pronunce della Corte di merito giudicante il caso. Le censure sono inammissibili per quanto precisato sub 16.1.
35 .-Per quanto esposto, i ricorsi vanno dichiarati complessivamente inammissibili, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte, riuniti i ricorsi r.g. nn. 14683/2022, 10850/2023 e 10804/2023, li dichiara inammissibili, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 10.000 per compensi e € 200 per esborsi , oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione