Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1895 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1895 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 28599/2018 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata in Roma, presso l’AVV_NOTAIO, INDIRIZZO ; -ricorrente –
contro
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato in Roma, presso gli ultimi due Avvocati, INDIRIZZO;
-controricorrente –
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Trieste, n. 80/2018, pubblicata il 27 luglio 2018 e notificata in pari data.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME, con ricorso depositato presso il Tribunale di Udine, il 12 maggio 2014, ha esposto che:
era stato nominato Direttore RAGIONE_SOCIALE dell’RAGIONE_SOCIALE con un contratto della durata di cinque anni e di avere svolto le relative funzioni dal 17 maggio 2010 finché, con lettera del 2 dicembre 2013, l’Azienda non gli aveva comunicato la ce ssazione del contratto ai sensi dell’art. 7, capoverso 4, del medesimo contratto, il quale prevedeva che, in ipotesi di nomina di nuovo Direttore generale, il rapporto si sarebbe sciolto;
la clausola in questione era da considerare nulla;
aveva diritto al risarcimento del danno subito.
Il Tribunale di Udine, nel contraddittorio delle parti, con sentenza pronunciata il 23 luglio 2015, ha rigettato la domanda.
NOME COGNOME ha proposto appello che la Corte d’appello di Trieste, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 80/2018, ha accolto.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
NOME COGNOME si è difeso con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo parte ricorrente lamenta la violazione degli artt. 3 e 3 bis del d.lgs. n. 502 del 1992 in relazione all’art. 1419 c.c. perché la clausola
contrattuale oggetto del contendere non avrebbe dovuto essere dichiarata illegittima, in quanto il sistema del c.d. spoils system sarebbe stato legittimo con riguardo agli incarichi dirigenziali apicali che non attenevano a una semplice attività di gestione, come era quello di Direttore RAGIONE_SOCIALE. Inoltre, la validità di tale clausola sarebbe derivata dalla natura fiduciaria dell’incarico.
La doglianza è infondata.
RAGIONE_SOCIALE ha chiarito, con riferimento alla figura del Direttore amministrativo, ma il principio può essere esteso anche alla figura del Direttore RAGIONE_SOCIALE, che, ai sensi dell’art. 3 bis del d.lgs. n. 502 del 1992 e dell’art. 2 del d.P.C.M. n. 502 del 1995, come modificato dal d.P.C.M. n. 319 del 2001, il contratto di lavoro del Direttore amministrativo dell’RAGIONE_SOCIALE, avente durata non inferiore a tre e non superiore a cinque anni, è regolato dal diritto privato e soggiace, in mancanza di una specifica disciplina RAGIONE_SOCIALE sulle cause di risoluzione del rapporto, alle norme, imperative e non derogabili dalla volontà negoziale delle parti, del titolo terzo del libro quinto del codice civile, sicché, in mancanza di giusta causa ex art. 2119 c.c., il rapporto di lavoro non può risolversi anticipatamente rispetto al periodo minimo triennale, dovendosi ritenere nulla la clausola che consenta il recesso ad nutum -con contestuale decadenza dall’incarico – per il venire meno del rapporto fiduciario tra direttore generale e direttore amministrativo e a quest’ultimo, in applicazione della disciplina propria del recesso per giusta causa derivante da inadempimento, spetta, in tale evenienza, l’integrale risarcimento del danno e non solamente il mero rimborso delle spese sostenute e il compenso per l’opera fino a quel momento prestata ai sensi dell’art. 2237 c.c. (Cass., Sez. L, n. 14349 del 9 luglio 2015).
D’altronde, deve tenersi conto che l’art. 3 bis del d.lgs. n. 502 del 1992 prevede, nel testo ratione temporis applic abile, che ‘
La stessa Corte costituzionale ha affermato con varie decisioni l’incompatibilità con l’art. 97 Cost. di disposizioni di legge, statali o regionali, che prevedono meccanismi di revocabilità ad nutum o di decadenza automatica dalla carica, dovuti a cause estranee alle vicende del rapporto instaurato con il titolare e non correlati a valutazioni concernenti i risultati conseguiti da quest’ultimo nel quadro di adeguate garanzie procedimentali (sentenze n. 52 del 2017, n. 15 del 2017, n. 20 del 2016, n. 104 e n. 103 del 2007), quando tali meccanismi siano riferiti non al personale addetto agli uffici di diretta collaborazione con l’organo di governo (sentenza n. 304 del 2010) oppure a figure apicali, per le quali risulti decisiva la personale adesione agli orientamenti politici dell’or gano nominante, ma a titolari di incarichi dirigenziali che comportino l’esercizio di funzioni tecniche di attuazione dell’indirizzo politico (sentenze n. 269 del 2016, n. 246 del 2011, n. 81 del 2010 e n. 161 del 2008).
In particolare, la sentenza n. 224 del 2010 della Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 6, della legge della Regione Lazio n. 18 del 1994 (Disposizioni per il riordino del servizio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni e integrazioni. Istituzione delle aziende unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere), il quale prevedeva che «il direttore amministrativo e il direttore RAGIONE_SOCIALE cessan o dall’incarico entro tre mesi dalla data di nomina del nuovo direttore generale e possono essere riconfermati».
In questo caso, la Corte costituzionale ha compiuto talune puntualizzazioni volte, rispetto a quanto affermato dalla sua precedente sentenza n. 233 del 2006, a valorizzare, soprattutto , il principio di continuità dell’azione amministrativa che rinviene il suo fondamento nell’art. 97 Cost.
Ha così precisato che i meccanismi di decadenza automatica, «ove riferiti a figure dirigenziali non apicali, ovvero a titolari di uffici amministrativi per la cui scelta l’ordinamento non attribuisce, in ragione delle loro funzioni, rilievo esclusivo o prevalente al criterio della personale adesione del nominato agli orientamenti politici del titolare dell’organo che nomina, si pongono in contrasto
con l’art. 97 Cost., in quanto pregiudicano la continuità dell’azione amministrativa, introducono in quest’ultima un elemento di parzialità, sottraggono al soggetto dichiarato decaduto dall’incarico le garanzie del giusto procedimento e svincolano la rimoz ione del dirigente dall’accertamento oggettivo dei risultati conseguiti» (sentenze n. 34 del 2010, n. 351 e n. 161 del 2008, n. 104 e n. 103 del 2007).
Più di recente, la Corte costituzionale, con sentenza n. 26 del 2023, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 5, secondo periodo, della legge della Regione Calabria n. 11 del 2004 (Piano Regionale per la Salute 2004/2006), la quale stabiliva che gli incarichi di direttore RAGIONE_SOCIALE e di direttore amministrativo delle aziende del servizio RAGIONE_SOCIALE «hanno comunque termine ed i relativi rapporti di lavoro sono risolti di diritto, nell’ipotesi di cessazione, per revoca, decadenza, dimissioni o qualsiasi altra causa, del direttore generale».
Ciò sempre per violazione dell ‘ art. 97, comma 2, Cost., in relazione al principio di buon andamento dell’azione amministrativa, e richiamando le sue sentenze n. 228 del 2011 e n. 224 del 2010, in contrapposizione alla sentenza n. 233 del 2006.
Infatti, in forza della specifica modalità con cui era strutturato il principio simul stabunt, simul cadent dall ‘ art. 15, comma 5, secondo periodo, della legge Regione Calabria n. 11 del 2004, l ‘ ente risulterebbe esposto al rischio di subire un periodo di discontinuità gestionale, in ipotesi anche prolungato, in cui il vacuum riguarderebbe tutti i tre direttori preposti, secondo le loro rispettive competenze, al governo dell ‘ ente stesso.
La norma censurata, inoltre, con l ‘ effetto automatico che determinava, «non àncora l’interruzione del rapporto di ufficio in corso a ragioni ‘ interne ‘ a tale rapporto» (sentenza n. 224 del 2010), legate alle modalità di svolgimento delle funzioni del direttore amministrativo e di quello RAGIONE_SOCIALE.
Essa pretermetteva del tutto una fase valutativa dei comportamenti tenuti dall’interessato, in cui al dirigente fosse consentita la possibilità di fare valere le
proprie ragioni, sulla base dei risultati delle prestazioni rese e delle competenze esercitate in concreto nella gestione dei servizi amministrativi a lui affidati.
L’interruzione automatica del rapporto stabilita dalla norma censurata escludeva, quindi, ogni possibilità di valutazione qualitativa dell’operato del direttore amministrativo e di quello RAGIONE_SOCIALE.
In presenza, invece, di tale possibilità, il nuovo direttore generale, per fare cessare dall’incarico il direttore amministrativo e quello RAGIONE_SOCIALE, sarebbe stato tenuto a specificare le ragioni, connesse alle pregresse modalità di svolgimento delle funzioni dirigenziali da parte dell’interessato, «idonee a fare ritenere sussistenti comportamenti di quest’ultimo suscettibili di integrare la violazione delle direttive ricevute o di determinare risultati negativi nei servizi di competenza e giustificare, dunque, il venir meno della necessaria consonanza di impostazione gestionale» (sentenza n. 228 del 2011).
Anche da questo punto di vista, allora , l’automatismo della disciplina in discorso, con la mancata previsione di una fase procedurale che faccia dipendere «la decadenza da pregressa responsabilità del dirigente, comporterebbe una vera e propria ‘ discontinuità della gestione ‘ » che, risultando priva di una motivata giustificazione, si porrebbe in contrasto con il principio del buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost. ( sentenza n. 224 del 2010).
Queste conclusioni sono state fatte proprie da Cass., Sez. L, n. 19739 dell’ 11 luglio 2023.
Quanto sopra evidenzia come siano di fondo vietati, dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, meccanismi di decadenza automatica, «ove riferiti a figure dirigenziali non apicali, ovvero a titolari di uffici amministrativi per la cui scelta l’ordinamento non attribuisce, in ragione delle loro funzioni, rilievo esclusivo o prevalente al criterio della personale adesione del nominato agli orientamenti politici del titolare dell’organo che nomina. Ciò per contrasto con l’art. 97 Cost.
Pertanto, siccome la specifica normativa statale in materia, vale a dire l’art. 3 bis del d.lgs. n. 502 del 1992, rinvia, per la disciplina delle cause di risoluzione del rapporto con il Direttore amministrativo e quello RAGIONE_SOCIALE, alla legislazione RAGIONE_SOCIALE la quale, a sua volta, deve essere conforme ai principi sanciti dall’art. 97 Cost., deve affermarsi che l’art. 3 bis del d.lgs. n. 502
del DATA_NASCITA.
Ne deriva che la motivazione della sentenza di appello deve essere corretta, ex art. 384, u.c., c.p.c., nella parte in cui, al contrario, sembra ritenere utilizzabile , nella specie, l’art. 2237 c.c.
In conseguenza delle considerazioni di cui sopra, va considerata illegittima anche una clausola contrattuale come quella oggetto di causa, la quale prescriva che, in ipotesi di nomina di nuovo Direttore generale, il rapporto con il Direttore RAGIONE_SOCIALE si sciolga automaticamente.
Nessun pregio ha, poi, la considerazione della parte ricorrente sulla natura apicale dell’incarico di Direttore RAGIONE_SOCIALE, la quale non considera adeguatamente il rapporto fra quest’ultimo e il Direttore generale (sulla natura sub apicale del Direttore amministrativo e di quello RAGIONE_SOCIALE, si rinvia a Corte costituzionale n. 209 del 2021; per quella non apicale del Direttore amministrativo, cfr. Corte costituzionale n. 26 del 2023).
Il secondo ed il terzo motivo, con i quali parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2237 c.c. e dell’art. 3 bis, comma 8, d.lgs. n. 502 del 1992, perché la corte territoriale non avrebbe riconosciuto la possibilità di recedere ad nutum dal contratto in esame, e dell’art. 2237 c.c., nella parte in cui sarebbe stato liquidato in favore di NOME COGNOME il risarcimento del danno, sono respinti per le ragioni che hanno condotto al rigetto del primo motivo.
Il ricorso è rigettato, in applicazione del seguente principio di diritto:
‘ È nulla la clausola del contratto concluso fra il Direttore RAGIONE_SOCIALE e l’azienda sanitaria la quale preveda lo scioglimento automatico del rapporto in ipotesi di nomina di nuovo Direttore generale; in tale evenienza, il detto Direttore RAGIONE_SOCIALE ha diritto all’integrale risarcimento del danno e non solamente al mero rimborso delle spese sostenute e al compenso per l’opera fino a quel momento prestata , non trovando applicazione l’art. 2237 c.c. perché disposizione incompatibile con l’art. 3 bis del d.lgs. n. 502 del 1992 ‘.
Le spese di lite, da distrarre in favore dei difensori del controricorrente, dichiaratisi antistatari, seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in € 8.000,00 per compenso, oltre € 200,00 per esborsi, accessori di legge e spese generali nella misura del 15%, da distrarre in favore dei difensori del controricorrente, dichiaratisi antistatari;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza, a carico di parte ricorrente, dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 19