Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18928 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 18928 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 544-2023 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2311/2022 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 22/06/2022 R.G.N. 2524/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/04/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Oggetto
R.G.N. 544/2023
COGNOME.
Rep.
Ud. 24/04/2024
CC
Fatti di causa
La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza in atti, ha rigettato l’appello proposto da COGNOME NOME avverso la sentenza con cui il tribunale di Napoli rigettava la domanda con cui il lavoratore chiedeva di accertare il suo diritto ad essere assunto alle dipendenze della RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 6 del CCNL Federambiente avendo maturato il requisito dei 240 giorni nel periodo dal 12/9/2016 al 28/10/2017, ordinando alla convenuta l’immediata assunzione dall’1/11/2017 ed il pagamento delle mensilità medio tempore maturate.
Il tribunale aveva rigettato il ricorso del lavoratore ritenendo che il comma 2 dell’articolo 6 del CCNL Federambiente sottolineava l’esigenza di valorizzare la situazione apparente al momento del subentro e che – sulla scorta di elenchi del personale adibiti al cantiere che evidenziavano prima l’esclusione e poi l’inclusione del ricorrente tra gli addetti al cantiere – il dato formale non sussisteva, né poteva essere opposto alla RAGIONE_SOCIALE atteso che parte ricorrente, come da verbale di accordo sindacale, non risultava dipendente del RAGIONE_SOCIALE.
La Corte d’appello, invece, ha affermato che ai fini del diritto alla continuazione del rapporto di lavoro in favore di coloro che prestano servizio alle dipendenze di aziende appaltatrici in un settore soggetto a frequenti mutamenti nella gestione degli appalti, l’art. 6 invocato sanciva il diritto dei lavoratori all’assunzione alle dipendenze dell’impresa subentrante nel medesimo appalto purché avessero maturato un’anzianità pari a 240 giorni.
Ai fini dell’accertamento del diritto al passaggio alle dipendenze dell’azienda subentrante non erano vincolanti gli esiti degli incontri eventualmente intervenuti tra le società coinvolte nel passaggio, il Comune committente e le organizzazioni sindacali
e nemmeno gli elenchi dei lavoratori predisposti dalla società uscente; incombeva invece al lavoratore che invoca il diritto al passaggio l’onere, ai sensi dell’art. 2697, comma 1 c.c. di provare la sussistenza del requisito di 240 giorni di anzianità presso il cantiere al momento del cambio di appalto.
Nel caso di specie tuttavia l’esame di tutti gli elementi acquisiti agli atti della causa deponevano per l’insussistenza in capo al COGNOME del suddetto requisito.
In particolare la Corte di appello ha ritenuto dirimente la circostanza che nell’elenco inviato dal RAGIONE_SOCIALE al Comune di Frattamaggiore in data 8/2/2017, relativo alle 61 unità di personale impiegato presso il cantiere, come da capitolato, non risultava inserito il COGNOME, atteso che il predetto elenco cristallizzava il personale del cantiere in un preciso momento storico e proveniva proprio dal soggetto che gestiva l’appalto, che aveva la qualità di datore di lavoro.
Inoltre ha valutato che in data 27.7.2017 la RAGIONE_SOCIALE aveva inviato al Comune di Frattamaggiore una comunicazione in cui faceva presente che, in data 19/07/2017, erano stati licenziati due dipendenti addetti al ‘cantiere’ di Frattamaggiore, COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali avevano impugnato il licenziamento e che il RAGIONE_SOCIALE intendeva ‘sostituirli’ con due lavoratori estranei al cantiere ( il ricorrente e l’NOME) e che ciò avrebbe creato problemi in vista del previsto cambio di appalto.
Altrettanto dirimente era poi la circostanza che nel successivo elenco, sempre relativo a numero 61 lavoratori datato 9/10/2017, predisposto dal RAGIONE_SOCIALE, non figuravano più i due dipendenti COGNOME NOME e COGNOME NOME bensì vi erano inseriti al loro posto, essendo il dato numerico delle 61 unità invariato, il COGNOME e l’COGNOME.
Era dunque evidente che, pur prescindendo da ogni altra valutazione, essendo pacifico che i primi erano stati licenziati in data 12/7/2017, pur ritenendo che il COGNOME (come l’altro lavoratore) fosse stato addetto al cantiere dal giorno dopo il licenziamento in sostituzione dei predetti dipendenti – essendo, per le ragioni già esposte, documentalmente provato che non vi era stato addetto in una data anteriore – l’odierno appellante non aveva maturato i 240 giorni di anzianità alla data del subentro (28/10/2017).
Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME con quattro motivi ai quali ha resistito RAGIONE_SOCIALE con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo si chiede la cassazione della sentenza ai sensi dell’articolo 360 numero 3 c.p.c., per la violazione dell’articolo 6 del CCNL RAGIONE_SOCIALE nonché degli artt. 1362 e 1363 c.c. per avere la Corte territoriale non correttamente interpretato la norma, ritenendo rilevanti ai fini del diritto all’assunzione del lavoratore le attività preliminari di comunicazione fra la ditta uscente e quella subentrante.
1.1.- Il motivo non è fondato, posto che la Corte di Napoli ha invece affermato il contrario e cioè che non rilevassero le comunicazioni in sé, ma rilevasse solo il diritto all’assunzione fondato sulla prova della dimostrazione dell’anzianità di servizio per 240 giorni precedenti l’appalto.
1.2. Effettuata tale corretta premessa sul piano logico giuridico, la Corte ha poi rilevato attraverso un articolato accertamento, anche di natura presuntiva, che dall’insieme delle prove documentali prodotte nella causa (costituite dalle comunicazioni tra le ditte, ma non solo) non emergesse la dimostrazione della
maturazione dei presupposti di anzianità richiesti ai fini dell’assunzione, ma emergesse semmai la prova contraria.
Tale valorizzazione documentale è rimasta peraltro coerente con la premessa ovvero è stata contenuta dalla Corte di merito sul piano probatorio e non ha di certo sconfinato sul piano costitutivo del diritto all’assunzione.
Non c’è perciò alcun contrasto con la ordinanza richiamata nella memoria depositata prima dell’udienza (n. 31491 del 13.11.2023) la quale ha pure affermato che ‘…l’art. 6 CCNL cit. non prevede alcun ‘condizionamento’ del diritto dei dipendenti (dell’impr esa uscente) ad essere assunti (da quella subentrante nell’appalto) all’avvenuto adempimento dei predetti obblighi procedimentali di comunicazione, sicché l’obbligo di assunzione a carico dell’impresa subentrante resta in ogni caso integro.’ Ed invero anche nel caso di specie la domanda del ricorrente non è stata respinta per la mancanza di formalizzazione della sua presenza nella documentazione aziendale, ma perché il lavoratore non aveva fornito in alcun modo la prova della necessaria anzianità di servizio, la quale doveva anzi escludersi dall’esame della documentazione in atti.
2.- Con il secondo motivo si chiede la cassazione della sentenza ai sensi dell’articolo 360 n. 5 c.p.c. per la violazione dell’art. 115 c.p.c. per essere la decisione di rigetto fondata su prove inesistenti e per avere omesso l’esame di documentazione con conseguente vizio di motivazione.
3.- Con il terzo motivo si chiede la cassazione della sentenza ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per la violazione dell’articolo 115 c.p.c. per avere omesso la motivazione su di un punto decisivo della controversia.
4.- Con il quarto motivo si chiede la cassazione della sentenza ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5 c.p.c. per la violazione
dell’articolo 132, comma 2 c.p.c. per motivazione contraddittoria ed apparente.
5.- I motivi 2, 3, 4 sono inammissibili perché censurano valutazioni probatorie e vizi di motivazione del tutto inesistenti anche alla luce del dirimente e corretto accertamento effettuato dalla Corte di appello il quale risulta argomentato e conforme all’ordinamento. Essi s olo formalmente denunciano plurimi errores in iudicando, anche attraverso l’improprio riferimento all’art. 115 (cfr. Cass. n. 23940 del 2017 e Cass. n. 25192 del 2016, con la giurisprudenza ivi richiamata), mentre nella sostanza criticano la sentenza impugnata per come ha valutato le prove e ricostruito, in base ad esse, la durata del rapporto di lavoro del ricorrente.
6.- In proposito, occorre considerare che gli accertamenti di fatto non sono sindacabili in sede di legittimità oltre i limiti imposti dal novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014 (con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici), di cui parte ricorrente non tiene alcun conto, pretendendo piuttosto una rivalutazione degli accadimenti storici ed una revisione del giudizio di fatto non ammissibile in questa sede.
7.Deve ancora ribadirsi, in consonanza con l’orientamento di questa Corte (v. Cass., S.U. n. 20867 del 2020; Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), che la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità qualora il giudice, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in
concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale.
8.Infondate sono anche le censure di violazione dell’art. 132, n. 4 c.p.c. Come è noto, con le sentenze n. 8053 e 8054 del 2014 cit. si è precisato che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione”. La motivazione apparente, che determina nullità della sentenza perché affetta da error in procedendo , è quella che non consente di percepire il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. Cass. n. 22232 del 2016; Cass. n. 12351 del 2017).
9.- La motivazione resa dai giudici di appello non contiene alcuno dei vizi atti ad integrare la violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. poiché è ben espresso il percorso logico che sostiene il decisum, come sopra riassunto.
10.- Sulla scorta di quanto esposto il ricorso deve essere quindi respinto. Seguono le spese processuali a carico del soccombente secondo l’art. 91 c.p.c. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 3.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie, oltre accessori dovuti per legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 24.4.2024