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Clausola sociale: limiti al risarcimento del danno

Un lavoratore, escluso dall’assunzione in un cambio di appalto nonostante una clausola sociale, si vede riconosciuto il diritto all’assunzione dalla Corte d’Appello. La Corte di Cassazione, pur confermando il diritto del lavoratore, cassa la sentenza limitatamente alla quantificazione del risarcimento del danno. La Suprema Corte ha stabilito che la condanna non poteva estendersi oltre il periodo originariamente richiesto in primo grado, in applicazione del divieto di domande nuove in appello.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Clausola Sociale: Diritto all’Assunzione e i Limiti del Risarcimento

La clausola sociale negli appalti pubblici rappresenta una fondamentale garanzia per la stabilità occupazionale dei lavoratori. Tuttavia, la sua applicazione può generare contenziosi complessi, come dimostra una recente ordinanza della Corte di Cassazione. La Suprema Corte è intervenuta per chiarire i confini del risarcimento del danno spettante al lavoratore illegittimamente escluso, riaffermando un importante principio di procedura civile: il divieto di ampliare le proprie richieste in appello.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un lavoratore impiegato nel servizio di nettezza urbana per un Comune. A seguito di un cambio di appalto, la nuova società concessionaria, in base a un accordo sindacale che fungeva da clausola sociale, si era impegnata ad assumere il personale della precedente gestione. L’accordo prevedeva che i lavoratori assenti per cause giustificate (come malattia o aspettativa) sarebbero stati assunti al termine del periodo di impedimento.

Il lavoratore, in aspettativa al momento del passaggio, non veniva assunto. Decideva quindi di agire in giudizio per ottenere l’accertamento del suo diritto all’assunzione e la condanna della società al risarcimento del danno, quantificato per il periodo di durata dell’appalto.

Mentre il Tribunale di primo grado respingeva la sua domanda, la Corte d’Appello ribaltava la decisione. Riconosceva il diritto del lavoratore a essere assunto e condannava la società a corrispondergli le retribuzioni maturate dalla data di cessazione dell’impedimento fino alla sua effettiva riammissione in servizio. La società datrice di lavoro ha quindi proposto ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla Clausola Sociale

La Suprema Corte ha esaminato i motivi di ricorso della società, concentrandosi in particolare su due aspetti: la presunta modifica della domanda in appello e l’estensione della condanna risarcitoria.

Il punto cruciale della decisione riguarda il secondo motivo di ricorso. La Cassazione ha ritenuto fondata la censura della società, rilevando che la Corte d’Appello aveva condannato l’azienda a un risarcimento che andava oltre quanto richiesto dal lavoratore nel primo grado di giudizio. Inizialmente, la pretesa risarcitoria era stata espressamente limitata al periodo di durata dell’appalto; in appello, la richiesta era stata estesa “sino ad oggi”, portando la corte territoriale a una condanna fino all’effettiva riammissione.

Questa estensione, secondo la Cassazione, costituisce una violazione del divieto di novum in appello (art. 437 c.p.c.), ovvero il divieto di introdurre domande nuove. La sentenza d’appello è stata quindi cassata su questo punto, con rinvio a un’altra sezione della stessa Corte d’Appello per ricalcolare il danno entro i limiti della domanda originaria.

Le Motivazioni

La ratio decidendi della Corte si basa su un rigoroso rispetto dei principi processuali. Pur confermando nel merito il diritto sostanziale del lavoratore all’assunzione in virtù della clausola sociale, la Cassazione ha voluto riaffermare che i limiti della controversia (il petitum) sono fissati nell’atto introduttivo del primo grado. Il giudice d’appello non può accogliere una domanda quantitativamente o qualitativamente diversa e più ampia rispetto a quella iniziale. L’accoglimento della domanda “ampliata” in secondo grado ha determinato un vizio della sentenza, che doveva essere corretta.

La Corte ha invece rigettato il motivo relativo all’onere della prova. Ha chiarito che, una volta dimostrata dal lavoratore l’esistenza del suo diritto all’assunzione e la sua condizione di assenza giustificata (l’aspettativa), spettava alla società dimostrare l’eventuale fatto estintivo o impeditivo, come la cessazione dell’aspettativa in una data che avrebbe reso il lavoratore “rinunciatario”. Prova che, nel caso di specie, la società non aveva fornito.

Conclusioni

Questa ordinanza offre due importanti insegnamenti. Primo: la clausola sociale è uno strumento efficace che tutela il diritto del lavoratore al mantenimento del posto di lavoro nei cambi di appalto, anche in caso di assenza giustificata al momento del passaggio. Secondo: la tutela di un diritto sostanziale deve sempre muoversi all’interno dei binari del processo. È fondamentale per i lavoratori e i loro legali definire con precisione e completezza le proprie domande fin dal primo grado, poiché il giudizio di appello non consente di rimediare a eventuali omissioni o di ampliare le richieste iniziali.

Un lavoratore può modificare o ampliare la sua richiesta di risarcimento danni nel giudizio di appello?
No, la Cassazione ha ribadito che, in base al divieto di domande nuove (novum) in appello, la richiesta risarcitoria non può essere estesa a un periodo più lungo o a una somma maggiore rispetto a quella specificata nell’atto di primo grado.

In un cambio di appalto, chi deve provare l’esistenza di un impedimento all’assunzione secondo la clausola sociale?
Il lavoratore deve provare il suo diritto all’assunzione e l’esistenza di un impedimento temporaneo (come l’aspettativa). Una volta che questi fatti sono stati provati, l’onere si sposta sull’azienda, che deve dimostrare che il diritto si è estinto, ad esempio provando che l’impedimento è cessato in un momento tale da giustificare il mancato impiego.

L’assenza dal lavoro per aspettativa al momento del cambio appalto fa perdere il diritto all’assunzione previsto dalla clausola sociale?
No, sulla base di quanto stabilito nell’accordo sindacale oggetto della causa, l’assenza per un impedimento giustificato come l’aspettativa non elimina il diritto all’assunzione, ma ne posticipa l’effettività al momento in cui l’impedimento cessa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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