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Clausola sociale: diritto all’assunzione garantito

La Cassazione conferma il diritto all’assunzione dei lavoratori in caso di cambio appalto, basato sulla clausola sociale prevista dal CCNL. La Corte ha stabilito che tale clausola è direttamente applicabile e crea un diritto soggettivo per i dipendenti, rigettando sia il ricorso dell’azienda subentrante sia quello dei lavoratori che chiedevano emolumenti non richiesti in primo grado.

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Clausola Sociale negli Appalti: la Cassazione Conferma il Diritto all’Assunzione

Nel mondo dei contratti pubblici, la clausola sociale rappresenta un pilastro per la tutela dei lavoratori in caso di cambio appalto. Questa disposizione, spesso inserita nei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL), mira a garantire la stabilità occupazionale, obbligando la nuova azienda appaltatrice ad assumere il personale della precedente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza questo principio, definendone i contorni e le modalità di applicazione.

I Fatti di Causa: Un Complesso Cambio di Appalto

La vicenda riguarda un gruppo di lavoratori impiegati nel servizio di raccolta rifiuti per un Comune. Dopo una serie di avvicendamenti tra diverse società, i lavoratori si sono visti negare l’assunzione da parte dell’ultima azienda subentrante nell’appalto. Essi avevano già ottenuto una sentenza passata in giudicato che riconosceva il loro diritto a transitare presso una delle società precedenti, ma la nuova impresa si rifiutava di assumerli.

La questione è approdata prima al Tribunale, che ha respinto le domande dei lavoratori, e poi alla Corte d’Appello. Quest’ultima ha riformato la decisione di primo grado, accertando il diritto dei lavoratori a essere assunti dalla nuova società. La Corte territoriale ha fondato la sua decisione sul contratto di appalto stipulato tra il Comune e l’azienda, che richiamava espressamente l’applicazione del CCNL di settore, contenente la clausola sociale. Tuttavia, la stessa Corte ha dichiarato inammissibile la richiesta dei lavoratori di ottenere il pagamento degli emolumenti, poiché tale domanda era stata presentata per la prima volta solo in appello.

Contro questa sentenza, sia l’azienda che i lavoratori hanno proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Cassazione sulla clausola sociale

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i ricorsi, confermando integralmente la decisione della Corte d’Appello. Da un lato, ha consolidato il diritto dei lavoratori all’assunzione in virtù della clausola sociale; dall’altro, ha ribadito i limiti processuali alla modifica delle domande in corso di causa.

La Corte ha stabilito che l’obbligo di assunzione per l’impresa subentrante non è una mera facoltà, ma un vero e proprio diritto soggettivo del lavoratore, esigibile in forma specifica. Ha inoltre chiarito importanti aspetti procedurali, come la necessità per una parte, anche se non soccombente, di impugnare eventuali statuizioni negative contenute nella sentenza per evitare che diventino definitive.

Le Motivazioni: Analisi del Percorso Giuridico

Le motivazioni della Corte Suprema si articolano su due fronti principali: quello sostanziale, relativo all’efficacia della clausola sociale, e quello processuale, concernente la novità della domanda di pagamento.

La validità della clausola sociale e il diritto all’assunzione

La Cassazione ha respinto le argomentazioni della società, secondo cui la clausola del CCNL non fosse direttamente applicabile o esigibile in forma specifica. Citando un proprio precedente (Cass. n. 32805/2023), la Corte ha affermato che la previsione dell’art. 6 del CCNL Ambiente ha efficacia cogente nei confronti delle imprese affidatarie del servizio. Essa configura un vero e proprio diritto soggettivo all’assunzione in capo al lavoratore dell’impresa cessata. La “ratio” di questa norma è quella di evitare che l’avvicendamento nell’appalto determini la perdita di occupazione dei lavoratori ad esso addetti. Pertanto, l’obbligo di assunzione è pienamente tutelabile in giudizio.

Il Rigetto del Ricorso Incidentale dei Lavoratori: il divieto di “mutatio libelli”

Per quanto riguarda il ricorso dei lavoratori, la Corte ha confermato la decisione d’appello che riteneva inammissibile la domanda di pagamento degli emolumenti. La richiesta di condanna al pagamento, avanzata solo in secondo grado, costituisce una “mutatio libelli”, ovvero una modifica inammissibile della domanda originaria. Infatti, la domanda iniziale era limitata all’accertamento del diritto all’assunzione (costituzione del rapporto di lavoro), mentre quella successiva introduceva un petitum (oggetto della richiesta) e una causa petendi (ragione della richiesta) del tutto nuovi. Questo cambiamento avrebbe alterato il tema della controversia, disorientando la difesa della controparte e violando il principio del contraddittorio.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza della Cassazione offre importanti spunti di riflessione. In primo luogo, rafforza in modo significativo la tutela dei lavoratori nei cambi di appalto, confermando che la clausola sociale non è una mera dichiarazione di intenti, ma una norma che genera un diritto soggettivo all’assunzione, direttamente azionabile in tribunale. Le aziende che subentrano in un appalto devono quindi essere consapevoli di questo obbligo e non possono sottrarvisi arbitrariamente. In secondo luogo, la pronuncia richiama all’ordine sull’importanza della corretta formulazione delle domande fin dal primo atto del giudizio. Le parti devono definire con precisione le proprie richieste, poiché l’introduzione di domande nuove in appello è preclusa, anche se appaiono come una logica conseguenza delle richieste originarie.

La ‘clausola sociale’ prevista in un CCNL obbliga la nuova azienda in un cambio appalto ad assumere i lavoratori della precedente?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, la clausola sociale contenuta nel CCNL di settore (nello specifico, l’art. 6 del CCNL Ambiente) ha efficacia cogente e configura un vero e proprio diritto soggettivo all’assunzione in capo al lavoratore dell’impresa uscente, volto a prevenire la perdita del posto di lavoro.

È possibile chiedere per la prima volta in appello il pagamento degli stipendi arretrati se in primo grado si era chiesto solo il diritto all’assunzione?
No, non è possibile. La Corte ha stabilito che tale richiesta costituisce una domanda nuova (una ‘mutatio libelli’), inammissibile in appello, perché introduce un oggetto (petitum) e una ragione della pretesa (causa petendi) diversi e ulteriori rispetto alla domanda originaria di costituzione del rapporto di lavoro.

Cosa succede se un’azienda non impugna una statuizione per lei sfavorevole contenuta in una sentenza in cui non è risultata formalmente soccombente?
Quella statuizione può diventare definitiva (passare in giudicato) anche nei suoi confronti. La Corte ha chiarito che la parte, pur non essendo soccombente nel complesso, ha l’onere di impugnare specificamente la statuizione negativa tramite un appello incidentale (anche condizionato) per evitare che diventi incontestabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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