Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9133 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 9133 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso 18954-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO COGNOME, (Studio Legalia), rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, tutte elettivamente domiciliate in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO COGNOME, rappresentate e difese dagli avvocati NOME COGNOME, COGNOME;
– controricorrenti –
nonchè contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
Rep.
Ud. 14/02/2024
CC
avverso la sentenza n. 526/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 16/04/2019 R.G.N. 1711/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/02/2024 dal AVV_NOTAIO.
Fatti di causa
La Corte d’appello di Bari, con la sentenza in atti, ha accolto gli appelli proposti da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ed ha quindi dichiarato il diritto delle appellanti alla prosecuzione del rapporto di lavoro con il RAGIONE_SOCIALE con decorrenza da settembre 2017; ha condannato la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE al ripristino dei rapporti di lavoro con COGNOME NOME alle condizioni stabilite nel capitolato d’appalto n. 26 dell’1 dicembre 2015, nonché la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE al ripristino del rapporto di lavoro con COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME ed COGNOME NOME, sempre alle condizioni stabilite nel capitolato d’appalto n. 26 dell’dicembre 2015; ha condannato le predette RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore di ciascuna delle appellanti delle retribuzioni maturate a far data dall’11/10/2017 fino al di’ del ripristino del rapporto di lavoro, oltre accessori e spese legali nei termini liquidati in sentenza.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE con quattro motivi a cui hanno resistito con un controricorso le lavoratrici COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e con distinto controricorso la lavoratrice COGNOME NOME.
Le parti hanno depositato memorie conclusive. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Col primo motivo di ricorso si deduce ex art. 360 n.3 c.p.c. violazione e/o falsa applicazione dell’art.37 del CCNL per i dipendenti delle RAGIONE_SOCIALE del settore socio sanitario, assistenziale educativo e di inserimento lavorativo del 16/12/2011 (applicabile la ratione temporis); in quanto la sentenza impugnata avrebbe violato o falsamente applicato l’art.37 del CCNL RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE perché ha ritenuto operante e vincolante la c.d. clausola sociale con cui si disponeva l’assunzione del personale impiegato nell’impresa cessante ad una ipotesi in cui il nuovo capitolato d’appalto (cui erano vincolate le ricorrenti) prevedeva in realtà tipologie e qualifiche di personale diverse dal precedente.
1.2. Inoltre, con una seconda censura viene dedotta ex art.360 n. 3 c.p.c. violazione e/o falsa applicazione della legge n. 1098/1940, recanti la disciplina delle professioni sanitarie ausiliarie infermieristiche e di igiene sociale nonché dell’arte ausiliaria di puericultrice, in uno con la violazione e/o falsa applicazione del CCNL RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, per avere la sentenza impugnata illegittimamente accomunato la qualifica di puericultrice e quella di educatrice richiesta dal Regolamento regionale n. 4/2007.
Infatti, la legge n. 1098/1940 prevede che per l’esercizio dell’arte della puericultrice sia rilasciata una licenza a chiusura di un corso annuale; mentre il regolamento regionale n.4/2007 che concorre all’interpretazione dell’applicazione della clausola sociale, impone quale requisito equipollente titoli di studio di ben altro profilo, oltre lo svolgimento di un’esperienza pratica triennale e quantomeno un diploma di maturità di scuola superiore.
1.3. Il primo motivo di ricorso risulta infondato sotto entrambi i profili denunciati, avendo la Corte di appello risolto la questione in oggetto in stretta aderenza alle norme dettate dal CCNL, dal Capitolato di appalto e dal Regolamento regionale correttamente richiamate nella pronuncia.
1.4. La Corte d’appello ha infatti accolto il motivo di gravame avanzato dalle lavoratrici con il quale sostenevano che l’art. 37 lett. B) CCNL Cooperative RAGIONE_SOCIALE e l’art. 8 del Capitolato d’appalto salvaguardassero il diritto alla prosecuzione della loro prestazione lavorativa alle dipendenze della ditta aggiudicataria del servizio, alle medesime condizioni normative ed economiche delle quali godevano con il precedente aggiudicatario.
L’articolo 37 cit. lett. B), il cui contenuto è stato richiamato in sentenza dalla Corte di appello, dispone infatti che l’azienda subentrante, nel caso in cui siano rimaste invariate le prestazioni richieste risultanti nel capitolato d’appalto o convenzione assumerà, nei modi e condizioni previsti dalle leggi vigenti, fermo restando la risoluzione dei rapporti di lavoro da parte dell’impresa cessante, il personale addetto all’appalto o convenzione stessi, salvo quanto previsto al punto d)….’
La Corte ha quindi osservato che nel caso di specie l’art. 37, cui fa riferimento l’art. 8 del capitolato d’appalto, fosse pacificamente applicabile nei riguardi delle società appellate e contenesse prescrizioni precise e categoriche, nonché una disciplina procedimentale che non lascia alcun dubbio sulla sua portata precettiva ed il cui senso letterale ha il dichiarato scopo di perseguire la continuità e le condizioni di lavoro acquisite della personale.
L’art. 37 è in effetti frutto di un accordo sindacale che configura obblighi per le parti stipulanti ed ha un contenuto vincolante che non poteva essere disatteso; anche in conformità alla stessa giurisprudenza di legittimità
richiamata dalla Corte territoriale (Cass. n. 15684/2016), che ha già vagliato la medesima normativa in oggetto osservando che ‘ In tema di personale dipendente delle RAGIONE_SOCIALE, qualora nel contratto di appalto (nella specie, per la pulizia di locali) sia subentrata una nuova azienda, quest’ultima è tenuta ad assumere il personale già dipendente dell’azienda cessata ove siano rimaste invariate le prestazioni richieste e risultanti nel capitolato d’appalto, trattandosi di obbligo contrattuale previsto dall’art. 37 c.c.n.l. del 8 giugno 2000 per i dipendenti delle cd. RAGIONE_SOCIALE, che, alla luce di una interpretazione letterale e teleologica, ha portata precettiva e non meramente programmatica, atteso anche il dichiarato scopo di perseguire l a continuità e le condizioni di lavoro acquisite dal personale’. 1.5. La Corte d’appello ha pure verificato che il nuovo capitolato d’appalto, di cui alla delibera n. 26 del 15/12/2015, prevedeva, per il Comune di San Giovanni Rotondo e per il Comune di San Marco in Lamis, un numero complessivo di educatrici (rispettivamente di 7 e 6), superiore a quello previsto nel capitolato precedente del 2013; mentre era del tutto pacifico che le figure professionali richieste (educatrici) fossero le medesime, così come le prestazioni richieste erano le stesse rispetto a quelle già svolte.
Correttamente ha, quindi, osservato la Corte che il fatto che le prestazioni richieste, individuate nel capitolato d’appalto allegato alla deliberazione n. 26 del 1° dicembre 2015, fossero rimaste invariate rispetto al capitolato precedente del 2013, portava a configurare l’ipotesi di continuità occupazionale tutelata dalla disciplina collettiva in caso di avvicendamento nella gestione dell’appalto (cosiddetto cambio appalto).
1.6. Nella stessa direzione si muove anche l’art. 8 del capitolato speciale d’appalto sancendo l’obbligo, per la ditta aggiudicataria, di impiegare il medesimo personale, laddove
prevede che ‘l’espletamento del servizio di RAGIONE_SOCIALE sarà assicurato previa applicazione della c.d. clausola sociale di migrazione del personale dal precedente aggiudicatario e verifica dei requisiti professionali abilitativi al servizio di che trattasi anche mediante ricorso all’applicazione di profili equipollenti ammissibili… la ditta dovrà impiegare per il servizio per tutta la durata del contratto il medesimo personale al fine di garantire una continuità del servizio’.
Lo stesso art. 8 individua inoltre un numero di 11 operatrici rivenienti da precedenti appalti purché in possesso dei prescritti requisiti professionali richiamati dall’art. 53 del Reg. 4/2007 o titoli equipollenti integrati da adeguate esperienze ed anzianità (maestre d’asilo, vigilatrici d’infanzia, puericultrici). E, come notato dalla Corte di merito, il tenore letterale delle parole adoperate ed in particolare l’uso della congiunzione disgiuntiva ‘o’, ha proprio la funzione di introdurre un’alternativa tra le due ipotesi previste ( ovvero di parificare al titolo professionale il possesso di requisiti professionali ed adeguata esperienza ed anzianità)
1.7. Per tali motivi, la tesi sostenuta dalla Corte di appello si sottrae alle censure sollevate nel motivo dovendosi convalidare la conclusione secondo cui l’art. 37 CCNL RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e l’art. 8 del capitolato speciale d’appalto integrano vere e proprie clausole di protezione il cui scopo era quello di garantire la salvaguardia occupazionale dei lavoratori interessati nell’appalto. Entrambe le norme hanno quindi attribuito ai lavoratori dell’impresa cessata un diritto soggettivo all’assunzione da parte della società subentrante. Dovendosi solo aggiungere che, nell’ipotesi di cambio appalto regolata dalle norme richiamate del CCNL, del Capitolato di appalto e del Regolamento, ai fini del passaggio e della continuità occupazionale rilevano anche soltanto i profili professionali e/o lo svolgimento di fatto delle relative mansioni a prescindere da specifici titoli abilitativi.
Inoltre, pure nella nota prot. n. 156/2017 del 21.1.2017 della Regione Puglia riportata dai controricorrenti si dà atto espressamente del diritto alla continuità lavorativa per i soggetti che avevano svolto in precedenza attività di educatore per almeno tre anni anche se in possesso del solo diploma di scuola media inferiore.
1.8. Mentre la censura relativa alla ‘violazione della legge del 1940 n.1098’, mai prospettata prima nei due gradi giudizi di merito, difetta comunque di specificità non essendo dato comprendere in che termini la pronuncia della Corte si ponga contro la suddetta legge dal momento secondo la stessa pronuncia, ai fini del passaggio e della continuità occupazionale, rilevano anche soltanto i profili professionali e/o lo svolgimento di fatto delle relative mansioni a prescindere da specifici titoli abilitativi; ferma restando la validità e l’efficacia del titolo di cui, come risulta dalle considerazioni che seguono, le lavoratrici risultavano in possesso.
2.- Con il secondo motivo viene dedotta ex art. 360 n. 4 c.p.c. nullità della sentenza e del procedimento. Violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione alla valutazione delle dichiarazioni della RAGIONE_SOCIALE e delle buste paga prodotte nei gradi di merito, rispetto alla certificazione emessa da una P.A. Secondo le ricorrenti, la sentenza impugnata sarebbe viziata anche perché non aveva tenuto conto, né ha motivato la ragione di ben cinque certificazioni pubbliche costituite dai mod. Mod. NUMERO_DOCUMENTO storico rilasciati dal RAGIONE_SOCIALE Manfredonia che con riferimento alle lavoratrici COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME riportano la qualifica di puericultrice; mentre ha raccordato prevalenza a mere dichiarazioni unilaterali provenienti dal presidente dell’uscente RAGIONE_SOCIALE rese in epoca (9/11/2017) in cui il rapporto di lavoro era ormai ampiamente cessato, in cui le lavoratrici vengono qualificate come educatrici.
Il motivo è inammissibile perché attiene alla selezione e alla valutazione del materiale probatorio e quindi all’esercizio di prerogative discrezionali del giudice di merito il cui esercizio non è di per sé sindacabile in Cassazione.
Va infatti considerato che, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte di legittimità, il giudice del merito non è tenuto a prendere in esame tutte le risultanze processuali per come prospettate dalle parti, essendo sufficiente che egli abbia indicato gli elementi posti a fondamento della statuizione adottata; in tal senso, la scelta degli elementi probatori e la valutazione di essi rientrano nella sfera di discrezionalità del giudice di merito il quale non è tenuto a confutare dettagliatamente le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie dovendo solo fornire un’adeguata motivazione sulla base degli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti (Cass. n. 16467/2017; Cass. n. 12751/2001; Cass. n. 5045/1999) e, nel vigore del novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., una motivazione che sia rispettosa del cd. ‘minimo costituzionale’ (cfr. Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014).
Inoltre, nel caso in esame, non esiste violazione dell’art. 115 e art. 116 c.p.c. avendo la Corte valutato il materiale probatorio ed esercitato le proprie prerogative discrezionali in tema di selezione e valutazione della prova.
Infatti, la Corte di appello ha affermato che le appellanti avevano provato anche mediante certificati occupazionali allegati al fascicolo di primo grado di aver maturato esperienza pluriennale, presso diverse società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE quali puericultrici /maestre d’asilo.
Ha pure osservato la Corte territoriale che privo di pregio risultava il richiamo delle società appellate a false attestazioni rilasciate dalle RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, relative alla qualifica in capo alle appellanti di puericultrici/educatrici in
quanto non solo le attestazioni depositate sono tutte in originale, ma non risultava presentata alcuna querela di falso in relazione ad esse. Ed anche nelle buste paghe la qualifica attribuite alle appellanti era proprio quella di puericultriceeducatrice. Inoltre, emergeva, anche aliunde, che le lavoratrici avessero svolto l’attività di educatrice non essendo emerso da nessuna parte che per lo svolgimento di quella funzione fossero stati assunti o comunque impiegati soggetti diversi dalle appellanti.
La Corte ha quindi motivato correttamente ed adeguatamente il proprio convincimento laddove l’adesione alla ricostruzione alternativa proposta con il motivo di ricorso dalle ricorrenti postula un sindacato di merito chiaramente inibito in sede di legittimità ( Cass 2019 n. 30577).
3.- Con il terzo motivo si sostiene ex art 360 n. 3 cpc violazione e/o falsa applicazione dell’art.37 CCNL RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; erronea inapplicabilità dell’art.46 co. 5 reg. regionale n.4/2007 ed erronea applicabilità dell’art.3 regionale n.18/2017, posto che la gravata sentenza avrebbe inopinatamente reputato inapplicabile l’art. 46 comma 5 del Regolamento regionale n. 4/ 2007 sbagliando a ritenere che la norma si riferisca solo alle nuove assunzioni e che per il solo fatto di essere entrato in vigore in epoca in cui le lavoratrici erano in servizio venisse in gioco la sua irretroattività; sbagliando inoltre a ritenere applicabile l’art. 3 del regolamento regionale n.18/2017 al contratto di appalto stipulato precedentemente alla sua entrata in vigore; ed a ritenere che l’introduzione di questa norma confermerebbe che l’art. 46 disciplini le ipotesi di nuova assunzione.
3.1. Il motivo è infondato avendo la Corte interpretato ed applicato correttamente l’impianto normativo appena citato anche alla stregua di un coerente esame sistematico delle disposizioni.
3.2. La Corte d’appello ha rilevato anzitutto che l’art. 46 del Regolamento n. 4/2007 il quale, dispone che ‘per lo svolgimento della funzione educativa nel settore dei servizi socio assistenziali e sociosanitari, sono impiegati anche operatori in possesso di diploma di maturità di scuola media superiore che abbiano una esperienza documentata almeno triennale nel settore dei servizi educativi e di cura delle persone’ non potesse pregiudicare il diritto delle ricorrenti all’assunzione da parte della società, in quanto la stessa disposizione doveva essere riferita alle nuove assunzioni. Mentre le appellanti erano tutte assunte con contratto a tempo indeterminato e con mansioni di educatricipuericultrici-maestre d’asilo da una data antecedente a quella dell’entrata in vigore del predetto art. 46.
Ne derivava che la stessa norma, entrata in vigore quando le posizioni lavorative di quest’ultime si erano già consolidate, non poteva avere effetto retroattivo.
3.3. In effetti, anche ad avviso di questa Corte di legittimità, l’art. 46 non è riferito al passaggio delle lavoratrici ed ai cambi appalti e non può legittimare la conclusione dei ricorrenti secondo cui le lavoratrici non essendo in possesso del titolo di studio non potessero continuare a lavorare come avevano sempre fatto.
3.4. Inoltre, la stessa tesi qui accolta veniva confermata dal fatto che, anche dopo l’entrata in vigore della stessa norma regolamentare, le varie RAGIONE_SOCIALE che si erano succedute nella gestione del servizio di asilo, avevano garantito la continuità del rapporto di lavoro e lo svolgimento dell’attività lavorativa alle stesse lavoratrici appellanti.
3.5. Piuttosto nel caso di specie, come correttamente affermato nella sentenza impugnata, deve trovare applicazione l’art.3 del Regolamento regionale n.18/2017 che detta una norma transitoria che garantisce la continuità della specifica attività educativa nelle stesse strutture servizi, a
prescindere dal possesso dei predetti titoli e abilitativi. Infatti detta ‘norma finale di salvaguardia’ recita: Fermo restando quanto previsto dall’art. 46, al fine di salvaguardare l’esperienza lavorativa maturata e garantire la continuità lavorativa, i soggetti che hanno svolto l’attività di educatore in strutture e servizi socio assistenziali e socio applicativi per almeno tre anni alla data di entrata in vigore del presente regolamento, possono continuare a svolgere mansioni educative nelle stesse strutture e servizi in cui hanno prestato attività lavorativa.
3.6. Esattamente la Corte d’appello ha osservato che il citato art. 3 era indubbiamente destinato a salvaguardare i rapporti lavorativi preesistenti e quindi a tutelare i lavoratori, come quelli che hanno agito nel caso di specie, i cui rapporti di lavoro non erano cessati, ma erano in attesa del passaggio al nuovo datore sicchè era diretto a disciplinare situazioni giuridiche preesistenti.
Peraltro, va ribadito che, proprio l’introduzione di tale norma finale di salvaguardia, confermi expressis verbis che il precedente art. 46 disciplini le ipotesi di nuova assunzione e non possa essere applicato nei casi di migrazione del personale.
4.- Con il quarto motivo ex art. 360 n. 4 c.p.c. si sostiene la violazione e/o falsa applicazione delle regole in tema di solidarietà nell’obbligazione del pagamento delle spese di giudizio (artt. 91 e 97 c.p.c.) per avere la sentenza impugnata condannato tutte le società appellate in solido al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio in favore delle lavoratrici senza considerare che la RAGIONE_SOCIALE era estranea al rapporto intercorrente tra RAGIONE_SOCIALE e la signora COGNOME; mentre la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE era completamente estranea al rapporti intercorrenti tra la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e le signore COGNOME, COGNOME, COGNOME ed COGNOME.
4.1. Anche tale motivo è infondato. Nel presente giudizio sono state accumunate domande proposte da più lavoratrici contro più RAGIONE_SOCIALE; mentre tutte le domande si dirigevano nei confronti del RAGIONE_SOCIALE subentrante nell’appalto; esisteva dunque tra le d omande connessione per identità delle questioni, ma anche sotto il profilo soggettivo passivo.
Secondo la giurisprudenza consolidata di legittimità (Cass. nn. 22382/2017 e 15684/2016) si può condannare alle spese in via solidale anche in caso di connessione di causa per comunanza di interessi o connessione per identità delle questioni trattate e di petitum. Infatti ai sensi dell’art. 97 cod. proc. civ., al fine della condanna in solido di più soccombenti alle spese di giudizio, il requisito dell’interesse comune non postula la loro qualità di parti in un rapporto sostanziale indivisibile o solidale, ma può anche discendere da una mera convergenza di atteggiamenti difensivi rispetto alle questioni oggetto di causa, ovvero da identità di interesse personale con riguardo al provvedimento richiesto al giudice( sentenza n. 27562 del 20/12/2011 e n. 17281 del 12/08/2011).
In conclusione, sulla scorta dei motivi fin qui esposti il ricorso deve essere rigettato.
Le ricorrenti vanno condannate in solido al pagamento delle spese processuali nei confronti delle parti controricorrenti nella misura rispettivamente liquidata in dispositivo; con raddoppio del contributo unificato, ove spettante, nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle processuali del giudizio di cassazione che liquida in favore di COGNOME NOME, COGNOME NOME, Di
COGNOME NOME, COGNOME NOME in € 6500 complessivi a titolo di compensi ed in favore di COGNOME NOME in complessivi € 5000, oltre 200,00 per esborsi, e spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in camera di consiglio, all’adunanza del 14.2.2024