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Clausola sociale cambio appalto: diritti dei lavoratori

Nel contesto di un cambio appalto nei servizi aeroportuali, la Corte di Cassazione ha confermato il diritto di due lavoratrici a essere assunte dalla società subentrante alle stesse condizioni contrattuali precedenti, in virtù della clausola sociale prevista dal CCNL. La Corte ha stabilito che i termini di decadenza per l’impugnazione dei licenziamenti non si applicano in questi casi e che un’offerta di assunzione a condizioni peggiorative non libera la nuova azienda dall’obbligo di assunzione.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Clausola Sociale nel Cambio Appalto: La Cassazione Tutela i Lavoratori

La clausola sociale cambio appalto rappresenta un pilastro fondamentale per la tutela della stabilità occupazionale dei lavoratori. Con l’Ordinanza n. 727/2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su questo tema cruciale, riaffermando principi consolidati a protezione dei dipendenti coinvolti nel passaggio di gestione di un servizio. La decisione analizza il diritto dei lavoratori ad essere assunti dalla nuova impresa appaltatrice e le condizioni a cui tale assunzione deve avvenire, fornendo chiarimenti importanti sull’inapplicabilità dei termini di decadenza previsti per altre fattispecie.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dalla richiesta di due lavoratrici, impiegate nei servizi di assistenza a terra in ambito aeroportuale, di veder riconosciuto il loro diritto al trasferimento del rapporto di lavoro presso una nuova società che era subentrata nell’appalto. La società precedente era stata sostituita dalla nuova azienda, ma quest’ultima non aveva provveduto a riassumere le due dipendenti.

Le lavoratrici sostenevano che, in base alla clausola sociale cambio appalto prevista dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) di settore, la società subentrante avesse l’obbligo di assumerle, mantenendo le medesime condizioni contrattuali, quali mansioni, livello di inquadramento e retribuzione.

La Decisione della Corte d’Appello

In riforma della sentenza di primo grado, la Corte d’Appello aveva dato ragione alle lavoratrici. I giudici di secondo grado avevano accertato il diritto delle dipendenti a essere assunte dalla nuova società con decorrenza dalla data del cambio appalto e alle condizioni preesistenti. La Corte aveva condannato la società subentrante a riammetterle in servizio e a corrispondere loro le retribuzioni maturate dalla data di costituzione in mora, detraendo quanto eventualmente percepito dalle lavoratrici in altro modo (aliunde perceptum).

La Corte territoriale aveva chiarito che il diritto azionato non derivava da un trasferimento d’azienda, ma dall’obbligo contrattuale collettivo imposto dalla clausola sociale. Aveva inoltre rilevato che le condizioni di impiego offerte dalla nuova società erano peggiorative (riduzione dell’orario e inquadramento inferiore) e quindi legittimamente rifiutate dalle lavoratrici, non potendo tale offerta considerarsi un adempimento degli obblighi derivanti dalla clausola sociale.

I Motivi del Ricorso e la Clausola Sociale Cambio Appalto

La società subentrante ha impugnato la decisione della Corte d’Appello dinanzi alla Corte di Cassazione, basando il proprio ricorso su diversi motivi. Tra i principali:

1. Errata applicazione della disciplina sulla decadenza: la società sosteneva che l’azione delle lavoratrici fosse soggetta al termine di decadenza previsto dalla legge 183/2010 per le impugnazioni relative alla costituzione di un rapporto di lavoro con un soggetto diverso dal titolare del contratto.
2. Omesso esame di un fatto decisivo: secondo la ricorrente, la precedente datrice di lavoro non aveva licenziato le lavoratrici, facendo mancare un presupposto per l’attivazione della clausola sociale.
3. Violazione delle norme sulla contrattazione collettiva: la società riteneva che gli accordi sindacali intercorsi le attribuissero la facoltà di individuare il personale da assumere e le relative condizioni.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la sentenza d’appello e ribadendo principi giurisprudenziali consolidati.

In primo luogo, riguardo alla questione della decadenza, la Suprema Corte ha affermato che la clausola sociale cambio appalto genera un’azione per l’accertamento del diritto all’assunzione che non rientra nelle ipotesi soggette ai termini di decadenza della legge 183/2010. Tale norma, infatti, si applica a casi diversi, come l’impugnazione di un trasferimento d’azienda o la richiesta di costituzione del rapporto in capo al reale datore di lavoro in caso di interposizione fittizia. L’azione basata sulla clausola sociale, invece, mira a far valere un obbligo di assunzione ex novo derivante dalla contrattazione collettiva, una fattispecie del tutto autonoma.

In secondo luogo, la Corte ha sottolineato che la tutela offerta dalla clausola sociale si aggiunge, e non si sostituisce, a quella esistente nei confronti del precedente datore di lavoro. Il fatto che quest’ultimo non avesse licenziato le lavoratrici era irrilevante ai fini dell’obbligo di assunzione in capo alla società subentrante.

Infine, i giudici hanno chiarito che un’offerta di assunzione non conforme alle previsioni della clausola sociale (ad esempio, con un inquadramento o un orario di lavoro peggiorativi) non può essere considerata un valido adempimento. Il rifiuto di una simile proposta da parte del lavoratore è legittimo e non estingue l’obbligo della società subentrante, la quale rimane inadempiente. Spettava inoltre alla società dimostrare di aver applicato correttamente i criteri di selezione previsti dal CCNL, prova che nel caso di specie non era stata fornita.

Le Conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione rafforza la funzione della clausola sociale come strumento di garanzia della continuità lavorativa e reddituale dei dipendenti nei cambi di appalto. Viene confermato che il diritto all’assunzione presso l’impresa subentrante sorge direttamente dalla contrattazione collettiva e deve avvenire a condizioni non peggiorative rispetto a quelle precedenti. Qualsiasi variazione in peius proposta unilateralmente dalla nuova azienda e non accettata dal lavoratore non adempie all’obbligo contrattuale, mantenendo vivo il diritto del lavoratore alla costituzione del rapporto di lavoro e al conseguente risarcimento del danno.

Nel caso di un cambio appalto, si applica il termine di decadenza previsto per l’impugnazione dei licenziamenti se un lavoratore chiede l’assunzione presso la nuova azienda in base alla clausola sociale?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’azione per far valere il diritto all’assunzione derivante dalla clausola sociale non è soggetta ai termini di decadenza dell’art. 32 della legge n. 183/2010, in quanto non si tratta di un’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento d’azienda.

L’azienda che subentra in un appalto può offrire ai lavoratori condizioni di lavoro peggiorative rispetto a quelle previste dalla clausola sociale?
No, un’offerta di assunzione con condizioni difformi e peggiorative (come un inquadramento inferiore o un orario ridotto) rispetto a quelle garantite dalla clausola sociale del contratto collettivo non è considerata un valido adempimento. Di conseguenza, il rifiuto del lavoratore a tale proposta non libera l’azienda subentrante dall’obbligo di assunzione.

In caso di controversia, a chi spetta dimostrare di aver applicato correttamente i criteri di scelta del personale da assumere previsti dalla clausola sociale?
Spetta alla società subentrante dimostrare di aver seguito correttamente i criteri oggettivi di scelta previsti dalla normativa contrattuale collettiva per l’individuazione del personale da riassorbire.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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