Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 727 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 727 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 17193-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliate in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che le rappresenta e difende;
Oggetto
CAMBIO APPALTO
COSTITUZIONE
RAPPORTO
PRIVATO
R.G.N. 17193/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 11/10/2023
CC
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1564/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 04/12/2018 R.G.N. 1303/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/10/2023 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
1. la Corte d’Appello di Milano, in riforma della sentenza del Tribunale della medesima sede, e in accoglimento dell’appello proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME accertava il diritto delle appellanti al trasferimento del rapporto di lavoro in essere con RAGIONE_SOCIALE alle dipendenze dell’appellata RAGIONE_SOCIALE con decorrenza dal 20.6.2016, con mansioni di agente di rampa (NOME COGNOME) e di addetta allo scalo (NOME COGNOME), entrambe con inquadramento nel 3° livello CCNL RAGIONE_SOCIALE e con la retribuzione globale mensile per ciascuna indicata, ordinava ad RAGIONE_SOCIALE di riammetterle in servizio e la condannava a corrispondere loro le retribuzioni dovute dalla rispettiva data di costituzione in mora, detratto quanto percepito nel medesimo periodo come risultante dalla documentazione depositata in atti;
2. per quanto qui interessa, la Corte territoriale, richiamando propri precedenti circa fattispecie analoghe inerenti la medesima successione nell’appalto oggetto di giudizio, innanzitutto condivideva la censura dell’appellante in merito alla statuizione con cui il primo giudice aveva accolto l’eccezione di decadenza proposta
dalla difesa della società; osservava che il diritto azionato derivava dalla cosiddetta clausola sociale prevista dall’art. 25 parte generale e dall’art. H37 parte specifica CCNL di settore nell’ipotesi di trasferimento dei servizi tra operatori dell’attiv ità di assistenza a terra e che, pertanto, non solo non si verteva in un caso di trasferimento di azienda, rientrante nella lettera c) dello stesso art. 32, comma 4, legge n. 183/2010, ma neppure nella previsione di cui alla lett. d) della stessa norma; precisava che non si era rivendicato un rapporto alle dipendenze di un soggetto diverso, ma si era invocato l’obbligo, derivante dalla contrattazione collettiva, a carico dell’impresa subentrante, di assumere ex novo , a certe specifiche condizioni, il personale in forza presso il precedente aggiudicatario dell’appalto;
3. quanto al merito, la Corte distrettuale osservava che non era contestato in giudizio che la società appellata fosse subentrata alla società datrice di lavoro delle appellanti negli appalti di servizi di assistenza a terra di una serie di vettori, né che le lavoratrici vi fossero addette con l’i nquadramento e la retribuzione indicati nel ricorso, né, infine, che la società fosse tenuta al rispetto della cd. clausola sociale; rilevava che la società appellata aveva assunto solo in parte i 50 lavoratori che avrebbe dovuto assumere secondo l’accordo sindacale del 17.6.2016, a fronte degli 84 addetti nei servizi di assistenza a terra, e non aveva mai indicato in che modo avesse applicato i criteri oggettivi indicati all’art. H37 parte specifica C.C.N.L. di settore; rilevava che le condizioni di impiego proposte alle lavoratrici, e da queste legittimamente non accettate, erano difformi rispetto a quelle applicate dall’impresa uscente e contenevano una riduzione dell’orario di lavoro e un inquadramento inferiore, in contrasto con le previsioni
della clausola sociale, la quale non consentiva le variazioni così prospettate, con conseguente non imputabilità alle lavoratrici del mancato passaggio alle dipendenze della nuova appaltatrice, che non aveva adempiuto agli obblighi di matrice contrattuale collettiva;
4. per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso affidato a sei motivi; resistono le lavoratrici con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito de ll’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo di ricorso per cassazione, la società denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 4, della legge n. 183/2010 e art. 12 Preleggi (art. 360, n. 3, c.p.c.), nella parte in cui la sentenza ha ritenuto non applicabile la disciplina della decadenza alla fattispecie in esame; assume che oggetto della domanda era la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di un soggetto giuridico diverso dal titolare del contratto, ragion per cui avrebbe dovuto trovare piena applicazione il regime della decadenza previsto dal cd. Collegato lavoro, che riguarda ogni caso in cui si chieda la costituzione o l’accertamento del rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso dal titolare del contratto.
2. con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.) per contestare l’affermazione secondo cui la società non aveva provato il rifiuto opposto dalle lavoratrici appellanti all’assunzione, circostanza invece pacifica in giudizio.
il terzo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5, c.p.c.), per avere la sentenza
trascurato di considerare che la società RAGIONE_SOCIALE non aveva licenziato le lavoratrici, per cui mancava uno dei presupposti richiesti per il perfezionamento della fattispecie in esame; sostiene che la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’operatore subentrante si innesta nel solco della fattispecie complessa che presuppone la cessazione del rapporto di lavoro alle dipendenze del precedente operatore per effetto del recesso datoriale, presupposti insussistenti nella specie;
4. con il quarto motivo viene dedotta (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell’art. 8 D.L. 13.8.2011, n. 138, dell’art. 25 del CCNL del 2.8.2013 e dell’art. H37 dell’accordo dell’11.2.2015; si sostiene che il giudice di seconde cure avrebbe violato tali previsioni nelle parti in cui la contrattazione collettiva attribuisce alle intese intercorse tra le aziende coinvolte nella procedura la facoltà di individuare il personale e le condizioni di assunzione;
5. con il quinto motivo parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c. e dell’art. 25 del CCNL del 2/8/2013; si assume carenza di allegazioni in ordine al diritto della lavoratrici originarie ricorrenti a essere preferite ad altri lavoratori sulla base dei criteri di selezione previsti dalla contrattazione collettiva, e che dalle minimali allegazioni e deduzioni contenute nel ricorso introduttivo del primo grado di giudizio non emergeva che, in applicazione dei criteri di scelta individuati dalla contrattazione collettiva, le odierne controricorrenti avrebbero dovuto essere coinvolte nella procedura della cd. clausola sociale;
6. con il sesto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2056 e 1223 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.) per avere la Corte di appello erroneamente
condannato la società ricorrente al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate dalle lavoratrici con riferimento al medesimo periodo in cui avevano continuato a lavorare alle dipendenze di WFS;
7. il ricorso non è fondato; osserva il Collegio che questa Sezione si è già espressa sulla massima parte delle questioni di diritto poste con i su riassunti motivi con la sentenza n. 12030/2020, cui si intende qui dare continuità, peraltro resa su ricorso della medesima società avverso sentenza della Corte di Appello di Milano, espressamente richiamata nella sentenza qui impugnata; pertanto, alla motivazione di quella decisione si fa qui riferimento anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.;
8. circa la questione di decadenza qui riproposta con il primo motivo del ricorso in esame, va ribadito il principio di diritto, già espresso da Cass. n. 13179/2017, secondo cui, nell’ipotesi di cambio di gestione dell’appalto con passaggio dei lavoratori all ‘impresa nuova aggiudicatrice, la conseguente azione per l’accertamento e la dichiarazione del diritto di assunzione del lavoratore presso l’azienda subentrante non è assoggettata al termine di decadenza di cui alla legge n. 183 del 2010, art. 32, non rientrando nella fattispecie di cui alla lett. c), riferita ai soli casi di trasferimento d’azienda, né in quella di cui alla lett. d) del medesimo articolo; detta norma presuppone, infatti, non il semplice avvicendamento nella gestione, ma l’opposizione del l avoratore ad atti posti in essere dal datore di lavoro dei quali si invochi l’illegittimità o l’invalidità con azioni dirette a richiedere il ripristino del rapporto nei termini precedenti, anche in capo al soggetto che si sostituisce al precedente datore di lavoro, o ancora, la domanda di accertamento del rapporto in capo al reale
datore, fondata sulla natura fraudolenta del contratto formale;
la fattispecie in esame riguarda un’ipotesi di trasferimento di servizi tra operatori dell’attività di assistenza a terra in materia aeroportuale, e le lavoratrici non hanno contestato la legittimità del rapporto di lavoro con RAGIONE_SOCIALE né denunciato un fenomeno interpositorio, ma invocato l’obbligo, derivante dalla contrattazione collettiva, a carico dell’impresa subentrante nel servizio, di assumere, alle condizioni previste, il personale in forza presso la precedente aggiudicataria del servizio; trattandosi di una limitazione temporale per l’esercizio dell’azione giudiziaria, la norma oggetto di esame ha carattere di eccezionalità, per cui si impone un’interpretazione particolarmente rigorosa della fattispecie di chiusura prevista alla lettera d) dell’art. 32, comma 4, cit.;
ebbene, il Collegio non ravvisa plausibili ragioni per discostarsi dal suddetto indirizzo di questa Corte, ancora di recente ribadito da Cass. n. 36944/2022, in relazione ad altro caso riguardante un cd. cambio di gestione dell’appalto; e la pronuncia della Corte di merito è conforme a detto orientamento di legittimità, che può definirsi costante;
il secondo motivo è inammissibile, in quanto non può ritenersi coerente e pertinente al decisum , con particolare riguardo al fatto ritenuto decisivo dalla Corte territoriale.
difatti, mentre la circostanza che parte ricorrente ritiene pacifica attiene ad un’offerta di assunzione prospettata alle lavoratrici, deve viceversa ritenersi che il fatto decisivo cui allude la sentenza impugnata, ritenuto non dimostrato da parte della società, sia riferito ad una proposta di assunzione conforme ai termini della clausola
sociale come regolata in sede contrattuale collettiva, nell’ipotesi di passaggio dei servizi di assistenza a terra da un operatore all’altro;
13. l’articolazione del passaggio motivazionale che ha interessato tale punto rende evidente che, non avendo l’appellata eccepito di non essere tenuta al rispetto della cd. clausola sociale (cui comunque era tenuta, secondo l’accertamento di fatto compiuto nel la sentenza impugnata), la mancata assunzione del numero complessivo dei lavoratori interessati dalla procedura presupponeva una proposta conforme ai termini dell’accordo e non una qualsivoglia proposta difforme, la quale non avrebbe avuto l’effetto libera torio per coloro che non l’avessero accettata, come le attuale controricorrenti;
14. il terzo motivo è infondato;
15. secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, nel caso in cui, in forza di un accordo collettivo, sia previsto un sistema di procedure idoneo a consentire l’assunzione dei lavoratori alle dipendenze dell’impresa subentrante in un appalto, la tutela nei confronti del datore di lavoro cessionario si aggiunge a quella apprestata a favore del lavoratore nei confronti del datore di lavoro (cfr. Cass. n. 29922/2018; v. pure Cass. n. 12613/2007, n. 4166/2006); in altri termini, la domanda svolta da un lav oratore nei confronti dell’impresa per far valere i diritti derivanti dalle disposizioni contrattuali che prevedano determinate garanzie di assunzione resta del tutto autonoma da eventuali impugnative che lo stesso lavoratore possa proporre nei confronti della ex-datrice di lavoro, precedente appaltatrice del servizio;
16. il quarto motivo non è ammissibile;
17. in esso è censurato lo specifico passo di motivazione, in cui la Corte di Milano ha osservato che l’art. 25 parte
generale e l’art. H37 parte speciale del CCNL applicato non attribuiscono alle intese sindacali il potere di modifica dell’orario di lavoro e dell’inquadramento del personale;
18. nota il Collegio (oltre ai profili già evidenziati con riguardo al connesso secondo motivo) che la Corte di merito ha in realtà ritenuto, in primo luogo, che il telegramma inviato alle lavoratrici e qualificato dalla società come proposta di assunzione non accettata, poiché non specificava le condizioni di assunzione (rimandando genericamente a quanto stabilito dagli accordi collettivi del 9 e 17.6.2016) e prevedeva la sottoscrizione di un verbale di conciliazione di cui non erano precisati termini e contenuti, non risultasse una proposta contrattuale determinata negli elementi essenziali e incondizionata, sicché la mancata comparizione delle lavoratrici non era equiparabile ad un rifiuto all’assunzione in applicazione della clausola sociale; ha poi precisato i motivi per cui, in difetto di prova dei criteri di individuazione del personale destinato a passare alle dipendenze del nuovo gestore e delle modalità attuative di detto passaggio come previsto dalle norme collettive, la clausola sociale risultava, in sostanza, svuotata di contenuto e comunque violata;
19. le doglianze avverso tale interpretazione degli accordi aziendali in rapporto alla specifica posizione delle lavoratrici ed alla relativa corrispondenza loro inviata, congruamente e logicamente motivata, non superano il vaglio dell’ammissibilità perché, per costante giurisprudenza di questa Corte, è riservata al giudice di merito l’interpretazione degli accordi aziendali, in ragione della loro efficacia limitata (diversa da quella propria degli accordi e contratti collettivi nazionali, oggetto di esegesi diretta da parte della Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., come modificato dal d.lgs. n.
40/2006), ed essa non è censurabile in cassazione se non per vizio di motivazione o per violazione di canoni ermeneutici (Cass. n. 2625/2010 e successive conformi); conseguentemente, nella parte in cui si invoca il n. 3 dell’art. 360 c.p.c. per accordi sindacali aziendali che non hanno il rango di contratti collettivi nazionali di lavoro, così come prescritto dalla disposizione richiamata, il motivo risulta inammissibile (cfr., analogamente, Cass. n. 17201/2020);
inammissibile è il quinto motivo.
in esso si assume che nel ricorso introduttivo del giudizio le lavoratrici si sarebbero limitate a indicare i nominativi dei lavoratori che sarebbero passati da WFS ad RAGIONE_SOCIALE pur avendo un’anzianità aziendale inferiore;
la censura difetta a riguardo dei requisiti di specificità e autosufficienza del ricorso per cassazione, non richiamando in modo testuale il punto del ricorso introduttivo del primo grado cui ci si riferisce, avendo, peraltro, la Corte territoriale considerato carente la dimostrazione, da parte della società, di come siano stati applicati i criteri oggettivi indicati nella normativa contrattuale collettiva di riferimento, e se siano stati applicati correttamente, spettando dunque alla società (e non viceve rsa) l’onere di dimostrare di avere correttamente seguito i criteri di scelta;
parimenti inammissibile è il sesto motivo;
come anticipato in narrativa, la Corte territoriale ha detratto l’ aliunde perceptum dal trattamento ritenuto spettante; il motivo in esame non chiarisce quale sia il differenziale tra detto trattamento e quello ricevuto, ma soprattutto non illustra le ragioni per le quali esso sarebbe errato; né la ricorrente sembra tenere in debito conto che
la Corte di merito, sia nel dispositivo della sentenza impugnata che nella relativa motivazione, ha specificato che la detrazione si riferiva a quanto percepito dalla messa in mora, come da documentazione depositata, senza alcuno specifico rilievo in ordine al rimando in sentenza alla documentazione depositata;
25. la ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 6.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale dell’11