Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14268 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14268 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/05/2025
Oggetto: società per azioni – consigliere di sorveglianza – decadenza
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10428/2021 R.G. proposto da COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dagli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avv. NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
– controricorrente –
COGNOME NOME
intimato –
Cuter NOME
intimato –
COGNOME Giovanni
intimato –
avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia n. 1077/2020, depositata il 14 ottobre 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia, depositata il 14 ottobre 2020, che, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale, ha condannato la A2A s.p.a. al pagamento in favore di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME della somma, rispettivamente, di euro 270.000,00, 202.500,00 e 140.000,00, oltre rivalutazione monetaria e interessi, per revoca senza giusta causa dalla carica di consiglieri di sorveglianza della società, mentre ha confermato la decisione di primo grado nella parte in cui aveva respinto la domanda del predetto COGNOME al risarcimento dei danni per la cessazione dalla analoga carica a seguito de ll’applicazione della clausola statutaria cd. simul stabunt simul cadent conseguente alla riferita revoca dei consiglieri COGNOME
COGNOME e COGNOME;
con specifico riferimento alla domanda dell’odierno ricorrente cui il presente giudizio è circoscritto -la Corte di appello ha osservato che non era pertinente il riferimento, operato dall’appellante COGNOME, al l’istituto della cd. revoca implicita o indiretta , da ravvisarsi nelle sole ipotesi in cui la cessazione di un componente del consiglio di amministrazione sia determinata da una modifica strutturale d ell’organo a mministrativo, che la clausola statutaria applicata era legittima e che la sua operatività prescindeva dai motivi per cui i consiglieri erano venuti a mancare, per cui non sussisteva il vantato diritto al risarcimento dei danni ex art. 2409 duodecies , quinto comma, cod. civ.;
ha, poi, escluso che nel caso in esame si fosse in presenza di un esercizio abusivo della clausola statutaria, atteso che il fine esclusivo
della società era di estromettere i consiglieri revocati e non anche gli altri consiglieri , tra cui l’appellante , non assumendo a tal fine rilevanza la circostanza che quest’ultimo non era stato nominato nell’organo una volta ricostituito;
il ricorso è affidato a tre motivi;
resiste con controricorso la A2A s.p.a.;
gli altri soggetti intimati non spiegano alcuna difesa;
le parti costituite depositano memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2386, quarto comma, e 2409 duodecies , quinto comma, cod. civ., nonché l’omesso rilievo officioso della nullità dell’art. 21, quarto comma, dello statuto della A2A s.p.a.;
sostiene, in proposito, che la clausola simul stabunt simul cadent , espressa da tale disposizione statutaria, è nulla in ragione dell’assenza di alcun richiamo nella disciplina legale del consiglio di sorveglianza alla disciplina di cui all’art. 2386, terzo comma, cod. civ. in tema di amministratori, della diversa natura del consiglio di sorveglianza rispetto alle funzioni proprie del consiglio di amministrazione nel sistema tradizionale e del fatto che l’art. 2409 duodecies , quinto comma, cod. civ. si limita a stabilire che la cessazione di uno o più componenti del consiglio di sorveglianza impone l’obbligo dell’ assemblea di provvede senza indugio alla loro sostituzione, precludendo, dunque, l’applicazione del principio della simultanea cessazione dalla carica di tutti i consiglieri;
il motivo è infondato;
-l’art. 2386, quarto comma, cod. civ. , dettato in tema di società per azioni, prevede che «Se particolari disposizioni dello statuto prevedono che a seguito della cessazione di taluni amministratori cessi l’intero consiglio, l’assemblea per la nomina del nuovo consiglio è convocata
d’urgenza dagli amministratori rimasti in carica; lo statuto può tuttavia prevedere l’applicazione in tal caso di quanto disposto nel successivo comma»;
dal tenore di tale disposizione si evince che il legislatore della riforma ha inteso riconoscere la validità di una clausola avente un siffatto contenuto (cd. simul stabunt sumul cadent ), disciplinandone gli effetti, nell’ottica di consentire una limitazione dell’operatività del sistema di cooptazione degli amministratori cessati a beneficio della competenza assembleare;
-la nuova formulazione dell’art. 2386 cod. civ. sul punto si pone in linea di continuità con l’orientamento espresso dalla sentenza di questa Corte n. 2197 del 16 marzo 1990, sia pure riferita alla clausola con cui si dispone che il venire meno della maggioranza degli amministratori determina la decadenza dell’intero consiglio di amministrazione, la quale ha osservato che una siffatta clausola «deve considerarsi valida in quanto non risulta contraria ad alcuna norma imperativa dell’ordinamento in materia societaria»;
la riforma del 2003 ne estende la portata applicativa, in ossequio alla finalità di ampliare gli ambiti dell’autonomia statutaria, anche alla situazione della cessazione di una minoranza degli amministratori;
-l’unico limite all’applicazione di siffatta clausola risiede, come riconosciuto anche nella sentenza impugnata, dalla necessità di rispettare il dovere generale di buona fede e i doveri di lealtà e correttezza che regolano i rapporti all’interno della società, non potendosi ritenere lecito un utilizzo della stessa preordinato all’estromissione di amministratori non graditi;
il ricorrente sostiene che tale clausola statutaria non sarebbe valida con riferimento ai componenti del consiglio di sorveglianza nelle società per azioni strutturate secondo il sistema dualistico, avuto riguardo al mancato richiamo nella relativa disci plina legale all’art. 2386 cod. civ. e alla diversa natura del consiglio di sorveglianza rispetto al consiglio
di amministrazione;
ad avviso di questo Collegio tale tesi non è condivisibile;
infatti, la clausola è funzionale a garantire che una determinata composizione di un organo collegiale (dovuta, ad esempio, all’adozione di un sistema di nomina che rifletta la presenza di diverse componenti nella base associativa) venga mantenuta inalterata per tu tto l’arco del mandato nel caso del venir meno di alcuni dei suoi componenti;
tale clausola ha, dunque, l’effetto di caratterizzare intrinsecamente il rapporto tra il componente l’organo collegiale e l’ ente collettivo, funzionando da stimolo alla coesione dell’organo medesimo, poiché ciascun componente è consapevole che le dimissioni di uno/alcuni degli altri determinano la decadenza dell’intero organo e, nel contempo, può contribuire a quella decadenza, quando in disaccordo con gli altri;
-le riferite finalità non sono estranee al funzionamento e all’operatività delle società per azioni basate sul sistema dualistico, per cui l’adozione di una siffatta clausola in tali società va ritenuta legittima, essendo coerente con la filosofia generale di tale modello organizzativo e non ponendosi in contrasto con alcuna disposizione imperativa, a nulla rilevando la assenza di un puntuale richiamo all’art. 2386, terzo comma, cod. civ. nell’ambito della specifica disciplina a queste società dedicata;
con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2383, terzo comma, 2386, quarto comma, e 2409 duodecies , quinto comma, cod. civ. e 3 Cost, per aver la sentenza impugnata escluso la sussistenza del vantato diritto al risarcimento del danno per frustrazione dell’aspettativa alla permanenza nell’ufficio di amministratore benché la cessazione dalla carica fosse l’effetto di un atto deliberativo della società, consistente nella revoca di alcuni amministratori, non assistito da giusta causa;
con il terzo motivo si duole della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2383, terzo comma, 2386, quarto comma, e 2409 duodecies ,
quinto comma, cod. civ., in relazione alla mancata considerazione dei diversi effetti della clausola simul stabunt simul cadent nelle ipotesi di dimissioni dell’amministratore da quell i che si verificano nelle ipotesi di revoca degli stessi;
i due motivi, esaminabili congiuntamente, sono infondati;
come evidenziato da questa Corte con l’ordinanza n. 1121 del 16 gennaio 2025, resa con rifermento ad analoga azione proposta da altri amministratori cessati dalla carica per effetto dell’operatività della clausola sumul stabunt simul cadent a seguito della revoca, non assistita da giusta causa, di alcuni amministratori, la tesi del ricorrente non coglie nel segno «poiché laddove idealizza un’inesistente liason dangereuse tra clausola di decadenza e revoca dalla carica è frutto di un’indebita sovrapposizione di piani di giudizio diversamente non comunicanti»;
infatti, «l’implicito effetto revocatorio -che si vorrebbe vedere nel fatto che, revocati alcuni amministratori in assenza di giusta causa, anche gli altri che, per effetto della clausola simul stabunt, simul cadent, vengono a cessare dalla carica, verrebbero ad essere oggetto di una revoca ingiustificata -non è elemento qualificante della fattispecie, dato che essa … trova la sua giustificazione nella necessità di garantire gli equilibri all’interno del consiglio di amministrazione della società e di evitare che l’equilibrio iniziale possa essere compromesso per effetto del meccanismo di cooptazione pure previsto dall’art. 2386 cod. civ.»;
in questa cornice solo l’abuso che si faccia del relativo meccanismo a rendere illecita la disposizione di revoca, ma di ciò, come ha sottolineato la Corte territoriale, non è stata raggiunta la prova;
per le suesposte considerazioni, pertanto, il ricorso non può essere accolto;
le spese del giudizio seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 5.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Rom a, nell’adunanza camerale del 7 maggio 2025.