Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12268 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 12268 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/05/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 36410/2019 R.G. proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-RICORRENTE- contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
–
CONTRORICORRENTE-
nonché
COGNOME.
–
INTIMATA – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 2723/2019, depositata il 27/06/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di respingere il ricorso.
Uditi gli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha adito il Tribunale di Treviso, sezione di Conegliano, esponendo che il padre NOME COGNOME deceduto il 24.10.2014, aveva disposto dei suoi beni con testamento olografo redatto in data 12 settembre 2008, istituendo eredi l ‘attrice e la sorella NOME al 50%, con dispensa dalla collazione delle donazioni, senza nulla prevedere in favore del figlio NOME avendo il de cuius già rinunciato , in favore di quest’ultimo, a d un rilevante credito avente ad oggetto il pagamento del prezzo delle cessioni delle azioni della RAGIONE_SOCIALE trasferite al suddetto coerede. Ha evidenziato che il testatore aveva condizionato l’efficacia dei lasciti alla due figlie al rilascio di un’espressa dichiarazione, da effettuare entro 90 giorni davanti ad un notaio, con cui ognuno dei chiamati avrebbe dovuto prestare acquiescenza alle disposizioni testamentarie, rinunciando contestualmente alle azioni di riduzione e ad ogni altra pretesa nei confronti dei fratelli; a coloro che non avessero ottemperato a quanto disposto, sarebbe spettata solo la quota di legittima, con obbligo di collazione delle donazioni per tutti
i chiamati alla successione.
Ha dedotto che, a differenza di NOME e NOME COGNOME, che avevano dichiarato dinanzi al notaio di accettare i lasciti, l’attrice non aveva prestato acquiescenza al testamento, pur avendo accettato l’eredità paterna con beneficio di inventario. Ha chiesto la divisione della comunione ereditaria, con attribuzione del 50% dell’asse alle due sorelle, di dichiarare l’invalidità della clausola condizionale, di accertare che le cessioni del pacchetto azionario effettuate dal de cuius ad NOME COGNOME tra il 1976 ed il 1989 erano simulate in senso assoluto o relativo, dissimulando, in quest’ultimo caso, donazioni prive della forma ad substantiam , instando infine per la riduzione di dette donazioni in quanto lesive della legittima; ha proposto, in ulteriore subordine, domanda di nullità dell’intero testamento per
effetto dell’illiceità della clausola condizionale o per violazione del divieto dei patti successori, assumendo che NOME COGNOME aveva rinunciato alla quota di legittima in virtù di un accordo precedentemente preso con il padre, obbligatosi a confermare nella scheda testamentaria il trasferimento azionario già effettuato in vita. NOME COGNOME ha resistito, proponendo azione di riduzione di talune donazioni ricevute in vita dalle sorelle. Anche NOME COGNOME si è costituita in giudizio, chiedendo di dichiarare che l’attrice av eva titolo alla sola quota di legittima, non avendo prestato acquiescenza al testamento. Ha proposto domanda di annullamento della dichiarazione di accettazione del testamento, poiché viziata da errore, spiegando anche azione di riduzione delle donazioni ricevute da NOME COGNOME
Il Tribunale, con sentenza n. 1707/2016, ha ritenuto validi la clausola sanzionatoria apposta al testamento e la disposizione (qualificata come legato liberatorio in sostituzione di legittima), ricevuta da NOME COGNOME escludendo che il testamento fosse stato compilato in adempimento di un patto successorio. Ha dichiarato inammissibili le azioni di riduzione e ha respinto le azioni di accertamento della simulazione assoluta delle cessioni azionarie aventi ad oggetto le partecipazioni sociali, ritenendo che tali trasferimenti dissimulassero donazioni nulle perché prive della forma ad substantiam . Ha infine disposto lo scioglimento della comunione, rimettendo la causa sul ruolo per la stima dei beni.
La sentenza, impugnata da NOME COGNOME in via principale e delle altre parti in via incidentale, è stata parzialmente riformata in appello.
Anche la Corte distrettuale ha ritenuto valida la clausola con cui il testatore aveva subordinato i lasciti alle due figlie all’accettazione delle disposizioni testamentarie con rinuncia all’azione di riduzione, poiché non era pregiudicava la quota riservata o libertà fondamentali dei legittimari.
Inoltre, a parere del giudice di appello, i trasferimenti azionari in favore di NOME COGNOME non integravano veri e propri patti di famiglia nulli per difetto di forma, né vi era prova che all ‘epoca fosse stato concluso con il de cuius un patto successorio con cui NOME COGNOME aveva rinunciato alla legittima in cambio delle azioni, mancando prova di un vero e proprio vincolo giuridico che obbligasse il de cuius a disporre in un certo modo delle proprie sostanze; la cessione delle partecipazioni rispondeva ad una strategia societaria diretta a contrastare una scalata della società da parte di terzi estranei alla cerchia familiare.
Quanto alla validità del negozio di cessione delle azioni, dopo aver precisato che il Tribunale, nel dichiarare nulla quella effettuata nel 1989, aveva affermato che quest’ultima aveva riguardato anche le azioni già cedute in precedenza, retrocedute dai figli ad NOME COGNOME la Corte di merito ha ritenuto che il trasferimento fosse avvenuto a titolo oneroso e non fosse simulato nonostante il differimento del pagamento del prezzo di circa 22 anni senza previsione di interessi, e ha perciò disposto l’acquisizione all’asse da dividere del prezzo delle azioni, che non era stato mai versato.
Ha dichiarato l’inamm issibilità delle azioni di riduzione per difetto di allegazione e prova delle circostanze rilevanti per l ‘esame del merito, affermando inoltre che: a) la vendita dell’immobile di INDIRIZZO di Treviso in favore della figlia NOME dissimulava una donazione indiretta non del bene, ma delle somme necessarie ad estinguere due mutui per l’acquisto e la ristrutturazione, disponendo la collazione del denaro; b) era passata in giudicato la statuizione con cui il Tribunale aveva accertato la donazione indiretta, in favore di NOME COGNOME, della nuda proprietà degli immobili in Conegliano, con esclusione dei garage, oggetto del rogito del 31.1.1996; c) che analoga donazione immobiliare era stata effettuata in favore di NOME COGNOME; d) non vi era prova della donazione di quote di
fondi di investimento e del denaro per l’acquisto dell’abitazion e di INDIRIZZO in Mestre.
Per la cassazione della sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso affidato a 32 motivi; hanno resistito con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il Procuratore Generale ha fatto pervenire conclusioni scritte.
Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 634, 1325, n. 3, 1346 e 1418 c.c., lamentando che la Corte d’appello abbia ritenuto valida la clausola sanzionatoria contenuta nel testamento benché idonea a gravemente coartare la libertà del legittimario di agire in riduzione. La condizione sarebbe nulla per ind eterminabilità dell’oggetto o contraria a norma imperativa in quanto volta a precludere l ‘ impugnativa del testamento anche per nullità, annullabilità, falsità, incapacità del testatore.
Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 1362 e 1362 c.c., per aver la Corte di appello condiviso l’interpretazione restrittiva della clausola condizionale fatta propria dal Tribunale, avendo affermato che la pattuizione era finalizzata solo ad impedire le azioni tra i coeredi riguardanti la successione, in contrasto con il dato letterale della scheda che condizionava l’efficacia delle disposizioni alla rinuncia dei chiamati a qualsiasi altra azione nei confronti dei fratelli, incluse eventuali domande di nullità.
I due motivi non sono fondati.
La clausola condizionale apposta al testamento prevedeva la devolu zione dell’asse residuo alle due figlie i n misura del 50% con dispensa dalla collazione delle donazioni; secondo il Tribunale ad NOME COGNOME era stato destinato un legato liberatorio in sostituzione di legittima avente ad oggetto il debito del prezzo delle cessioni azionarie effettuate a più riprese da NOME COGNOME a titolo oneroso.
I lasciti erano condizionati risolutivamente alla mancata accettazione, da parte anche di un solo figlio, delle disposizioni testamentarie e alla rinunc ia all’azion e di riduzione e ad ogni altra azione pertinente all’eredità ; coloro che non avessero accettato il lascito, avrebbero ricevuto la legittima mentre la disponibile sarebbe stata attribuita agli altri figli.
Dopo aver affermato che in linea di principio sono illecite le condizioni dirette ad impedire le impugnative per nullità del testamento o di singole clausole derivanti da vizio di forma, difetto di olografia, falsità o l’annullamento per vizi della volontà , o se la condizione sanzionatoria influisca su libertà fondamentali della persona, la Corte di merito ha ritenuto valida la condizione nella parte in cui subordinava l’efficacia del testamento al mancato esperimento dell’azione di riduzione poiché non pregiudicava i diritti del legittimari e non comprimeva diritti fondamentali dei chiamati alla successione. Tale conclusione deve essere condivisa per le ragioni che seguono.
1.1 Deve premettersi che, come accertato in fatto dalla Corte di merito, scopo essenziale della clausola era consolidare l’assetto successorio e patrimoniale che NOME COGNOME aveva ritenuto il più idoneo ad evitare liti successorie, ristabilendo condizioni di parità di trattamento tra i figli.
NOME COGNOME, impugnando il testamento, aveva inteso conservare il lascito (50% del relictum, con dispensa dalla collazione), ottenere la riduzione delle donazioni e l’acquisizione alla massa delle partecipazioni societarie nella RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE e, infine, concorrere sulla disponibile, in contrasto con la diversa destinazione del patrimonio ereditario voluta dal testatore , sull’assunto che NOME COGNOME non poteva impedire (o condizionare) l’esercizio delle azioni a tutela dei coeredi, non potendo la clausola comportare alcuna decadenza.
1.2 La volontà testamentaria incontra il limite costituito dall’impossibilità di ledere , in senso quantitativo, i diritti che la legge
riserva ai legittimari (Cass. 1403/1970; Cass. 13310/2002), nel qual caso è data l’azione di riduzione (art. 563 c.c.) ; è fatto divieto di apporre pesi e condizioni sulla legittima, fatte salve le norme in materia di divisione (art. 549 c.c.).
Le disposizioni lesive sono valide ed efficaci finché non ne sia disposta la riduzione; eventuali pesi e vincoli gravanti sulla riserva sono inefficaci e il legittimario non è tenuto ad eseguirli.
Sono inclusi nel divieto (art. 549 c.c.) eventuali elementi accidentali che riducano il valore del lascito al di sotto della riserva, quali le condizioni in senso tecnico che, inoltre, ai sensi dell’art. 634 c.c., si considerano non apposte se l’evento dedotto in condizione è impossibile o illecito; se poi la condizione, oltre che illecita o impossibile, ha costituito il motivo unico determinante del lascito, è travolta l’inter a disposizione poiché l’art. 634, ultima parte, c.c. richiama l’art. 626 c.c. (Cass. 1180/1966; Cass. 12340/1991).
Come detto, la clausola apposta al testamento di NOME COGNOME faceva dipendere la caducazione dei lasciti del 50% alle due figlie dalla mancata accettazione del testamento (e dall’esercizio dell’azione di riduzione) da parte di uno qualsiasi dei legittimari, svolgendo una funzione ad un tempo sollecitatoria (essendo diretta ad esercitare una pressione sui coeredi in modo da indurli a non alterare l’assetto della successione ), e sanzionatoria, dato che l’erede non accettante avrebbe perso il lascito (quale ne fosse il valore), ottenendo solo la legittima.
Dette disposizioni ” poenae nomine ” hanno lo stesso trattamento della disposizione condizionale (Cass. 1180/1966; Cass. 12340/1991).
1.3. La clausola di cui si discute poneva ai chiamati l’alternativa tra accettare il testamento e mantenere il lascito o non accettarlo e perdere in ogni caso l’attribuzione del l’eventuale supero sulla riserva, rimettendo agli eredi una valutazione di convenienza da
effettuare a successione aperta, allorquando ciascun figlio poteva liberamente disporre della quota riservata.
La clausola -disposizione accessoria ad un atto mortis causa -avrebbe prodotto effetti solo dopo la morte del de cuius allorquando ciascun chiamato poteva anche rinunciare alla legittima, a successione aperta (art. 557, comma secondo, c.c.), comportando, per il coerede che non avesse accettato, la perdita della quota di cui il testatore liberamente poteva disporre (cfr. sentenza, pag. 34).
Il divieto di proporre l’azione di riduzione, anziché pregiudicare la quota indisponibile , mirava a presidiare l’assetto successorio preferito dal testatore, prospettando un’alt ernativa che evocava, pur nella diversità delle fattispecie, l’art. 550 c.c. (cd. cautela sociniana) e l’art. 551 c.c. (legato in sostituzione in sostituzione), non realizzando, quindi, un’illecita compressione del diritto di azione garantito dall’art. 24 Cost. , data la natura delle situazioni soggettive interessate (cfr., per la compatibilità con l’art. 24 Cost. della clausola sanzionatoria che vieti agli eredi di agire a tutela di diritti disponibili, Cass. 12936/1993 in motivazione).
Non erano superati i limiti inderogabili che incontra il testatore nel disporre della successione, limiti che -come ha ricordato il giudice di merito – si compendiano nella tutela dei congiunti più stretti a favore dei quali la legge impone che sia riservata necessariamente una quota del patrimonio (Cass. 1/1997 secondo cui è valida la disposizione testamentaria sottoposta alla condizione risolutiva, limitatamente alla parte disponibile, di non impugnare il testamento o una certa disposizione).
Diversa appare l’ipotesi qui considerata da quella oggetto di altro precedente di questa Corte (Cass. 4270/1984), secondo il quale il testatore non può attraverso la clausola di caducazione dal lascito impedire al legittimarlo di agire in riduzione per la tutela di un diritti riconosciutogli per legge proprio al fine di evitare che il testatore violi quelle norme, poiché, nel caso in esame, la clausola non prevedeva
l’attribuzione di una certa quota quale ne fosse il valore (anche se inferiore alla legittima) con divieto assoluto di agire in riduzione, ma contemplava un lascito che, ove non accettato, avrebbe comportato la perdita della disponibile, esplicitamente riconoscendo a tutti i legittimari la quota indisponibile.
Posta la liceità della condizione, era del tutto lecito, come meglio si illustrerà in seguito, anche il motivo determinante della disposizione, consistente nell’intento di NOME COGNOME di dare un assetto equilibrato alla successione in modo da prevenire liti successorie.
1.4. Sono inammissibili, poiché non decisive, le restanti questioni proposte in parte con il primo motivo e poi sviluppate ulteriormente con il secondo circa la portata oggettiva e la nullità della clausola condizionale anche nella parte in cui vietava ai chiamati alla successione non solo l’esercizio dell’azion e di riduzione, ma anche di ogni altra azione tra i coeredi, incluse le domande di nullità, falsità, incapacità del testatore, per contrasto con norme imperative.
La Corte di merito ha esplicitamente affermato la validità della clausola relativamente alla rinuncia all’azion e di riduzione ed ha dichiarato la risoluzione dei lasciti , supponendo l’autonomia delle singole prescrizioni contemplate dalla condizione risolutiva. L ‘invalidità dell’intera condizione apposta al testamento -auspicata dalla ricorrente – poteva allora discendere non dalla sola contrarietà a legge delle ulteriori limitazioni imposte dal testatore, ma dall’inscindibilità dell’int ero contenuto della clausola in modo da inficiare anche il divieto di agire in riduzione (dichiarato valido), dovendo risultare che detta condizione non sarebbe stata apposta senza l’altra parte del suo contenuto colpita da nullità.
Tale profilo di inscindibilità non è minimamente coltivato in ricorso ed è -inoltre – questione rimessa al giudice di merito poiché implica un’indagine sul contenuto della volontà t estamentaria che non può aver corso in questa sede di legittimità.
La sentenza è pertanto incensurabile ove ha affermato che la mancata accettazione del lascito e l’esercizio dell’azione di riduzione da parte di NOME COGNOME avevano determinato l’avveramento della condizione risolutiva e la conseguente attribuzione a NOME COGNOME della sola quota indisponibile, oltre che la devoluzione in favore di NOME ed NOME COGNOME della quota disponibile.
Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 768 bis c.c., 458, 1344 e 1418 c.c., per aver la sentenza negato che NOME ed NOME COGNOME avessero concluso un patto successorio nullo o un patto di famiglia privo della forma dell’atto pubblico .
Si afferma che il de cuius aveva ceduto le partecipazioni azionarie al figlio NOME per porlo a capo della società, segregando le quote sociali dal resto dell ‘asse tramite un complicato meccanismo e un intreccio di patti, con una sorta di “liquidazione” a favore delle figlie non prescelte per la continuazione nell’impresa, al contempo rendendo inoppugnabile l’acquisto di NOME in violazione di un divieto che poteva esser superato solo mediante la stipula di un patto di famiglia e nel rispetto delle relative condizioni (artt. 768-bis ss. c.c.).
In punto di fatto si evidenzia che il de cuius aveva provveduto, tra il 1976 e il 1985, a trasferire la nuda proprietà di un rilevante numero di azioni della RAGIONE_SOCIALE al figlio NOME e alle figlie NOME e NOME e che solo queste ultime le avevano poi retrocedute al padre; nel giugno nel 1989, tutte le quote di cui era divenuto nuovamente titolare NOME COGNOME erano state trasferite al figlio maschio in nuda proprietà, differendone il pagamento di circa vent’anni (o a cinque dalla morte del cedente) senza maturazione di interessi. Tale complesso congegno negoziale implicava, secondo la ricorrente, l’intento del capostipite di programmare la propria successione; il termine di pagamento conduceva ad una cristallizzazione dei valori delle azioni cedute, cui concorreva anche la mancata previsione degli interessi, consentendo al de cuius di mettere l’acquisto del figlio al riparo dalle pretese delle altre
legittimarie, sterilizzandone il valore a un tempo precedente all’apertura della successione, dimodoché la cessione delle azioni avrebbe avuto un peso proporzionale sempre più scarso rispetto all’intero asse, pur costituendone la parte nettamente più rilevante sotto il profilo economico.
Sarebbe emerso dalle prove per testi e dai talune missive del de cuius che, prima della redazione del testamento, padre e figlio avevano concluso un patto con cui l’erede aveva rinunciato alla legittima e che il testatore si era vincolato a rendere inoppugnabile tale assetto mediante il testamento, liquidando la quota delle altre eredi e coartandone la volontà mediante la clausola di decadenza dal lascito in caso di mancata acquiescenza.
L ‘inosservanza del requisito di forma e la mancata liquidazione della quota di riserva alle figlie non cessionarie delle azioni inficiavano la validità del preteso patto di famiglia.
Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., per aver la sentenza escluso che il de cuius avesse inteso regolare la propria successione mediante i negozi di cessione azionaria e le successive disposizioni testamentarie in assenza di un patto successorio e di una finalità successoria delle cessioni e del testamento, dovendo invece ritenersi che il semplice collegamento tra i vari atti inficiava l’ intera operazione, presupponendo l’esistenza di un patto di famiglia concluso prima dell ‘ entrata in vigore dell’art. 728 bis c.c..
Il quinto motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, per aver la sentenza escluso che NOME COGNOME avesse inteso dar vita ad un patto di famiglia avente ad oggetto le azioni della RAGIONE_SOCIALE non tenendo conto del perfezionamento di un patto rinunciativo o istitutivo risultante dalle prove per testi e dalle missive del de cuius, oltre che dalla presenza, nel negozio di cessione e nella scheda testamentaria, di clausole che evidenziavano l’intento di collegare la pluralità di negozi per realizzare un risultato in violazione
del divieto di segregazione e anticipazione successoria, sussistendo gli elementi sintomatici del patto di famiglia desumibile dalle cessioni delle azioni, dalla dilazione del prezzo senza previsione di interessi e dallo scopo perseguito con la clausola sanzionatoria di assicurare ad NOME COGNOME la successione nell’impresa.
Il sesto motivo denuncia la violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. , lamentando che la Corte di merito abbia, con motivazione apparente, escluso il perfezionamento di un patto di famiglia, reputando decisiva la strategia di contrastare una scalata esterna della società e l’ aiuto economico, a favore di RAGIONE_SOCIALE da parte del suocero per l’acquisto delle quote di altri azionisti e non dunque delle quote del padre de cuius, elementi tutt’altro che decisivi per escludere il perfezionamento di un accordo nullo.
I quattro motivi sono infondati.
2.1 L’art. 768 bis c.c. definisce patto di famiglia il contratto, che deve esser concluso con atto pubblico a pena di nullità (art. 768 ter c.c.) con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti.
Il contratto richiede la partecipazione necessaria del coniuge e di tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore. Gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli articoli 536 e seguenti. I beni assegnati con il contratto agli altri partecipanti non assegnatari dell’azienda, secondo il valore attribuito in contratto, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti; quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione. All’apertura della successione
dell’imprenditore, il coniuge e gli altri legittimari che non abbiano partecipato al contratto possono chiedere ai beneficiari del contratto stesso il pagamento della somma prevista dal secondo comma dell’articolo 768-quater, aumentata degli interessi legali.
Per espressa previsione dell’art. 485 c.c. l’operazione è sottratta al divieto imperativo dei patti successori.
Con l’art. 768 bis c.c. si è inteso superare le rigidità del regime successorio generale nella regolazione dei trasferimenti endofamiliari dell’impresa, in cui l’intangibilità dei diritti del legittimari e il divieto di patti successori sono spesso ostacolo per la continuità e la conservazione dell’impresa , ciò in risposta alla raccomandazione n. 94/1069 del 7 dicembre 1994 della Commissione Europea che aveva sollecitato i singoli Stati membri a adottare misure idonee a facilitare il passaggio generazionale delle piccole e medie imprese, al fine di assicurarne la sopravvivenza e di salvaguardarne i livelli occupazionali.
Si è evidenziato da questa Corte che il patto di famiglia si colloca nell’ambito dei patti successori , non tanto perché con esso vengono trasferiti per spirito di liberalità determinati beni dell’imprenditore prima dell’apertura della successione (in vista del passaggio generazionale nella gestione dell’impresa), ma perché, unitamente a tale attribuzione, la legge prevede la soddisfazione dei legittimari non assegnatari mediante la liquidazione di un conguaglio da parte del beneficiario dell’attribuzione, anticipando gli effetti dell’apertura della successione e della divisione ereditaria limitatamente ai beni oggetto di trasferimento, tenendo conto delle quote di legittima e rafforzando la definitività delle attribuzioni con l’esclusione dalla collazione e dalla riduzione.
Elemento necessario è la presenza del conguaglio in favore degli altri legittimari, esigibile da subito, non al momento del l’apertura della successione ; l’operazione è giuridicamente unitaria per il necessario colle gamento tra l’attribuzione di carattere donativo della
partecipazione societaria in capo al beneficiario e la limitazione di tale beneficio tramite la liquidazione della quota di riserva (Cass. 29506/2020; Cass. 19561/2022; in senso solo parzialmente difforme, per aspetti che qui non rilevano, Cass. 3283/2018).
2.2 Nel caso concreto, è anzitutto da rilevare che la pacifica irretroattività del complesso delle norme che regolano il patto di famiglia (art. 768 bis e ss. c.c.) non consente -in linea di principio – di formulare un giudizio di invalidità sopravvenuta a fattispecie perfezionatesi precedentemente, potendo valutarsi la validità delle operazioni alla luce dei limiti all’autonomia del testatore vigenti all’epoca dei trasferimenti azionari ( id est in relazione al divieto di patti successori), senza potersi richiedere, ad es. requisiti, anche di forma, contemplati dalle norme adottate ex post, destinati a valere per i patti di famiglia conclusi a regime, costituendo questi ultima una deroga all’art. 458 c.c. .
In ogni caso, difettano, nello specifico, sia gli elementi caratterizzanti del patto di famiglia, sia le connotazioni tipiche dei patti successori. Secondo la Corte di merito il trasferimento azionario perfezionato in vita da NOME COGNOME era stato effettivo, con effetti traslativi immediati e a titolo oneroso, salvo il differimento del pagamento del prezzo, sicché, fermo quanto si preciserà rispetto alle cessioni anteriori al 1989, non era stato congegnato un trasferimento a carattere donativo tra NOME ed NOME COGNOME e non vi è stato alcun obbligo, a carico del beneficiario del trasferimento delle azioni, di procedere alla liquidazione e al pagamento del valore della quota di riserva degli altri legittimari, dato che il prezzo delle vendite doveva esser versato ad NOME COGNOME (che vi ha rinunciato anni dopo). Il corrispettivo delle cessioni era rapportato al controvalore di mercato della vendita, fissato dopo indagini volte a stabilirne la giusta entità e non sul valore della legittima.
Con motivazione esente da vizi, la pronuncia ha, quindi, escluso la sussistenza di un patto di famiglia ante litteram , rilevando che le
cessioni erano finalizzate ad impedire scalate ostili della COGNOME e a concentrare in capo al figlio NOME il controllo societario, ponendo a frutto l’opportunità data dalla disponibilità di un terzo a finanziare l’operazione di acquisizione del controllo societario a condizione che fosse NOME COGNOME ad assumere la conduzione dell’impresa (cfr. sentenza pag. 35).
La cessione azionaria e la regolazione testamentaria non sono appare collegate quali fasi attuative di un’operazione unitaria, volta a regolare la successione mediante negozi diversi dal testamento.
Non era contemplato alcun effetto segregativo; l ‘ipotizzato congelamento del valore delle azioni (tramite il differimento del termine di pagamento e la mancata corresponsione di interessi) poteva al più attenuare il carattere oneroso dell’operazione.
2.3. Dette cessioni non integravano atti mortis causa, né dunque rientravano in un più ampio concetto di patto successorio nullo, avendo esaurito i loro effetti al momento della conclusione dei singoli negozi traslativi.
Ai fini della configurazione di un patto successorio vietato, è necessario che: 1) il vincolo giuridico abbia avuto la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta; 2) che la cosa o i diritti formanti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità della futura successione e se siano, comunque, ricompresi nella successione stessa; 3) che il promittente abbia inteso provvedere in tutto o in parte della propria successione, privandosi, così dello “jus poenitendi”; 4) che l’acquirente abbia contrattato o stipulato come avente diritto alla successione stessa; 5) che il programmato trasferimento, dal promittente al promissario, avrebbe dovuto aver luogo “mortis causa”, ossia a titolo di eredità o di legato (cfr. da ultimo, Cass. 14110/2021; già in tal senso Cass. 1683/1995; Cass. 2404/1971). L’art. 485 c.c. mira a salv aguardare il principio -di ordine pubblico -secondo cui la successione mortis causa può
essere disciplinata, oltre che dalla legge, solo dal testamento (cd. tipicità degli atti mortis causa) e a tutelare la libertà testamentaria fino alla morte del disponente.
Secondo un noto insegnamento dottrinale (condiviso esplicitamente da questo Corte: cfr. Cass. 34858/2023; Cass. 19198/2020), l’atto mortis causa vietato (diverso dal testamento) è destinato a regolare i rapporti che scaturiscono dalla morte del soggetto, senza produrre alcun effetto, neppure prodromico o preliminare fino a quando il soggetto è in vita. Tale negozio mortis causa investe rapporti e situazioni che si formano in via originaria con la morte del soggetto o che dall’evento morte traggono una loro autonoma qualificazione, mentre il negozio valido è destinato a regolare una situazione preesistente, sia pure subordinandone gli effetti alla morte di una delle parti. Nei primi tale evento incide sia sull’oggetto che sulla posizione del beneficiario, nel senso che la disposizione mortis causa interes sa non il bene come si trova al momento dell’atto, ma come esso figura nel patrimonio del disponente al momento della morte (cd. quod superest ) e nel quale il beneficiario è considerato tale in quanto esistente al momento in cui l’atto acquisterà definitiva efficacia.
In definitiva, l’atto mortis causa è diretto a regolare i rapporti patrimoniali e non patrimoniali del soggetto per il tempo e in dipendenza della sua morte, senza produrre alcun effetto, nemmeno prodromico o preliminare, laddove le cessioni azionarie anteriori all’ultima di esse, risalente al 1989, avevano realizzato i loro effetti traslativi ben prima che si aprisse la successione.
Per ritenere violato l’art. 458 c.c. è necessario non solo che il patto sia anteriore all’apertura della successione, ma anche che la cosa oggetto della convenzione debba prendersi dall’eredità ed essere trasferita al promissario a titolo di eredità o di legato (cfr. Cass. 5870/2000 e Cass. 526/1947 secondo cui non costituisce patto
successorio la vendita di beni, con la quale il venditore si riserva, vita natural durante, l’usufrutto a proprio favore) .
3.Il settimo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo circa l’ esistenza di un patto successorio al contempo istitutivo – con cui il de cuius si era vincolato verso il figlio a conferire alla propria successione un dato assetto – e rinunciativo da parte di NOME COGNOME alla quota di riserva, patti di cui il testamento era stata esecuzione, essendo la scheda attuativa di un disegno concepito sin dal momento delle prime cessioni azionarie effettuate a partire dal 1976.
Il perfezionamento di accordi sulla successione sarebbe provato dalle dichiarazioni del teste NOME COGNOME che aveva riferito dell ‘ intesa tra il de cuius ed il figlio con cui il primo avrebbe rinunciato a riscuotere il prezzo delle azioni e il secondo ad accettare la remissione del debito e a non esercitare le azioni di riduzione, accordo in attuazione del quale era stato poi modificato un precedente testamento.
L’ottavo motivo denuncia la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. contestando alla Corte di merito di aver ritenuto insussistente un patto istitutivo sul rilievo che il de cuius non si era vincolato agli accordi precorsi con il figlio nella regolazione della successione. Secondo la ricorrente, la consapevolezza del carattere illecito del patto in capo al disponente non ne escludeva l’avvenuto suo perfezionamento.
Il nono motivo denuncia l’omessa pronuncia su un motivo di appello, assumendo che la Corte abbia escluso le cessioni azionarie effettuate dal 1976 al 1989 fossero attuative di un patto successorio nullo, senza pronunciarsi sull’esi stenza di un ulteriore patto illecito intervenuto poco prima del testamento.
Il decimo motivo denuncia l’omessa motivazione con riferimento all’esistenza di un patto rinunciativo poi trasfuso nelle dispos izioni di volontà di NOME COGNOME
L’undicesimo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per aver la sentenza omesso di rilevare il perfezionamento di un patto rinunciativo nullo comprovato dalle deposizioni di NOME COGNOME, di NOME COGNOME e del notaio COGNOME oltre che dalle missive del 21.4.2005 e del 2.12.2006, patti in esecuzione del quale erano stati redatti i testamenti da parte di entrambi i genitori. Anche dalla clausola sanzionatoria sarebbe stato agevole trarre la dimostrazione che il testatore aveva inteso assicurarsi la rinuncia alla legittima da parte del figlio NOME
Il dodicesimo motivo deduce la violazione dell’art. 458 c.c. , assumendo che la Corte abbia ritenuto provato il patto rinunciativo, omettendo di dichiararne la nullità.
Il tredicesimo motivo lamenta la violazione degli artt. 1362 e ss. c.c., per aver il giudice non correttamente interpretato la volontà di NOME COGNOME di rinunciare a qualsiasi pretesa sulla successione paterna, rinuncia non smentita dalle ripetute richieste di NOME COGNOME circa le intenzioni del figlio, tutte anteriori al perfezionamento della rinuncia.
Il quattordicesimo motivo deduce la violazione dell’art. 626 c.c. , sostenendo che la sentenza di appello, ritenendo valido il testamento, abbia omesso di esaminare il tema dell’illiceità del motivo determinante della disposizione, consistente nella volontà di eseguire il patto rinunciativo, venendone travolto l’intero contenuto delle disposizioni di ultima volontà.
3.1.Le censure sollevano, da diversa prospettiva, la medesima questione concernente l’invalidità del testamento poiché attuativo di un patto successorio nullo, concluso sia molto prima che a ridosso della redazione delle disposizioni di ultima volontà, e richiedono pertanto un esame congiunto.
3.2. I motivi settimo ed undicesimo vanno preliminarmente dichiarati inammissibili.
La Corte di appello ha confermato la pronuncia di primo grado quanto all’insussistenza di un patto successorio rinunciativo ed istitutivo di cui il testamento costituisse attuazione; la ricorrente non può dolersi della violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. , questione che è preclusa ai sensi dell’art. 348 ter e quater c.p.c., né dell’omess a considerazione delle risultanze istruttorie, poiché, come nello specifico, il fatto denunciato è stato comunque esaminato (Cass. SU 8053/2014). Neppure è possibile rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili; l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, potendosi solo controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 9097/2017; Cass. 32505/2023; Cass. 10927/2024).
3.3. I restanti motivi sono infondati.
Fermo quanto già illustrato riguardo all’insussistenza di un patto successorio riguardante anche le cessioni azionarie anteriori al 1989, va osservato , riguardo a quest’ultima, come entrambe le pronunce abbiano escluso la violazione del divieto di patti successori evidenziando che, nel disporre dei propri beni, il testatore non si era vincolato dall’accordo con il figlio, avendo ric ercato un assetto successorio che meglio garantisse una tendenziale parità di trattamento tra i discendenti ed evitasse contenziosi, senza minare la già attuata concentrazione del controllo della COGNOME nelle mani del figlio NOME essendosi il testatore convinto della adeguatezza , rispetto all’obiettivo di non dar luogo a conflitti tra i figli, di quanto poi disposto con il testamento.
Il preteso patto successorio, neppure realmente concluso, non aveva coartato o inciso sulla volontà testamentaria e il testamento non
aveva dato esecuzione ad alcuna intesa con NOME COGNOME la cui disponibilità a rinunciare all’azion e di riduzione era stata tenuta in conto come uno degli elementi per giungere ad una soluzione delle questioni ereditarie.
Proprio a tale scopo NOME COGNOME aveva ripetutamente compulsato il notaio di fiducia alla ricerca di una soluzione che meglio traducesse il reale intento del disponente, senza stringere alcuna intesa con il discendente maschio neppure riguardo ad un eventuale rinuncia di quest’ultimo ad esercitare l’azione di riduzione.
Nessun rilievo ha assunto una presunta consapevolezza della nullità del patto con il figlio, essendo posta in rilievo dal giudice di appello l’assenza di un vero e proprio vincolo a disporre in un certo modo nonché il fatto che il testamento non era attuativo di alcun preventivo accordo, tanto che le continue richieste di conferme circa la disponibilità di NOME a non avanzare ulteriori pretese e a ritenersi soddisfatto dalla rimessione dell’obbligo di corrispondere il prezzo delle azioni cedutegli anni prima, è emerso quale manifestazione dell’intento di NOME COGNOME di volersi solo sincerare, con una sorta di test preventivo, che non sarebbero state contestate le disposizioni testamentarie che aveva in animo di dettare in favore delle figlie.
Non vi era stato, nei ripetuti contatti tra le parti, un vero e proprio scambio di dichiarazioni impegnative, ma un ripetuto sondaggio delle reali intenzioni del figlio, mancando un impegno reciproco, da un lato, a disporre della propria successione in un certo modo e, dall’altro , a rinunciare ad eventuali pretese sulla quota riservata.
L ‘art. 458 c.c . postula un vincolo giuridico nascente dalla convenzione che abbia avuto la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta (Cass. 1683/1995; Cass. 2404/1971).
Il patto successorio, nella forma di patto istitutivo, consta di un accordo che abbia di per sé i requisiti di una valida e irrevocabile fonte di obbligazione e che sia da considerarsi nullo solamente per il fatto di porsi in contrasto con l’art 458 c.c. (Cass. 5693/1979; Cass. 1702/1972).
E’ esclusa la violazione della norma quando non intervenga tra le parti alcuna convenzione e la persona della cui eredità si tratta abbia soltanto manifestato verbalmente all’interessato o a terzi l’intenzione di disporre dei suoi beni in un determinato modo, senza costituire alcun vincolo giuridico che venga a limitare la piena libertà del testatore (Cass. 5555/2022; Cass. 5870/2000).
D’altronde la stessa ricorrente, affermando che il testamento era stato confezionato per dare seguito agli accordi tra padre e figlio, deduce un accordo ad effetti obbligatori che, ove pure sussistente, poteva invalidare il testamento solo se adottato in attuazione del patto, oltre che conformemente al suo contenuto, in virtù di un nesso funzionale negato dalla Corte di merito, essendo la scheda apparsa il frutto di libera autodeterminazione del testatore.
Il relativo accertamento è stato desunto da elementi convergenti e univoci, muniti di riscontro processuale, ed attiene al giudizio di fatto incensurabile poiché logicamente motivato, apparendo soddisfatto l’obbligo di motivazione secondo il criterio del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (Cass. SU 8053/2014), anche riguardo alla lamentata violazione dei criteri di interpretazione negoziale, essendo rimesso al giudice di merito stabilire se effettivamente fosse stato concluso un patto vincolante.
Resta esclusa sia un’ istituzione di erede rivestita della forma contrattuale, sia un patto avente ad oggetto la costituzione, trasmissione o estinzione di diritti relativi ad una successione non ancora aperta, mancando un ” vinculum iuris ” cui la disposizione ereditaria abbia dato attuazione (Cass. 27624/2017; Cass. 24450/2009; Cass. 5119/2009).
Non sussiste, infine, l’ omissione di pronuncia dedotta con il nono motivo riguardo alla sussistenza di un accordo perfezionato prima del confezionamento del testamento, circostanza disattesa dalla sentenza, che ha negato la costituzione di un obbligo contrattuale, in capo ad NOME COGNOME di disporre per testamento in base ad un intesa con il figlio oltre al fatto che il testamento fosse attuativo di un patto successorio nullo.
Quanto al motivo determinante del testamento, la Corte ha dato atto che la ragione che aveva indotto il de cuius ha lasciare l’intero asse alle figlie e ad apporre la clausola condizionale consisteva nel voler ristabilire il più possibile parità di trattamento in modo da evitare contenziosi ereditari, motivazioni del tutto legittime ai sensi dell’art. 626 c.c..
In materia successoria, il trattamento riservato alle condizioni o agli oneri illeciti, apposti ad un testamento, è diverso da quello del motivo illecito dello stesso testamento. Il motivo illecito rende nulla tutta la disposizione testamentaria (nullità assoluta), sempre che risulti dal testamento e sia stato il solo che abbia determinato il testatore a disporre (art. 626 c.c.). Per ‘motivo’ del testamento si intende la ragione, la spinta che vale a determinare il testatore a disporre in favore di una determinata persona e va tenuto distinto dalla ‘causa’, che e invece lo scopo immediato che il testatore si propone col testamento, e che, di regola, è quello generico di beneficiare l’erede o il legatario.
E ‘ illecito il motivo contrario a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume (art. 1343 c.c.), ma una disposizione testamentaria se è determinata da più motivi, dei quali uno è lecito, è valida (Cass. 2071/1964). Più in particolare, se di due o più motivi ognuno ha pari efficienza, nessuno dei due isolatamente può essere considerato causam dans . Basta che uno dei due sia lecito o possibile perché la disposizione sia salva. Se invece, di più motivi, uno solo è determinante, se esso è illecito o erroneo travolge l ‘intera
disposizione (cfr., testualmente, Cass. 1380/1955; Cass. 2071/1964; in tema di errore, di recente, Cass. 7056/2023).
4. Il quindicesimo motivo denuncia la violazione degli artt. 458, 1346, 1362, 1418, 1421 c.c., per aver la sentenza omesso di stabilire se il legato liberatorio in sostituzione di legittima ottenuto da NOME COGNOME fosse valido, reputando la questione della nullità del lascito assorbita ma contestualmente affermando che il legato aveva un oggetto determinabile, costituito dal prezzo delle azioni. Secondo la ricorrente il testamento conteneva solo un generico riferimento ‘al debito’ da cui sarebbe stato liberato il coerede, della cui natura ed oggetto le parti non erano a conoscenza, tanto da sostenere che le cessioni azionarie erano state effettuate a titolo gratuito.
Il legato sarebbe nullo anche perché attuativo di un patto successorio.
Il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza, essendo il lascito in favore di NOME COGNOME definitivamente caducato in conseguenza dell’avveramento della condizione risolutiva delle disposizioni; la censura è rivolta, peraltro, contro argomentazioni meramente rafforzative, senza farsi carico di confutare la pronuncia di assorbimento adottata.
5. Il sedicesimo motivo lamenta l’omessa pronun cia su un motivo di appello e la violazione degli artt. 324, 342, 2909 c.c., per aver la Corte di merito ritenuto passata in giudicato la statuizione con cui il Tribunale aveva dichiarato che le cessioni azionarie anteriori al 1989 erano ricomprese ed assorbite nell’ultima conclusa da NOME ed NOME COGNOME mentre la pronuncia di primo grado aveva distintamente valutato le operazioni effettuate prima del 1989 rispetto all’ultima di esse , ritenendo che le prime dissimulassero donazioni nulle per difetto di forma, salvo a dichiarare prescritta l’azione di restituzione.
Sostiene la ricorrente di aver puntualmente censurato tale statuizione in appello e che la Corte l’abbia giudicata preclusa per effetto di un giudicato insussistente.
Il diciassettesimo motivo deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, asserendo che il Tribunale aveva adombrato il dubbio che le cessioni azionarie anteriori al 1989 fossero assorbite nell’ultima effettuata da NOME ad NOME COGNOME ma che, in realtà, i primi acquisti riguardavano i certificati azionari nn. 8, 9, 25 e 45, mentre l’ultima intestazione aveva ad oggetto i certificati nn. 17, 18, 31, 47, 69, 14, 15, 29, 46, 68.
Il sedicesimo motivo è meritevole di accoglimento, comportando l’assorbimento del diciassettesimo motivo.
Il Tribunale aveva dichiarato la simulazione dei trasferimenti azionari , che ha considerato autonomi dall’ultimo di essi, e la nullità dei negozi dissimulati poiché integranti donazioni prive della forma ad substantiam , ritenendo tuttavia prescritto il diritto alla restituzione dei titoli alla massa (valutando come mera ipotesi subordinata, l’usucapione delle azioni da parte dell’acquirente) .
NOME COGNOME aveva formulato uno specifico motivo di appello, volendo negare che il diritto alla restituzione fosse ormai estinto, censura che la Corte di merito ha respinto, reputando preclusa ogni questione relativa alle cessioni azionarie anteriori al 1989 per effetto del giudicato interno, quanto al fatto che l’ultimo trasferimento avesse ad oggetto l’intera partecipazione ceduta negli anni ad NOME COGNOME.
Non era intervenuto, come detto, alcun giudicato interno; il Tribunale non aveva affatto ritenuto che le precedenti operazioni di trasferimento delle partecipazioni fossero inglobate nell’ultima di esse. Di conseguenza, il giudice di appello era tenuto ad esaminare le questioni proposte con il gravame e verificare la fondatezza delle richiesta di acquisire alla massa le azioni già ritenute oggetto delle donazioni nulle.
6. Il diciottesimo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, lamentando che la Corte di merito abbia respinto la domanda di accertamento della simulazione assoluta del l’ultima cessione azionaria conclusa nel 1989, trascurando che già in passato NOME COGNOME aveva trasferito al figlio pacchetti azionari con lo scopo di concentrare in capo al primogenito il controllo societario, conformemente ad una prassi seguita anche degli altri soci anziani della COGNOME, ampiamente provata dalla documentazione e dalle testimonianze e confermata dalle operazioni di retrocessione delle azioni dalle figlie ad NOME COGNOME
Il diciannovesimo motivo denuncia la violazione degli artt. 1362 e 1414 c.c., per aver la sentenza escluso la simulazione assoluta delle cessioni delle partecipazioni senza tener conto che anche altri soci avevano simulato analoghe cessioni azionarie per ottenere benefici fiscali, avendo la sentenza dato rilievo solo al contenuto del negozio di cessione senza tener conto delle plurime deposizioni da cui emergeva che le vendite erano fittizie, che il de cuius aveva inteso impedire una scalata da parte di soggetti estranei alla cerchia familiare e comunque regolare la sua successione, premunendosi delle controdichiarazioni per riacquistare il pieno controllo delle partecipazioni.
I due motivi -che tendono ad accreditare una simulazione assoluta dei trasferimenti azionari – sono inammissibili.
Il primo di essi è precluso ai sensi dell’art. 348 ter, commi IV e V c.p.c.. Anche riguardo all ‘insussistenza di una simulazione assoluta della cessione conclusa nel 1989 le due sentenza risultano conformi per aver ritenuto reale la cessione stessa.
Il Tribunale aveva dichiarato la simulazione relativa dei trasferimenti azionari in quanto integranti donazioni prive della forma scritta, respingendo la domanda di accertamento della simulazione assoluta, sull’assunto che NOME COGNOME aveva voluto concentrare nelle mani di NOME COGNOME il controllo della RAGIONE_SOCIALE
Alla medesime conclusioni è giunta la Corte d’appello (pur ritenendo che la cessione del 1989 includesse l’int ero pacchetto azionario per effetto della retrocessione delle azioni effettuate dalle figlie in favore del de cuius), respingendo esplicitamente il decimo motivo di appello con cui ne era stata dedotta anche una simulazione assoluta, senza affatto limitarsi al contenuto della scrittura di vendita, ma traendo dagli elementi istruttori la conferma che la fissazione del prezzo era stata preceduta da un ‘indagine di mercato e che il differimento del pagamento senza previsione di interessi non aveva rappresentato un artificio per dissimulare l’assenza di qualsivoglia effetto traslativo, ma semmai un beneficio accordato all’acquirente, ritenendosi NOME COGNOME soddisfatto dalla percezione dei dividendi quale usufruttuario delle azioni e dei compensi per le cariche sociali che avrebbe continuato a ricoprire.
La concentrazione del controllo societario in capo al figlio maschio perpetuava una tradizione di famiglia ed era giustificata, nella tempistica, dalla volontà di respingere i tentativi di scalata e di profittare dell’opportunità data dalla disponibilità del suocero di NOME COGNOME a finanziarie l’acquisizione della maggioranza azionaria a condizione che quest’ultimo ne fosse messo a capo.
La prassi di intestazione fittizia delle azioni da parte dei soci anziani non presenta i connotati dell’indiscutibile decisività, non essendovi necessaria consequenzialità tra il carattere fittizio delle cessioni effettuate anni prima e l’ultima di esse.
In definitiva, entrambe le censure si risolvono in un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie, che non può avere ingresso in questa sede, volto a confutare il motivato convincimento del giudice circa l’effettività dell’acquisto azionario da parte di RAGIONE_SOCIALE
Il ventesimo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per aver la sentenza affermato che la cessione azionaria del 1989 era avvenuta a titolo oneroso, essendo, per contro, inverosimile che
NOME COGNOME avesse effettuato cospicue donazioni alle due figlie senza nulla donare al figlio NOME deporrebbero per il carattere donativo il lunghissimo termine di pagamento, che sarebbe scaduto dopo oltre vent’anni , e la mancata previsione di interessi.
Il motivo è inammissibile.
La previsione di un prezzo e la natura onerosa del trasferimento azionario risultano esaminate dal giudice di appello; l’effettuazione di plurime donazioni a favore delle sole figlie non depone, per necessità logica, per il carattere di liberalità della vendita delle azioni effettuata nel 1989, anche tenendo conto dell’accertato carattere donativo di precedenti cessioni azionarie in favore di RAGIONE_SOCIALE e alla luce del trattamento di favore riservato a quest’ultimo mediante il differimento dei termini di pagamento e la mancata maturazione di interessi.
Il ventunesimo motivo denuncia la violazione degli art. 1362 e ss. c.c., contestando al giudice di merito di non aver correttamente interpretato la volontà delle parti dei negozi di cessione, avendo valorizzato solo la volontà del de cuius di cedere le azioni al figlio, il
che poteva avvenire sia a titolo oneroso che per scopi di liberalità.
Il motivo è inammissibile poiché omette di confrontarsi con il complessivo contenuto della sentenza che ha dato rilievo ad una pluralità di elementi confermativi (già illustrati in precedenza) dell’effettività del prezzo di vendita , essendo la censura unicamente diretta a confutare il motivato apprezzamento di fatto riguardo al l’onerosità della cessione , svolto dal giudice distrettuale.
Il ventiduesimo motivo deduce la violazione degli artt. 555 e 564 c.c. 99, 102, 163, 183 c.p.c., lamentando che la Corte abbia ritenuto inammissibile la domanda di riduzione per l’ omessa indicazione dell’entità dell’asse, della quota di riserva e dell’entità della lesione . Si afferma che tale onere di allegazione era stata assolto, individuando le cessioni dissimulanti vere e proprie donazioni
suscettibili di riduzione, con richiesta di espletare una c.t.u. per la completa quantificazione dell’asse.
Il ventiduesimo motivo bis denuncia la violazione degli artt. 555, 564 c.c., 99, 102, 163 e 183 c.p.c. deducendo la violazione delle norme in rubrica per l’ipotesi che non si ritenga che le argomentazioni formulate con la precedente censure non siano fondate.
Il ventiduesimo motivo è fondato, determinando l’ assorbimento della successiva censura.
Secondo il più recente orientamento di questa Corte il legittimario che agisce in riduzione ha l’onere di precisare entro quali limiti sia stata lesa la sua quota di riserva, indicando gli elementi patrimoniali che contribuiscono a determinare il valore della massa ereditaria nonché, di conseguenza, quello della quota di legittima violata. L’onere di allegazione è però soddisfatto una volta che, richiamata la quota di legittima prevista per legge, il legittimario assuma che, per effetto delle disposizioni testamentarie ovvero in conseguenza delle donazioni poste in essere in vita in favore di altri soggetti, ed al netto di quanto ricevuto dall’erede, residui una lesione. Non è richiesta la quantificazione in termini di valore dei vari elementi destinati ad essere presi in considerazione ai fini della precisazione del relictum e del donatum, né è necessario che l’individuazione della lesione debba avvenire in termini matematici con una sua precisa indicazione numerica, essendo viceversa sufficiente che si sostenga che, proprio alla luce del complesso assetto patrimoniale del defunto, quale scaturente dalle vicende successorie, il valore attivo pervenuto al legittimario sia inferiore a quanto gli compete per legge.
Il giudice deve procedere alle operazioni di riunione fittizia prodromiche al riscontro della lesione sulla base delle indicazioni complessivamente provenienti dalle parti, nei limiti processuali segnati dal regime delle preclusioni per l’attività di allegazione e di prova (Cass. 18199/2020). Eventuali carenze riguardo all’effettiva
esistenza delle componenti patrimoniali destinate ad incrementare il relictum o il donatum, assumono rilievo ai fini del rigetto della domanda o del suo accoglimento in misura inferiore rispetto a quanto richiesto, risolvendosi sul diverso piano del soddisfacimento dell’onere della prova (Cass. 28272/2018; Cass. 18199/2020).
Nel caso in esame, emerge d all’esame dell’atto introduttivo che la ricorrente aveva individuato le operazioni ritenute lesive in rapporto alla consistenza dell’asse , dando conto della sussistenza della lesione della quota di riserva e del l’oggettiva sproporzione del valore delle singole disposizioni, con pieno assolvimento dell’onere di allegazione delle circostanze che sostenevano la richiesta di riduzione.
10. Il ventitreesimo motivo deduce la violazione degli artt. 555, 564, 1321, 1372 c.c., 99, 102, 163, 183 c.p.c., sostenendo che la Corte di merito abbia dichiarato inammissibili anche le azioni di riduzione proposte da NOME e NOME COGNOME per mancata indicazione della consistenza dell’asse, senza considerare gli ulteriori motivi di inammissibilità che derivavano dalla mancata accettazione del l’eredità con beneficio di inventario e dall’avvenuta rinuncia alle azioni.
Il ventitreesimo motivo bis deduce la violazione la violazione degli artt. 555, 564 c.c., 99, 102, 163, 183 c.p.c. 1321 e 1372 c.c., ritenendo che le questioni sollevate con la precedente censura prospetterebbero anche errori in procedendo.
I due motivi sono inammissibili.
La ricorrente non ha interesse a far dichiarare, per altra causa e con diversa motivazione, l’inammissibilit à delle azioni di riduzione proposte dagli altri legittimari rispetto alle quali non è risultata soccombente, non avendo gli interessati proposto impugnazione incidentale, essendo la pronuncia di inammissibilità ormai definitiva.
11. Il ventiquattresimo motivo denunci a l’omessa pronuncia su l motivo di gravame concernente il carattere donativo della vendita derivante dal differimento di decenni del pagamento del prezzo, oltre
che dalla mancata previsione di interessi, con l’effetto di far gravare sull’acquirente un debito di importo divenuto irrisorio rispetto al valore della partecipazione acquisita.
Il motivo è infondato.
Il carattere donativo della cessione è stato esplicitamente negato dalla Corte di merito. E’ posto in luce nella decisione che la rinuncia agli interessi e il differimento del prezzo non attuavano uno scopo di liberalità attraverso mezzi atipici, avendo NOME COGNOME ritenuto congruo il prezzo concordato con il figlio, essendosi dichiarato soddisfatto dalla percezione dei dividendi delle azioni (quale usufruttuario) e del compenso per le cariche sociali.
12. Il venticinquesimo motivo denuncia la violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c., lamentando che la Corte di merito abbia immotivatamente escluso la sussistenza di una donazione indiretta nel trasferimento azionario nonostante il differimento del pagamento di circa vent’anni e la mancata corresponsione di interessi.
Il ventiseiesimo motivo deduce la violazione degli art. 809 ne 1362 c.c. sostenendo che il de cuius, avendo sterilizzato il pagamento con un differimento del pagamento di taluni decenni e senza interessi, aveva posto in essere una donazione indiretta sottraendo la donazione a collazione e riduzione.
I due motivi sono meritevoli di accoglimento.
Nel valutare la clausola con cui le parti del negozio di cessione avevano differito il pagamento del prezzo ad oltre 20 anni dalla stipula senza previsione di interessi, la Corte ha ritenuto sufficiente -per escludere un intento donativo indiretto -che il corrispettivo fosse stato discusso ed oggetto di approfondimenti e fosse stata espletata una stima peritale, non cogliendo l’effetto sostanziale , particolarmente vantaggioso per l’acquirente, derivante dal complessivo regolamento negoziale, cui il de cuius aveva evidentemente consentito.
Il differimento di decenni del termine di pagamento senza maturazioni di interessi era elemento da cui non poteva prescindersi per valutare il carattere misto del negozio, venendo ad incidere sul rapporto tra il valore di mercato della partecipazione, fissato dopo specifici approfondimenti, alla data della cessione, e il prezzo concordato, non rilevando che NOME COGNOME si fosse dichiarato soddisfatto per aver diritto ai dividendi (avendo conservato l’usufrutto sulle azioni) e al compenso per le cariche sociali, circostanza che non escludeva che nei rappor ti con l’acquirente, l’atto presentasse elementi di liberalità.
In tali ipotesi il negozio commutativo può assumere lo scopo di raggiungere per via indiretta, attraverso la voluta sproporzione tra le prestazioni corrispettive, una finalità diversa e ulteriore rispetto a quella dello scambio, consistente nell’arricchimento, per puro spirito di liberalità, di quello tra i contraenti che riceve la prestazione di maggior valore (Cass. 23297/2009), dovendosi valutare, oltre al dato oggetto della sproporzione, la sussistenza di un intento di liberalità, ossia se il trasferimento fosse volutamente funzionale all’arricchimento dell’acquirente (Cass. 10614/2016; Cass. 32613/2024).
13. Il ventisettesimo motivo deduce la violazione degli artt. 737, 769 e 809 c.c..
La sentenza avrebbe correttamente accertato che la ricorrente aveva ricevuto due donazioni in denaro per estinguere mutui per l’acquisto e la ristrutturazione e non una donazione dell’immobile , conformemente alla sentenza di primo grado; per contro, qualora dovesse ritenersi che il Tribunale avesse accertato il perfezionamento di una donazione immobiliare, la Corte sarebbe incorsa nell’err ore di confermare una pronuncia errata.
Il motivo è inammissibile, avendo la Corte di merito ritenuto perfezionata una donazione immobiliare, ma una donazione di denaro in adesione ad un orientamento di legittimità che esclude il
perfezionamento di una donazione immobiliare indiretta nel caso di pagamento solo parziale del prezzo da parte del preteso donante.
14. Il ventottesimo motivo deduce la violazione dell’art. 183 c.p.c. , contestando la dichiarazione di tardività della prova documentale delle donazioni soggette a collazione di quote di fondi e di denaro in favore di NOME COGNOME formulata con la terza memoria, in replica alle obiezioni di controparte, asserendo inoltre che, riguardo ad una delle pretese donazioni immobiliari, sia stata immotivatamente respinta la richiesta di esibizione del rogito, idoneo a dimostrare il perfezionamento della dedotta donazione.
Il motivo è infondato.
Ai sensi dell’art. 183, sesto comma, c.p.c., nel t esto applicabile ratione temporis, la terza memoria è riservata non alla prova diretta dei fatti posti a fondamento delle domande o della eccezioni, ma alla prova contraria rispetto agli deduzioni formulate ex adverso. La documentazione dichiarata inammissibile era, invece, rivolta a dimostrare che NOME COGNOME aveva ricevuto donazioni soggette a collazione, dovendo il documento esser depositato nella seconda memoria, trattandosi di prova diretta, non contraria.
Riguardo all’ordine di esibizione la censura difetta di specificità, non emergendo dal ricorso se l’istanza si stata riproposta in appello , né è illustrata la decisività della richiesta ai fini del requisito d’indispensabilità del documento , in modo da stabilire se il contenuto del rogito di acquisto dell’abitazione sita in Mestre rivela sse inconfutabilmente il preteso carattere donativo dell’operazione.
L’ordine di esibizione, subordinato alle molteplici condizioni di ammissibilità di cui agli artt. 118, 119 c.p.c. e 94 disp. att. c.p.c., costituisce uno strumento istruttorio residuale, che può essere utilizzato soltanto in caso di impossibilità di acquisire la prova dei fatti con altri mezzi e non per supplire al mancato assolvimento dell’onere probatorio a carico dell’istante e che è espressione di una facoltà discrezionale rimessa al prudente apprezzamento del giudice
di merito, il cui mancato esercizio non può, quindi, formare oggetto di ricorso per cassazione, per violazione di norma di diritto (Cass. 22196/2010; Cass. 31251/2021).
15. Il ventinovesimo moti vo deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. lamentando l’ omessa pronuncia sulla richiesta di ammissione delle istanze istruttorie avanzata in appello ed in particolare sui capitoli contenuti nella seconda e nella terza memoria istruttoria, e per aver la pronuncia valorizzato impropriamente il principio di non contestazione.
Il trentesimo motivo denuncia la violazione degli artt. 132, n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. per omessa pronuncia sula mancata ammissione delle istanze istruttorie della ricorrente.
I due motivi sono inammissibili poiché, in violazione della necessaria specificità dell’ impugnazione ai sensi dell’art. 366 c.p.c. , difettano dell ‘esposizione del contenuto delle prove su cui il giudice avrebbe dovuto pronunciare e dell’illustrazion e della decisività del mezzi richiesti, impedendo a questa Corte di verificare quale ne fosse l’oggetto, quali i fatti da provare e se la loro ammissione sia stata negata con pronuncia implicita. Il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di mo tivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di esso, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova, provvedendo alla loro trascrizione al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, il giudice di legittimità deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consent ito sopperire con indagini integrative (Cass. 19985/2017; Cass. 14107/2017; Cass. 17905/2010).
In conclusione sono accolti i motivi sedicesimo, ventiduesimo, venticinquesimo e ventiseiesimo, sono assorbiti il diciassettesimo e il ventiduesimo bis, con rigetto di ogni altra censura. La sentenza è
cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
accoglie i motivi sedicesimo, ventiduesimo, venticinquesimo e ventiseiesimo, respinge ogni altra censura ad eccezione dei motivi diciassettesimo e il ventiduesimo bis che sono dichiarati assorbiti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Venezia, in diversa compos izione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione