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Clausola risolutiva: la tolleranza annulla l’effetto

Una Corte d’Appello ha respinto la richiesta di un locatore di terminare un contratto di locazione basata su una clausola risolutiva espressa. La corte ha stabilito che la continua accettazione di pagamenti tardivi da parte del locatore costituisce tolleranza, un comportamento incompatibile con la volontà di risolvere il contratto, rendendo inefficace la clausola.

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Clausola Risolutiva Espressa: Quando la Tolleranza del Locatore Annulla la Risoluzione del Contratto

L’inserimento di una clausola risolutiva espressa in un contratto di locazione è uno strumento potente a tutela del locatore. Tuttavia, il suo automatismo non è assoluto. Una recente sentenza della Corte d’Appello ha chiarito come il comportamento del locatore successivo all’inadempimento del conduttore possa neutralizzare gli effetti di tale clausola, sottolineando l’importanza della coerenza e della buona fede. Vediamo nel dettaglio il caso e le motivazioni della Corte.

I Fatti di Causa: Un Contratto Modificato e Pagamenti in Ritardo

La vicenda ha origine da un contratto di locazione ad uso diverso dall’abitativo. A fronte di precedenti morosità da parte della società conduttrice, le parti decidevano di modificare il contratto originario con una scrittura privata. Questo nuovo accordo, oltre a rinegoziare il debito pregresso, introduceva una clausola risolutiva espressa molto più stringente: il contratto si sarebbe risolto immediatamente anche per un ritardo di un solo giorno nel pagamento del canone.

Poco tempo dopo, il conduttore pagava una mensilità con tre giorni di ritardo. Il locatore inviava una comunicazione, facendo riferimento alla clausola e minacciando la nullità dell’accordo. Tuttavia, nei sette mesi successivi, il locatore continuava a percepire regolarmente i canoni (seppur ridotti come da accordo modificativo) senza intraprendere alcuna azione per la risoluzione. Solo dopo questo lungo periodo, tramite il proprio legale, inviava una nuova diffida, lamentando che in futuro non avrebbe più tollerato alcun ritardo.

Il Tribunale di primo grado aveva respinto la domanda di risoluzione del locatore, il quale ha quindi proposto appello.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello ha confermato la decisione di primo grado, rigettando l’appello del locatore. I giudici hanno ritenuto che, nonostante l’esistenza della clausola risolutiva espressa, il comportamento del locatore avesse di fatto reso inefficace la sua volontà di risolvere il contratto.

L’inefficacia della Clausola Risolutiva Espressa per Tolleranza

Il punto centrale della decisione riguarda l’interpretazione del comportamento delle parti. La legge (art. 1456 c.c.) stabilisce che la risoluzione avviene quando la parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della clausola.

Nel caso esaminato, la prima comunicazione del locatore è stata interpretata come una semplice minaccia e non come una chiara e inequivocabile dichiarazione di volontà di risolvere il contratto. Ancora più importante, la condotta successiva del locatore — ovvero l’aver continuato a incassare i canoni per oltre sette mesi senza agire — è stata considerata incompatibile con l’intenzione di porre fine al rapporto. Questo comportamento è stato qualificato come tolleranza, un segnale che, di fatto, rinunciava a far valere l’inadempimento passato.

Il Principio di Buona Fede nella Valutazione dell’Inadempimento

La Corte ha ribadito un principio fondamentale: anche in presenza di una clausola risolutiva espressa, la sua applicazione non può prescindere da una valutazione complessiva del comportamento delle parti secondo i canoni di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.).

Lo strumento della risoluzione non deve diventare un mezzo per ottenere la fine del contratto in modo sproporzionato. Il comportamento tollerante del locatore ha ingenerato nel conduttore un legittimo affidamento sulla prosecuzione del rapporto, rendendo contraria a buona fede la successiva pretesa di risoluzione basata su un inadempimento ormai sanato e, soprattutto, ‘perdonato’ nei fatti.

le motivazioni

La Corte d’Appello ha motivato la sua decisione evidenziando la contraddittorietà nella condotta del locatore. La clausola risolutiva espressa non opera in modo puramente meccanico. Affinché produca i suoi effetti, è necessaria una dichiarazione esplicita e recettizia della parte non inadempiente di volersene avvalere. La comunicazione del 14 marzo 2023, secondo i giudici, non possedeva tale chiarezza, limitandosi a ‘paventare’ la risoluzione.

L’elemento decisivo, tuttavia, è stata la condotta successiva. L’accettazione dei pagamenti per un periodo prolungato (oltre sette mesi) dopo il lieve ritardo è stata interpretata come un comportamento concludente che manifestava una volontà contraria a quella di risolvere il contratto. Tale protratta tolleranza, seguita da una seconda lettera (quella del 25 ottobre 2023) che si limitava a non ammettere futuri ritardi, ha dimostrato che il locatore considerava il rapporto ancora pienamente in essere, sanando di fatto la rilevanza del precedente inadempimento. Di conseguenza, la Corte ha concluso che non sussisteva un inadempimento attuale e imputabile al conduttore al momento della successiva azione legale, rendendo la pretesa del locatore infondata.

le conclusioni

Questa sentenza offre una lezione cruciale per locatori e conduttori. La clausola risolutiva espressa è uno strumento efficace, ma non magico. Il locatore che intende avvalersene deve agire con coerenza e immediatezza. Una volta manifestata la volontà di risolvere il contratto, non può tenere comportamenti che la smentiscano, come continuare a percepire i canoni senza riserve. La tolleranza verso l’inadempimento, se protratta nel tempo, può essere interpretata come una rinuncia a far valere la clausola, riportando il rapporto sotto l’ombrello dei principi generali di buona fede e della valutazione della non scarsa importanza dell’inadempimento.

Un ritardo nel pagamento del canone fa scattare automaticamente la clausola risolutiva espressa?
No. Secondo la sentenza, non basta il semplice inadempimento. La parte interessata (il locatore) deve dichiarare in modo esplicito e inequivocabile all’altra parte di volersi avvalere della clausola per risolvere il contratto.

Cosa significa “tolleranza” del locatore e che effetti ha sulla clausola risolutiva espressa?
Per tolleranza si intende il comportamento del locatore che, nonostante un inadempimento del conduttore (come un pagamento tardivo), continua ad accettare i pagamenti senza agire per la risoluzione. Questo comportamento, se protratto nel tempo, può essere interpretato come una rinuncia a far valere la clausola risolutiva, rendendola inefficace per quell’inadempimento specifico.

Perché il principio di buona fede è importante anche se esiste una clausola risolutiva espressa?
Il principio di buona fede impone alle parti di comportarsi in modo corretto e leale. Anche con una clausola risolutiva, un giudice valuta se il suo utilizzo sia proporzionato e non contrario a buona fede. Se il locatore prima tollera un ritardo e poi, a distanza di tempo, tenta di usare quello stesso ritardo per risolvere il contratto, questo comportamento può essere considerato contrario a buona fede.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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