Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25411 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25411 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
Oggetto: Responsabilità -Mancato adempimento obblighi assunti -Transazione in relazione alla comproprietà e divisione del valore relativo alla liquidazione di un’azione custodita in una banca svizzera.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8927/2020 R.G. proposto da
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso, ex lege domiciliata come da domicilio digitale;
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso, ex lege domiciliati
C.C. 26.05.2025
r.g.n. 8927/2023
Pres. G. COGNOME
Est. I. COGNOME come da domicilio digitalei;
-controricorrenti, ricorrenti incidentali –
avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna n. 2049/2022, pubblicata il 13 ottobre 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 maggio 2025 dalla Consigliera dott.ssa NOME COGNOME
Fatti di causa
1. Con atto di citazione del 2015 NOME COGNOME conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Modena, NOME COGNOME e NOME COGNOME esponendo in fatto che: – dopo anni di aspro contenzioso, aveva stipulato, unitamente al proprio marito NOME COGNOME con la sorella NOME COGNOME in data 27 giugno 2007, atto di transazione, al fine di definire numerose controversie insorte o destinate ad insorgere, meglio descritte nel contratto citato; – essa attrice e il marito avevano prontamente adempiute le obbligazioni contratte; – in data 6 agosto 2007 NOME COGNOME era deceduta e, nelle obbligazioni di cui all’atto transattivo, erano subentrati gli eredi NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali si erano resi inadempienti al patto 11 della transazione, non effettuando le operazioni previste da tale clausola contrattuale e non ottemperando all’invito loro notificato in data 16 gennaio 2008, con il quale erano stati costituiti in mora in ordine alle operazioni da svolgere affinché potesse addivenirsi all’incasso di somma svizzera; – i convenuti, in particolare, non avevano trasmesso al liquidatore svizzero della società RAGIONE_SOCIALE la denuncia di successione della propria madre, non permettendo la liquidazione della società predetta e impedendo, dunque, ad essa attrice di incassare la quota di sua spettanza pari a 565.372,70 Euro.
Tanto premesso, la attrice chiedeva che, previo accertamento dell’inadempimento dei convenuti alle obbligazioni nascenti dalla clausola 11 della transazione, fosse dichiarata l’inefficacia, ai sensi della clausola 17, della rinuncia espressa da essa attrice all’azione di riduzione in relazione all’eredità della propria madre NOME COGNOME con conseguente condanna di NOME
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Pres. G. COGNOME
Est. I. COGNOME
COGNOME e di NOME COGNOME al pagamento di una somma pari alla lesione della quota di riserva lesa; chiedeva altresì, il risarcimento dei danni subiti per il mancato incasso della somma svizzera, per un importo di 180.000,00 Euro, somma pari alla caparra confirmatoria che essa attrice aveva versato per l’acquisto di un immobile, atteso che l’operazione non era andata a buon fine proprio a causa della mancata disponibilità della somma di denaro che sarebbe derivata dalla liquidazione di NOME COGNOME.
Si costiuivano in giudizio NOME COGNOME e NOME COGNOME contestando le avverse pretese, eccependo, in via preliminare, il difetto di legittimazione attiva dell’attrice, avendo quest’ultima ceduto il certificato azionario di RAGIONE_SOCIALE e le relative ragioni di credito ad un soggetto terzo, tale NOME COGNOME, estraneo al giudizio; nel merito, eccepivano l’inammissibilità della richiesta di risoluzione parziale della transazione , essendo le obbligazioni di cui a tale contratto funzionalmente co llegate l’una all’altra e chiedevano, comunque, che le domande dell’attrice fossero dichiarate infondate , posto che il ritardo nell’esecuzione di quanto previsto dall’art.11 dell’atto transattivo era attribuibile alla condotta ostruzionistica tenuta dalla COGNOME, proponevano a loro volta in via riconvenzionale, domanda mirante al risarcimento del danno determinato dalla mancata liquidazione del certificato azionario in questione, pari agli interessi corrisposti in forza di mutuo fondiario contratto per fare fronte alla crisi di liquidità della RAGIONE_SOCIALE della quale erano soci unici.
Il Tribunale di Modena con la sentenza n.552/2019 rigettava le domande avanzate da entrambe le parti, con parziale compensazione delle spese e la restante parte a carico della COGNOME.
Avverso la sentenza di prime cure, NOME COGNOME ha proposto appello principale e NOME COGNOME e NOME COGNOME a loro volta, appello incidentale dinanzi all a Corte d’appello di Bologna .
La Corte d’appello con la sentenza qui impugnata ha parzialmente accolto il ricorso principale soltanto con riferimento alle spese in primo grado, che ha compensato riformando la sentenza sul punto, rigettandolo nel resto e
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Est. I. COGNOME respingend o pure l’appello incidentale, compensando le spese di gravame trra le parti.
Avverso la sentenza qui impugnata, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sorretto da sette motivi. Hanno resistito con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME, a loro volta, proponendo ricorso incidentale fondato su di un unico motivo.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
La parte ricorrente e la parte controricorrente hanno depositato distinte e rispettive memorie.
Ragioni della decisione
Con il ricorso principale, NOME COGNOME odierna ricorrente, denuncia:
1.1. con il primo motivo il ‘ Vizio ex art. 360 n. 4) c.p.c.: nullità della sentenza ex artt. 132, 161 c.p.c. e per violazione dell’art. 118 disp. att. c.p.c. ‘ ; in particolare, parte ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata atteso che la Corte d’appello di Bologna, anziché valutare i motivi di gravame allora proposti, ha sviluppato le argomentazioni del Giudice di primo grado, ignorando le domande contrapposte e le linee difensive svolte dalle parti, così decidendo oltre i limiti di quanto chiesto dalle stesse parti e pronunciandosi su eccezione sollevata d’ufficio . In proposito, lamenta che risulti omessa dalla Corte bolognese l’esposizione dei fatti rilevanti della causa, sia pure in forma succinta, essendo stata richiamata semplicemente la clausola 17 della transazione 27 giugno 2007, con interpretazione strettamente letterale della medesima e del tutto ignorate le circostanze successive alla transazione, provate documentalmente, che qualificano la volontà e i comportamenti dei convenuti COGNOME e la fondatezza delle domande dalla stessa odiena ricorrente basate non solo sulla violazione del patto n. 17, ma sui fatti allegati e ignorati da entrambi i Giudici di merito (in ricorso pag. 12). Sul punto, richiama l’ indirizzo consolidato della giurisprudenza di
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Est. I. COGNOME legittimità in tema di motivazione ” per relationem ” della sentenza d’appello nonchè l’arresto di legittimità n. 28139/2018.
1.2. Con il secondo motivo, denuncia il ‘ Vizio ex art. 360 n. 4) c.p.c.: nullità della sentenza ex artt. 132, 161 c.p.c. e per violazione dell’art. 111 Cost. ‘ ; s ostiene parte ricorrente che la Corte d’Appello di Bologna ha deciso con motivazione ‘ meramente apparente ‘ ovvero generica ed astratta, totalmente distaccata dalla situazione di fatto addotta e documentata, con conseguente nullità della stessa, secondo il principio espresso dalla Suprema Corte (richiama le pronunce Cass., Sez. U, 7/04/014 nn. 8053 e 8054); la Corte territoriale, infatti, non avrebbe minimamente esaminato i documenti e i mezzi di prova indicati da NOME COGNOME né tanto meno chiarito le motivazioni e le ragioni, per cui la sua decisione prescinda dalle prove documentali allegate agli atti di causa, non contestate in giudizio; più precisamente, assume che la sentenza impugnata ha recepito acriticamente la decisione del Tribunale di Modena anche sotto tale profilo, ignorando le risultanze documentali e limitandosi a considerare la seguente circostanza addotta da Controparte, valutata peraltro in modo assolutamente distorto e illogico: NOME COGNOME non avrebbe potuto subire il danno di cui chiede il risarcimento nella misura di € 180.000,00, per perdita di caparra, dal momento che, avendo incassato il 15. Ottobre 20 07 la somma di € 900.000,00 dalla vendita di un suo immobile, disponeva del denaro necessario a perfezionare l’acquisto fatto , senza perdere la caparra versata; contesta come illogica tale ricostruzione operata dal Giudice d’appello e elenca in ricorso la serie di allegazioni non considerate (pagg. 14-16 in ricorso).
Nello specifico, parte ricorrente ritiene che ‘l’assoluta illogicità della motivazione appaia dimostrata in tutta evidenza sotto i seguenti due aspetti: – in primo luogo, avuto riguardo alla contraddittorietà della decisione dei Giudici di merito di respingere le istanze istruttorie della Sig.ra COGNOME e la decisione di respingere la domanda risarcitoria della stessa, per non aver essa provato il nesso di causalità tra l’inadempimento contestato e il danno subito; – il secondo aspetto attiene alla valutazione negativa espressa dalla Corte per
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Est. I. COGNOME aver ritenuto non credibile l’incapacità della Sig.ra COGNOME di onorare il preliminare di acquisto dell’appartamento di INDIRIZZO e di aver conseguentemente perso la caparra di € 180.000,00, dal momento che la stessa aveva incassato il 15. 10.07 la somma di € 900.000,00′.
Conclude nell’affermare che il ragionamento della Corte felsinea si riveli ‘ragionamento giuridicamente assurdo (è stato ignorato il nesso costituito dal decreto ingiuntivo subito dalla Sig.ra COGNOME e tutta la documentazione relativa al pagamento della somma di € 180.000,00), bastando osservare che esso rappresenta lo sforzo oltre ogni limite operato dalla corte bolognese, per non riformare la sentenza di primo grado’ (pag. 17 in ricorso).
1.3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta il ‘ Vizio ex art. 360 n. 3 c.p.c.: violazione e falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento all’art. 112 c.p.c. in relazione alla clausola 17 della transazione 27.6.2007 ‘; denuncia da parte del Giudice d’appello la violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo deciso la controversia sulla base di eccezione non formulata da alcuna delle parti in causa e non rilevabile d’ufficio. Nello specifico, lamenta che la Corte d’appello per applicare la clausola risolutiva di inadempimento, ancorché estranea alle domande delle parti, ha risolto la questione, attribuendosi il dovere di qualificare la domanda oggetto del giudizio dal punto di vista giuridico, previa interpretazione letterale della clausola negoziale e, nella consapevolezza che il proprio ragionamento avrebbe potuto essere oggetto di impugnazione, ha argomentato in merito al processo di qualificazione di un negozio giuridico e di una sua specifica clausola, affermando che esso richiede due operazioni: la prima, di interpretazione della volontà delle parti, sottratta al giudizio di legittimità, la seconda, di qualificazione della clausola contrattuale per individuare la disciplina applicabile al caso di specie, affidandosi al metodo della sussunzione. Ritiene parte ricorrente che argomentando in tal modo, la Corte ha concluso che il caso di specie dovesse essere deciso per effetto di clausola risolutiva di inadempimento e conseguente rigetto delle domande dedotte in giudizio; quanto poi ai fatti e circostanze relativi all’attività negoziale svolta e alle finalità perseguite dalle
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Est. I. Ambrosi parti, la Corte ha liquidato la questione in modo semplicistico e sbrigativo, sottolineando che l’interpretazione è sottratta a sindacato di legittimità, ‘ se correttamente motivata, giacché si risolve in apprezzamento di mero fatto riservato al Giudice di merito ‘ .
Parte ricorrente ribadisce che né in primo grado né in secondo grado è stata espressa al riguardo alcuna corretta motivazione, tale non potendosi considerare la mera interpretazione letterale della clausola e che se è indubbio che il Giudice abbia il potere-dovere di qualificare giuridicamente i fatti posti a base della domanda o delle eccezioni formulate in giudizio dalle parti e, conseguentemente, di individuare le norme di diritto applicabili alla decisione della controversia, tale attività ermeneutica, però, non può comportare una modifica sostanziale della domanda proposta dalle parti e/o dei fatti costitutivi della stessa. A parere della ricorrente, la qualificazione data del patto n. 17 della transazione oggetto di controversia, avrebbe stravolto e snaturato il senso complessivo dell’accordo raggiunto dalle parti, alla luce delle domande formulate in giudizio. Ritiene inoltre che la Corte bolognese, per effetto della condizione risolutiva prevista dal patto 17, ha ritenuto ‘in modo assurdo’ che fosse consentito alla parte inadempiente di venir meno agli obblighi contrattuali senza conseguenze, talché, l’inadempimento si risolverebbe per la parte responsabile, del tutto paradossalmente, nel diritto di recesso dal contratto. In altri termini, ha trattato il caso come se si trattasse di un mancato adempimento di una parte, non per sua colpa, bensì per fatto di un soggetto terzo mentre, nel caso in esame, risulta provato documentalmente che i Sarti si sottrassero volutamente agli adempimenti necessari alla liquidazione della somma svizzera, nel tentativo protratto per 18 mesi di non denunciare al Fisco italiano la loro quota di tale somma. Aggiunge, infine, che la documentazione agli atti e il tenore complessivo della transazione 27 giugno 2007, dimostrano incontestabilmente che le parti non avevano alcun interesse ad evitare conseguenze risarcitorie in caso di inadempimento ai patti della transazione. Sul punto, richiama il consolidato orientamento di legittimità che ritiene come il Giudice ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente i fatti
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Est. I. Ambrosi posti a base della domanda o delle eccezioni e di individuare le norme di diritto conseguentemente applicabili, incorrendo nella violazione del divieto di ultrapetizione soltanto ove sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata dalle parti (richiama in proposito, Cass. 9/8/2021 n. 22512).
1.4. Con il quarto motivo, denuncia il ‘ Vizio ex art. 360 n. 3 c.p.c.: violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 112 c.p.c., all’art. 1353 c.c. e all’art. 1456 c.c., per essere stata decisa la controversia sulla base di eccezione non formulata dalle parti e non rilevabile d’ufficio ‘; lamenta che nessuna delle parti in causa ha eccepito che il patto 17 debba essere considerato ‘ clausola risolutiva di inadempimento ‘ e neppure che l’intera transazione sia sottoposta a condizione risolutiva , risultando chiaramente dagli atti di causa, che viceversa le parti avevano reciprocamente contestato inadempienza al patto n. 11 della transazione, formulando richieste risarcitorie. Deduce che detta eccezione avrebbe dovuto essere formulata in primo grado e a nulla rileva che le controparti in appello avessero aderito alla sentenza di primo grado che li aveva assolti dalle domande ex adverso proposte. In proposito, richiama l’indirizzo di legittimità secondo cui la condizione risolutiva non sia eccezione in senso improprio e lato, come tale rilevabile d’ufficio (richiama, in proposito, l’arresto Cass. n. 17474 del 31.7.2014),
1.5. Con il quinto motivo, la ricorrente principale denuncia il ‘ Vizio ex art. 360 n. 3 c.p.c.: violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento agli artt. 1362-1371 c.c. ‘ ; s ostiene la ricorrente che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte bolognese, il tenore letterale del patto n. 17 non dimostra affatto che le parti avessero inteso apporre alla transazione per cui è causa una condizione risolutiva di inadempimento. Con il patto in questione, viceversa, le parti intesero sottolineare ed enfatizzare l’unitarietà dell’accordo 27 giugno 2007 e degli impegni dallo stesso previsti. Ciò in quanto le obbligazioni reciprocamente assunte dai contraenti avrebbero avuto esecuzione in tempi e con modalità differenti. Richiama e trascrive il
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Est. I. Ambrosi tenore del patto (pag. 24 in ricorso) e osserva che la Corte bolognese non ha tenuto conto dei seguenti due aspetti: ‘ – il primo aspetto è riferito al fatto che nessuna delle due parti ha chiesto in giudizio di dichiarare l’inefficacia dell’intera transazione per effetto dell’inscindibilità degli obblighi pattuiti, avendo al contrario le stesse parti confermata la validità di tali obblighi; più precisamente per alcuni obblighi, ai quali era stato adempiuto, sono stati concordemente mantenuti gli effetti; – il secondo aspetto, riguarda la mancanza totale di attenzione e di rilievo della Corte bolognese alla fattuale disapplicazione da parte dei contraenti dei punti della clausola in questione, che prevedevano l’inscindibilità dell’accordo transattivo, e l’inefficacia delle pattuizioni e degli obblighi già eseguiti e l’obbligo al ripristino della situazione originaria: è infatti provato, certo e non contestato che, invece, le parti hanno voluto mantenere i risultati conseguiti con l’adempimento di tutti gli obblighi, escluso quello relativo alla chiusura della liquidazione svizzera, per il quale, si sono contestate il reciproco inadempimento ‘ (pagg. 24 e 25 in ricorso) . Sostiene dunque che ‘ dai comportamenti documentati (ma ignorati dai Giudici di merito) è escluso che le parti abbiano inteso apporre al contratto, col patto 17, una condizione risolutiva di inadempimento. Eccepisce poi che la Corte bolognese, pur affermando che «il rilievo da assegnare alla formulazione letterale, va, invero, verificato, alla luce dell’intero contesto contrattuale, posto che le singole clausole devono essere considerate in correlazione tra loro, procedendosi al relativo coordinamento ai sensi dell’art. 1363 c.c.», in effetti, con palese contraddittorietà, si è limitata esclusivamente all’analisi dell’ultimo capoverso del patto 17, richiamato e trascritto nuovamente anche nella sentenza impugnata , a mente del quale ‘ Pertanto, tenuto conto dei diversi momenti esecutivi, le pattuizioni e gli obblighi che avessero già ricevuto esecuzione perderanno efficacia con obbligo di ripristino della situazione originaria, nel caso di mancata esecuzione di altra diversa pattuizione ‘ (pag g. 11 e 13 della sentenza impugnata). Sostiene che la Corte bolognese ha limitato l’analisi alla mera interpretazione letterale (peraltro errata) del patto 17, ignorando il contesto dei comportamenti tenuti dalle parti e osserva che
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Est. I. Ambrosi le parti subordinarono l’efficacia ed operatività dell’accordo al verificarsi delle condizioni dettagliatamente e precisamente indicate al patto n. 2 della transazione. Per tale ragione, il patto n. 3 chiarisce che la transazione è atto sottoposto a condizione (‘il presente contratto condizionato…’). Tale qualificazione è confermata dai patti nn. 5, 6, 7, 8, 9 e 11, il cui incipit è chiarissimo: ‘ divenendo efficace ed operativo il presente accordo… ‘ . Evidenzia inoltre che il fatto che il contratto fosse sottoposto al verificarsi delle condizioni indicate dal patto n. 2 è chiaramente specificato anche dal patto 12, che così precisa: ‘ la sig.ra NOME COGNOME sempre sul presupposto dell’efficacia ed operatività futura del presente accordo ..’ . Tali riferimenti contenuti nella transazione si riferiscono al verificarsi delle condizioni previste dal patto n. 2, come del resto confermato anche dal patto n. 14, che indica espressamente nel medesimo patto n. 2 le condizioni sospensive di efficacia del contratto e dal patto n. 16 che, infine, espressamente indica quali pattuizioni della transazione debbano intendersi sottoposte a condizione sospensiva. Dunque, se le parti avessero voluto attribuire al patto 17 la qualifica di condizione risolutiva di inadempimento, come erroneamente ritenuto dai Giudici di merito, lo avrebbero senz’altro espressamente stabilito (così come fecero per le condizioni indicate al patto n. 2, con una pattuizione precisa e chiara, mentre invece così non è stato .’ (pagg. 26 e 27 in ricorso) .
Secondo la odierna ricorrente, i Giudici di merito, oltre ad ignorare le sopra richiamate pattuizioni, non avrebbero neppure considerato che con l’accordo 27 giugno 2007 le parti definirono in via transattiva le numerose controversie giudiziali e stragiudiziali tra loro pendenti, assumendo in via reciproca molteplici obblighi, che prevedevano operazioni non simultanee, ma da compiere nei mesi successivi.
1.6. Con il sesto motivo, lamenta il ‘ Vizio ex art. 360 n. 3 c.p.c.: violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 1454 c.c. ‘ ; in particolare, denuncia che la Corte d’appello di Bologna (così come il Tribunale di Modena), infatti, ha totalmente omesso di esaminare le conseguenze del mancato accoglimento, da parte di NOME e NOME COGNOME,
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Est. I. COGNOME
dell’invito-costituzione in mora loro notificato dalla ricorrente in data 16 gennaio 2018. Non avendo i COGNOME adempiuto all’anzidetto invito-costituzione in mora (la circostanza è provata documentalmente, e comunque non è contestata), i patti della transazione 27 giugno 2007 per quanto riguarda la COGNOME hanno perso efficacia: dunque, non l’intera transazione, ma i patti che l’attrice aveva e ha interesse ad inficiare . Ebbene, tale effetto è stato totalmente ignorato dal Giudice di appello che così ha trattato frettolosamente la questione: «la previsione dell’inadempimento di una pattuizione quale evento condizionante della transazione in senso risolutivo rende, come pare evidente, del tutto ininfluente che il Giudice di prime cure non abbia preso in esame l’atto con il quale la COGNOME, in data 16 gennaio 2008, ha costituito in mora gli odierni appellati, invitandoli a dare esecuzione alla clausola 11 del contratto del quale si tratta». La Corte avrebbe dovuto non già invalidare l’intera transazione per effetto della condizione risolutiva di inadempimento, bensì di dichiarare risolto il singolo patto 11 per il provato inadempimento dei COGNOME (che sul punto hanno accettato il contraddittorio, contestando l’inadempimento dell’attrice) e, per l’effetto, condannare gli stessi convenuti al risarcimento dei danni e alla reintegrazione della quota di legittima.
1.7. Con il settimo motivo, lamenta il ‘ Vizio ex art. 360 n. 3 c.p.c. con riferimento all’art. 112 c.p.c. e agli artt. 1458 e 1459 c.c. per omessa dichiarazione di inefficacia del patto 15 della transazione 27.6.07 ex art. 17 ‘ ; contesta la ricorrente, infine, che la Corte d’appello di Bologna nel respingere la propria domanda di dichiarazione di inefficacia del patto 15 della transazione 27 giugno 2007 (rinuncia di ‘ NOME COGNOME alla domanda di reintegra della quota di legittima lesa), ha affermato che « l’inadempimento della clausola 11, determinando la risoluzione dell’intero contratto, non può giustificare una declaratoria di inefficacia limitata alla clausola 15, come pretenderebbe l’appellante principale. Il patto di inscindibilità tra tutte le obblig azioni assunte dalle parti con la transazione del 27 giugno 2007, contenuto nell’art.17 di detto contratto, risulta, infatti, ostativo ad una sua risoluzione parziale». Ribadisce di aver eccepito, tanto in primo grado, quanto in appello, che ai
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Est. I. Ambrosi sensi degli artt. 1458 e 1459 c.c., la risoluzione del contratto per inadempimento, non può estendersi alle prestazioni già eseguite del contratto che preveda, come quello per cui è causa, adempimenti molteplici, non simultanei, né istantanei. Più precisamente, la Corte d’Appello non ha minimamente considerato il comportamento delle parti successivo alle (reciproche) contestazioni di inadempienza; difatti, tanto NOME COGNOME quanto NOME e NOME COGNOME non hanno chiesto (evidentemente non avendovi interesse) il ripristino delle pattuizioni già eseguite, ma, come detto, si sono limitate a contestare reciprocamente la loro rispettiva inadempienza al patto relativo alla chiusura della liquidazione.
A parere della ricorrente, il vizio di legittimità in questione sussiste anche sotto il profilo della contraddittorietà della sentenza gravata; la Corte d’appello, infatti, pur ritenendo (erroneamente) essersi verificata la condizione che avrebbe determinato la risoluzione dell’intero accordo transattivo, ha respinto la domanda proposta da COGNOME NOME di dichiarazione di inefficacia del patto n. 15. Ebbene, se la transazione 27.6.07 risulta del tutto risolta, come ritenuto dalla Corte bolognese, allora il patto 15 è sicuramente invalido e inefficace, con conseguente ripristino del diritto alla quota di legittima dell’attrice e tanto avrebbe dovuto essere accertato e dichiarato dal Giudice d’Appello
2. Gli odierni controricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME con il ricorso incidentale denunciano il ‘ Vizio ex art. 360 n. 4) c.p.c.: nullità della sentenza ex artt. 132, 161 c.p.c. e per violazione dell’art. 112 cpc, 118 disp. att. c.p.c e per error in procedendo per carenza di legittimazione attiva ‘; in particolare , deducono l’omessa pronuncia da parte della Corte d’appello in ordine alla eccezione preliminare di carenza di legittimazione attiva in capo a NOME COGNOME che si fonda sul contratto 12 ottobre 2015 sottoscritto tra (l’ipotetico) acquirente del diritto COGNOME e la predetta. Tale eccezione, in primo grado è stata erroneamente dichiarata assorbita con le valutazioni di merito e dichiarata inammissibile in secondo grado. Sostengono che tale omesso esame costituisce vizio di nullità della sentenza per error in procedendo
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Est. I. COGNOME risultando priva di logicità la motivazione della Corte d’Appello nella parte in cui ne dichiara l’inammissibilità.
In via preliminare, vanno respinte le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dai controricorrenti-ricorrenti incidentali perché non fondate.
In primo luogo, il ricorso è ampiamente autosufficiente e rispettoso dei canoni previsti dall’art. 366 c.p.c.;
In secondo luogo, la ricorrente ha lamentato con i motivi in esame la nullità della sentenza impugnata vuoi come motivo di illogicità e apparenza della motivazione vuoi come violazione di numerose norme di legge e non si verte in una ipotesi di “doppia conforme” prevista dal quinto comma dell’art. 348 ter c.p.c., che esige che il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., debba indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. 2, 10/03/2014 n. 5528; Cass. Sez. 3, 28/02/2023 n. 5947).
Quanto alla circostanza, pure lamentata, secondo cui la ricorrente avrebbe articolato con più motivi apparentemente differenti i medesimi fatti e quindi, nella sostanza, la medesima censura, essa non costituisce di per sé ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la formulazione permetta di cogliere, come nella specie, con sufficiente chiarezza, le doglianze prospettate.
Venendo all’esame del ricorso principale, il primo e il secondo dei motivi, che possono essere congiuntamente esaminati stante l’evidente vincolo di connessione che li avvince, non sono fondati.
Con essi, parte ricorrente lamenta la medesima censura sotto profili diversi e cioè che i Giudici di merito avrebbero deciso oltre i limiti di quanto chiesto dalle stesse parti, pronunciandosi d’ufficio su una questione mai sollevata da alcuno, in modo assolutamente illogico.
Violazioni paventate da parte ricorrente, che però dalla mera lettura della sentenza impugnata non risultano sussistenti.
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Al riguardo, è stato già ripetutamente affermato da questa Corte che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione’ (cfr. Cass. Sez.U, n. 8053/2014; e più di recente, Cass., 30/06/2020, n. 13248, Cass., 17/05/2021, n. 13170; Cass., 14/11/2019, n. 29495; Cass., 24/01/2023, n. 2122).
Nello stesso solco è stato evidenziato che non è possibile dedurre una censura di nullità della sentenza basandola su un’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (tra tante, di recente, Cass. Sez. 1, 1/03/2022 n. 6774).
4.1.1. In particolare, non sussiste la nullità della sentenza impugnata per aver la Corte d’appello felsinea pronunciato oltre i limiti di quanto chiesto dalle stesse parti ovvero per avere deciso con motivazione ‘ meramente apparente ‘ o infine, per aver la stessa Corte deciso sulla base di una eccezione non formulata da alcuna delle parti e non rilevabile d’ufficio.
Parte ricorrente mostra di non confrontarsi con quanto argomentato dalla Corte d’appello , la quale con la pronuncia in esame, trascrivendo i punti salienti della motivazione del Giudice di prime cure, ha dato conto che questi aveva deciso secondo il ‘ criterio della ragione più liquida ‘ posto che le domande risarcitorie reciproche formulate dalle parti imponevano, da un lato,
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Est. I. Ambrosi di qualificare la clausola n.17 della transazione e , dall’altro, di stabilire se la stessa costituisse una clausola risolutiva espressa o una condizione risolutiva di inadempimento.
Parte ricorrente, non risulta aver specificamente censurato il ricorso da parte del Tribunale a tale criterio, la cui funzione è proprio quella di consentire che la causa sia decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica , sostituendo il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c. (da ultimo, Cass. Sez. 5, 9/01/2019, n. 363).
Parte ricorrente continua a lamentare le medesime censure già svolte in appello e ritenute motivatamente infondate dalla Corte bolognese.
4.1.2. Ebbene, la Corte territoriale, nell’esaminare quanto già affermato dal Giudice di prime cure, secondo il quale plurimi elementi facevano ritenere maggiormente aderente al testo contrattuale la qualificazione della clausola 17 come condizione risolutiva (ed in particolare: i termini utilizzati, la circostanza che la transazione fosse stata sottoscritta da soggetti terzi ed avesse ad oggetto rapporti eterogenei non dipendenti dalle condotte dei due contraenti, la volontà dei contraenti intesa a creare un rapporto di reciproca interdipendenza ed inscindibilità tra i vari rapporti, altrimenti indipendenti lungi dall’argomentare in modo apparente o illogico, ha condiviso il ragionamento del Tribunale e, in particolare, ha ritenuto che effettivamente il testo contrattuale, se inteso come clausola risolutiva espressa, non avrebbe avuto alcuna utilità per le parti, anche in considerazione della qualificazione datane dall’attrice originaria con la memoria ex art. 183 c.p.c. di condizione risolutiva di inadempimento (cfr. pagg.3-5 della sentenza impugnata); pertanto, la Corte bolognese ha ritenuto non ravvisarsi «alcuna violazione, da parte del Giudice di prime cure, della disposizione di cui all’art.112 c.p.c. »
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Est. I. COGNOME affermando altresì «Deve, infatti, senz’altro escludersi che l’interpretazione e la successiva qualificazione della clausola 17 della transazione del 27 giugno 2007 come condizione risolutiva di inadempimento operata dal Tribunale di Modena, integri rilievo di ufficio di una domanda o di una eccezione non proposta dalle parti» (pag. 9 della sentenza impugnata) e per smentire tale assunto ha riprodotto testualmente il primo capo della domanda proposta in primo grado dalla COGNOME : ‘Accertato il grave inadempimento dei convenuti NOME e NOME COGNOME rispetto al patto n.11 della transazione 27 giugno 2007, dichiarare l’inefficacia, ai sensi del patto n.17, della rinuncia espressa da NOME COGNOME in esecuzione del patto 15 della transazione medesima’ , concludendo sul punto con l’osservare che «appare palese che, avendo l’odierna appellante principale fondato la propria domanda sul patto 17 della transazione predetta, costituisse attività non solo consentita all’organo giurisdizionale adito, ma addirittura doverosa, quella di interpretare, prima, e di qualificare, dal punto di vista giuridico, poi, la clausola contrattuale ora richiamata» (pag. 9 della sentenza impugnata).
La Corte d’appello ha affermato ciò in conformità con l’indirizzo dettato da questa Corte in materia, a mente del quale l’attività di qualificazione giuridica è finalizzata a individuare la disciplina applicabile alla fattispecie che, affidandosi al metodo della sussunzione, è suscettibile di verifica in sede di legittimità non solo per ciò che attiene alla descrizione del modello tipico di riferimento, ma anche per quanto riguarda la rilevanza qualificante attribuita agli elementi di fatto accertati e le implicazioni effettuali conseguenti (richiamando, sul punto, tra l’altro, Cass. Sez. 3, 4/06/2021 n.15603) (pag. 9 della sentenza impugnata).
Il terzo e il quarto motivo del ricorso principale, che possono essere congiuntamente esaminati per motivi di evidente nesso di connessione, sono inammissibili.
5.1. Per vero le censure veicolate, nonostante la formale intestazione, nella sostanza, attengono a profili di fatto e tendono a suscitare dalla Corte di cassazione un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello espresso
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Est. I. COGNOME dalla Corte d’appello, omettendo di considerare che tanto l’accertamento dei fatti, quanto la valutazione ad esso funzionale delle risultanze istruttorie e della loro inferenza probatoria è attività riservata al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove in base al libero apprezzamento, ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 4/07/2017, n. 16467; Cass.23/05/2014, n. 11511; Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499).
5.2. La Corte territoriale, con valutazione incensurabile in questa sede, ha reputato che lo scopo della transazione de qua conferisse, invero, significato univoco alla previsione « ‘ nonostante l’esecuzione del presente accordo avvenga in momenti diversi, esso comunque è unico ed inscindibile per cui la mancata esecuzione di una pattuizione inficerà l’intero accordo, come pure l’inadempimento di uno o più obblighi, in quanto ogni adempimento è funzionalmente collegato all’altro e quindi non separabile dal re sto. Pertanto, tenuto conto dei diversi momenti esecutivi, le pattuizioni e gli obblighi che avessero già avuto esecuzione perderanno di efficacia con obbligo di rispristino della situazione originaria, nel caso di mancata esecuzione di altra e diversa pat tuizione…. ‘ » (pag.12-13 così trascritto della sentenza impugnata) e ha ritenuto evidente che le parti avessero voluto far discendere l’automatica risoluzione dell’intero contratto dalla mancata esecuzione anche di un singolo patto e che tale inadempimento è stato, di conseguenza, considerato quale evento, oggetto di una condizione risolutiva, al fine di garantire la totale caducazione, con effetti erga omnes , di un negozio che trovava fondamentale ragion d’essere nella totale estinzione di ogni contenzioso esistente e in una globale definizione dei rapporti sostanziali facenti capo ai soggetti coinvolti, concludendo che l’effetto di ‘ripristino della situazione originaria’ volut o dalle parti, si riferisse alla integrale reviviscenza delle posizioni giuridiche sostanziali che erano state oggetto dei contenziosi definiti con la transazione in argomento (pag. 13 della sentenza impugnata).
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Avuto riguardo alle adeguate motivazioni ed incensurabili valutazioni rese da lla Corte d’appello, i motivi di ricorso in esame si palesano inammissibili, in quanto tendono a provocare dalla Corte di cassazione una lettura delle risultanze istruttorie e un apprezzamento delle circostanze di fatto diversa da quella motivatamente fornita dalla Corte di merito, insindacabili in questa sede di legittimità.
6. Il quinto motivo del ricors o principale è anch’esso inammissibile.
La confezione della censura oggetto del motivo si atteggia come contestazione all’interpretazione di una clausola contrattuale, senza specificare a quali criteri di ermeneutica ex art. 1362 e segg. c.c. non si sia attenuto il Giudice d’appello.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte al fine di far valere tale violazione, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. 9/10/2012, n. 17168; Cass. 11/03/2014, n. 5595; Cass. 27/02/2015, n. 3980; Cass. 19/07/2016, n. 14715).
Al riguardo, parte ricorrente mostra ancora una volta di non aver compreso la ratio decidendi della sentenza impugnata che , lungi dall’aver totalmente ignorato la volontà delle parti in relazione al patto 11, ha ritenuto infondata la tesi, già proposta in appello, secondo cui l’inadempimento di tale clausola potesse giustificare la declaratoria di inefficacia limitata della clausola 15, avendo viceversa ritenuto che il «patto di inscindibilità tra tutte le obbligazioni assunte dalle parti con la transazione del 27 giugno 2007, contenuto nell’art.17 di detto contratto, risulta, infatti, ostativo ad una sua risoluzione parziale» (pag. 14 della sentenza impugnata).
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7. Parimenti inammissibili i motivi sesto e settimo del ricorso principale che possono essere anch’essi congiuntamente scrutinati stante l’intrinseco vincolo di connessione.
Nonostante la formale evocazione di plurime violazioni di legge sostanziale e processuale, nella sostanza, anch’essi attengono a profili di fatto estranei al sindacato di questa Corte.
Parte ricorrente mira ad ottenere una rivisitazione dei fatti che hanno costituito oggetto di specifico esame e di decisione conforme sia in primo che in secondo grado (tra tante, Cass. Sez. U 27/12/2019 n. 34476); nello specifico e tra l’altro, non spiega parte ricorrente quali sarebbero i facta concludentia ignorati dai giudici di merito e dai quali si sarebbe potuto desumere la non estensione della risoluzione alle prestazioni già eseguite.
Venendo all’esame dell’unico motivo di ricorso incidentale , esso si rivela inammissibile.
La corte d’appello ha, infatti, rigettato il motivo di appello incidentale proposto in via meramente subordinata e qui riproposto, con il quali gli odierni ricorrenti incidentali, in sede di gravame, avevano chiesto l’accoglimento della eccezione di difetto di legittimazione attiva di NOME COGNOME in ordine alle domande proposte al fine di ottenere la riforma della sentenza impugnata nella parte in cui era stata disattesa la loro domanda di risarcimento danni, fondata sull’inadempimento, da parte della odierna appellante principale, dell’obbligo assunto con la clausola 11 della transazione in questione.
Va in proposito osservato che la Corte d’appello ha coerentemente rilevato che l’omessa pronuncia sulla eccezione di difetto di legittimazione attiva della originaria attrice doveva, invero, considerarsi inammissibile per evidente difetto di interesse, non avendo tale omissione influito sull’esito della causa, stante che la stessa Corte d’appello ha rigettato integralmente nel merito le domande dell’appellante principale e non può, quindi, neppure essere oggetto di cassazione.
In tal senso, è stato più volte precisato che è inammissibile, in sede di giudizio di legittimità, il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione della
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Est. I. Ambrosi sentenza impugnata svolta ad abundantiam e, pertanto, non costituente una ratio decidendi della medesima. Infatti, un’affermazione siffatta, contenuta nella sentenza di appello, che non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti giuridici non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse (Cass. Sez. 1, 8/06/2022, n. 18429; Cass. Sez. 1 10/04/2018 n. 8755).
In definitiva, il ricorso principale va rigettato e quello incidentale dichiarato inammissibile.
Discende dalla reciproca soccombenza la compensazione integrale delle spese del presente giudizio di legittimità.
La decisione di rigetto dell’impugnazione principale e quella di inammissibilità di quello incidentale comportano che deve darsi atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Per questi motivi
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale.
Spese integralmente compensate del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a t itolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile 26 maggio 2025.
Il PRESIDENTE NOME COGNOME