Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23843 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23843 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19367/2020 R.G. proposto da
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE COGNOME , in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che l a rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME COGNOME
-ricorrente – contro
Oggetto:
Pubblica
amministrazione –
Appalto pubblico di servizi
–
Risoluzione contratto per
inadempimento appaltatore
–
Clausola
risolutiva
espressa – Nullità –
Risarcimento danni per
illegittima
risoluzione
–
Danno curriculare
R.G.N. 19367/2020
Ud. 26/06/2025 CC
CONSORZIO COGNOME , in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME e COGNOME
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO ROMA n. 2495/2020 depositata il 25/05/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 26/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 2495/2020, pubblicata in data 25 maggio 2020, la Corte d’appello di Roma, nella regolare costituzione dell’appellata CONSORZIO RAGIONE_SOCIALE ha parzialmente accolto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 6365/2014, rideterminando la somma, che la stessa appellante era stata condannata a corrispondere all’appellata , nella misura di € 920.000,00, rispetto alla maggior somma di € 1.380.000,00 oggetto della statuizione del giudice di prime cure.
CONSORZIO RAGIONE_SOCIALE -di cui faceva parte l’impresa RAGIONE_SOCIALE, incaricata della igienizzazione dei locali dell’ AZIENDA OSPEDALIERA COGNOME – aveva adito il Tribunale di Roma chiedendo di dichiarare la nullità della risoluzione del contratto di appalto, comunicata dalla stessa AZIENDA deducendo gravi inadempimenti contrattuali basati in particolare su un accertamento del Servizio Igiene della stessa Azienda in data 12 novembre 2009.
Il CONSORZIO RAGIONE_SOCIALE , deducendo l’illegittimità della risoluzione sia per violazione della regola di buona fede, sia per violazione
dell’art. 14 del contratto di appalto in relazione all’art. 26 del Capitolato Speciale ed all’art. 1456 c.c., aveva quindi chiesto di accertare e dichiarare la nullità ed inefficacia della risoluzione del contratto di appalto e di condannare RAGIONE_SOCIALE COGNOME all’adempimento del contratto di appalto, al pagamento dei relativo corrispettivo ed al risarcimento dei danni.
Costituitasi regolarmente l’ AZIENDA RAGIONE_SOCIALE COGNOME, formulando domanda riconvenzionale, il Tribunale di Roma aveva accertato e dichiara to l’illegittimità della risoluzione del contratto di appalto, condannando l’ AZIENDA RAGIONE_SOCIALE COGNOME alla corresponsione in favore di CONSORZIO RAGIONE_SOCIALE della somma di € 1.380.000,00 a titolo di risarcimento dei danni.
3. La Corte d’appello ha, in primo luogo esaminato il motivo di appello con il quale l’ AZIENDA OSPEDALIERA COGNOME COGNOME censurava la decisione di prime cure per aver ritenuto assente la prova dell’inadempimento e lo ha disatteso con motivazione diversa rispetto a quella del giudice di prime cure.
La Corte territoriale, infatti, ha ritenuto che la stessa risoluzione fosse stata comunicata con modalità illegittime, avendo l’AZIENDA fatto riferimento, nella missiva con cui comunicava la risoluzione, alla sola previsione di cui all’art. 14 del Contratto di appalto, e cioè avvalendosi di una clausola risolutiva espressa che doveva tuttavia ritenersi illegittima, in quanto priva dell’indicazione delle specifiche obbligazioni il cui inadempimento avrebbe determinato la risoluzione del rapporto.
Ha osservato, in particolare, la Corte territoriale che la clausola di cui l’AZIENDA si era avvalsa ( “il presente contratto potrà essere risolto “ipso iure” a giudizio dell’Azienda ove ricorrano speciali motivi
di inadempienza dell’Ati previsti dalla normativa vigente” ) non faceva riferimento a specifici inadempimenti contrattuali, ma indicava del tutto genericamente indeterminati motivi di inadempimento tramite un richiamo generico alla normativa vigente ‘secondo quindi una previsione palesemente indeterminata ed implicante una valutazione rimessa in via esclusiva all’Azienda appaltante che nulla aggiunge in termini di determinazione delle obbligazioni il cui inadempimento avrebbe potuto dar luogo alla risoluzione’ .
La Corte d’appello ha invece parzialmente accolto il motivo di appello col quale l’AZIENDA veniva a censurare la quantificazione dei danni riconosciuta dal Tribunale.
La Corte, infatti, dopo avere escluso l’applicabilità dell’art. 345, Legge n. 2248/1865 All. F -in quanto previsione applicabile alla sola ipotesi di recesso legittimo della P.A. -ha concluso che la quantificazione del danno spettante al RAGIONE_SOCIALE non poteva che avvenire in via equitativa.
La Corte d’appello ha quindi ritenuto di poter riconoscere un danno parametrato al residuo fatturato ritraibile ancora dall’appalto, mentre ha non ha ritenuto riconoscibili né il danno da perdita di chance né il danno curriculare sia perché non tempestivamente allegati dall’impresa, sia perché non ravvisabili in re ipsa, sia, ancora, perché non assistiti da adeguata prova, con conseguente impossibilità di procedere alla liquidazione equitativa.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma ricorre l’ AZIENDA OSPEDALIERA COGNOME
Resiste con controricorso e ricorso incidentale il RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
La ricorrente principale ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso principale è affidato a tre motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.
Argomenta la ricorrente che la nullità per indeterminatezza della clausola risolutiva espressa – trattandosi di una nullità relativa, in quanto posta nell’interesse di una sola delle parti e, quindi, rilevabile solo su istanza della parte stessa quale nullità “di protezione” -avrebbe dovuto essere dedotta dall’odierna ricorrente incidentale, la quale, tuttavia, non avrebbe mai sollevato la relativa eccezione.
Ne consegue, secondo la ricorrente, che la sentenza impugnata sarebbe affetta da vizio di ultrapetizione poiché, in nessuno dei precedenti gradi di giudizio, sarebbe mai stata dedotta l’invalidità della clausola contenuta nel contratto di appalto e quindi la sua inidoneità a provocare la risoluzione di diritto ex art. 1456 c.c.
1.2. Con il secondo motivo -subordinato al mancato accoglimento del primo – il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1455 e 1456 c.c.
La ricorrente contesta che -come invece opinato dalla Corte territoriale – la clausola prevista nel contratto d’appalto fosse inidonea a provocare la risoluzione di diritto del contratto stesso.
Deduce, in particolare, che la prima parte della clausola in questione ( ‘il presente contratto potrà essere risolto “ipso iure ” a giudizio dell’Azienda ove ricorrano speciali motivi di inadempienza dell’ATI previsti dalla normativa vigente’ ), ben lungi dall’essere generica ed indeterminata, richiama, appunto ‘speciali motivi di inadempienza, previsti dalla normativa vigente’ e quindi motivi non
aspecifici ma determinati nella loro specialità, a propria volta collegata alla gravità degli inadempimenti.
Argomenta che ‘ se, dunque, il contratto deve individuare con precisione quale fattispecie provochi la risoluzione espressa affinché non possa sussistere dubbio sul fatto che essa si sia o meno verificata ebbene non può esservi alcun dubbio sul fatto che l’inadempimento verificatosi rientri tra quelli forieri di risoluzione espressa poiché è di speciale gravità e ciò in quanto non si riesce proprio ad ipotizzare un inadempimento più grave da parte di un’impresa di pulizia in una struttura ospedaliera – deputata alla tutela e salvaguardia della vita e della salute pubblica – della non corretta esecuzione dei servizi di igienizzazione affidati, inadempimento che espone una moltitudine di persone a conseguenze lesive della propria incolumità fisica ed anche potenzialmente letali’ .
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c.
La ricorrente censura l’affermazione, contenuta nella decisione in esame, per cui l’illegittimità della risoluzione era fondata non tanto sulla mancata prova dell’inadempimento, quanto sulla genericità della clausola risolutiva.
Questa affermazione -che secondo la ricorrente si riferirebbe all’assenza di dimostrazione dell’inadempimento -viene criticata dalla ricorrente la quale, pur ritenendo il profilo assorbito dalla declaratoria della nullità della clausola risolutiva espressa, deduce la violazione degli artt. 116 c.p.c. e 2697 c.c., in quanto la prova dell’inadempimento risulterebbe dalla documentazione depositata e dalle risultanze dell’istruttoria svolta in corso di causa.
Il ricorso incidentale è affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo -formulato in via subordinata all’accoglimento del terzo motivo di ricorso principale – il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., la violazione dell’art. 132 c.p.c.
La ricorrente incidentale censura anch’essa l’affermazione, contenuta nella decisione in esame, per cui l’illegittimità della risoluzione era fondata non tanto sulla mancata prova dell’inadempimento, quanto sulla genericità della clausola risolutiva
Si deduce che la statuizione in questione sarebbe nulla per carenza di motivazione e sarebbe comunque caratterizzata da omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, non essendo state valutate tutte le circostanze e le deduzioni da cui emergerebbe l’assenza di prova dell’inadempimento della ricorrente incidentale.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione degli artt. 2043 e 2697 c.c. e 115 c.p.c.
Si censura la decisione impugnata nella parte in cui la stessa ha rideterminato l’importo del risarcimento dovuto, da € 1.380.000 ad € 920.000,00, per difetto di prova del danno curriculare.
Deduce la ricorrente incidentale che la Corte territoriale non avrebbe considerato sia che dagli atti di causa risultava ‘quantomeno allegato e non smentito il grave danno curricolare patito dal Consorzio, che per mezzo dell’illegittima risoluzione’ , sia che la componente del danno curriculare relativa alla mancata acquisizione della specifica idoneità tecnica richiesta dal bando diversa dalla qualificazione professionale sarebbe conseguenza immediata e diretta dell’estromissione dal servizio affidato, subita dalla ricorrente
incidentale per effetto del temporaneo affidamento dell’appalto ad altra impresa da parte della ricorrente principale.
Il ricorso principale deve essere respinto.
3.1. Il primo motivo di ricorso è infondato, per un duplice ordine di ragioni.
In primo luogo, infatti, si deve rilevare che la Corte territoriale -la quale non ha direttamente dichiarato la nullità della clausola ma ha affermato l’ illegittimità della risoluzione intimata dalla ricorrente sulla base di tale clausola , peraltro procedendo comunque all’ulteriore verifica della sussistenza di un inadempimento di non scarsa importanza ex art. 1453 e 1455 c.c. -si è pienamente conformata all’orientamento di questa Corte, la quale ha affermato la nullità di una clausola risolutiva espressa carente dei caratteri della specificità quale ipotesi di indeterminatezza dell’oggetto della pattuizione, dal momento che la clausola ex art. 1456 c.c. priva dei caratteri della specificità nulla aggiunge in termini di determinazione delle obbligazioni il cui inadempimento può dar luogo alla risoluzione del contratto e rimette in via esclusiva ad una delle parti la valutazione dell’importanza dell’inadempimento dell’altra (Cass. Sez. 6 -1, Ordinanza n. 4796 del 11/03/2016; Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 32655 del 09/11/2021).
Orbene, la tesi della ricorrente, per cui la nullità della clausola risolutiva espressa ‘indeterminata’ costituirebbe ipotesi di nullità ‘di protezione’ non rilevabile d’ufficio, contrasta con la stessa tipologia di nullità già affermata da questa Corte, riconducibile -seppur con evidente riferimento alla sola singola clausola -al combinato disposto di cui agli artt. 1346 e 1418 c.c. e quindi ad una ipotesi che attiene agli stessi elementi essenziali della pattuizione negoziale, e cioè a profili che non sono posti meramente a tutela degli interessi di una
sola delle parti ma attengono agli stessi requisiti minimi affinché una pattuizione possa ritenersi vincolante e quindi tutelabile in sede giurisdizionale.
Il vizio che affligge la clausola risolutiva espressa indeterminata, quindi, vale a privare radicalmente la stessa di efficacia e la relativa nullità, pertanto, non può ritenersi operare a presidio di uno solo dei contraenti.
Solo per completezza si deve rammentare che, semmai, vengono rimesse all’iniziativa di parte quella, tuttavia, che risulti creditrice delle prestazioni contemplate nella clausola medesima, ove determinata -sia l’a ttivazione dell’effetto risolutivo, il quale, quindi, non può essere rilevato d’ufficio ( Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10691 del 24/05/2016; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11864 del 09/06/2015; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16993 del 01/08/2007), sia la possibilità di rinunciare all ‘effetto risolutivo medesimo , anche se tale rinuncia non può essere tacita (Sez. 2 – Ordinanza n. 14195 del 05/05/2022; Sez. 2 – Ordinanza n. 14195 del 05/05/2022).
Profilo del tutto diverso, invece, è quello della rilevabilità d’ufficio della nullità di una clausola risolutiva espressa del tutto indeterminata nel proprio oggetto – come tale da considerarsi del tutto priva di effetti – integrando tale ipotesi un vizio che, secondo il principio general e di cui all’art. 1421 c.c., risulta rilevabile anche d’ufficio.
In secondo luogo, si deve osservare che le deduzioni della ricorrente cozzano in ogni caso con il principio espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, per cui la rilevabilità officiosa delle nullità negoziali deve estendersi anche a quelle cosiddette di protezione, da configurarsi, alla stregua delle indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia, come una species del più ampio genus rappresentato dalle nullità negoziali, tutelando le stesse interessi e valori fondamentali –
quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost) e l’uguaglianza almeno formale tra contraenti forti e deboli (art. 3 Cost) – che trascendono gli interessi del singolo (Cass. Sez. U, Sentenza n. 26243 del 12/12/2014; Cass. Sez. U, Sentenza n. 26242 del 12/12/2014).
Ne consegue che, anche a voler qualificare la nullità della clausola risolutiva espressa ‘indeterminata’ come ipotesi di nullità di protezione, nondimeno la stessa dovrebbe ritenersi comunque rilevabile d’ufficio , risultando in tal modo ulteriormente esclusa la violazione dell’art. 112 c.p.c. dedotta nel motivo di ricorso.
Inammissibile, poi, è l’ulteriore deduzione contenuta nella memoria ex art. 380bis. 1 c.p.c. della ricorrente principale in ordine al mancato rispetto dell’art. 101 c.p.c. , in quanto tale memoria -come quella ex art. 378 (nonché quella di cui alla previgente versione dell’art. 380 -bis c.p.c.) -non ha la funzione di integrare i motivi del ricorso per cassazione, poiché assolve all’esclusiva funzione di chiarire ed illustrare i motivi di impugnazione che siano già stati ritualmente cioè in maniera completa, compiuta e definitiva – enunciati nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, con il quale si esaurisce il relativo diritto di impugnazione, e non di dedurre nuove eccezioni implicanti necessariamente accertamenti di fatto – o sollevare nuove questioni di dibattito (Cass. Sez. 2 -Sentenza n. 8949 del 30/03/2023; Cass. Sez. L – Sentenza n. 21355 del 06/07/2022; Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 5503 del 26/02/2019; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 24007 del 12/10/2017; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 26332 del 20/12/2016).
3.2. Il secondo motivo di ricorso, nel contestare il giudizio di indeterminatezza espresso dalla Corte territoriale, risulta invece in parte infondato ed in parte inammissibile.
Da un lato, infatti, il motivo formula una censura priva di pregio, risultando corretta la valutazione della Corte d’appello, nel momento in cui la stessa ha escluso che il riferimento agli ‘speciali motivi di inadempienza, previsti dalla normativa vigente’ valesse a conferire alla clausola un oggetto determinato, non senza osservare che il ricorso -che in tal modo viene a risultare privo di specificità -omette anche nella presente sede di individuare le previsioni della ‘normativa vigente’ che contemplerebbero la condotta contesta alla ricorrente incidentale ed, anzi, finisce per ammettere (pag. 17, primo capoverso) che in realtà la condotta oggetto della contestazione mossa all’odierna ricorrente incidentale non era contemplata in alcuna previsione, e quindi neppure in que ll’art. 26 del Capitolato allegato, che era richiamato dalla clausola, il cui contenuto non solo non è stato in alcun modo riprodotto nella presente sede di legittimità, in violazione dell’art. 366 c.p.c. , ma è stato anche esaminato dalla decisione impugnata, evidenziando che lo stesso risultava del tutto estraneo alle contestazioni mosse all’odierna ricorrente incidentale.
D all’altro lato, poi, il ricorso si diffonde, soprattutto nella sua seconda parte, in inammissibili deduzioni versate esclusivamente in fatto, senza individuare alcun inadeguato governo delle norme di diritto.
3.3. Inammissibile, infine, è il terzo motivo, il quale, da un lato, censura -peraltro dichiaratamente (pag. 21) -un profilo che è stato dichiarato assorbito dalla decisione impugnata e che, conseguentemente, non costituisce la ratio decidendi della sentenza impugnata e, dall’altro lato, si traduce nel concreto in una inammissibile sollecitazione a procedere ad un sindacato sulla valutazione delle prove, riservata invece al giudice del merito (Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Cass. Sez. 3 – Sentenza
13918 del 03/05/2022; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 6774 del 01/03/2022; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 20553 del 19/07/2021; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004).
Non può trovare accoglimento neppure il ricorso incidentale.
4.1. Quanto al primo motivo, dello stesso, in realtà, deve essere dichiarato l’assorbimento, essendo stato formulato in via subordinata all’accoglimento del terzo motivo del ricorso principale, il quale è stato invece dichiarato inammissibile
4.2. Il secondo motivo, invece, deve essere dichiarato a propria volta inammissibile, dal momento che lo stesso, nel concreto, non deduce alcun inadeguato governo delle previsioni di diritto sostanziale ivi invocate da parte della Corte territoriale ma, sotto la deduzione della violazione dell’art. 115 c.p.c. i cui limiti di deducibilità in sede di legittimità sono stati peraltro rigorosamente individuati da questa Corte (Cass. Sez. U – Sentenza n. 20867 del 30/09/2020), senza che invece il ricorso incidentale ai medesimi presti osservanza -si sostanzia in una censura in fatto rivolta alla valutazione delle prove da parte del giudice di merito -ed in particolare al giudizio di insussistenza di adeguate prove dei danni lamentati – anche in questo caso in spregio dei già richiamati principi costantemente enunciati da questa Corte in materia.
L’esito di reciproca soccombenza delle parti vale a fondare l’integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
Stante il tenore della pronuncia -ed in relazione sia alla ricorrente principale sia al ricorrente incidentale – va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; compensa integralmente le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte sia della ricorrente principale sia del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima