Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7589 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7589 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 20330/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, domiciliata nello studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO ;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME (EMAIL), NOME COGNOME ( ) e NOME COGNOME (EMAIL);
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 598/2021 della Corte d’appello di Milano depositata il 23/2/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4 marzo 2024 dal Consigliere NOME COGNOME:
Rilevato che:
In data 1 ottobre 2007 RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE stipulavano un contratto di franchising , che stabiliva l’affiliazione di NOME alla controparte in un punto di vendita di proprietà di NOME sito in Bellusco, in provincia di Milano. Avvalendosi poi di una pretesa clausola risolutiva, NOME comunicava a controparte l’8 gennaio 2015 la risoluzione del contratto. RAGIONE_SOCIALE la conveniva allora davanti al Tribunale di Milano, perché fosse dichiarata l’illegittimità della risoluzione del contratto da essa comunicata e perché fosse invece dichiarata la risoluzione del contratto per grave inadempimento di NOME, da condannare pure al risarcimento dei danni. NOME si costituiva resistendo e chiedeva, riconvenzionalmente, che fosse dichiarato nullo il contratto di affiliazione per abuso di posizione dominante da parte di RAGIONE_SOCIALE e perché fosse comunque confermata la risoluzione del contratto applicante la clausola risolutiva espressa o comunque fosse dichiarata la risoluzione per grave inadempimento di quest’ultima, con sua condanna al risarcimento dei danni.
Svolta istruttoria orale, il tribunale, con sentenza del 5 agosto 2019, rigettava le domande di entrambe le parti compensando le spese.
Proponeva appello NOMECOGNOMENOME, resistendo RAGIONE_SOCIALE.
Con sentenza del 23 febbraio 2021 la Corte d’appello di Milano rigettava l’appello, condannando l’appellante a rifondere le spese a controparte.
NOME.S. ha presentato ricorso, articolato in otto motivi, da cui NOME si è difesa con controricorso, includente anche ricorso incidentale basato su un unico motivo, rispetto al quale NOME.S. ha depositato controricorso. NOME ha depositato pure memoria.
Considerato che:
Deve esaminarsi per primo, naturalmente, il ricorso principale.
1. Il primo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.4 c.p.c., nullità della sentenza per violazione degli articoli 132, 323, 342 ss. c.p.c. e 24 Cost., per essere la motivazione della sentenza d’appello meramente apparente, rinviando soltanto alla sentenza di primo grado senza svolgere su di essa alcun argomento critico in relazione ai motivi d’appello presentati dall’attuale ricorrente e, in particolare, senza riesaminare i fatti e le prove pur in presenza di uno specifico motivo d’appello al rigu ardo.
La motivazione della sentenza impugnata consiste quindi, ad avviso della ricorrente, in un ‘acritico rinvio per relationem alla sentenza di primo grado’.
In particolare, nell’appello era stato chiesto ‘un nuovo esame delle risultanze probatorie e una nuova ricostruzione dei fatti di causa’, per essersi il primo giudice limitato a ‘rinviare pedissequamente’ a una ordinanza cautelare emessa ante causam per le medesime parti. Nel primo motivo d’appello l’attuale ricorrente aveva in effetti imputato al tribunale tale adesione acritica a ll’ordinanza cautelare nonché il mancato esame dei documenti prodotti in giudizio e degli esiti della prova orale; nonostante lo specifico motivo del gravame, il giudice d’appello ‘ha radicalmente omesso di esaminare ex novo i fatti e le prove offerte in causa’, non a caso nella sentenza non essendo ‘richiamato alcun documento né capitolo di prova orale assunto in causa (fosse anche solo per affermarne l’inconferenza)’.
2. Il secondo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.4 c.p.c., nullità della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c. per omessa pronuncia sul terzo motivo d’appello con cui l’attuale ricorrente aveva chiesto di riformare la prima sentenza laddove quest’ultima aveva erroneamente affermato che NOME aveva risolto il contratto di diritto in forza di una clausola risolutiva espressa ex articolo 1456 c.c., in realtà inesistente nel contratto perché non prevista a favore di NOME.
L’attuale ricorrente aveva chiesto al primo giudice di accertare e dichiarare l’illegittimità della risoluzione del contratto di franchising dichiarata da controparte con comunicazione dell’8 gennaio 2015, in particolare contestando che NOME potesse risolverlo di diritto.
Infatti nell’atto di citazione G.S. aveva sostenuto che il mero invio della comunicazione suddetta non avrebbe potuto risolvere legittimamente il contratto, ‘non essendosi verificata alcuna causa di risoluzione di diritto’, e nella prima memoria ex articolo 183, sesto comma, c.p.c. aveva espressamente dichiarato che ‘la clausola attribuiva … al solo Franchisor e non anche al Fr anchisee il diritto di risolvere automaticamente il contratto’.
Il tribunale, nella sentenza, aveva invece affermato che ‘la comunicazione … è da qualificarsi alla stregua di una dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa’ , e altresì che ‘la missiva …, sia pure in maniera atecnica ed imprecisa, dà atto della volontà della società convenuta di intendere venuto meno il vincolo contrattuale (e quindi, risolti i contratti)’.
Nel terzo motivo d’appello l’attuale ricorrente aveva specificamente criticato questa parte della sentenza impugnata (viene trascritto il relativo passo nelle pagine 12-13 del ricorso), ribadendo appunto che soltanto il franchisor in base a tale clausola avrebbe avuto ‘la possibilità di dichiarare risolto il contratto di diritto’. La corte territoriale, nonostante tale precisa censura, ad avviso della ricorrente ‘ha completamente omesso di pronunciarsi sul punto’, non spendendovi ‘neppure una sola parola’ e così rendendo nulla la decisione per violazione dell’articolo 112 c.p.c. per difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
3. Il terzo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1456, 1362 e 1363 c.c. laddove il giudice d’appello ‘ha omesso di rilevare l’inesistenza del diritto di RAGIONE_SOCIALE ad avvalersi della clausola risolutiva espressa prevista nel contratto di franchising inter partes (art. 14) esclusivamente a favore di RAGIONE_SOCIALE‘.
Per la denegata ipotesi in cui si ritenesse che il giudice d’appello avesse implicitamente aderito alla sentenza di primo grado quanto all’esistenza del diritto di RAGIONE_SOCIALE ex articolo 1456 c.c., secondo la ricorrente ciò costituisce comunque violazione delle norme invocate nella rubrica del presente motivo.
Il quarto motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1453, 1455 e 1456 c.c. laddove il giudice d’appello ‘afferma che il contratto sia stato risolto di diritto a causa di un preteso grave inadempimento contrattuale di GS a generici obblighi di <> senza individuare quali specifiche obbligazioni contrattuali sarebbero state violate e se tali obbligazioni fossero o meno previste nella presunta (in realtà inesistente) clausola risolutiva espressa’.
Il giudice d’appello, a pagina 9 della sentenza, ha confermato la prima decisione attribuendo all’appellante un ‘grave inadempimento contrattuale … come correttamente statuito dal Tribunale, talché il contratto di franchising si è risolto di diritto, a far data dal 16. 01. 2015, ex art. 1456 c.c., in applicazione della clausola risolutiva espressa di cui all’art. 14, per effetto della manifestazione fattane da RAGIONE_SOCIALE, con comunicazione del 08. 01. 2015′. Questo asserto viene censurato dettagliatamente nel motivo (ricorso, pagine 16-17).
Il quinto motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.4 c.p.c., nullità della sentenza per avere affermato, in contrasto con i fatti processuali, che l’attuale ricorrente con l’appello avrebbe omesso di confrontarsi con la motivazione della prima s entenza ‘laddove la stessa identifica la violazione della buona fede … nell’attività promozionale concorrenziale posta in essere da RAGIONE_SOCIALE con la gestione di detti punti vendita’.
Qui la sentenza d’appello, ad avviso di G.S., ‘afferma l’esistenza di un fatto processuale non vero’, e ciò emergerebbe raffrontando un passo motivazionale della sentenza impugnata (si veda ricorso, pagine 1819) con un passo dell’atto d’appello che sarebbe stato quello in cui la ricorrente come appellante avrebbe preso posizione (ricorso, pagine 19-21), per dichiarare dunque non veritiero il raffronto con la motivazione di primo grado nell’atto d’appello.
6. Il sesto motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., degli articoli 1175 e 1375 c.c., dell’articolo 2729 c.c. e dell’articolo 3 l. 6 maggio 2004 n. 129 laddove il giudice d’appello ha ritenuto che l’attuale ricorrente ‘abbia violato la buona fede per avere gestito direttamente dei RAGIONE_SOCIALE Vendita ex RAGIONE_SOCIALE nonostante il contratto di franchising … non prevedesse alcuna esclusiva territoriale a favore di RAGIONE_SOCIALE e non fosse quindi nemmeno ipotizzabile un rapporto di concorrenza tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.
Si censura il giudice d’appello per avere dato ‘per scontato’ che le parti ‘si trovassero tra loro in un rapporto di reciproca concorrenza’, de ducendone poi una pretesa violazione da parte dell’attuale ricorrente dell’obbligo di protezione e di buona fede nell’esecuzione del contratto ; si argomenta anche sul collocamento geografico dei punti vendita (ricorso, pagine 22-24) per giungere ad affermare che il giudice d’appello avrebbe dovuto escludere ogni interferenza fra i rispettivi bacini di utenza e quindi una concorrenza tra le parti.
Il settimo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.4 c.p.c., nullità della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla censura dell’attuale ricorrente diretta a fare accertare l’insussistenza di un obbligo di RAGIONE_SOCIALE di rifornirsi almeno per il 60% da GS, nonché per violazione dell’articolo 132 c.p.c. per avere affermato con motivazione inesistente la sussistenza di un tale obbligo di RAGIONE_SOCIALE.
Si trascrive il relativo passo dell’atto d’appello (ricorso, pagine 25 -26) sostenendo poi che a detta censura il giudice d’appello non avrebbe rivolto alcun riferimento, dando per scontato l’obbligo di NOME -‘RAGIONE_SOCIALE aveva infatti contratto l’obbligo di rifornirsi per almeno il 60% dall’affiliante’: sentenza, pagina 8 – in modo del tutto apodittico, così da rendere la sentenza nulla.
Si argomenta anche nel merito, assemblando nel motivo parte del contratto e parte di una lettera del 10 marzo 2014, per concludere che il suddetto obbligo non esisteva.
L’ottavo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1453 c.c. laddove il giudice d’appello ha rigettato la domanda risarcitoria dell’attuale ricorrente.
NOME in primo grado aveva chiesto la condanna di controparte a risarcirla del danno da lucro cessante per la somma di euro 1.097.456, oltre interessi, o una diversa somma di giustizia, nonché a risarcirla per il danno emergente da determinare equitativamente ex articolo 1226 c.c.
Non essendo state accolte queste domande in primo grado, l’attuale ricorrente aveva loro dedicato il quarto motivo di appello, ove aveva ‘diffusamente esposto i criteri per il calcolo del danno’ subito a titolo di lucro cessante. Il giudice d’appello, avendo omesso di dichiarare risolto il contratto per inadempimento di controparte, ha pertanto rigettato anche la domanda risarcitoria. Quindi la sentenza dovrebbe essere cassata anche per violazione dell’articolo 1453 c.c.
Il motivo d el ricorso incidentale è rubricato ‘riproposizione della domanda di risoluzione giudiziale ex art. 1453 c.c., assorbita in grado d’appello’ .
La ricorrente incidentale osserva che, quando si era costituita in appello, aveva ‘espressamente devoluto alla cognizione’ del secondo giudice tutte le domande presentate in primo grado, chiedendo quindi non solo dichiarare che il contratto di franchising si era risolto per diritto, ma altresì che fosse ‘in ogni caso … risolto giudizialmente ex art. 1453 c.c. all’esito del presente giudizio’ : domanda, quest’ultima, ‘rimasta pacificamente assorbita a seguito dell’accoglimento della domanda principale di riso luzione di diritto’, per cui, ‘nel denegato caso di accoglimento del ricorso avversario’, si chiede che ‘il giudice del rinvio possa accedere all’esame di tale ulteriore domanda’.
I primi tre motivi del ricorso principale meritano un vaglio congiunto e, al riguardo, il ricorso si presenta sine dubio autosufficiente.
Il nucleo della controversia è stato, ictu oculi , l’iniziativa di NOME di avvalersi dell’articolo 14 del contratto come clausola che le consentisse di attuare la risoluzione di diritto ex articolo 1456 c.c. Al riguardo, ovviamente, la controparte
appellante
, avendo il primo giudice aderito alla prospettazione di RAGIONE_SOCIALE, ha inserito nel suo gravame uno specifico motivo che, conformemente a quanto già G.S. aveva addotto in primo grado (nella comparsa di risposta e nella prima memoria ex articolo 183 c.p.c., ut supra già riportato), negava che l’articolo 14 potesse essere fruito dal franchisee RAGIONE_SOCIALE, essendo a suo avviso riservato alla tutela della posizione del franchisor . Su questo, come lamenta il ricorrente, la Corte d’appello di Milano nulla di ce.
La corte territoriale compie subito un ‘salto logico’, che si concreta in una omessa pronuncia: invece di vagliare appunto il nucleo del gravame, ovvero il significato dell’articolo 14 del contratto di franchising , si dedica immediatamente alla questione – logicamente posteriore – della giustificabilità della risoluzione, che NOME ha ‘comminata’ (singolare espressione, che già di per sé lascia intendere il difetto di approccio al devolutum ) a NOME.S. (sentenza, pagine 4ss.).
Considerato allora che tutta la motivazione è dedicata a questo stadio posteriore della regiudicanda senza avere risolto il presupposto dell’applicazione dell’articolo 14 – il quale non può certo essere definito implicitamente risolto, poiché tutti gli argomenti riversati dal giudice d’appello nella sentenza non riguardano affatto l’identificazione della parte che avrebbe potuto avvalersi dell’articolo 14 o comunque non affermano che entrambe le parti avrebbero potuto avvalersene -, il ricorso principale deve pertanto essere accolto, assorbito ogni altro suo motivo, con conseguente cassazione della sentenza con rinvio.
11.1 L’unico motivo del ricorso incidentale intende, in ipotesi appunto di cassazione con rinvio, che questo giudice di legittimità dichiari riproponibile nel giudizio di rinvio la domanda di risoluzione del contratto di franchising ex articolo 1453 c.c. Dichiara la ricorrente di essere ‘consapevole di un orientamento di questa Suprema Corte’ per cui chi ha vinto in appello non ha l’onere di proporre ricorso incidentale per far valere in sede di legittimità le domande o le eccezioni non accolte dal giudice di merito, con conseguente possibilità che queste possano essere riproposte nel giudizio di rinvio; e dichiara altresì che, ‘tenuto conto che un differente orientamento’ sarebbe stato seguito da S.U. 12 maggio 2017 n. 11799, essendo la domanda di risoluzione ex articolo 1453 c.c. rimasta
assorbita dall’accoglimento della domanda principale di risoluzione di diritto, essa ‘propone il presente motivo di ricorso incidentale, al solo fine di riproporre espressamente la domanda di risoluzione giudiziale’ del contratto.
11.2 Il motivo è manifestamente inammissibile, in quanto non veicola alcuna censura alla sentenza impugnata, essendo invece diretto ad un obiettivo diverso rispetto a quelli indicati nell’articolo 360, primo comma, c.p.c., e dichiarando d’altronde in modo espresso tale suo eccentrico scopo.
In conclusione, dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, il ricorso principale deve essere accolto nei primi tre motivi, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Milano, in diversa sezione e diversa composizione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso incidentale, accoglie quello principale per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Milano .
Così deciso in Roma il 4 marzo 2024