Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1942 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1942 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10295/2021 proposto da:
COGNOME rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-ricorrenti –
-contro-
RAGIONE_SOCIALE società cooperativa, in persona del legale rappresentante p.t., rappres. e difesa dall’avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti ;
-controricorrente-
avverso la sentenza d ella Corte d’appello di Venezia, n. 127/21, pubblicata in data 26.01.2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14.01.2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con atto di citazione del 22 dicembre 2014 NOME COGNOME e NOME COGNOME convenivano in giudizio, avanti il Tribunale di Rovigo, la Banca Atestina di Credito Cooperativo -società RAGIONE_SOCIALE, ora incorporata nella Banca di Credito Cooperativo delle Prealpi, Coop. (BCC Prealpi) chiedendo di dichiarare: la nullità della clausola di pattuizione degli interessi, anche moratori, di cui all’art. 2 del contratto di mutuo fondiario, per usurarietà, oggettiva e/o soggettiva; la nullità e/o annullabilità della pattuizione dell’ Interest Rate Floor implicito nella clausola di cui all’art. 2 del medesimo contratto per inosservanza della normativa sulla negoziazione di strumenti finanziari derivati per mancanza di causa, o per vessatorietà; in subordine, la nullità della pattuizione degli interessi di cui all’art. 2 del medesimo contratto per indeterminatezza o indeterminabilità del relativo oggetto; in subordine la nullità dell’Interest Rate Floor implicito nella clausola di cui all’art. 2 del medesimo contratto, per violazione dei principi di correttezza e buona fede, con conseguente condanna della convenuta BCC Prealpi a restituire agli attori gli interessi per almeno euro 13.805,76; la non debenza di interessi per il futuro, ovvero la misura della relativa obbligazione fino al termine del contratto.
Al riguardo, gli attori assumevano che: in data 18.01.2010 avevano stipulato con l’attuale BCC Prealpi il contratto di mutuo fondiario per l’importo di euro 95.000, COGNOME quale mutuatario e datore di ipoteca e COGNOME quale fideiussore; il mutuo era destinato, in gran parte, a coprire precedenti passività nei confronti della medesima Banca, la quale, approfittando della loro difficoltà ed inesperienza, li aveva indotti a sottoscrivere il mutuo indicante all’art. 2 un tasso del 2,45% accompagnato dall’inserimento di una clausola floor che, surrettiziamente, aveva introdotto nel contratto un derivato del tipo
Interest Rate Floor, in virtù del quale il tasso non poteva essere mai inferiore al 3,25%; il mutuo indicava quindi due tassi, quello del 2,45% (apparentemente il tasso nominale corrispettivo) e quello floor del 3,25% (il tasso nominale corrispettivo effettivo) che trovava immediata applicazione, non rendendo possibile agli attori capire quale fosse il tasso effettivo del contratto e la reale natura della clausola floor ; il tasso medio, ai fini del calcolo dell’ usura, rilevato dal Ministero dell’Economia, era pari al 2,92% e quindi inferiore al tasso contrattuale applicato dalla Banca del 3,25%, ed il tasso di mora era pari al 5,25% superiore al tasso soglia usura del 4,38%; la clausola relativa all’ Interest Rate Floor, surrettiziamente inserita nel contratto di mutuo, aveva una funzione autonoma, ne era quantificabile il mark to market in euro 1658,00 rilevante anche ai fini del calcolo dell’ usura, costituendo uno strumento finanziario collocato dalla Banca, senza l’osservanza della normativa di cui al D. Lgs. n. 58/1998 e comunque avente causa nulla; la convenuta, nella relazione al proprio bilancio (doc. 12, 14 e 15 fascicolo primo grado attori), ne aveva riconosciuto la sussistenza, anche con valore confessorio; detta pattuizione era annullabile per vizio del consenso o comunque vessatoria, stante la qualifica di privati consumatori dei clienti e contraria a correttezza e buona fede; in subordine, andava accertata la nullità della pattuizione del tasso di interesse per indeterminatezza e indeterminabilità, stante la presenza di due distinti tassi, la cui scelta, a fini applicativi, era rimessa al mero arbitrio della Banca, con conseguente applicabilità dei tassi sostitutivi di legge.
La BCC Prealpi si costituiva in giudizio con comparsa di costituzione e risposta di data 11 maggio 2015, eccependo l’infondatezza della domanda.
In data 17 maggio 2017 il Tribunale di Rovigo pronunciava la sentenza n. 393/2017 con cui: rigettava le domande avanzate da NOME COGNOME e NOME COGNOME e compensava integralmente le spese di lite tra le parti, osservando che: nella fattispecie non erano stati allegati ulteriori elementi (oneri economici o spese) che, sommati al tasso moratorio aggiustato in virtù della clausola di salvaguardia, determinassero il superamento del tasso-soglia usurario, e che non vi fosse prova dell’effettiva sproporzione dei tassi applicati ai fini della sussistenza d ell’ usura soggettiva; il tasso contrattuale era stato determinato, risultando indicati sia i parametri di calcolo che il tasso minimo, mentre la clausola floor non poteva qualificarsi vessatoria, in quanto chiara e comprensibile, né annullabile in quanto non assimilabile ad un derivato, né sussisteva violazione dei principi di correttezza e buona fede.
Con atto di citazione del 4 dicembre 2017, COGNOME e COGNOME adivano la Corte di Appello di Venezia chiedendo la riforma della sentenza del Tribunale, riportandosi alle conclusioni di primo grado. BCC Prealpi si costituiva, chiedendo il rigetto dell’appello.
Con sentenza depositata in data 26 gennaio 2021, la Corte di Appello di Venezia rigettava l’impugnazione e, per l’effetto, confermava l’impugnata sentenza, osservando che: la clausola floor aveva il significato di assicurare che il tasso di interesse non potesse scendere al di sotto del minimo pattuito e quindi di regolare l’ammontare degli interessi corrispettivi, senza tuttavia prevedere flussi finanziari a favore dell’una o dell’altra parte; si trattava perciò di pattuizione attinente al mutuo e non di un derivato implicito, non avente natura finanziaria e rientrante nell’autonomia negoziale delle parti; sia il tasso corrispettivo che quello di mora del mutuo non erano usurari, né sussisteva l’ usura soggettiva per mancanza di sproporzione tra le prestazioni; la clausola
floor, in quanto relativa alla determinazione dell’ammontare della prestazione corrispettiva, non poteva qualificarsi come vessatoria ai sensi del D.Lgs. n. 206/2005, non emergendo l’indeterminatezza degli interessi corrispettivi, in quanto non vi era incertezza sul quando si applicasse il tasso ancorato all’Euribor 3 mesi e quando il tasso floor ; non vi era violazione dei principi di correttezza e buona fede quale causa di invalidità del negozio giuridico.
NOME COGNOME e COGNOME ricorrono in cassazione avverso la suddetta sentenza, con due motivi, illustrati da memoria. La Banca di credito coop. delle Prealpi resiste con controricorso, illustrato da memoria.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 1, comma 2ter lett. a), 23 del D.Lgs.58/1998, 1362, comma 1, 1363 e 2730 c.c., 115 c.p.c., 33 e 36 D.lgs. 206/2005 ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., manifesta illogicità e contraddittorietà ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi art. 360, comma 1, n. 5.
Al riguardo, i ricorrenti lamentano, anzitutto, che la Corte d’appello sia incorsa nella violazione delle regole ermeneutiche del contratto dell’art. 1362 c.c. che prevede di non limitarsi al senso letterale delle parole, ma di indagare la comune intenzione delle parti e dell’art. 1363 c.c. per il cui disposto le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre -avendo adottato un’interpretazione della clausola come volta ad ‘assicurare’ la Banca che il tasso di interesse non potesse scendere sotto un livello minimo garantito (pag. 8 sentenza appello) senza trarne la logica conseguenza che proprio questa ‘assicurazione’ era l’oggetto di un contratto di tipo derivato, e
che il sottostante era proprio il contratto di mutuo, che prevedeva flussi finanziari a favore dell’una e dell’altra parte, contrariamente a quanto interpretato.
In particolare, i ricorrenti, rilevato che il contratto di mutuo, pur nella sua tipicità, contemplava sottostanti flussi finanziari, sotto forma di erogazione di somma e restituzione della stessa in forma rateale, assumono che era illogico escludere la sussistenza di un derivato per mancanza di flussi finanziari e di un sottostante (che è il mutuo stesso), lamentando altresì l’illogica e contraddittoria motivazione per aver la Corte territoriale enunciato che ‘ la previsione di un tasso di interesse minimo (non diversamente dalla previsione di un tasso d’interesse massimo) limita i suoi effetti alla misura degli interessi corrispettivi e si risolve in un meccanismo di determinazione del tasso misto, ossia in parte variabile (nella specie, euribor a 3 mesi più uno spread del 1,75%) ed in parte fisso (qualora il tasso precedente scenda al di sotto del 3,25%) senza chiedersi come un tasso del 2,450% possa mai scendere al di sotto del 3,25%.
Secondo i ricorrenti, dunque: la previsione contrattuale secondo cui ‘ in ogni caso il tasso applicato non potrà essere inferiore al 3,250% (tre virgola duecentocinquanta per cento) nominale annuo ‘ contempla , al di là della formula utilizzata, la prestazione di un servizio di negoziazione in conto proprio, da parte della banca, avente per oggetto uno strumento finanziario derivato, in contropartita diretta con il cliente; la ratio decidendi della Corte d’Appello era viziata laddove si era limitata ad una valutazione del contenuto economico come finalizzato esclusivamente a proteggere la banca da una eccessiva riduzione del tasso, senza estendere l’indagine ermeneutica al contenuto finanziario della clausola stessa ed ai suoi riflessi giuridici, alla luce della configurabilità della stessa come derivato autonomo
inserito in un contratto di mutuo; c on il ‘ Floor ‘ la banca acquisiva infatti una copertura ulteriore e diversa dal cliente il quale vendeva tale copertura garantendo alla banca che avrebbe pagato comunque un tasso minimo, attraverso l’Interest Rate Floor sul mercato dei derivati (mercato OTC Over the Counter ).
Inoltre, i ricorrenti lamentano che i giudici di merito hanno omesso di considerare, incorrendo nel vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, che la Banca convenuta stessa aveva ammesso, nelle relazioni ai bilanci depositati, di applicare alla clientela derivati impliciti nei mutui; la prova che il contratto di mutuo conteneva, implicitamente, un derivato del tipo interest rate floor era stata data dalla stessa Banca Atestina, ora BCC Prealpi, la quale, nel proprio bilancio di esercizio 2013, aveva ammesso, con valore confessorio ex art 2730 c.c., nella nota integrativa, che : ‘ la banca ha posto in essere operazioni di copertura gestionale da variazioni del fair value, per la cui rappresentazione contabile si avvale di quanto disposto dalla cd Fair Value Option. La strategia adottata dalla banca mira a contenere il rischio- tasso e a stabilizzare il margine di interesse. Le principali tipologie di derivati utilizzati sono rappresentate da interest rate swap (IRS), a copertura di prestiti obbligazionari emessi dalla banca e da opzioni (Floor) implicite in mutui alla clientela e classificate a fini di bilancio, in quanto scorporate, nella categoria ‘detenuti per la negoziazione’ .
I ricorrenti assumono altresì che: la Corte d’appello ha quindi, anche in conseguenza di tale omissione, disatteso i principi di ermeneutica contrattuale, incorrendo in un iter motivazionale illogico e incoerente, nel non riconoscere che la clausola floor dava origine, nella propria applicazione, a flussi finanziari autonomi rispetto alle obbligazioni tipiche del contratto, con le caratteristiche di un contratto a termine su
tassi, con regolamento del differenziale in contanti all’atto del calcolo di ciascuna rata; ciò, ai sensi dell’art. 1, comma 2ter lett. a) del D. Lgs. 58/1998, era assimilabile ad un Interest Rate Swap , con il canone mensile come base di calcolo; tale clausola floo r rappresentava, quindi, un derivato inserito nel contratto di mutuo e come tale la Corte d’appello avrebbe dovuto qualificarla facendo corretta applicazione dell’art. 23 del D. Lgs. n. 58/1998 e dei regolamenti Consob, con la conseguente nullità -in difetto – della pattuizione, errando pertanto nel ritenere (pag. 13 sentenza appello) che essa ‘ non avendo natura finanziaria, non comporta l’applicazione delle norme che disciplinano i servizi di investimento.
In subordine a quanto finora argomentato, i ricorrenti assumono che la Corte territoriale sarebbe incorsa in errore di diritto nel non ravvisare la natura vessatoria della clausola floor , poiché inserita in un contratto stipulato con privati consumatori, quali erano i ricorrenti, con la conseguente sussistenza dei requisiti di cui all’art. 33, secondo comma, lett. l) e o) del D. Lgs. 206/2005, in ordine alle informazioni previste dalla normativa di settore.
Il secondo motivo denunzia violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 117 del D.Lgs. 385/1993, 1346 e 1418, comma 2, c.c., 1284 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3 e n. 4 c.p.c., per aver la Corte d’appello ritenuto che ‘ non sussiste incertezza circa quando si applichi il primo e quando invece il secondo. Infatti, il tasso del 3,25% si applica ogni qualvolta il tasso variabile (euribor 3 mesi + 1,75%) scenda al di sotto del 3,25%’ .. e che ‘ concordato il tasso minimo… alla mutuante non è demandata alcuna scelta, tanto meno arbitraria, poichè la misura degli interessi è predeterminata nella clausola contrattuale ‘.
Al riguardo, i ricorrenti avevano evidenziato, fin dal primo grado, che nel contratto fosse indicato sia un tasso del 2,450% (dato dall’ Euribor 3 mesi, pari al 0,700%, aumentato di 1,750 punti) sia un altro tasso del 3,250% quale tasso invalicabile al ribasso, deducendo l’indeterminatezza ed indeterminabilità della pattuizione dell’interesse, vizio che originava dal fatto stesso che i due tassi non potevano che porsi come alternativi, rimettendone l’applicazione al mero arbitrio della banca, con conseguente nullità della pattuizione stessa e sostituzione del saggio di interesse applicato con l’interesse legale o con quello sostitutivo di cui all’art. 117 del D. Lgs. 385/93.
In particolare, i ricorrenti lamentano che sulla questione in esame la Corte d’appello abbia adottato un’interpretazione illogica e contraddittoria, dato che quello che doveva essere il tasso minimo del contratto (il 3,250%) era superiore fin dall’origine a quello che veniva indicato come tasso contrattuale corrispettivo (il 2,450%), mentre il tasso del contratto di mutuo stipulato tra Zago e Schiavo e la Banca era pattuito sotto forma di Euribor + 1,750 punti e, pertanto, considerato indeterminato.
Preliminarmente, è infondata l’ec cezione di inammissibilità del primo motivo, secondo la quale esso conterrebbe diverse censure tra loro incompatibili.
Invero, il collegio ritiene di aderire all’orientamento a tenore del quale è ammissibile il ricorso per cassazione il quale cumuli in un unico motivo le censure di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., allorché esso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed ai profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass., n. 8915/2018; Cass., SU. n. 9100/2015).
Nella specie, il motivo in questione contempla varie critiche che, sebbene siano classificabili nelle varie tipologie di cui all’art. 360, c.p.c., pur formulate cumulativamente, sono suscettibili di chiara comprensione e, dunque, di trattazione separata.
Premesso ciò, il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello ha correttamente argomentato che: ‘ la clausola floor aveva il significato di assicurare che il tasso di interesse non potesse scendere al di sotto del minimo pattuito e quindi di regolare l’ammontare degli interessi corrispettivi, senza tuttavia prevedere flussi finanziari a favore dell’una o dell’altra parte; si trattava perciò di pattuizione attinente al mutuo e non di un derivato implicito, non avente natura finanziaria e rientrante nell’autonomia negoziale delle parti; era da escludere che il tasso corrispettivo del mutuo fosse usurario in quanto inferiore al tasso soglia e che sussistesse usura soggettiva per mancanza di sproporzione tra le prestazioni, e di usura in relazione al tasso di mora in quanto inferiore al tasso soglia, considerato l’aumento medio di 2,1 punti percentuali previsto dalla Banca d’Italia per i tassi di mora; la clausola floor, in quanto relativa alla determinazione dell’ammontare della prestazione corrispettiva, non poteva qualificarsi come vessatoria ai sensi del D.Lgs. n. 206/2005, non emergendo l’indeterminatezza degli interessi corrispettivi in quanto non vi era incertezza sul quando si applicasse il tasso ancorato all’Euribor 3 mesi e quando il tasso floor ‘.
Va anzitutto osservato che la denuncia di vizio motivazionale è inammissibile. I ricorrenti lamentano che la Corte d’Appello si era limitata ad una valutazione del contenuto economico del contratto di mutuo come finalizzato esclusivamente a proteggere la banca da una eccessiva riduzione del tasso, senza estendere l’indagine ermeneutica al contenuto finanziario della clausola stessa ed ai suoi riflessi giuridici,
alla luce della configurabilità della stessa come derivato autonomo inserito in un contratto di mutuo.
Il collegio ritiene che il vizio motivazionale non sia deducibile, anzitutto, per ‘doppia conforme’, con conseguente operatività della preclusione di cui all’art. 360, comma 4, c.p.c., poiché sia la sentenza di primo grado che quella di secondo grado sono state delibate nel merito, presentando identità delle ragioni di fatto.
Inoltre, la circostanza addotta, quale oggetto del vizio di motivazione, è priva di decisività ai fini dell’interpretazione del contratto posto che il comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto ai sensi dell’art. 1362, comma 2, è il comportamento comune, ovvero unilaterale accettato, anche tacitamente, dall’altra parte, atteso che, come è comune l’intenzione delle parti, quale fondamentale parametro di interpretazione, così deve essere comune il comportamento delle parti quale parametro di valutazione della volontà da esse manifestata (Cass., n. 7083/2006).
Al riguardo, non sussistono comunque violazioni delle regole ermeneutiche relative all’interpretazione complessiva del contratto di mutuo, atteso che la censurata motivazione afferisce all’intero contenuto contrattuale, escludendo che tale mutuo contenga un ‘derivato implicito’ o che si tratti di contratto misto. Sul punto, giova richiamare l’orientamento di questa Corte secondo il quale, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c. Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione
delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali (Cass., n. 27136/2017; n. 873/2019).
Nella specie, la doglianza in esame invoca genericamente la dedotta violazione, senza esplicitare in quale modo, in concreto, la Corte d’appello si sia discostata dai canoni ermen eutici, attingendo in sostanza il merito della causa.
Circa la doglianza di violazione di legge, la richiamata statuizione è conforme al consolidato orientamento di questa Corte- cui il collegio intende dare continuità- a tenore del quale costituisce un puro artificio la tesi secondo cui la previsione di un tasso minimo dovuto dal cliente, inserita in un contratto di finanziamento a tasso indicizzato, costituirebbe una inconsapevole vendita da parte del cliente al finanziatore di una option floor , e dunque un contratto derivato. Infatti la previsione per cui, anche nel caso di fluttuazione dell’indice di riferimento per la determinazione degli interessi, il debitore sia comunque tenuto al pagamento di un saggio di interessi minimo, non è che una clausola condizionale, in cui l’evento condizionante è la fluttuazione dell’indice di riferimento al di sotto di una certa soglia, e l’evento condizionato la misura del saggio: dunque un patto lecito e consentito dall’art. 1353 c.c.» (Cass. Sez. U. 23 febbraio 2023, n. 5657, in motivazione, par. 5.6.3; conforme da ultimo Cass. n. 5151/2024).
Inoltre, questa Corte ha affermato (seppure non specificamente sulla clausola floor dei mutui fondiari) che, in tema di contratti di mutuo, la convenzione relativa agli interessi deve avere – ai fini della sua validità ai sensi della norma imperativa dell’art. 1284, comma 3, c.c. – un contenuto assolutamente univoco in ordine alla puntuale specificazione
del tasso di interesse; qualora il tasso convenuto sia variabile, è idoneo ai fini della sua precisa individuazione il riferimento a parametri fissati su scala nazionale alla stregua di accordi interbancari, mentre non sono sufficienti riferimenti generici dai quali non emerga con chiarezza quale previsione le parti abbiano inteso richiamare con la loro pattuizione (Cass., n. 96/2022; n. 20555/2020).
Nella fattispecie in questione, può dirsi che il funzionamento della clausola sia stato chiaramente illustrato nel contratto di mutuo, con l’espressa precisazione che il tasso d’interesse iniziale sarebbe stato per l’appunto del 3,25%, sì che il mutuatario, allorché sottoscrisse il contratto, aveva piena consapevolezza della misura del corrispettivo, il che escludeva in radice tanto che fosse una clausola non chiara o incomprensibile, quanto che fosse una clausola avente per oggetto o effetto di prevedere l’adesione del consumatore come estesa a clausole che non aveva avuto, di fatto, la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto.
Va osservato che la clausola floor contenuta nel contratto stipulato dalle parti attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto e/o all’adeguatezza del corrispettivo e, pertanto, è anch e esclusa dal vaglio di vessatorietà ai sensi dell’art 34, comma 2°, del codice del consum o , essendo formulata in maniera chiara e comprensibile; l’assenza di chiarezza e comprensibilità è comunque un giudizio di fatto.
Quanto al rilievo per cui la prova che il contratto di mutuo conteneva, implicitamente, un derivato del tipo interest rate floor sarebbe desumibile dal bilancio di esercizio 2013 della Banca, giova osservare sia che la questione specifica è nuova- in quanto non emerge dalle vicende dei gradi di merito-, sia che essa è generica, poiché non riferibile alla fattispecie concreta.
Ne consegue che la censura mossa alla sentenza per violazione dell’art. 33, secondo comma lettere l) e o), del Codice del Consumo non può essere esaminata perché inammissibile
Né è possibile invocare la violazione dell’art. 117 TUB, sia perché il contratto oggetto di causa non è uno strumento finanziario, sia perché il tasso d’interesse del mutuo fondiario è agevolmente determinabile, non ravvisandosi le criticità lamentate nel ricorso.
Il secondo motivo è parimenti inammissibile. I ricorrenti, nel lamentare che la Corte d’appello abbia ritenuto che la previsione contrattuale dei due tassi non avesse determinato incertezza nella relativa applicazione, tendono al riesame dei fatti, contrapponendo all’ interpretazione del giudice una diversa ricostruzione e qualificazione dei fatti di causa.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di euro 3.200,00 di cui 200,00 per esborsi, e al pagamento delle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio in data 14 gennaio 2024.