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Clausola esonero spese: quando è vessatoria?

La Corte di Cassazione interviene su una controversia relativa alla clausola di esonero spese condominiali a favore del costruttore per le unità invendute. L’ordinanza chiarisce due punti cruciali: primo, tale clausola, inserita nei contratti di compravendita tra costruttore-professionista e acquirente-consumatore, deve essere valutata per la sua potenziale vessatorietà, anche se stipulata prima del Codice del Consumo. Secondo, una delibera assembleare che ripartisce le spese in violazione di una convenzione è annullabile, non nulla. Di conseguenza, l’impugnazione deve avvenire tramite domanda riconvenzionale entro i termini di legge, non con una semplice eccezione in sede di opposizione a decreto ingiuntivo.

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Clausola esonero spese: la Cassazione fa chiarezza sulla sua validità e sull’impugnazione delle delibere

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato il tema delicato della clausola esonero spese condominiali, spesso inserita dai costruttori nei contratti di vendita per le unità immobiliari ancora invendute. La decisione offre importanti chiarimenti sia sulla potenziale vessatorietà di tali patti, sia sulle corrette modalità procedurali per contestare una delibera assembleare che li ignori.

I fatti del caso

La vicenda trae origine da un decreto ingiuntivo emesso da un condominio nei confronti della società costruttrice per il mancato pagamento di oneri condominiali. La società si opponeva, sostenendo la validità di una clausola, presente in tutti i rogiti di acquisto, che la esonerava dal contribuire alle spese di gestione per gli appartamenti rimasti di sua proprietà. I giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, avevano dato ragione alla società, ritenendo nulla la delibera assembleare che, a maggioranza, aveva deciso di addebitarle comunque le spese, in violazione della predetta clausola contrattuale. Contro questa decisione, alcuni condòmini e lo stesso condominio hanno proposto ricorso in Cassazione.

La valutazione della clausola esonero spese come vessatoria

Il primo punto cruciale analizzato dalla Suprema Corte riguarda la natura della clausola esonero spese. I condòmini ricorrenti sostenevano che tale clausola fosse vessatoria ai sensi della normativa a tutela del consumatore, in quanto creava un significativo squilibrio di diritti e obblighi. Il giudice d’appello aveva escluso questa possibilità, affermando erroneamente che il Codice del Consumo non fosse applicabile poiché i contratti erano stati stipulati prima della sua entrata in vigore.

La Cassazione ha corretto questa impostazione. Ha chiarito che, anche prima del D.Lgs. 206/2005 (Codice del Consumo), era già in vigore l’art. 1469-bis del codice civile, introdotto nel 1996, che forniva una tutela analoga. Pertanto, il giudice di rinvio dovrà verificare se i contratti in questione siano stati conclusi tra un professionista (il costruttore) e dei consumatori (gli acquirenti) e, in caso affermativo, valutare se la clausola determini effettivamente un significativo squilibrio a danno di questi ultimi, potendo quindi essere dichiarata inefficace.

Delibera nulla o annullabile? La parola alle Sezioni Unite

Il secondo e non meno importante principio affermato riguarda la qualificazione del vizio della delibera assembleare. Il condominio, con un ricorso incidentale, lamentava che il giudice di merito avesse dichiarato la delibera nulla, mentre si trattava, al più, di un vizio di annullabilità.

Su questo punto, la Cassazione ha accolto la tesi del condominio, richiamando l’autorevole precedente delle Sezioni Unite (sent. n. 9839/2021). Secondo tale orientamento, le delibere con cui l’assemblea, a maggioranza, stabilisce o modifica i criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione (come in questo caso) sono nulle solo se lo fanno per il futuro. Invece, le delibere che si limitano a ripartire in concreto le spese, ma in violazione dei criteri esistenti, sono semplicemente annullabili.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla necessità di distinguere la natura dei vizi che possono inficiare una delibera condominiale e le relative conseguenze processuali. La qualificazione di un vizio come nullità o annullabilità non è una mera questione teorica. L’annullabilità deve essere fatta valere entro un breve termine di decadenza (30 giorni, come previsto dall’art. 1137 c.c.) e, nel contesto di un’opposizione a decreto ingiuntivo, non può essere sollevata come una semplice eccezione. L’opponente che intende far valere l’annullabilità della delibera posta a fondamento dell’ingiunzione deve obbligatoriamente proporre una specifica domanda riconvenzionale di annullamento. In assenza di tale domanda, il vizio non può essere esaminato dal giudice.

Per quanto riguarda la clausola esonero spese, la Corte ha sottolineato che la sua valutazione non può prescindere dal contesto contrattuale in cui è inserita. Se il contratto è tra un professionista e un consumatore, scattano le tutele specifiche contro le clausole abusive, che possono alterare l’equilibrio delle prestazioni. La Corte ha quindi cassato la sentenza e rinviato la causa al Tribunale, che dovrà riesaminare i fatti applicando questi due fondamentali principi di diritto.

Le conclusioni

In conclusione, l’ordinanza stabilisce due regole di grande impatto pratico per il diritto condominiale:

1. Una clausola di esonero spese a favore del costruttore, inserita in un contratto di vendita con un acquirente-consumatore, è soggetta al controllo di vessatorietà. Il giudice deve verificare se essa crea un significativo squilibrio a danno del consumatore.
2. La delibera che ripartisce le spese in violazione di una convenzione contrattuale non è nulla, ma annullabile. Chi si oppone a un decreto ingiuntivo basato su tale delibera non può limitarsi a eccepire il vizio, ma deve proporre una domanda riconvenzionale di annullamento nel rispetto dei termini di legge.

Una clausola che esonera il costruttore dal pagamento delle spese condominiali per le unità invendute è sempre valida?
No. Secondo la Corte, se inserita in un contratto tra un venditore professionista e un acquirente consumatore, tale clausola deve essere sottoposta a un controllo di vessatorietà. Può essere considerata invalida se determina un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi a carico del consumatore, anche per i contratti stipulati prima dell’entrata in vigore del Codice del Consumo (D.Lgs. 206/2005).

Qual è la differenza tra una delibera condominiale nulla e una annullabile in materia di ripartizione spese?
Una delibera è nulla se, a maggioranza, stabilisce o modifica i criteri generali di ripartizione delle spese per il futuro. È invece meramente annullabile se, pur non modificando i criteri generali, ripartisce in concreto le spese di gestione in violazione dei criteri previsti dalla legge o da una convenzione contrattuale.

Come si può contestare una delibera annullabile quando si riceve un decreto ingiuntivo per spese condominiali?
Non è sufficiente sollevare una semplice eccezione nel giudizio di opposizione. L’opponente deve obbligatoriamente presentare una specifica domanda riconvenzionale di annullamento della delibera, contenuta nell’atto di citazione in opposizione e proposta nel termine perentorio di 30 giorni previsto dall’art. 1137 c.c.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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